testi descrittivi
Il testo descrittivo è uno dei tipi fondamentali di testo riconosciuti dalle tipologie testuali (➔ testo, tipi di). Può essere definito come il risultato di un macro atto linguistico (ossia di una azione linguistica complessa, fatta di più atti linguistici coordinati fra loro; ➔ pragmatica) di descrizione, che consiste nel costruire un corrispondente linguistico di una porzione di mondo considerata da un punto di vista statico e atemporale. Un esempio di testo descrittivo è il seguente brano di guida turistica, dedicato al Colosseo:
(1) la facciata esterna, alta m. 48,5 e in travertino presenta una triplice serie di 80 archi, inquadrati da semicolonne su tre ordini (dorico, ionico, corinzio), su cui poggia un attico a paraste corinzie coronato da mensole e scandito da una finestra e da uno spazio piano per il «clipeus»; gli archi del secondo e terzo piano presentano un parapetto continuo con un dado di base sotto le semicolonne, mentre nei fori quadrangolari della cornice terminale alloggiavano i sostegni per il «velarium» che riparava gli spettatori dal sole (Guida d’Italia. Roma, Milano, Touring Club Italiano, 2002, p. 280)
La funzione complessiva di costruire un corrispondente linguistico dell’oggetto architettonico si compie nell’es. (1) attraverso una serie di azioni linguistiche semplici, corrispondenti ai singoli enunciati o frasi, combinate tra loro e orientate allo stesso fine. La descrizione è inoltre atemporale: le proprietà espresse dalle singole frasi riferite al Colosseo sono presentate al di fuori di ogni delimitazione cronologica, e sono intese come valide simultaneamente, e non successivamente come accade di norma nella narrazione (➔ testi narrativi).
Raramente capita di descrivere per descrivere; più spesso si descrive per ambientare un racconto, per sostenere un’opinione, per informare il destinatario delle caratteristiche di un oggetto a lui poco noto, e così via. Brani di descrizione si possono quindi trovare all’interno di testi la cui funzione globale non è descrittiva, ma narrativa, argomentativa, informativa, ecc. In generale il tipo testuale descrittivo tende ad apparire in combinazione con altri tipi testuali all’interno di diversi generi testuali, quali il romanzo, la relazione scientifica, la voce di enciclopedia, l’annuncio immobiliare, l’identikit, il resoconto (anche orale) di un’esperienza vissuta, ecc. Di seguito ci prenderemo la libertà di isolare talora dal loro contesto questi brani o inserti descrittivi, e di trattarli come se fossero dei testi descrittivi tout court.
La porzione di mondo cui può applicarsi una descrizione (d’ora in poi: oggetto descrittivo) può essere di vario tipo, purché si presti a essere considerata da un punto di vista statico: si tratterà dunque tipicamente di individui (oggetti, persone), situazioni o stati di cose; non di eventi o processi, cui è inerente uno sviluppo temporale.
Sulla base dei possibili oggetti, la tradizione retorica (cfr. Mortara Garavelli 1988: 240) ha elaborato una articolata classificazione dei testi descrittivi. È detta così topografia la descrizione di un luogo; cronografia la descrizione delle circostanze temporali di un evento (ad es., l’alba, il tramonto). Altri termini sono più rari: prosopografia è la descrizione dei tratti fisici di una persona; etopea la descrizione degli aspetti psicologici, morali e intellettuali di una persona; ritratto la combinazione di prosopografia ed etopea; teriografia la descrizione di un animale, inclusiva di aspetto e indole.
