TESSUTO
. Biologia. - Per i tessuti in genere v. istologia.
Coltura dei tessuti.
Si dice coltura o coltivazione dei tessuti, o anche coltura di cellule (v. cellula) il procedimento tecnico destinato a conservare viventi per lungo tempo parti separate da un organismo pluricellulare in un mezzo artificiale adatto per le sue proprietà fisiche e chimiche alla conservazione delle funzioni vitali elementari e all'accrescimento della sostanza vivente. La scoperta del metodo delle colture data ormai da più di 25 anni; fu in un primo tempo giudicata in vario modo; dagli uni ne fu sopravalutata l'importanza e qualcuno concepì l'illusione che si potesse per quella via creare in vitro organi nuovi da particelle di un organismo; da altri, all'opposto, fu considerata come una curiosità di scarso interesse; altri ancora ritennero si trattasse di sopravvivenza protratta, non di accrescimento. In questo scetticismo avevano molta parte presupposti teorici; sembrava che la possibilità di accrescimento di parti isolate contrastasse col principio fondamentale, radicato fra i biologi, dell'unità dell'organismo. Però ben presto dopo l'ampio svolgimento dato da A. Carrel a quest'argomento, ogni dubbio cadde. Si dimostrò che le cellule s'accrescono rigogliosamente in vitro e che esse possono conservare a lungo i proprî attributi funzionali specifici; cellule del miocardio continuano per giorni e per mesi a pulsare ritmicamente in vitro, le cellule ghiandolari secernono. Sebbene una coltura in vitro differisca per molti riguardi da un tessuto dell'organismo, gli attributi elementari delle cellule sono sempre gli stessi; e d'altra parte l'essere le cellule sottratte all'influenza perturbatrice del tutto, crea condizioni più favorevoli per lo studio delle loro proprietà. Il metodo si dimostrò pure adatto a saggiare l'azione, sulle cellule, di sostanze estranee all'organismo; farmaci, veleni minerali, tossine batteriche; esso aprì anche la via alle indagini sull'intima struttura delle cellule viventi dei Metazoi e delle trasformazioni che queste subiscono nelle varie fasi della loro vita, del modo con cui reagiscono a sostanze nutritive diverse. Furono coltivate con successo cellule dei tumori maligni degli animali e dell'uomo, il che diede un considerevole impulso alla conoscenza della biologia delle cellule neoplastiche.
Cenno storico. - Molto prima della scoperta del metodo delle colture dei tessuti si sapeva che le parti di un organismo hanno un certo grado di autonomia biologica, la quale non appare manifesta finché l'organismo è integro, ma lo diviene in condizioni sperimentali. La prova di questa autonomia si ebbe in vario modo: un organo intero o un suo frammento può essere innestato in una regione diversa dello stesso organismo o in un altro organismo vivente; questo metodo, che viene detto dei trapianti, è in uso nella patologia sperimentale e nella pratica chirurgica. Oppure l'organo viene mantenuto in vita in un ambiente artificiale; si parla nel seeondo caso di espiantazione e la parte isolata viene detta espianto; ed è di questo metodo che ci occupiamo. Da molteplici osservazioni antiche e recenti risultava che frammenti isolati di cuore o di muscolatura liscia possono continuare a contrarsi a lungo, e che in un gruppo di cellule con ciglia vibratili, il movimento delle ciglia prosegue per lungo tempo. Ciò che contraddistingue le ricerche compiute con la moderna tecnica di coltivazione da queste antiche osservazioni sopra la persistenza di manifestazioni vitali in parti isolate è la possibilità di accrescimento delle cellule del frammento espiantato. Allo svolgimento di questa tecnica contribuì in un primo tempo Leo Loeb; fino dal 1898 egli tentò di coltivare frammenti di tegumento o di neoplasmi in tubetti contenenti sangue o linfa coagulata. Ma l'argomento incominciò a dar frutti soltanto 10 anni più tardi, quando Ross Granville Harrison, embriologo americano, riuscì, scoprendo un metodo più adatto di quello di Loeb per l'analisi microscopica dei tessuti coltivati, a seguire in vitro l'accrescimento di fibre nervose da minuti frammenti dell'abbozzo del sistema nervoso di embrioni di rana. Poco dopo T.M. Burrows coltivò tessuti di animali a sangue caldo e A. Carrel, biologo di origine francese nell'istituto Rockefeller di New York, con un gruppo di memorabili ricerche perfezionò la tecnica e diede alla coltura dei tessuti un grandissimo impulso.
