Testimonianze - Sophia Loren
Sophia Loren
Ultima diva di una macchina dei sogni che non ne produce più di quello stampo, donna bellissima che non si è accontentata delle sue dotazioni fisiche e ha lavorato sodo per sviluppare le capacità espressive, la Loren ha il primato indiscusso di essere stata la nostra attrice più nota a livello internazionale, simbolo e stereotipo della 'bella italiana' nel mondo. Come professionista di grande qualità, pienamente inserita nello star system del cinema anglosassone, è talvolta riuscita a sfuggire a quei ruoli da 'tipo mediterraneo' che il mercato americano imponeva e spesso ancora impone come destino alle brune europee. Come diva, ha incarnato un'immagine di 'sex symbol per famiglie' che disinnescava una carnalità gloriosa conciliandola con rassicuranti aspirazioni da casalinga, cosa che non l'ha sempre salvata dal suscitare antipatie e disdegni critici. Premiata con due Oscar, di cui uno alla carriera, ha interpretato più di cento film. Non tutti sono stati memorabili, ma nella vastità di questa filmografia brillano almeno quattro capolavori di interpretazione, che fanno della Loren un'attrice di prima grandezza nel cinema italiano. Tre sono film di Vittorio De Sica: L'oro di Napoli (1954), La ciociara (1960), Ieri oggi domani (1963). Il quarto è Una giornata particolare di Ettore Scola (1977).
Quando la giovane Sofia Scicolone esplose sullo schermo nella scollatissima camicetta bianca della pizzaiola di L'oro di Napoli si faceva chiamare Sophia Loren già da due anni. Il pretenzioso 'ph' non era la patetica ingenuità di un'esordiente decisa a ogni esotismo pur di farsi notare: era anche questo, certo, ma con il senno di poi vi possiamo vedere una dichiarazione di intenti, la determinazione di arrivare dalla Hollywood sul Tevere alla Hollywood vera. Quello che forse la giovane attrice non aveva previsto era che, nel percorso tra Pozzuoli e gli Oscar, avrebbe definito una rappresentazione di sé che oggi possiamo leggere come la costruzione di un vero e proprio 'mito delle origini', culturalmente interessante perché riflette il clima storico e la mentalità dell'Italia dell'epoca.
Le premesse sono tra la commedia dei telefoni bianchi e il vero dramma: Sofia era nata nel 1934 a Roma, da una madre che aveva vinto un concorso della Metro Goldwyn Mayer per la migliore sosia di Greta Garbo e che si innamorò di un uomo bello ma purtroppo allergico sia al cinema sia al matrimonio (gli uomini, che mascalzoni...). Con la guerra, la nubile ma fiera Romilda Villani si rifugia a Pozzuoli per far crescere le due figlie nella modesta casa dei nonni, ma poi arriva il 1950 e madre e figlie tornano a Roma per andare all'attacco di Cinecittà (cominciano facendo le comparse in Quo vadis e Sofia non è certo una bambina, ma per noi è irresistibile pensare alla Magnani in Bellissima di Visconti, 1951). C'è il concorso di miss Italia a Salsomaggiore, buona passerella di lancio per molte attrici: Sofia vince la fascia di miss Eleganza, si fa notare, cambia il nome in Sofia Lazzaro, entra come protagonista nel mondo dei fotoromanzi (e noi sentiamo il clima di Lo sceicco bianco di Fellini, 1952). La ragazza conosce Carlo Ponti, il produttore che sarà il pigmalione della sua carriera e il protagonista assoluto della sua vita privata. Ponti è in società con De Laurentiis, la moda dei film a episodi è già iniziata, il sodalizio tra De Sica regista e Zavattini sceneggiatore è ai suoi massimi, nei racconti di Giuseppe Marotta c'è ironia, sentimento e colore locale: da un simile crogiolo sgorga L'oro di Napoli, inevitabilmente un successo per tutti, ma soprattutto per la Loren, che fino a quel momento era stata soltanto bella e statuaria (95 - 57 - 95), mentre adesso De Sica scopre che "la sua vera natura era drammatica e instabile, tipicamente napoletana [...]. Era capace di urlare, ridere, fare l'isterica, sedurre, protestare, raggiungendo punte emotive molto alte".In questa chiave tutta sopra le righe Sophia interpreta la sensuale Sofia dell'episodio Pizze a credito e il ruolo della pizzaiola prorompente diventa il suo trionfo personale e anche, ma questo si vedrà più tardi, una condanna a vita contro la quale l'attrice dovrà a lungo combattere senza riuscire a liberarsene mai completamente. Pizzaiola una volta, pizzaiola per sempre? Qualche critico aveva già arricciato il naso e additato il pericolo: Anna Garofalo su "Cinema nuovo" (1955, 52) domandava: "Avete mai visto a Napoli una pizzaiola che ricordi anche da lontano il personaggio di Sophia Loren?", e deplorava la scomparsa del realismo. Era vero: il clima culturale e storico stava cambiando, era iniziata la rincorsa verso il boom economico e quella 'napoletanità' così poco reale ma greve di ottimismo e di vitalità era parte integrante di un'Italia cialtrona e furba che dal punto di vista umano avrebbe certamente prodotto mostri, ma sul piano creativo avrebbe dato luogo a una nuova grandissima stagione del nostro cinema. De Sica aveva semplicemente incubato il grottesco della commedia all'italiana. Ma, com'è noto, alla velocità della ripresa economica corrispondeva la lentezza dell'evoluzione del costume: nel 1957 la Loren e Ponti celebravano un matrimonio per procura in Messico suscitando uno scandalo in Italia, dove non esistendo il divorzio il produttore risultava bigamo (Divorzio all'italiana di Germi è del 1961. Ponti e la Loren riuscirono ad aggirare il problema e a sposarsi sul serio solo nel 1966, ma in Francia). Lo scandalo però si intonava benissimo alla trasformazione della 'pizzaiola' in una grande diva hollywoodiana. Trasformazione perfettamente orchestrata: l'attrice era partita per Los Angeles con quarantadue vestiti di Schubert e tre film americani già girati in Europa, The pride and the passion (Orgoglio e passione) con Cary Grant e Frank Sinatra, Boy on a dolphin (Il ragazzo sul delfino) con Alan Ladd, Legend of the lost (Timbuctù) addirittura con il mitico John Wayne. Cominciavano i ruoli da signora del cinema che avrebbero cambiato la sua immagine patinandola, pettinandola e laccandola qualche volta un po' troppo (disavventura che dieci anni dopo le doveva accadere in un pessimo film di un grande autore, A countess from Hong Kong, 1967, La contessa di Hong Kong, di Charlie Chaplin).
