TETI (Θέτις, Thetis)
Divinità marina del golfo tessalico, in seguito inserita nell'ordinamento generale delle genealogie elleniche come la più veneranda tra le figlie di Nereo e di Doris.
Il nucleo originario delle leggende tessale che la concerne ha un carattere strettamente locale e si riassomma nel motivo dell'opposizione e dell'amore vittorioso di Peleo, una divinità montana, eponimo del monte Pelio. In un secondo momento T. viene introdotta in una sfera d'importanza più generale: e la storia dell'amore di Zeus vietato dal fato e non consumato le conferisce già un'alone di influenze cosmiche. Molti di questi aspetti della storia di T. non trovano peraltro alcuna eco nell'arte figurativa. Mentre la figura stessa di T. come divinità indipendente non raggiunge mai un'importanza di primo piano. Un Thetideion è ricordato per Farsalo, che è città tessala relativamente recente. Pausania menziona anche un àgalma della dea in Gythion e uno xòanon a Sparta, di cui non era consentita la vista. Si trattava forse in quest'ultimo caso di un'immagine a metà umana a metà pisciforme come l'invisibile statua di Eurinome in Figalia (Paus., viii, 41, 4)? Un culto di T. in aspetti meno ristretti si ha invece in molti luoghi della Grecia antica in connessione con Achille. Allo stesso modo l'immagine di T. che incontriamo nell'arte figurativa circa la metà del VII sec. a. C., è unicamente la madre di Achille e la sposa domata di Peleo.
Il più antico documento della lotta tra Peleo e T. sarebbe da vedere nel piatto di Praisos (v. vol. vi, p. 422), vale a dire in un'immagine frammentaria e di incerta ricostruzione. Nel caso si accetti questa ipotesi, di T. non rimane che un grande piede bianco, sufficiente a provare che le dimensioni della dea erano assai maggiori di quelle dell'eroe attentatore. Più o meno contemporanea è l'immagine di T. che consegna le armi ad Achille in un'anfora cicladica di eccezionale qualità (Fouilles de Délos, C. Dugas, Les vases orientalisants, 1935, Bc 19, tav. xii). Anche questa volta, tuttavia, la figura di T. è incompleta, mancante dalla vita in su e in parte coperta da un grande scudo beotico sontuosamente decorato. Una lamina bronzea frammentaria da Perachora (Perachora, i, tav. 49, 2) e il cratere corinzio Louvre E 639, anch'esso degli inizî del VI sec. a. C., riprendono il motivo dell'incontro di T. e Peleo nei termini di un agguato in un luogo boscoso. T. rimane una del coro delle Nereidi, una figura di scarsa individualità tra le sorelle in allarme, una gamba nuda emergente dal peplo aperto nella formula consueta della fuga.
Il motivo della consegna delle armi ad Achille ritorna con notevole frequenza e con peculiare solennità in una serie di figurazioni attiche su vasi a figure nere sin dalla prima metà del VI sec. a. C. Tra esse si possono ricordare una lekàne del Pittore KX in Rodi (C.V.A., iii F, tav. 2) e quella sostanzialmente parallela del Pittore di Camtar e del Pittore di Londra B 76 (anfora Boston, Monaco 1450, British Museum B. 600.29 e C.V.A., tav. 23.1; cratere a colonnette Berlino n. 3763). In tutte queste figurazioni la scena ha l'aspetto di un solenne cerimoniale con i due protagonisti, T. ed Achille riuniti al centro nel gesto della consegna delle armi, alla presenza di varî assistenti e di Nereidi al seguito, tutti ugualmente statici e bene allineati. Ancora più lontano da qualsiasi precisa determinazione dell'azione l'arcaico kàntharos, a Berlino (v. vol. ii, p. 496, fig. 686), in cui il tema sembra essere non tanto un armamento, quanto una presentazione di personaggi che il nome iscritto indica come T., Achille ed altri. È con quasi assoluta sicurezza T. la figura femminile mutilata, un grande scudo beotico appoggiato al fianco, che sta presso ad Achille e i cavalli nel superbo kàntharos di Nearchos, Acropoli 611. In altri casi analoghi a volte è Atena che incontriamo in luogo della madre. In tutte queste figurazioni il momento è indeterminato e solo il fatto dell'enorme importanza emotiva della consegna delle nuove armi fornite dalla madre all'eroe disperato e sconvolto per la morte di Patroclo può indurci a fissarlo in questo preciso contesto di circostanze. Al contrario il notissimo piatto di Lydos nel museo di Atene ci offre un Achille che si arma alla presenza della madre e del vecchio Peleo, vale a dire in un ambiente estremamente familiare e privo di qualsiasi tensione drammatica. In questo caso almeno i nomi iscritti ci assicurano che ci troviamo nella casa del padre Peleo e che l'armamento non riveste quel carattere di straordinaria e patetica investitura che assume più tardi presso le tende dell'eroe.