La denominazione di "coltura di tessuti in vitro" o di "coltura di cellule" è fondata sull'analogia che il metodo presenta con l'allevamento di batterî e di protozoi in un recipiente di vetro, atto a proteggere le cellule viventi dagli agenti nocivi esteriori, in presenza di un mezzo artificiale, il quale fornisce sostanze nutritive indispensabili alla vita e all'accrescimento. L'analogia fra coltura di cellule di Metazoi e coltura di batterî e di protozoi è accentuata dal fatto che le une e gli altri si accrescono illimitatamente.
Condizioni atte alla coltivazione dei tessuti in vitro. - Tutti gli organi degli animali e dell'uomo (embrioni, feti e adulti) sono suscettibili di essere coltivati con successo in vitro; per ragioni d'indole tecnica fino a oggi furono preferiti i Vertebrati, e fra questi soprattutto gli embrioni di Uccelli e di Mammiferi; però anche cellule di Spugne, di Molluschi e di Artropodi possono essere coltivate con successo e così pure i tessuti di piante superiori. Per la sopravvivenza e per l'accrescimento in vitro delle cellule dei tessuti di Metazoi sono necessarie le condizioni seguenti: 1. Il frammento di organo espiantato dev'essere piccolo (non più di 1-2 mm. di diametro); nei frammenti più voluminosi la parte centrale regredisce e i prodotti di autolisi derivati dalle cellule regredite danneggiano le cellule rimaste integre. 2. Dev'essere in presenza di una certa quantità d'ossigeno e di vapor d'acqua, perciò va conservato in una camera d'aria ben chiusa in modo che sia impedito l'essiccamento. Inoltre per poter esaminare al microscopio le trasformazioni che si producono nella coltura, questa verrà allestita in un recipiente a pareti trasparenti (vetro, mica). 3. La concentrazione molecolare e d'idrogenioni (pH) del mezzo di coltura dev'essere la stessa di quella dei liquidi dell'organismo dal quale fu prelevato l'espianto; inoltre il mezzo non deve contenere, neppure in minima quantità, sostanze le quali possano danneggiare in qualsiasi modo le cellule. 4. La coltura dev'essere assolutamente sterile, cioè non deve contenere batterî (né altri germi); questi sono dannosissimi alla vita delle cellule; talora le cellule possono invero resistere per qualche tempo all'azione nociva di alcune specie di batterî, e possono anche moltiplicarsi, ma a lungo andare sono sopraffatte da questi e muoiono; le eccezioni sono rare; in massima la coltura cresce soltanto in ambiente sterile. Perciò nella preparazione delle colture saranno adottate le stesse norme che sono in uso nella tecnica batteriologica; i recipienti e gli strumenti debbono essere sterilizzati al calore e per tutti i procedimenti (prelevamento del materiale, preparazione del liquido nutritivo, ecc.), è indispensabile l'asepsi più scrupolosa. 5. In una coltura le cellule si spostano di continuo per movimenti attivi dal tessuto originario (espianto) nel mezzo artificiale nel quale esso è immerso; perciò occorre che abbiano un supporto consistente al quale le cellule aderiscano. 6. Le cellule a lungo andare non si moltiplicano e neppure sopravvivono, se il mezzo nel quale la coltura risiede non trova materiali nutritivi. L'esperienza ha dimostrato che il mezzo il quale meglio risponde ai requisiti, almeno per le cellule dei Vertebrati, di fornire alle cellule in migrazione un sostegno di una certa consistenza e nello stesso tempo il nutrimento, è il plasma sanguigno coagulato mediante l'aggiunta di succo spremuto da una poltiglia di embrioni.