Più in generale, l’oggetto di una descrizione può essere reale, cioè verificabile in quanto appartenente al mondo di cui sia il parlante che il destinatario hanno esperienza, come nell’es. (1); oppure fittivo, cioè appartenente a un mondo immaginario o possibile, come nell’es. (2):
(2) Guadato il fiume, valicato il passo, l’uomo si trova di fronte tutt’a un tratto la città di Moriana, con le porte d’alabastro trasparenti alla luce del sole, le colonne di corallo che sostengono i frontoni incrostati di serpentina, le ville tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa (Italo Calvino, Le città invisibili, in Id., Romanzi e racconti, a cura di M. Barenghi & B. Falcetto, Milano, Mondadori, vol. 2°, p. 449)
Si possono inoltre avere descrizioni in praesentia o in absentia, a seconda che l’oggetto di descrizione sia presente o meno al destinatario: dato il modo di fruizione tipico di una guida turistica, la descrizione nell’es. (1) può considerarsi in praesentia; tutte le descrizioni di oggetti fittivi, e quindi anche nell’es. (2), sono invece naturalmente in absentia. Queste diverse possibilità si legano a funzioni diverse dell’atto di descrivere e a generi testuali differenti, ma non incidono sulla sostanza dell’atto descrittivo né sui procedimenti che vengono messi in atto per effettuare una descrizione.
Per descrivere un oggetto è necessario analizzarlo: individuarne le parti, individuare le caratteristiche distintive di tali parti, e introdurre le une e le altre nel testo. Nella sua essenzialità, l’atto di descrizione si riduce dunque a due operazioni fondamentali, rispettivamente:
(a) introdurre nel testo dei referenti (le parti in cui può essere scomposto l’oggetto di descrizione);
(b) predicare delle proprietà intorno a tali referenti.
Prendiamo una tipica, ed elementare, manifestazione del tipo descrittivo quale l’annuncio immobiliare:
(3) SS. Trinità: particolare soluzione di villetta a schiera di recente costruzione con ingresso-soggiorno, cucina abitabile, ripostiglio, tre camere, doppi servizi, giardino di proprietà. Aria condizionata e camino. Perfette condizioni
Dopo l’indicazione della zona di riferimento, la descrizione dell’immobile è ottenuta introducendo nel testo dapprima l’oggetto nel suo insieme (la villetta), e poi una serie di referenti, ciascuno dei quali corrisponde a una sua parte (le stanze che compongono la villetta, accessori quali il camino e l’impianto per l’aria condizionata). Sia l’oggetto che le sue parti sono inoltre accompagnati da proprietà caratterizzanti: la villetta è di recente costruzione e in perfette condizioni; la cucina è abitabile, il giardino è di proprietà.
Tra le caratteristiche dell’oggetto descrittivo che possono essere verbalizzate non ci sono solo quelle intrinseche all’oggetto stesso, quali quelle appena viste, ma anche quelle che Schwarze (1982) chiama comparative, perché implicano un confronto con altri oggetti descrittivi, e possono essere espresse per mezzo di metafore o di altre strutture comparative. Tale è, ad es., la caratterizzazione delle ville della città di Moriana: «tutte di vetro come acquari dove nuotano le ombre delle danzatrici dalle squame argentate sotto i lampadari a forma di medusa». La predicazione di proprietà comparative caratterizza soprattutto la descrizione letteraria, oppure quella orientata alla persuasione, ad es. nei testi pubblicitari.
Indipendentemente dalla funzione cui viene adibita la descrizione, e dalla natura letteraria o meno del genere testuale, l’introduzione di referenti e la predicazione di proprietà restano comunque il nucleo generativo di ogni descrizione. Ne consegue che il descrittore chiamato a descrivere un oggetto è libero di muoversi essenzialmente a tre livelli (Manzotti 1982):
(a) selezione dei referenti da introdurre e delle proprietà da predicare intorno a essi;
(b) ordine della loro introduzione nel testo;
(c) struttura linguistica degli enunciati.
Dalle scelte compiute a ciascuno di questi livelli dipende l’assetto finale del testo. Lasciando l’ultimo punto per il prossimo paragrafo, vediamo di illustrare brevemente i primi due.
