TESTURIZZAZIONE
. Definizione e generalità. - Per t. s'intende quel processo, o insieme di processi nell'industria tessile, che modificano la disposizione geometrica delle bave che compongono un filo rispetto al suo asse, provocando variazioni nelle caratteristiche elastiche e/o di volume del filo stesso. A seconda delle caratteristiche prevalenti si possono così classificare i prodotti che se ne ricavano: a) elasticizzati, in cui la caratteristica prevalente è l'elevata elasticità (con allungamenti dal 100 al 500%); b) elasticizzati-stabilizzati, in cui l'effetto voluminosità e mano prevale sull'effetto elastico, il quale tuttavia conserva valori sempre elevati (fino a 200%); c) voluminizzati, in cui caratteristica prevalente è la voluminosità, mentre l'elasticità non differisce di molto dai valori dei fili originari.
Si deve a questo punto ricordare che, a fianco dei testurizzati, esistono due altre importanti categorie di filati che, nonostante qualche apparente analogia, non possono essere considerati testurizzati; trattasi dei: a) filati voluminosi, provenienti da miscele di filatura di fibre a diverso grado di retrazione al calore (esempio tipico gli acrilici HB); b) fili e filati elastici, a base di fili di gomma e di elastomeri poliuretanici, la cui elasticità è dovuta alla stessa natura molecolare e raggiunge valori elevatissimi (fino all'800%): questi sono utilizzati nudi, o rivestiti con altri fili con il sistema della spiralatura, o con altre fibre con la filatura ad anima.
L'Institut textile de France ha proposto questa definizione per i testurizzati: "fili di filamenti continui, con o senza elasticità, con o senza torsione, che presentano un aspetto gonfio, che deriva da un'ondulazione o da un'arricciatura del o dei filamenti elementari che li compongono".
Il termine filo testurizzato si deve pertanto riferire ai fili che rispondono a questi requisiti; essi sono normalmente ottenuti con procedimenti fisici, meccanici o chimici. Risultano più facilmente testurizzabili tutte le fibre a carattere termoplastico e quindi le sintetiche in genere, l'acetato e il triacetato. Inizialmente la termoplasticità era considerata un difetto delle fibre sintetiche, mentre oggi ci si avvale largamente di questa proprietà per realizzare, con una gamma infinita di varianti, l'alta voluminosità e l'alta elasticità del filo testurizzato. L'effetto della t. deriva da una deformazione termoplastica impartita alle fibre: la termoplasticità infatti consente alle fibre di essere più facilmente deformate meccanicamente già a partire dalla temperatura di scorrimento plastico (in genere compresa per le principali sintetiche tra 50 e 90 °C) e, aumentando ulteriormente la temperatura, di scindere un gran numero di quei legami trasversali che legano le catene longitudinali, per permetterne la ricostruzione secondo la deformazione meccanica impartita alla fibra; tali nuovi legami mantengono la fibra nel suo stato deformato finché non intervenga una temperatura uguale o superiore e una diversa azione meccanica a modificarne nuovamente la struttura stessa. Logicamente la deformazione ottenibile è maggiormente accentuata sulle fibre più cristalline, come le poliammidiche, mentre la sua permanenza dipende strettamente dal comportamento termico della fibra.
Diffusione e impieghi. - La diffusione dei testurizzati è derivata, oltre che dall'affermazione del prodotto elasticizzato, anche dalla possibilità di riprodurre sui fili sintetici alcune caratteristiche proprie dei filati di fibre naturali. Oggi circa il 40% della produzione mondiale di fili continui sintetici è utilizzato sotto forma di filo testurizzato, ma tale percentuale è destinata ad accrescersi, tanto che autorevoli esperti ritengono che sull'inizio degli anni Ottanta essa non si discosterà troppo dal 60 ÷ 70%. I settori d'impiego di questa categoria di fili sono in continua espansione e vanno dal campo della maglieria (biancheria intima, corsetteria, costumi da bagno) e della calzetteria (soprattutto calze e collant), a quello importantissimo dei tappeti, a tutto il campo della tessitura per abbigliamento e arredamento (abiti sportivi e per il tempo libero, cravatte, camiceria, ecc.). Rispetto ai fili tradizionali i fili testurizzati presentano le seguenti importanti caratteristiche: a) maggiore voluminosità a parità di peso; b) migliore resistenza dinamometrica a parità di titolo; c) attenuazione del fenomeno di formazione del pilling; d) comfort migliore, conseguenza della maggior distanza fra le bave e pertanto del notevole volume di aria trattenuta; e) più rapida ripresa dalle deformazioni.