Se le figurazioni della consegna delle armi, anche per la presenza del coro delle Nereidi ha spesso un carattere solenne e cerimoniale, in un tema parallelo, quello della visita di conforto da parte della madre al figlio che lamenta la perdita di Patroclo e il suo proprio destino, il tono è decisamente più intimo e patetico. Così in una oinochòe corinzia del museo di Bruxelles (Payne, Necrocorinthia, n. 1410) T. s'inchina sul letto dell'eroe in un atto di tenerezza, che almeno nell'intenzione rivela l'angosciata trepidazione della madre.
Al contrario una riserva e una impersonalità anche maggiore distingue T. nelle figurazioni nuziali che hanno inizio già nella prima metà del VI sec. a. C. con il frammentario dèinos di Sophilos dell'Acropoli e con l'ancor più monumentale cratere di Kleitias. In questi monumenti T. è la sposa pudica e timidissima, a metà nascosta nel talamo, il gesto tradizionale di sollevare il velo dal volto invisibile tagliato dalla porta. Ugualmente la piccola sposa eretta nel carro nuziale della hydrìa del Pittore di Lysippides a Firenze è identificabile in base ai nomi iscritti e alla presenza degli dèi e di Apollo che leva la voce nell'epitalamio. Di per se stessa è poco più di un simbolo ripetuto meccanicamente al centro di un ben noto schema figurativo. L'anonimità stessa del suo aspetto fa presumere che gran parte, se non tutte le figurazioni di una solenne scena nuziale con la partenza in carro degli sposi accompagnati da tutte le grandi divinità e dalla cetra di Apollo, siano da riferire alle nozze di Peleo e Teti. È stato più volte rilevato come questa tradizione festosa e solenne, consacrata dal corteggio delle divinità assistenti, sia inconciliabile con quella delle nozze frettolose e come segrete, consumate in una caverna del Pelio dopo la lotta e la vittoria di Peleo, pronubo a volte il centauro Chirone.
Peraltro la più popolare tra le figurazioni relative all'amore tra la dea e l'eroe rimane sempre quella del primo scontro, dell'agguato e della lotta. Come è stato visto più innanzi, le figurazioni più antiche si riferiscono piuttosto all'agguato. E forse il monumento più antico in cui si parla di lotta e di un serpente furioso all'attacco contro l'assalitore è l'Arca di Kypselos (Paus., v, 18, 5).