In primo luogo, ogni descrizione è selettiva. Ciascun oggetto di descrizione comprende infatti innumerevoli particolari e proprietà che possono essere riconosciuti e potenzialmente verbalizzati: sta al descrittore decidere cosa nominare e cosa omettere. Ogni descrizione è dunque un «costrutto schematico» (Manzotti 1982 e 2009) che il destinatario è chiamato a integrare facendo ricorso alla propria conoscenza del mondo. Ad es., l’oggetto della descrizione (3) presenta moltissimi particolari ed elementi strutturali su cui il descrittore sorvola, dal colore della facciata alla presenza, numero, collocazione di finestre, e così via: la descrizione che ne risulta è dunque estremamente sintetica. Di questi particolari taciuti, alcuni vengono spontaneamente integrati dal destinatario in quanto associati in modo stabile alla sua conoscenza enciclopedica dell’oggetto «casa»: ad es., l’esistenza di un tetto, di un pavimento, di finestre, di vegetazione nel giardino. Se uno di questi elementi mancasse, venendo a contraddire l’immagine costruita per via enciclopedica, il descrittore dovrebbe segnalarlo.
In generale è la destinazione del testo che decide del grado di accuratezza della descrizione, e in certa misura anche delle scelte descrittive (cosa nominare e cosa no), che sono governate da principi pragmatici generali, quali la pertinenza o l’adeguatezza allo scopo (cfr. Grice 1993): in teoria non c’è limite al grado di accuratezza con cui si descrive un oggetto, e dunque non c’è limite all’estensione potenziale di un testo descrittivo.
In secondo luogo, per descrivere è necessario introdurre una successione tra gli elementi costitutivi dell’oggetto di descrizione, che in origine si danno in modo simultaneo. La scelta di un ordine è imposta dalla natura lineare della lingua, ed è uno degli aspetti fondamentali dell’organizzazione del testo descrittivo. Ci sono molti modi diversi di fissare questo ordine, e sebbene esistano degli schemi ricorrenti regolati soprattutto da criteri spaziali (per cui cfr. Manzotti 1982), non ci sono limiti teorici a questa possibilità. L’ordine di introduzione dei referenti può essere casuale, come in (2), dove è ricercato un volontario effetto di accumulo di dettagli privi di relazioni spaziali; oppure può essere studiato in modo da fornire un ‘percorso percettivo’ dell’oggetto descritto: ad es., in (3) l’ordine è strutturato in modo da simulare un ideale percorso di visita dell’edificio, dall’ingresso, al reparto giorno, al reparto notte, al giardino. Nella seguente descrizione del San Giorgio di Vittore Carpaccio (Venezia 1460-1526), la selezione degli elementi e la loro disposizione in un preciso ordine dal primo piano allo sfondo e da sinistra a destra è concepita in modo da fornire un percorso di osservazione (si tratta di una tipica descrizione in praesentia) e insieme una lettura strutturale dell’opera:
(4) [Carpaccio] creò così, tra drago e cavaliere astato, questa specie di immane rosta in ferro battuto alla ribalta del quadro; al di là però, eccolo esplorare a fondo, fino all’orizzonte, il vasto palcoscenico naturale che gli è caro; prima il terreno stregato dove la morte espone lucida tra i ramarri, le botte e i fili d’erba avvelenati, i suoi vari “memento”: le collezioni di teschi, il braccio che fu elegante, il lurido frammento di un eroe sfortunato, i resti della donzella dove la camiciola smangiata sul petto integro, la mezza manica sul braccio che riposa, il torso sfibrato come una corteccia dolce da masticare, si compongono nei segni di un affetto supremo; più lontano, i palmizi che sfilano lungo la città balconata donde gli abitanti, minutissimi, guardano alla rovescia il nostro stesso spettacolo; più in fondo ancora, sotto il cielo imbrattato di nubi, l’orizzonte marino con il veliero che s’incanta stupefatto sotto la rupe sforata (Roberto Longhi, Viatico per cinque secoli di pittura veneziana, in Id., Da Cimabue a Morandi, a cura di G. Contini, Milano, Mondadori, 1973, p. 639).
Il fatto che l’operazione di descrivere si riduca alle due attività di introdurre referenti testuali e predicare proprietà intorno a essi, reiterate tante volte quante sono le parti dell’oggetto che si intende verbalizzare, fa sì che il testo descrittivo tenda ad assumere l’aspetto di una lista (Hamon 1993), come è evidente soprattutto in (2) e (3).