Fibre usate nella testurizzazione. - Nell'ambito delle fibre sintetiche le poliammidiche costituiscono la classe percentuale più importante in questo settore e si prestano all'applicazione di tutti i vari sistemi di testurizzazione (v. oltre). La natura altamente cristallina delle poliammidiche permette anche a una t. molto spinta: effetto caratteristico è pertanto sia l'elevato potere di elasticizzazione e voluminizzazione, sia la possibilità di regolare l'una e l'altra in una vasta gamma di valori. Per contro i fili testurizzati poliammidici hanno una tendenza al restringimento superiore a quella dei fili poliesteri. Trovano impiego nei tessuti elastici, nel settore della calza per uomo e bambino, nella fabbricazione dei tappeti e altri articoli per arredamento. I fili poliesteri sono preferibilmente trattati con il sistema a falsa torsione e in quantità seguono da vicino le fibre poliammidiche. Ottima è la permanenza degli effetti; essi di fronte alle fibre poliammidiche presentano un più elevato modulo di elasticità e quindi una migliore stabilità della forma, una minor tendenza alle gualciture, una miglior ripresa dell'allungamento soprattutto a umido. Trovano particolare utilizzo in maglieria e tessitura. La quantità prodotta di fili acrilici testurizzati è assai più modesta, soprattutto per la rapida alterazione della fibra acrilica a temperature relativamente modeste; i testurizzati acrilici, pure risultando meno elastici dei poliammidici, consentono di raggiungere un'ottima voluminosità, hanno una mano più calda e più serica, bassi allungamenti, restringimento residuo minore. L'impiego è soprattutto diretto verso la maglieria esterna di lusso. Scarso l'interesse in questo settore per le fibre cloroviniliche e le polipropileniche, con impiego limitato ad articoli di maglieria e filati per tappeti.
Nell'ambito delle fibre artificiali vengono testurizzati l'acetato e il triacetato, specie con i sistemi a falsa torsione e a getto fluido. Possono essere trattati già tinti in pasta e assumono buona voluminosità; moderata l'elasticità e limitata la permanenza degli effetti. I settori d'impiego, sia per ragioni di prezzo sia per la mano particolarmente morbida, sono da ricercare in maglieria, nei tessuti jacquard e nei vestiti estivi per signora.
Sollecitati dalla moda per gli elasticizzati sono stati ricercati e applicati trattamenti simili alla t. anche per i filati di fibre naturali, ma per il momento con scarsi risultati; oltre che con il sistema a getto fluido, si possono ottenere effetti parzialmente soddisfacenti con trattamenti chimici di fissaggio dopo torsione a immagliatura e prima della distorsione, o con applicazione di resine ureiche.
Procedimenti di testurizzazione. - I metodi di t. in uso sono numerosi e a tutt'oggi si contano più di 400 marchi di fabbrica di filati testurizzati. In linea generale possono così suddividersi: a) con metodi torcenti; b) per flessione su lama; c) per compressione; d) per soffiatura; e) con altri metodi di deformazione; con filamenti bicomposti.
a) Testurizzazione con metodi torcenti. Possono essere convenzionali e continui. Il procedimento convenzionale può considerarsi come il procedimento classico, che ha nell'"Helanca" il suo prototipo e si svolge nella successione di tre operazioni fondamentali discontinue: torcitura con elevato tasso di torsione, fissaggio termico della torsione, detorsione fino a un tasso finale uguale o prossimo a quello della torsione iniziale. Nella prima fase ogni filamento si ritorce sul proprio asse con il medesimo grado di torsione di un fascio elicoidale di fibre; nella fase di stabilizzazione i carichi di torsione vengono eliminati e ogni filamento rimane quindi praticamente privo di tensione mentre giace ancora nella configurazione elicoidale del fascio di fibre; distorcendo poi questo fascio in senso inverso si elimina anche la configurazione elicoidale, ma il filo rimane fortemente arricciato. Il procedimento è lento, delicato e costoso, sia per lo svolgimento discontinuo delle tre fasi fondamentali del processo, sia per i limiti di velocità imposti dai torcitoi tradizionali; esso tuttavia è ancora seguìto quando si richiedono al manufatto caratteristiche superiori di stabilità.