La coltivazione dei tessuti non richiede un'installazione costosa e non è neppure tecnicamente molto ardua; con mezzi relativamente semplici si possono avere buoni risultati, quando si abbia una certa esperienza e si lavori con precisione. L'essenziale è di evitare l'inquinamento con batterî durante l'allestimento della coltura; perciò occorre disporre di un piccolo ambiente al riparo dalla polvere e adibito esclusivamente a queste ricerche e nel quale i tavoli e le pareti possano essere ben disinfettati. Oltre a qualche speciale strumento che verrà ricordato, occorre disporre di termostati e degli apparati da sterilizzazione in uso nella tecnica batteriologica. Prima di procedere all'allestimento della coltura si dovranno preparare: a) una certa quantità di soluzione salina fisiologica per il lavaggio degli espianti e delle colture (liquido di Locke o liquido di Tyrode); poiché queste soluzioni si modificano nella loro composizione chimica ad alta temperatura, debbono essere sterilizzate col filtrarle attraverso i filtri porosi usati in batteriologia, i quali trattengono i batterî; b) del plasma sanguigno che sarà preparato con l'introdurre una cannula in un'arteria di un animale (pollo, coniglio); il sangue sarà raccolto in recipienti paraffinati per impedirne la coagulazione e subito centrifugato; il plasma viene separato dagli elementi corpuscolati del sangue aspirandolo con una pipetta e, se non fu contaminato con sostanze estranee e se conservato in ghiacciaia, non coagula: si può conservare liquido per settimane e mesi; c) una certa quantità di estratto ottenuto con lo spremere in un torchietto embrioni di pollo fra 8 e 10 giorni d'incubazione; la poltiglia sarà centrifugata e la parte liquida sarà separata dai detriti.
Per l'allestimento della coltura il metodo originario di Harrison della coltura "in goccia pendente" trova tuttora larga applicazione per le ragioni che saranno esposte di seguito.
Diremo brevemente come s'ottiene una coltura dal materiale che più facilmente dà buoni risultati, quello di embrione di pollo. L'embrione estratto dal guscio con cautele asettiche viene bene lavato in liquido Tyrode sterile; si escidono gli organi da coltivare e si suddividono in piccoli frammenti (espianti); l'espianto dovrà essere ritagliato con coltellini da oculista (di Gräfe) bene affilati; si eviti che sia compresso, contuso o dilacerato. Uno o due espianti saranno collocati sopra una sottile lamina di vetro o di mica, sulla quale fu in precedenza versata una goccia di mezzo nutritivo (plasma sanguigno e succo di embrioni a parti eguali); la goccia viene distesa in uno strato sottile, aspirando eventualmente con una pipetta l'eccesso di liquido, e dopo un minuto o due coagula. Alla lamina di mica, sulla quale fu collocata la coltura, viene sovrapposta una grossa lastra di cristallo con un profondo incavo nel mezzo (portaoggetto a incavo; fig.1, A); in quest' ultimo l'orlo dell'incavo verrà unto con vaselina; capovolto il portaoggetto, questo viene saldato alla lamina di mica con paraffina fusa al calore, ad assicurare la perfetta tenuta della camera d'aria. In questo modo la coltura aderisce alla faccia inferiore della mica e sporge nella camera d'aria. La coltura viene incubata in un termostato a 38°. Le trasformazioni che si producono nella coltura saranno seguite al microscopio riscaldato con un piccolo termostato alla temperatura di 38°.
Già poche ore dopo l'allestimento della coltura si vedono singole cellule trasparenti che s'affacciano lungo l'orlo dell'espianto e incominciano a migrare, per movimenti attivi, nel coagulo di plasma. Se il mezzo di coltura rimane liquido, le cellule non migrano. Però si possono preparare colture in mezzo liquido (liquido Tyrode, siero di sangue, succo di embrioni) se la goccia viene distesa in un velo sottilissimo; in tal caso le cellule emigrano aderendo alla faccia della lastrina di mica rivolta verso la camera d'aria (W. Lewis). La coltura riesce solamente se le cellule hanno un sostegno consistente a cui esse possano aderire (principio di Harrison dello stereotropismo). Dopo 36-48 ore l'espianto è circondato da un vasto alone di cellule migrate nel coagulo in moltiplicazione attiva (zona di migrazione o di