Per quanto ci risulta dai monumenti conservati le figurazioni della lotta a noi rimaste, ad eccezione del piatto di Praisos, non risalgono ad antichità remote. Incerta è ad esempio la formulazione della scena in uno dei più antichi e più straordinari documenti di questa classe, il frammento di Kleitias, Acropoli 594 in cui non rimangono che delle Nereidi fuggenti. Normalmente le figurazioni della lotta sono più tarde e di non grande intensità emotiva. Anche nel ristretto ambiente attico non si tratta di tradizione unitaria, ma di un'estrema varietà negli atteggiamenti delle figure e nelle loro relazioni. Si può osservare come in un primo momento si affermi il motivo della lotta corpo a corpo, a cui fa seguito, ma sempre alternandosi con il primo, il motivo dell'inseguimento. Nel primo caso entra in giuoco l'ingenuo, esteriore armamentario illusionistico delle trasformazioni. Piccoli leoni rampanti, mostri marini e serpenti furiosi si avventano, fiammelle spiccano dalle spalle della dea come piccole ali o acque scorrenti. La prova richiesta per l'eroe è evidentemente quella di resistere, disperatamente attaccato alla dea, imperterrito di fronte alla fantasmagoria delle trasformazioni. In generale quindi Peleo serra alla vita in una presa soffocante la dea, e le si abbarbica addosso come un'edera: e così inclinato, appare, e a volte anche è, più piccolo della grande figura eretta e torreggiante che lo domina e che esplode in uno svariare di fiamme, di protomi ferme e di piccoli animali attaccanti. In generale in T. viene sottolineata la dignità di una grande dea sorpresa e oltraggiata da un persecutore troppo insignificante e inatteso. Essa ha spesso sul capo il velo delle divinità maggiori o un sàkkos. Al di fuori dell'Attica la stessa concezione permane ben avanti nel V sec. a. C.: in un rilievo melio in cui ancora una volta la figura altissima eretta della dea ci appare un poco come un idolo stante che subisce imperturbata l'oltraggio di un minuscolo, presuntuoso mortale.
Con ben altro senso di interiorità e di poesia il tema viene ripreso in una delle più antiche opere del Pittore di Berlino, l'hydrìa di Aberdeen. Per una volta, con un'estrema concentrazione l'artista ci fa assistere a un vero e proprio duello di amanti, stretti in un implacabile amplesso che, nello scontro tra appassionata determinazione e gelido rifiutarsi ha quasi la tragica grandezza della lotta tra Achille e Pentesilea. Di assai minore intensità emotiva, in quanto risolto sul piano meramente fisico della stretta avviluppante, vischiosa, il tondo della famosa coppa di Peithinos nel museo di Berlino. Il tema viene invece più volte ripreso, svuotato di qualsiasi drammaticità, nelle lievi figure del Pittore di Euergides: in uno svolio di Nereidi in fuga, un incontro di amanti adolescenti che ha piuttosto del gioco galante e della danza che vero respiro epico. E in appresso, nella sempre maggiore umanizzazione delle storie degli dèi e degli eroi in cerca d'amore nel corso del V sec. a. C., anche il duello tra la dea e il mortale presuntuoso si risolve nel più umano motivo dell'inseguimento. La dea e l'eroe si trovano oramai sullo stesso piano e T. non è più un idolo, ma una semplice fresca ragazza che ha paura e che fugge. A volte, forse per la commistione con storie analoghe, viene introdotto il motivo ancora più umano e aneddotico dell'agguato alla fontana. Così nella kalpìs di Polygnotos, Spina T 271, la dea fugge lasciando cadere l'hydrìa e il cercine come Amimone o Polissena. Lo squisito doppio disco del Pittore di Pistoxenos del museo di Atene ci presenta i due protagonisti in un momento sospeso che non è più la fuga e che non implica la lotta: con una T. tenera e pudica, dolcemente arrestata nel suo ritrarsi. Ancora un passo oltre in un mondo di fresco idillio di adolescenti si ha in una pyxis assegnata a un seguace di Douris nella Collezione von Schoen, un inseguimento festoso di ragazzi, senza allarmi e senza minaccia.
Parallelamente alla storia dell'inseguimento e della lotta, continua nella ceramica attica a figure rosse il tema della conquista ufficiale, il matrimonio. Così incontriamo T. velata come una sposa in un corteo solenne nella pelìke del Pittore di Syleus Louvre G 226 e con più spigliata levità nella pyxis del Pittore delle Nozze, Louvre L 555. In termini più solenni e cerimoniali, nel cratere a calice di Spina che ha dato il nome al Pittore di Peleo, l'eroe solleva dolcemente la sposa velata in atto grave e tenero per la partenza nel carro.
