TESTIMONIO
. La prova testimoniale appartiene alla categoria delle prove indirette, cioè di quelle che forniscono al giudice la cognizione dei fatti, oggetto della causa, attraverso osservazioni e deduzioni di soggetti diversi dal giudice. Per questo carattere, la prova testimoniale si accosta ad altre prove, che si formano nel corso del processo, quali la confessione, il giuramento; ma si distingue anche da esse in quanto il testimonio è un terzo, e la testimonianza del terzo ha valore diverso da quella resa dalle parti in causa, anche se la legge designi come testimonî le parti (es., la parte civile, art. 448 cod. proc. pen.). Il testimonio inoltre si distingue dal perito, in quanto che, se al teste non è vietato di esporre anche osservazioni e deduzioni di carattere tecnico che egli riconnette alla percezione dei fatti oggetto della lite, tali osservazioni e deduzioni hanno il carattere di una sua opinione subiettiva, mentre il perito, per il carattere del suo compito e il modo di designazione, è incaricato di fornire al giudice quei dati obiettivi che costituiscono le deduzioni, tratte da fatti determinati secondo regole riconosciute dalla generale esperienza.
La prova testimoniale ha, per la natura stessa delle cose, importanza grandissima tra i mezzi di prova.
Il processo romano classico ammetteva tale prova senza alcuna limitazione di oggetto, considerandola di valore pari alla prova documentale; la valutazione della prova era lasciata al libero convincimento del giudice; solo a partire dal sec. IV d. C., per influenze orientali, s'introduee nel processo civile romano il principio della prevalenza della prova documentale su quella testimoniale, e qualche elemento di valutazione legale della prova testimoniale (Cod., IV, 20, de test., 9).
Nei processi germanici primitivi, la prova testimoniale, nei suoi caratteri essenziali, non è conosciuta, in quanto il sistema processuale, e quindi quello probatorio, è fondato su principî affatto diversi dal processo romano e da quello contemporaneo: le prove sono dirette non a formare la convinzione del giudice sulla verità di determinati fatti, ma a purgare la parte dall'accusa avversaria: perciò i modi, l'onere e i risultati della prova sono tassativamente determinati e valutati dalla norma di legge, e la prova principale è costituita dal giuramento del convenuto, insieme con un certo numero di coniuratores, giuramento che, prestato, porta all'assoluzione del convenuto stesso.
Il punto d'incontro dei due tipi di processo ha dato origine al sistema che, nel processo civile italiano attuale, regola la prova testimoniale civile, e che ha attinto al processo romano classico il principio della libertà di convincimento del giudice, e ai processi germanici la limitazione dell'ammissibilità della prova testimoniale secondo l'oggetto di essa, in forza del principio della valutazione legale della prova stessa.
La prova per testimonî subisce pertanto nel processo civile diverse limitazioni, delle quali segnaliamo le più importanti.
a) Prova in materia di convenzioni. - La prova è inammissibile quando si voglia provare una convenzione di valore superiore alle lire duemila (art. 1341 cod. civ.; art. 20 r. decr. 20 settembre 1922, n. 1316). La disposizione è di origine germanica, ma deriva immediatamente, nella legge italiana, dalla legislazione francese che, sia per le complicazioni alle quali dava luogo la prova testimoniale, sia per influenza della classe notarile (portata naturalmente a far prevalere la prova documentale) limitò la prova testimoniale nelle cause di valore superiore a una certa somma. Lo stesso art. 1341 esclude anche la prova testimoniale contro o in aggiunta all'atto scritto, o sopra ciò che si allegasse essere stato detto avanti, contemporaneamente o posteriormente allo scritto. Data l'origine della limitazione, essa deve restringersi alle convenzioni; sarà quindi, ad es., consentita la prova testimoniale dei fatti giuridici, e dei fatti estintivi o impeditivi di un diritto insorgente da una convenzione (es., il pagamento, l'errore, ecc.). La portata della limitazione dell'art. 1341 cod. civ. è stata ridotta nella legislazione successiva: così l'art. 44 cod. comm. consente la prova testimoniale anche nei casi preveduti dall'art. 1341, affidando al giudice di consentire, caso per caso, la prova testimoniale. E il vigente codice di proc. penale (articoli 21 e 308) dispone esplicitamente che le limitazioni che le leggi civili stabiliscono relativamente alla prova non si osservano nel procedimento penale, anche quando in questo si debba conoscere di un rapporto civile agli effetti della decisione penale (cfr. in senso contrario l'art. 848 del cod. di proc. pen. del 1865, dominato dai principî del codice civile).
b) Prova della data di un contratto. - L'art. 1327 cod. civ. rende inammissibile rispetto ai terzi la prova della data di un contratto, quando dal contratto si vogliano derivare diritti contrastanti con quelli dei terzi. Anche tale limitazione è stata ristretta nel suo campo di applicazione dall'art. 55 cod. comm., che ammette la prova della data rispetto ai terzi con qualunque mezzo, quando si tratti di materia commerciale.
c) Altre limitazioni dell'ammissibilità della prova testimoniale, di minore importanza, sono contenute nel codice processuale civile, agli articoli 284 capoverso (la prova testimoniale dell'autenticità di una scrittura non può essere ammessa che congiuntamente alla perizia), 237 capov. (prova dei motivi di sospetto di un teste), ecc.