La lista è un testo poco strutturato, tendenzialmente paratattico e basato su relazioni logiche elementari quali l’aggiunta, la particolarizzazione, la generalizzazione (➔ testo, struttura del). Ciò che garantisce la coerenza di tali testi è la relazione tutto-parti connaturata alla descrizione; tale relazione determina inoltre una struttura tematica (➔ tematica, struttura) tendenzialmente trasparente, in cui il tema complessivo del testo, ossia l’oggetto di descrizione, si articola in una serie di sottotemi ciascuno dei quali corrisponde a un elemento o a una parte del tema principale (Adam 2008). Così nel seguente esempio di descrizione anatomica, tratto dalla voce cuore del Lessico Universale Treccani (corsivi nel testo, sottolineature aggiunte):
(5) A completo sviluppo, il c.[uore] T1 è costituito da quattro cavità, due atrî (o orecchiette) e due ventricoli, divisi tra di loro rispettivamente dal setto interatriale e dal setto interventricolare. Ogni atrio T2 comunica col rispettivo ventricolo mediante un orifizio atrioventricolare, fornito di un apparato valvolare (la valvola mitrale, o bicuspidale, a sinistra; la valvola tricuspidale, a destra) disposto in modo tale da permettere il passaggio del sangue dall’atrio al ventricolo e non viceversa. Tali valvole T3 sono formate rispettivamente da due e tre lembi (cuspidi) che presentano nel punto di mezzo del loro margine libero, un ispessimento, detto nodulo di Albini. In ciascun atrio T2 […]. In ogni ventricolo T4 si notano anche delle formazioni muscolari, le colonne carnose, dette di 1°, 2° e 3° ordine a seconda che siano attaccate alle pareti ventricolari con una sola estremità, o con entrambe, o in tutta la loro lunghezza. Quelle di 1° ordine T5, o muscoli papillari, s’inseriscono alle cuspidi valvolari tramite esili tendini detti corde tendinee
il tema globale del testo (il cuore, T1) è articolato in una serie di sottotemi corrispondenti alle sue parti anatomiche, che eventualmente possono essere articolati in temi di livello ancora inferiore (tali sono, ad es., le colonne carnose, T5 rispetto ai ventricoli, T4), sempre però mantenendo una struttura di tipo gerarchico e ramificato.
A livello linguistico, la forma dei testi descrittivi è condizionata dalle proprietà generali del descrivere evidenziate nel § 3.
In primo luogo, per la condizione di atemporalità cui è vincolata la descrizione, i tempi verbali sono caratteristicamente imperfettivi e continui (➔ aspetto). Sono dunque possibili descrizioni governate dal ➔ presente non deittico o dall’➔imperfetto, non da tempi perfettivi come il ➔ passato prossimo o remoto: questi possono eventualmente essere presenti, come dimostrano alcuni esempi già prodotti, ma con funzioni vicarie, e non come tempi dominanti del testo. La seguente manipolazione dell’es. (1) con verbi al passato remoto non sarebbe infatti accettabile nemmeno se il Colosseo fosse stato distrutto nel corso dei secoli e dunque non esistesse più:
(6) *la facciata esterna, alta m. 48,5 e in travertino presentò una triplice serie di 80 archi, […], su cui poggiò un attico a paraste corinzie coronato da mensole
La difficoltà di immaginare descrizioni di questo tipo prova che la condizione di atemporalità fissata nella definizione iniziale è effettivamente parte integrante della nostra competenza descrittiva.
Per il resto, la forma linguistica dei singoli enunciati è determinata da un lato dalla natura delle due operazioni basiche del descrivere, dall’altro dall’esigenza di sfuggire la monotonia dell’«effetto-lista» (Hamon 1993). I referenti testuali che vengono introdotti nel testo prendono la forma di sintagmi nominali; e le due operazioni basiche del descrivere hanno come corrispettivi linguistici naturali la frase presentativo-esistenziale (del tipo c’è una cucina), e la frase predicativa (del tipo la cucina è abitabile). Raramente tuttavia questo tipo di enunciati compare in questa forma nei testi descrittivi: il secondo tipo di enunciato in particolare è generalmente riassorbito nella struttura interna del sintagma nominale (cucina abitabile); e la funzione presentativa è assolta da una varietà di strutture sintattiche diverse, che spesso vengono combinate tra loro in modo da dare al testo vivacità stilistica. Tra queste, la frase nominale («aria condizionata e camino»), la frase presentativa introdotta da un verbo di percezione («in ogni ventricolo si notano anche delle formazioni muscolari»), la frase presentativa con verbi che esprimono una relazione spaziale («... su cui poggia un attico a paraste corinzie»), la frase predicativa con avere, o altri verbi equivalenti, a esprimere un rapporto di inclusione tra un oggetto e le sue parti («la facciata esterna presenta / ha una triplice serie di archi», «orifizio fornito di un apparato valvolare»), ecc.; quest’ultima relazione può anche essere espressa per mezzo di un sintagma preposizionale («[villetta a schiera] con ingresso-soggiorno»).