accrescimento, figg. 2, 3); quest'ultima si distingue dall'espianto originario perché le sue cellule sono più lasse e più trasparenti, condizione favorevole all'esame microscopico delle medesime. Ma dopo 2 giorni, 3 al massimo, di solito la migrazione e la moltiplicazione delle cellule rallentano sensibilmente e s'arrestano. Nei giorni successivi le cellule migrate regrediscono e muoiono. Però l'esperienza ha dimostrato che la morte della coltura è determinata dall'azione nociva dei prodotti del catabolismo cellulare accumulati in uno spazio limitato; se la coltura viene lavata e portata in un mezzo fresco, la sua vita può essere protratta. Questo risultato fu raggiunto con varî mezzi. Il procedimento usuale è quello di Carrel dei trapianti in serie; alla 48° ora di vita della coltura la lastrina di mica viene distaccata, l'espianto originario, insieme con l'alone più compatto di cellule che lo circonda, viene ritagliato, sollevato dalla lastrina di mica, lavato in liquido Tyrode e trapiantato in una goccia di mezzo nutritivo fresco (plasma e succo di embrioni), come fu fatto la prima volta. Nuove cellule emigrano dall'espianto e si forma una nuova zona di migrazione destinata a sua volta a regredire se la coltura è lasciata a sé. Il procedimento viene ripetuto tre volte per settimana. Con questa tecnica Carrel alleva da 23 anni uno stipite di cellule del cuore di embrione di pollo (fig. 10) e il suo valore di accrescimento è altrettanto grande che nei primi giorni in cui l'espianto fu allestito. Questo metodo ha su tutti gli altri il grande vantaggio di permettere di esaminare al microscopio nella coltura vivente, anche con i più forti ingrandimenti, le cellule della zona di accrescimento aderenti alla lastrina di mica. La forma e la struttura delle cellule migrate possono essere disegnate o anche fotografate a intervalli. Ma le trasformazioni degli elementi della coltura sono lente ed è difficile e faticoso il classificare i fenomeni che si susseguono nel tempo. Di grande aiuto fu il metodo cinematografico; se si proietta sullo schermo una serie di immagini fotografate ad intervalli di 1520 secondi (mediante apparati di microcinematografia all'uopo costruiti) la successione dei fenomeni viene artificialmente accelerata, e perciò è meglio apprezzabile. Inoltre il metodo della coltura in goccia pendente ci dà la possibilità di confrontare la forma e la struttura che hanno le cellule in vivo e dopo sottoposte ai procedimenti abituali nella tecnica istologica (v. istologia); la lastrina di mica viene distaccata, immersa in un liquido fissatore e colorata. Le cellule della zona di migrazione, sottili e trasparenti, possono essere analizzate al microscopio nelle particolarità più minute anche senza suddividere la coltura in sottili sezioni col microtomo, come si fa per i tessuti dell'organismo.
Un altro metodo suggerito da A. Carrel di coltivare i tessuti in bottiglie di vetro piatte a facce parallele (fig.1, B) si presta meno a indagini istologiche, ma trova estesa applicazione in ricerche di altra natura, specialmente di biochimica; il fondo della bottiglia è ricoperto di uno strato di plasma nel quale s'immerge l'espianto; quando il plasma è coagulato, s'aggiunge sul fondo della bottiglia una certa quantità di soluzione salina (di Tyrode) con succo di embrioni; così la coltura si trova permanentemente in contatto con un velo liquido; quest'ultimo ogni 2 giorni sarà aspirato e sostituito con una miscela fresca di soluzione salina e succo di embrioni. Si può dunque fornire alla coltura sempre nuovo terreno nutritivo ed eliminare i prodotti di rifiuto senza disturbare il suo accrescimento. Dopo 20-30 giorni il fondo della bottiglia è ricoperto da un alone di accrescimento, che può essere molto esteso, persino di parecchi centimetri di diametro. Altri metodi di coltura proposti dal Carrel e da altri ebbero applicazioni più limitate: p. es., versare il plasma in un tubo di saggio infiggendo l'espianto in seno al coagulo; in tal caso lo sviluppo della coltura è tridimensionale, anziché in superficie, come nei metodi indicati. Il maggiore inconveniente che questo metodo presenta, come altri analoghi, è l'impossibilità di seguire al microscopio i mutamenti della cellula.