Le limitazioni alla prova testimoniale in materia civile si ricollegano tutte al principio della prova legale, cioè della valutazione della prova fatta a priori e in modo generale dal legislatore (es., non credibilità della testimonianza in determinate materie), ma esse tendono a diminuire nel processo civile italiano, e sono ignote nella legislazione processuale più moderna. La limitazione stessa è affatto estranea al processo penale italiano, nel quale la prova è ammessa senza limitazioni, ed è sempre il mezzo di prova predominante per importanza, e del quale l'unica limitazione è costituita dal principio che i testimonî devono deporre su fatti determinati, e non esporre apprezzamenti personali (articoli 349 e 450 cod. proc. pen.).
La prova testimoniale, quando sia ammissibile, è normalmente disposta su richiesta delle parti; ciò si verifica sostanzialmente sia nel processo civile, sia nel penale (esclusa la fase istruttoria e con temperamenti derivanti dal principio dell'officialità nella fase del dibattimento: articoli 457, 469 cod. proc. pen.): art. 229 cod. proc. civ., 415 cod. proc. pen. (eccezioni: r. decr. 11 dicembre 1933, n. 1775 art. 162; ecc.).
Nel processo civile la parte deve dedurre specificatamente i fatti da provare (art. 229); l'ammissione può seguire a mezzo di ordinanza o di sentenza, secondo che le parti siano d'accordo, o no, sull'ammissione della prova. La sentenza interlocutoria, che ammette la prova, nel processo ordinario è soggetta a impugnativa separata da quella di merito; nei procedimenti speciali, però, tende a estendersi la norma, che la prova testimoniale (come gli altri mezzi istruttorî) è ammessa con provvedimenti non suscettivi d'impugnativa separata dal merito (es., r. decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, art. 189 per il procedimento avanti i tribunali delle acque pubbliche; r. decr. 21 maggio 1934, n. 1073 articoli 17 e 21 per le controversie individuali del lavoro).
L'ammissione della prova fa sorgere il diritto all'espletamento della stessa da parte di chi l'ha chiesta, e alla prova contraria da parte dell'avversario; questa può svolgersi anche su fatti nuovi, che devono essere dedotti specificatamente in termine apposito (art. 229 cod. proc. civ.).
La prova testimoniale civile si svolge normalmente davanti a un giudice, il quale potrà non far parte del collegio giudicante, o non essere il giudice unico che giudicherà la controversia. Le prove vengono perciò raccolte in verbali, sui quali giudica poi il magistrato. L'esperimento della prova deve avvenire in termini che, brevi in linea di principio (trenta giorni: art. 232 cod. proc. civ.), sono prolungati attraverso proroghe consuetudinarie, consentite dal sistema della legge.
Per garantire la sincerità della prova la legge (oltre che colpire con sanzioni penali i testi falsi o reticenti: art. 372 cod. pen.), dispone di mezzi preventivi, tra i quali soprattutto la reciproca comunicazione fra le parti dei nomi dei testimonî in un termine eguale prima dell'inizio della prova (art. 234 cod. proc. civ., e art. 8 r. decr. 20 settembre 1922, n. 1316) in modo che le parti possano controllare l'identità dei testi, eventualmente eccepirli a sospetto (art. 237) e, soprattutto, non possano dedurre i loro testi in base alle indicazioni avversarie conosciute in precedenza (perciò infelice pare la norma di taluni recenti ordinamenti, secondo la quale chi chiede l'ammissione di una prova testimoniale deve contemporaneamente alla deduzione di essa indicare il nome dei testi: art. 165 r. decr. 11 dicembre 1933, n. 1775; art. 130 r. decr. 27 giugno 1935, n. 2167 sul procedimento civile in Libia; eguale norma nell'ordinamento processuale della Somalia: r. decr. 20 giugno 1935, n. 1638, art. 79). Altre garanzie della sincerità della prova sono la facoltà del giudice di fare domande per chiarire la verità (art. 248 cod. proc. civ.); l'obbligo del teste di rispondere a voce senza poter leggere risposte preparate per scritto (art. 243 cod. proc. civ.); il divieto di testimoniare, sancito per taluni parenti o affini delle parti (art. 236 cod. proc. civ.).