Il metodo cosiddetto di "falsa torsione" ha permesso di realizzare il processo con una sola macchina che provvede in continuo alla torsione, al fissaggio termico e alla detorsione con velocità di molto superiori al procedimento discontinuo. Questo lo schema: da un dispositivo di alimentazione a velocità controllata, il filo passa in un forno, nel quale si fissa la torsione impartita al filo a monte del fuso; dopo il fissaggio della torsione nel forno, la stessa si annulla a valle del fuso. Logicamente variando i parametri del processo (torsione, tensione, temperatura) si ottengono variazioni notevoli nelle caratteristiche del prodotto. Schematicamente una moderna macchina per la t. a falsa torsione (fig. 1) si compone dì una cantra di alimentazione a, una serie di forni elettrici a contatto b per il primo termofissaggio, una serie di fusi c di falsa torsione, una seconda serie di forni d per un ulteriore termofissaggio, una sezione d'incannatura e. L'organo principale della macchina è ovviamente il dispositivo di falsa torsione e da questo dipende la capacità produttiva dell'impianto; dai primi fusi degli anni Cinquanta con velocità di rotazione di 40.000 ÷ 80.000 giri/minuto, si è passati prima al fuso magnetico (400.000 ÷ 1.000.000 di giri/minuto, con velocità d'uscita del filo fino a 200 m/minuto), quindi ultimamente al fuso a frizione (4 ÷ 5 milioni di giri di torsione impartita al filo, con velocità d'uscita sino a 500 m/minuto): in quest'ultimo tipo di dispositivo la torsione ad altissimo numero di giri si basa sul rotolamento per frizione del filato sulla superficie del fuso che ruota con una velocità massima di 40.000 giri/minuto.
Una nuova era nella tecnologia della t. è nata con la recentissima comparsa dei fili POY (sigla derivata da Pre Oriented Yarns), con i quali è possibile riunire in una sola macchina le due operazioni di stiro dopo filatura e di t., e compierle simultaneamente o sequenzialmente, con eliminazione della bobinatura intermedia e delle manipolazioni tra passaggio e passaggio. In genere le stiro-testurizzatrici sono equipaggiate con fusi a frizione.
b) Testurizzazione per flessione su lama. Il metodo si applica a tutte le fibre termoplastiche. Questo lo schema (fig. 2) del procedimento: si riscalda su piastra termica e si stira su spigolo b, poi si raffredda su cilindro raffreddato c. La forte piegatura fa sì che gli strati esterni del filo si stirino e gl'interni si comprimano, con effetto identico a quello che si ottiene facendo passare una strisciolina o un nastro di carta sul filo delle forbici. Adatto per poliammidi e poliesteri, con buoni effetti di mano sul tessuto.
c) Testurizzazione per compressione. Con questo metodo (fig. 3) il filo viene introdotto e compresso in modo continuo, mediante rulli introduttori a in un cilindro b; l'arricciatura a fisarmonica che ne risulta viene in seguito termofissata sullo stesso cilindro di compressione o in una fase di lavorazione successiva. Tale metodo è usato specialmente nel caso di filati per tappeti e consente un'elevata velocità di produzione; tuttavia il filo prodotto ha un'arricciatura arruffata e presenta una mano molle.
d) Testurizzazione per soffiatura. Questo metodo prescinde dal fissaggio termico e quindi può essere applicato anche alle fibre non termoplastiche. A un ugello viene presentato il filo da testurizzare e questo viene investito da un getto d'aria o di vapore che fuoriesce dal primo; il vortice causato tra aria o vapore e filo scompiglia l'assetto delle bave e ne provoca un nuovo assestamento strutturale con la formazione di caratteristiche boccole o occhiellini. Il metodo consente un'alta produzione, ma richiede notevoli spese di esercizio per il consumo d'aria compressa o di vapore.
e) Testurizzazione con altri metodi di deformazione. Sono rappresentati essenzialmente dal procedimento di t. per immagliatura o knit-de-knit (confezione di un tessuto a maglia, fissaggio in autoclave, disfacimento della maglia con avvolgimento del filo su spola) e dal procedimento per deformazione meccanico-termica conseguente al passaggio del filo fra ruote dentate opportunamente riscaldate.
f) Testurizzazione con filamenti bicomposti. Non si tratta di un vero sistema di t., ma da molti autori viene trattato in questa sede. In questi fili le singole bavelle consistono di due strati di diverso materiale che, riscaldati o rigonfiati, si restringono in varia misura, causando all'interno della singola fibra una deformazione e un'arricciatura (v. anche fibre tessili, in questa App.). I fili testurizzati bicomposti non devono essere confusi con i filati voluminosi tipo gli acrilici HB, in quanto questi ultimi si ottengono per mischia di fibre discontinue a diversa retrazione e non ven-. gono prodotti direttamente dalla filiera.
Bibl.: A. Chevallard, I filati testurizzati, in Panorama tessile, nn. 2 e 3, febbr. e marzo 1964; id., Elastici, testurizzati e voluminosi, ibid., n. 13, maggio 1965; id., Tecnologia e definizione tecnica dei testurizzati, ibid., n. 21, sett. 1966; D. F. Arthur, Modern yarn production, Manchester 1966; M. J. Denton, Le développement des techniques de texturation fausse torsion, in L'industrie textile, genn. 1972, p. 23; F. Testore, Tecnologia della filatura, vol. II, Biella 1975; id., Rapporto ITMA '75, Milano 1976.