Colture pure di cellule. - Gli organi che abitualmente sono coltivati constano di cellule di natura diversa; alla costituzione del cuore partecipano, per esempio, elementi muscolari, cellule endoteliali dei vasi e, se l'organo è inoltrato nello sviluppo, anche cellule del connettivo (istiociti e fibrociti); così alla costituzione del tegumento partecipano cellule epiteliali, fibrociti, istiociti ed endotelî dei vasi, a quella del fegato cellule epatiche e cellule endoteliali dei capillari e così via. Di questi varî elementi, gli uni (i fibrociti e gl'istiociti) si liberano dalla trama dell'organo ed emigrano nel coagulo isolati, altri, come le cellule epiteliali, conservano intimi rapporti vicendevoli ed emigrano in forma di una membrana. Le colture che si vanno formando sono sempre costituite da elementi di derivazione diversa. Per ricerche esatte sulla biologia delle cellule coltivate era importante coltivare un unico stipite cellulare allo stato di purezza. Vi si riuscì per diverse vie: Albert Fischer isolò con metodo anatomico frammenti dell'epitelio dell'iride in embrioni di pollo di 12 giorni e ottenne colture pure di cellule epiteliali, che vissero e s'accrebbero per molti mesi; e da cartilagine sclerale ottenne colture pure di cellule cartilaginee. Ma anche se la coltura è costituita da varî tipi di cellule, accade spesso che un singolo stipite cellulare, per lo più i fibrociti del connettivo, prendano il sopravvento sugli altri elementi, che a lungo andare regrediscono; anche in questo caso s'ottiene dopo qualche tempo una coltura pura. Parimenti con altri accorgimenti tecnici si poterono ottenere da colture miste di epitelio e fibrociti, stipiti puri di cellule epiteliali, per es. con l'aggiungere alla coltura (di fegato, di rene, di pancreas) sostanze le quali abbassano la tensione superficiale (W. Katzenstein e E. Knake); l'accrescimento dei fibrociti viene inibito e le cellule epiteliali rimangono spesso in coltura pura.
Caratteri generali delle colture. - Colture di varî tessuti. - I processi che si svolgono nelle colture sono di natura tanto varia che è impossibile comprenderli in un quadro unitario; differiscono a seconda della natura dell'organo espiantato, del suo grado di sviluppo, e della tecnica seguita. In una coltura che siamo abituati a considerare come "tipica", nella quale tanto la migrazione quanto la moltiplicazione delle cellule si compiono velocemente e con ritmo uniforme - per es. un espianto di cuore o di grossi vasi di embrione di pollo fra il 7° e il 12° giorno d'incubazione coltivato in plasma e succo di embrioni in goccia pendente, oppure in bottiglia di Carrel - si vede che la massa centrale opaca, perché costituita da molti strati di cellule sovrapposte, si continua per gradi verso la periferia in un alone sempre più sottile di cellule (figg. 2, 3, 4, 5, 6). Queste hanno forma irregolare, con propaggini che sono l'espressione della vivace attività ameboide di cui sono dotate, per cui si spostano dal centro verso la periferia della coltura (figg. 7-10). Nei primi giorni di vita della coltura le cellule emigrate possono avere i caratteri proprî del tessuto da cui derivano, ma ben presto questi si cancellano; le cellule diventano indifferenti. Fra esse sono molto numerose le divisioni mitotiche. Accentuiamo dunque la circostanza seguente: cellule che nel tessuto hanno forma propria e invariabile e non manifestano in condizioni ordinarie di vita proprietà ameboidi, mutano di forma e migrano per effetto degli stimoli che su esse si manifestano sino dalle prime ore di vita in vitro. La migrazione si manifesta all'orlo dell'espianto tanto più presto, quanto più precoce è l'embrione; negli espianti da organi di adulto la migrazione inizia di solito soltanto dopo 24-36 ore; il periodo di latenza, tanto più lungo quanto più maturo è l'organo, va attribuito alla circostanza che la sdifferenziazione delle cellule, indispensabile per la migrazione, dev'essere più lunga; inoltre occorre un maggior tempo perché le cellule si liberino della trama dell'organo più consistente.
Le cellule indifferenti della zona di migrazione hanno forma e rapporti reciproci estremamente variabili (cfr. figg. 5-10), sono affusate o stellate; nel primo caso hanno lunghi prolungamenti opposti, sottili, non anastomizzati; le cellule a forma stellata emettono prolungamenti sottili e ramificati, i quali s'intrecciano con quelli di cellule contigue; se le cellule sono espanse in lamine tenui, le propaggini sono corte e tozze. Le cellule sono a vicenda libere, oppure sembrano unirsi per i prolungamenti; se invece le cellule si uniscono lungo i margini in modo da essere separate da sottili fessure, costituiscono un reticolo aderente (fig. 21). Tali differenze sono in parte in relazione alla natura del tessuto originario e al grado di differenziazione di esso, ma dipendono pure dalle proprietà fisiche del mezzo. La forma e i rapporti vicendevoli delle cellule di una coltura possono mutare; se viene trapiantata in un plasma più diluito o se il plasma fu disteso in uno strato più sottile; e anche in una stessa coltura si vedono nella parte prossimale della zona di migrazione cellule unite a rete, nella parte distale cellule libere (figg. 5, 9). Se la parte centrale della coltura viene fissata e tagliata al microtomo, si vede che durante un primo periodo conserva i caratteri del tessuto originario; così in un espianto di cuore si riconoscono i capillari sanguigni e gli elementi muscolari con miofibrille striate, e questi caratteri possono persistere per quasi 2 mesi.