La maggior garanzia del mezzo di prova consisterebbe sempre però in quel diretto contatto tra parti e organo giudicante, che manca nel processo civile italiano e che, più degl'inconvenienti derivanti dalle forme del procedimento probatorio, costituisce il maggior difetto della prova testimoniale civile. Poiché nella maggior parte delle controversie non è possibile né logico eliminare la prova testimoniale, non a restringerne il campo di applicazione, ma a migliorare il mezzo di prova hanno sempre mirato le riforme processuali degli stati moderni.
Una volta ammessa e raccolta la prova testimoniale, il principio del libero convincimento del giudice regola la valutazione dei risultati della prova stessa.
Nella fase istruttoria del processo penale, il giudice procede all'esame e all'interrogatorio dei testimonî informati dei fatti, naturalmente senza previa informazione delle parti (art. 348 cod. proc. pen.); delle deposizioni è redatto processo verbale (art. 357 cod. proc. pen.). Nel dibattimento, il pubblico ministero e le parti private possono, in un termine anteriore al dibattimento stesso, dedurre liste di testimonî, sia che siano stati già sentiti nell'istruzione, sia non sentiti, ma deducendo in quest'ultimo caso specificatamente le circostanze sulle quali intendono sentirli (art. 415 cod. proc. pen.); le liste testimoniali possono esser ridotte dal giudice (art. 420 cod. proc. pen.). Le prove vengono assunte all'udienza (art. 448 cod. proc. pen.) ed è ristretta la facoltà di leggere le deposizioni dei testi sentiti in istruttoria (art. 462 cod. proc. pen.).
Lo svolgimento della prova testimoniale avviene, quindi, nel processo penale, con le garanzie necessarie per assicurare la sincerità della prova, e oralmente all'udienza nel dibattimento in primo grado: il giudice è così in grado di apprezzare, nella pienezza dei suoi risultati, la prova orale che si svolge dinnanzi a lui. Anche nel dibattimento penale, come nel processo civile, il testimonio deve prestare giuramento di dire tutta la verità e niente altro che la verità (art. 242 cod. proc. civ., modificato con legge 30 giugno 1876; art. 449 cod. proc. pen.). Nel giudizio di appello l'assunzione orale dei testi è esclusa (art. 518) e la valutazione delle deposizioni avviene attraverso i verbali del giudizio di primo grado, redatti secondo le disposizioni degli articoli 492-496 del cod. proc. pen. (l'uso della stenografia è consentito, ma non praticato).
Tanto il processo civile quanto il processo penale consentono l'ammissione di prove testimoniali a futura memoria, quando il testimonio potrebbe mancare, e ciò come mezzo assicurativo della prova, di cui non si possa disporre l'ammissione e l'esperimento nei modi normali (articoli 251 cod. proc. civ., 357 e 418 cod. proc. pen.).
Per la falsa testimonianza, v. falso.
Bibl.: Sulla storia dell'istituto, v. F. Keller e A. Wach, Der römische Civil-process und die Aktionen, Lipsia 1883, pp. 332-333; A. Pertile, Storia del diritto italiano, 2a ed., Torino 1900-1902, VI, parte 1a, pp. 374-400; parte 2a, p. 140 segg.; Th. Mommsen, Le droit pénal romain, trad. fr., Parigi 1907, II, p. 75 segg.; G. Chiovenda, Principii di diritto processuale civile, 3a ed., Napoli 1923, pp. 828-29; id., Istituzioni di diritto processuale civile, 2a ed., ivi 1935, II, parte 1a, pp. 422-425; L. Wenger, Institutionen des Zivilprozessrechts, Monaco 1925, pp. 187-88, 283-84; G. Salvioli, Storia della procedura civile e criminale, Milano 1927, I, pp. 268 segg., 402 segg.; II, p. 423 segg.; V. Arangio-Ruiz, Istituzioni di diritto romano, Napoli 1933, pp. 135, 149.
Sul processo civile italiano: L. Mattirolo, Trattato di diritto giudiziario civile, 5a ed., Torino 1902, II, p. 293 segg.; C. Lessona, Trattato delle prove in materia civile; 3a ed., Firenze 1922, IV; G. Chiovenda, Principii, cit., pp. 826-836; id., Istituzioni, cit., pp. 421-31; L. Mortara, Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, 6a ed., Milano 1932; F. Carnelutti, Lezioni di diritto processuale civ., 2a ed., Padova 1933, III, n. 236.
Sul processo penale italiano: E. Florian, Delle prove penali, Milano 1924, I, p. 162 segg., II, p. 62 segg.; E. Massari, Il processo penale nella nuova legislazione italiana, Napoli 1934, pp. 640-41, 693-95, 710-13.