Non tanto le nozze, quanto il trionfo per la sposa conquistata sembra il tema di uno stàmnos del Pittore di Berlino nel museo di Palermo. Peleo armato e in costume da cacciatore, una pelle maculata trasversa sul torso, conduce per mano la sposa velata, con la fierezza e l'enfasi di una danza guerresca.
Un duello alla presenza di due donne velate è generalmente inteso come l'incontro finale tra Achille e Memnone seguito con mortale trepidazione dalle due madri divine Eos e Teti. La figurazione appariva in questi termini con le madri presenti nell'Arca di Kypselos e presumibilmente anche nel Trono di Amicle, per quanto in questo ultimo caso esse non siano menzionate (Paus., v, 19, 1; iii, 18, 12). Lo schema è assai antico e s'incontra tanto in ambiente attico, quanto nella ceramica calcidese, come in una notevole arula fittile di Locri. Generalmente il parallelismo tra le due dee velate o ammantate è tale che non sappiamo distinguere T. da Eos. Più tardi, con l'hydrìa ionica da Caere (Villa Giulia) il giuoco delle sorti nella lotta degli eroi viene reso in maniera più tangibile e più drammatica con l'introduzione della Psychostasia. Nella hydrìa di Caere è Zeus stesso che pesa i destini degli eroi sulla bilancia tra le disperate implorazioni delle madri. In questo caso sarà forse T. la madre inginocchiata ai piedi del dio, come a indicare la maggiore intensità della preghiera ascoltata oppure il particolare legame di nostalgico affetto che lega a Zeus la più veneranda delle Nereidi. Più tardi, nello splendido stàmnos del Pittore di Kleophrades nella Bibliothèque Nationale (Mon. Inst., ii, 10) e in altri è sempre Hermes a reggere la bilancia: e ancora una volta in mancanza di nomi o di un accenno di vittoria in corrispondenza di uno degli eroi è difficile distinguere T. in una delle due donne ugualmente concitate e gesticolanti. A volte come per un oscuro parallelismo anche a T. vengono date le ali come ad Eos (Bologna, cratere a calice 285 del Pittore di Altamura; British Museum, coppa del Pittore di Castelgiorgio E 67). Come è noto, un gruppo di statue opera di Lykios in Olimpia raffigurava precisamente il duello degli eroi e le madri supplicanti (Paus., v, 22, 2).
Assai più recente è il motivo iconografico della dea nell'officina di Hephaistos, che tanta fortuna avrà in età ellenistico-romana. Due pelìkai del Pittore Dutuit (Boston e Villa Giulia) costituiscono forse i documenti più antichi che possediamo di questa scena. Più concentrata e in certo modo addirittura monumentale per carattere l'immagine nel tondo della coppa del Pittore della Fonderia in Berlino dove l'alta figura della dea stante è drammaticamente opposta a quella del divino artefice curvo sul suo lavoro. E nel secondo venticinquennio del V sec. a. C. che s'incontra l'immagine della madre consolatrice espressa con particolare tenerezza, specialmente in una coppa del Pittore di Briseide e in una pelìke di un "Manierista" del British Museum (E 363). T., che s'incurva e abbraccia il figlio ammantato e come isolato nel suo dolore, ci offre un momento di intima commozione quale è sempre più raro di incontrare. In effetti anche il tema della consegna delle armi viene ora quasi sempre evocato con il motivo fastoso e un poco esteriore, della cavalcata marina di Nereidi con armi. Motivo fortunatissimo nel quale peraltro domina l'elemento corale del corteo e dove non è facile isolare la Madre. Se non proprio questa scena, lo stesso carattere, sontuoso, cerimoniale e di necessità un poco esteriore doveva ritrovarsi nel grandioso gruppo di Skopas in cui a T. erano affiancati Posidone, il figlio Achille, Nereidi e Tritoni e altre creature marine.