Ma più tardi (dopo circa trenta trapianti in goccia pendente, oppure dopo un soggiorno per più di 2 mesi in bottiglia di Carrel) il tessuto originario finisce col trasformarsi in una massa di cellule indifferenti che non differiscono molto da quelle emigrate alla periferia della coltura.
Tutti gli stipiti cellulari di antica data, come quello dell'Istituto Rockefeller (fig. 10) che ha più di 23 anni di vita, e altri esistenti in altri istituti, sono dunque costituiti da cellule derivate dal miocardio, da muscoli volontarî, dall'endotelio dei vasi sanguigni; le quali però, in relazione all'attivita ameboide che esse nel nuovo ambiente esplicano, hanno perduto i caratteri morfologici funzionali specifici proprî e sono divenute identiche alle cellule del connettivo comunemente chiamate fibroblasti. Si moltiplicano con ritmo uniforme e il potere proliferativo rimane invariato per un periodo illimitato. Le colture di questo tipo di cellule a carattere embrionale, dette comunemente ad accrescimento non controllato, meglio di altre servono come text biologico, per l'uniformità nell'energia di accrescimento e per la costanza nei caratteri delle cellule. Però non tutti i tessuti si sdifferenziano in vitro e d'altra parte con varî sussidî tecnici si riuscì a mantenere anche ai tessuti che abitualmente si sdifferenziano i caratteri specifici. Passeremo rapidamente in rassegna i varî tessuti nei quali tale persistenza dei caratteri fu dimostrata.
Colture pure di epitelî. - Dall'epitelio irideo, dal tegumento, dal pancreas e da varî altri organi, gli epitelî emigrano in forma di membrane, nelle quali le varie cellule rimangono a contatto reciproco (figg. 11-14); si conserva dunque anche in vitro questo carattere essenziale che è proprio degli epitelî dell'organismo. La migrazione delle membrane epiteliali è accompagnata da moltiplicazioni cellulari, scarsa nei primi giorni di vita, più abbondante in seguito. Con quale meccanismo avviene questo movimento attivo degli epitelî detto "movimento di massa" (A. Oppel)?. Al microscopio non si vede mutamento di forma delle cellule e non si può pensare dunque a una locomozione per movimento ameboide, come per le cellule libere. Invece nelle cinematografie si vedono continui mutamenti di forma, i quali non sono apprezzabili con l'osservazione microscopica diretta, perché troppo lenti. Il movimento delle membrane epiteliali è dunque movimento collettivo, il quale è la risultante di movimenti individuali molto lievi e lenti delle singole cellule. Talora alla periferia della membrana epiteliale il movimento ameboide si fa più attivo, la forma di alcune cellule diviene irregolare ed esse emigrano isolate nel plasma; da questo momento non si distinguono più dai fibroblasti (fig. 15). In alcune colture di epitelî le cellule possono mantenere a lungo e forse indefinitamente i proprî caratteri specifici; l'epitelio irideo produce pigmento in vitro anche dopo 2-3 mesi; in colture pure di cellule epatiche si conserva per qualche mese la forma poligonale e l'intima struttura caratteristica di quelle cellule (fig. 14). In uno stipite di cellule tiroidee A.H. Ebeling ha visto dopo varî mesi formarsi sostanza colloide, secreto specifico della ghiandola tiroide.