Una modalità di variazione particolarmente notevole è costituita infine dai sostituti metaforici del predicato di esistenza: invece di dire, ad es., che «sul fianco sinistro dell’edificio c’è un elegante portico», si può dire che «lungo il fianco sinistro corre un elegante portico». Dal punto di vista della ricostruzione dell’oggetto descrittivo, le due espressioni sono del tutto equivalenti: tuttavia la seconda introduce un verbo non stativo (cioè un verbo che non indica una condizione permanente, ma un processo o un cambiamento di stato), e dunque una animazione metaforica che può contribuire alla leggibilità del testo. La scelta di tali predicati è inoltre condizionata dalle proprietà degli oggetti cui si applicano: ad es., correre può applicarsi solo a oggetti che si sviluppano lungo la direttrice orizzontale (portico, siepe, fregio), ergersi solo a oggetti sviluppati lungo la direttrice verticale e isolati (un campanile, un albero), aprirsi solo a oggetti concavi o cavi (una nicchia, una porta, una fessura), e così via. Ne consegue che questi predicati metaforici permettono spesso di condensare informazioni aggiuntive sui referenti cui si applicano. Ad es., si può dire che un portico corre solo se la sua forma è allungata e non quadra; dire che una siepe circonda la casa fa capire che la siepe è piantata lungo tutto il perimetro del giardino intorno alla casa, e così via.
Queste varianti metaforiche risultano dunque stilisticamente importanti, sia perché aggiungono alla lingua una animazione che non incide sulla ricostruzione del mondo indotta dal testo; sia perché consentono di condensare più informazioni in un’unica espressione linguistica. Infine, la possibilità di avere predicazioni di tipo comparativo (cfr. § 3) apre un ulteriore ordine di possibili variazioni superficiali del testo descrittivo, con margini in questo caso amplissimi di escursione: si può vedere in (5) un esempio di sfruttamento intensivo e particolarmente efficace di queste possibilità.
Nella pratica didattica, ma anche nella letteratura scientifica (Lavinio 1990; Bruni et al. 1997) è diffusa la distinzione tra descrizioni ‘oggettive’ e ‘soggettive’. Parlando propriamente, si tratta di una distinzione fuorviante: per la natura stessa dell’operazione di descrivere analizzata al § 2 non può darsi infatti descrizione se non attraverso la selezione, ordinamento e verbalizzazione da parte di un soggetto che descrive.
Tuttavia questa attività filtrante e costruttiva del descrittore può essere esibita oppure occultata dal testo: in questo senso si può parlare rispettivamente di descrizioni soggettive e oggettive. Un esempio di descrizione soggettiva, secondo Bruni et al. (1997), è il seguente:
(7) Severo era un uomo alto, di corporatura giusta, con il petto largo e le spalle grandi e muscolose come quelle di un nuotatore, le braccia lunghe, le dita delle mani lunghe e ossute. Il viso non era bello, un ovale allungato e stretto, con un naso troppo grande e la bocca larga ma con le labbra sottili e pallide. Gli occhi erano neri e forse belli, ma nel mio ricordo quasi non ci sono, sono stati cancellati (Giulio Mozzi, La felicità terrena, Torino, Einaudi, 1996)
In (7) l’esibizione del ruolo del descrittore dipende dal fatto che sono espressi i motivi che inducono a escludere alcuni oggetti o proprietà («nel mio ricordo quasi non ci sono»); dalla scelta di proprietà che presuppongono una valutazione soggettiva del descrittore («corporatura giusta», «naso troppo grande»); dalla scelta di proprietà comparative («spalle […] come quelle di un nuotatore»). Una descrizione oggettiva invece esclude ogni riferimento all’attività percettiva e giudicante del descrittore, e verbalizza in generale solo le parti dell’oggetto e le proprietà che potrebbero essere registrate anche da altri descrittori. Tali sono, tra gli esempi mostrati finora, i casi (1), (3), (5). Ma va precisato che le categorie di descrizione soggettiva e oggettiva restano metaforiche e vaghe, anche perché non possono essere ricondotte a procedimenti linguistici precisi: resta dunque dubbia la loro stessa utilità.