Nel frattempo, in Italia il legittimo sfruttamento del suo successo nel filone 'popolana vivace' si era tradotto in una contrapposizione automatica fra la Loren e l'altra celebre 'maggiorata', Gina Lollobrigida, in un duello di popolarità molto simile a quello che contrapponeva i ciclisti Bartali e Coppi. Il sorpasso sarebbe avvenuto nel 1960, ancora con De Sica e Zavattini e ancora con un film tratto da un'opera letteraria, ma questa volta lo scrittore era Moravia e il film era un capolavoro: La ciociara.
Nel progetto iniziale, la storia della madre e della figlia stuprate dall'esercito dei liberatori avrebbe dovuto avere come protagonista Anna Magnani, con la Loren nel ruolo della figlia. Ma la Magnani rifiutò di lavorare con 'quella stangona' e la ventiseienne Sophia ebbe la parte della madre, Cesira. La interpretò con forza e con profondità, vincendo giustamente l'Oscar per la migliore interprete femminile del 1962 (contro Nathalie Wood e Audrey Hepburn) e convincendo tutti. Anche Marotta, che detestava Moravia e scrisse sull'"Europeo" una recensione molto critica sul film, dovette arrendersi davanti alla Cesira della Loren e inneggiò a "una emotività forse mai conseguita dal cinema, un primo piano che gronda inespresso e inesprimibile travaglio".
La tentazione di diventare la 'Grande madre mediterranea' del cinema italiano trasformando l'intensità di Cesira in un modulo interpretativo fisso deve essere stata, in seguito, molto forte per un'attrice che anche fuori scena viveva la maternità come valore supremo, inseguendola a lungo (e deliziando le riviste popolari prima col tormentone delle gravidanze mancate e poi con la felicità esibita alle due nascite, di Carlo Jr nel 1968 e di Edoardo nel 1973). Non avrebbe comunque potuto fare a meno di interpretare Filumena Marturano, il classico della mitologia mammistica napoletana, e De Sica glielo fece fare nel 1964 con Matrimonio all'italiana, film molto amato dagli americani ma sicuramente per le ragioni sbagliate.Il melodramma e tutti i luoghi comuni di una Napoli passionale e fantasiosa erano stati invece adoperati molto bene, tenuti in equilibrio sul filo del rasoio di un'ironia molto sofisticata, nel primo episodio di Ieri oggi domani. Qui Sophia interpretava con meravigliosa vivacità il personaggio di Adelina, la contrabbandiera di sigarette che sforna un figlio dopo l'altro per non andare in prigione, ben assecondata da un Marcello Mastroianni esilarante. Nel secondo episodio, tutto recitato sui mezzi toni, lo maltrattava egregiamente nei panni di Anna, ricca signora milanese annoiata. Ma è nel terzo episodio che la Loren è veramente grande: la sua Mara, ragazza squillo dal cuore sensibile e religioso, è al tempo stesso surreale e realistica, solare e buffa. Questo episodio, che alla distanza si è rivelato il più riuscito dei tre, contiene la famosa scena dello spogliarello di Sophia, tutta in nero, davanti a un Marcello Mastroianni ululante: scena che, con sublime autoironia, i due attori ripeteranno trent'anni dopo, in Prêt-à-porter (1994) di Robert Altman, e sarà l'ultima occasione in cui potranno recitare insieme, lei sessantenne e ancora in grado di esibire gambe perfette, lui sornione come sempre e mirabile anche da vecchio.La coppia artistica Mastroianni-Loren si era formata nel 1954, con Peccato che sia una canaglia di Alessandro Blasetti e già sotto gli auspici di Vittorio De Sica, che a quel film partecipava come attore. Negli anni, i partner di Sophia andarono da Marlon Brando a Paul Newman, da Richard Burton a Jack Lemmon, ma l'intesa migliore restò quella con Mastroianni, tanto che per il pubblico la loro presenza in un film era una garanzia.
E insieme a Mastroianni, squisito nella parte di un omosessuale oppresso ed emarginato dal regime fascista, Sophia Loren darà nel 1977 la sua interpretazione più alta: Antonietta, la casalinga stanca di Una giornata particolare di Ettore Scola. Qui la bravura della Loren è assoluta. Rappresenta una donna senza speranze, una moglie usurata, ridotta a pura macchina per dare figli a una patria e a un marito volgari, e riesce a farcela apparire tanto più luminosa quanto più l'aspetto del personaggio è dimesso, volutamente opaco, senza trucco, sciupato dalla vita. La sua recitazione è tutta di piccoli gesti, di sfumature misurate, di infinitesimali addensamenti delle ombre nello sguardo. Una prova d'attrice raffinata, una vendetta definitiva contro chiunque l'avesse giudicata solo la portatrice degli zigomi più belli del mondo.