Un aspetto insolitamente quieto e familiare della storia di T. ci è conservato in una grande lèkythos del museo di Napoli in cui apparentemente il giovane Achille prende congedo da Nereo, mentre T. è seduta in fondo in compagnia di due Nereidi. Quasi per associazione di idee i due fregi sottostanti raffigurano un ratto: il rapitore è chiaramente indicato come Boreas, ma è indubbio che il coro di fanciulle in fuga ricorda piuttosto le figlie di Nereo che le compagne di Orizia.
In margine alla piena classicità le storie di T. rimangono sempre più associate ad aspetti esteriori e di ovvia drammaticità. Così il ratto in un noto cratere a volute del Pittore di Sisyphos, in Goluchow, ha luogo tra clamore di appelli e sventolare di gran drappeggi barocchi (C.V.A., tav. 48). Mentre la definitiva dissoluzione del carattere stesso del mito si ha nella nota pelìke da Camiro nel British Museum in cui si ripiega sul facile erotismo della dea sorpresa nel bagno, con T. nuda e ripiegata sui talloni in uno schema che anticipa l'Afrodite di Doidalsas.
Uno schema pittorico che risale verosimilmente all'ellenismo noto a noi attraverso due dipinti pompeiani, ci mostra T. nella fucina di Efesto. La dea è seduta a destra, una florida, sontuosa figura in vesti chiare e luci argentine a contrasto con l'atmosfera fuligginosa e i grandi corpi bronzati di Efesto e dei Ciclopi. In un rilievo dei Conservatori domina invece una concezione prevalentemente scultorea con netta opposizione, ancora una volta, tra l'eroica attività dei martellatori chinati intorno all'incudine e la severa figura stante della dea velata e tutt'avvolta in rigide vesti dall'andamento verticale.
Per affinità con la dea seduta nella fucina di Vulcano degli affreschi pompeiani, è stato proposto di riconoscere T. in una statua femminile seduta accompagnata da un fanciullo Tritone, ora nel Museo delle Terme. L'ipotesi non è stata completamente accettata, per quanto gli altri nomi proposti sembrino ancora più improbabili.
Altri episodî della storia di Achille compaiono per quanto ci è dato di giudicare solo in età romana. Così il tema dell'immersione del fanciullino nello Stige, con T. inginocchiata sulla sponda di cui rimangono edizioni assai tarde nella Tensa Capitolina e nella trapeza marmorea dei Conservatori. Di questo ciclo narrativo ci sono pervenuti recentemente nuovi cospicui documenti in mosaici di Xanthos (T. che immerge il figlio nello Stige) e di Cherchell (nozze di Peleo e T.) (Fasti Arch., viii, 1775, xv, n. 4642).
Il notissimo sarcofago Albani ci conserva un'ultima edizione delle nozze di T. e Peleo. Atena, Efesto, Dioniso, le Horai e altre figure simboliche rendono omaggio ai due sposi seduti in trono, a destra T. tutta avvolta nel manto. Tra le rare apparizioni di T. nelle miniature dell'Iliade Ambrosiana è notevole quella della dea che viene dal mare, in gran drappeggi ventilati a confortare il figlio.
Bibl.: B. Gaef, in Jahrbuch, I, 1886, p. 201 ss.; Roscher, in Roscher, V, 1916-24, c. 785 ss., s. v. Thetis; M. Mayer, in Pauly-Wissowa, VI A, 1936, c. 206 ss., s. v. Thetis; K. Bulas, Les illustrations antiques de l'Iliade, Lwow 1229, passim; J. D. Beazley-Caskey, Attic Vase Paintings. Boston, Boston 1931 ss., II, p. 10 ss.; III, p. 45 ss.; R. Herbig, in Jahrbuch, LIX, 1944-45, p. 141; B. M. Felletti Maj, in Arch. Class., I, 1949, p. 46 ss.; M. heidenreich, in Mitt. des Instituts, V, 1952, p. 134 ss.; E. Simon, in Röm. Mitt., LX-LXI, 1953-54, p. 211 ss.; Fr. Brommer, Vasenlisten2, Marburg 1960, p. 241 ss.; K. Schefold, Frühgriechische Sagenbilder, Monaco 1964, p. 254.