Una ulteriore tipologia di descrizioni codificate e ricorrenti soprattutto in ambito letterario è data dalle cosiddette descrizioni prospettiche (Schwarze 1982), che includono un punto di osservazione da cui l’oggetto descrittivo viene percepito. Tale è la seguente descrizione analizzata in Manzotti (2009):
(8) Dal grande balcone chiuso contro l’afa si vedeva la piazza di Donnafugata: vasta, ombreggiata dai platani polverosi. Le case di fronte ostentavano alcune facciate disegnate con brio da un architetto paesano, rustici mostri in pietra tenera, levigati dagli anni, sostenevano contorcendosi i balconi troppo piccoli; altre case, fra cui quella di don Calogero Sedàra, si ammantavano dietro pudiche facciatine Impero (Giuseppe Tomasi di Lampedusa, Il Gattopardo, in Id., Opere, Milano, Feltrinelli, 1974, pp. 102-103)
È bene non confondere la dimensione prospettica con quella riferibile alla dicotomia soggettivo / oggettivo. Come dimostra il caso (5) le descrizioni tecniche e scientifiche, in quanto appoggiate a disegni e a figure esplicative, contengono spesso indicazioni relative al punto di osservazione dell’oggetto (sono dunque ‘prospettiche’) pur essendo quasi prototipicamente oggettive nel senso definito sopra. Le descrizioni prospettiche si realizzano attraverso:
(a) una selezione dei soli elementi e delle proprietà compatibili con la localizzazione del punto di vista prescelto;
(b) un orientamento nei rapporti spaziali tra le parti dell’oggetto descrittivo coerente con il centro deittico (➔ deittici) da cui avviene la descrizione (sinistra, destra, primo piano, sfondo).
Una tipologia delle descrizioni prospettiche (monoprospettiche, poliprospettiche, con punto di vista in movimento, ecc.) si trova in Manzotti (1982).
Adam, Jean-Michel (2008), La linguistique textuelle. Introduction à l’analyse textuelle des discours, Paris, Colin.
Bertinetto, Pier Marco & Ossola, Carlo (1982), Insegnare stanca. Esercizi e proposte per l’insegnamento dell’italiano, Bologna, il Mulino.
Bruni, Francesco et al. (1997), Manuale di scrittura e comunicazione. Per la cultura personale, per la scuola, per l’università, Bologna, Zanichelli.
Grice, Paul H. (1993), Logica e conversazione. Saggi su intenzione, significato e comunicazione, Bologna, il Mulino (ed. orig. Studies in the ways of words, Cambridge (Mass.), Harvard University Press, 1989).
Hamon, Philippe (1993), Du descriptif, Paris, Hachette.
Lavinio, Cristina (1990), Teoria e didattica dei testi, Firenze, La Nuova Italia.
Manzotti, Emilio (1982), “Ho dimenticato qualche cosa?”: una guida al descrivere, in Bertinetto & Ossola 1982, pp. 119-180.
Manzotti, Emilio (2009), La descrizione. Un profilo linguistico e concettuale, «Nuova secondaria» 4, pp. 19-40.
Mortara Garavelli, Bice (1988), Manuale di retorica, Milano, Bompiani.
Schwarze, Christoph (1982), “Quel ramo del lago di Como”: uno strumentario concettuale per l’analisi dei testi descrittivi, in Bertinetto & Ossola 1982, pp. 79-117.