Colture di tessuti a funzione meccanica. - Di solito da espianti di mesenchima di embrioni precoci e di connettivo lasso di tendini di embrioni più maturi, si hanno le colture di cellule a caratteri embrionali, a moltiplicazione rapida, delle quale abbiamo ora parlato; i fibrociti del connettivo maturo riacquistano le attività ameboidi delle cellule mesenchimali dell'embrione (colture di fibrociti o fibroblasti). Non di rado le cellule mesenchimali formano una trama di fibrille collagene, reticolari (fig. 16) elastiche, simili per costituzione e per affinità per i colori al collagene e alla sostanza elastica dei tessuti dell'organismo; le fibre si formano in vicinanza delle cellule ma non per trasformazione del protoplasma; sembra si abbia una gelificazione di sostanze prodotte dalle cellule. Inoltre da abbozzi di elementi scheletrici allo stadio di blastema mesenchimale si può formare in vitro cartilagine (H. Fell); da espianti di periostio derivano tipiche trabecole di osso e queste s'accrescono per qualche tempo (fig. 17); però la differenziazione in tessuto cartilagineo o osseo si ha solamente in seno al frammento originario, mai nella zona di migrazione.
Vasi e cellule del sangue nelle colture in vitro. - Le cellule endoteliali dei capillari sanguigni hanno nella zona di migrazione caratteri proprî; da espianti di fegato di embrione di pollo si vedono migrare membrane costituite da cellule allungate unite a forma di reticolo aderente (fig. 21); questi elementi provenienti dagli endotelî dei capillari del fegato conservano per qualche giorno tale carattere, ma più tardi si sdifferenziano e divengono identiche ai fibrociti. In speciali condizioni, specialmente se l'espianto è sottile, i capillari sanguigni possono conservare la propria forma e crescono in forma di canali, oppure di cordoni solidi. Da W. Lewis fu studiato nelle cinematografie di colture l'accrescimento di capillari. Fu dimostrato un fatto importante: che i vasi capillari crescono sempre da quelli preesistenti, mai si formano a spese delle cellule mesenchimali dell'espianto; ed è pure interessante che i capillari crescano, pur difettando il fattore meccanico della pressione sanguigna. Non tutti gli elementi del sangue sopravvivono e crescono in vitro; gli eritrociti regrediscono in poche ore e anche i granulociti hanno sopravvivenza limitata.
Il metodo migliore per lo studio degli elementi del sangue in vitro è di coltivarli dal sangue circolante (A. Carrel). Dopo che furono separati con la centrifugazione i leucociti dagli eritrociti, e dopo che s'è prodotta la coagulazione del plasma sanguigno, si ritagliano dalla parte del coagulo contenente i leucociti piccoli frammenti, e questi sono espiantati in goccia pendente con la consueta tecnica. I granulociti regrediscono rapidamente e dopo qualche tempo anche i linfociti; rimangono in coltura pura i monociti; essi emigrano isolati e si moltiplicano più lentamente dei fibrociti. Formano caratteristiche colonie distinte, a orli netti, senza tendenza a riunirsi. I monociti nelle colture si trasformano in macrofagi; aumentano di volume e alla periferia della cellula si vede una zona estremamente tenue di citoplasma in continuo movimento, ben manifesta nelle cinematografie in campo oscuro; la membrana appare allora come un velo di seta mosso dal vento (membrana ondulante dei macrofagi), mentre la parte centrale della cellula contenente vescicole colorabili in vivo col rosso neutro e gocce di grasso rimane immobile (figg. 19, 20). Da espianti di milza di embrioni e di adulti emigrano, in un primo tempo, cellule bianche del sangue (in prevalenza linfociti), più tardi istiociti derivati da cellule del reticolo (i quali ben presto diventano macrofagi, fig. 18) e infine fibrociti; questi ultimi dopo molti trapianti si fanno sempre più numerosi e dopo che le altre cellule sono regredite, rimangono in coltura pura.
Colture di elementi muscolari striati. - Abbiamo accennato più sopra che nelle colture di cuore di embrione di pollo (fra il 6° e il 10° giorno d'incubazione) e di Mammiferi, gli elementi muscolari di solito si sdifferenziano; rapidamente le cellule migrate nel plasma, più lentamente gli elementi del tessuto originario. L'attività contrattile persiste in quest'ultimo per qualche giorno con ritmo vario a seconda dell'età dell'embrione e anche a seconda che fu espiantato l'atrio o il ventricolo; in espianti di atrio la frequenza è maggiore (da 150 a 220 pulsazioni al minuto). Più tardi le pulsazioni si fanno meno regolari e le varie parti dell'espianto sono asincrone. Infine, dopo alcuni giorni, di solito le contrazioni s'arrestano.
Ma in casi singoli le colture di cuore hanno caratteri diversi. O. M. Olivo ha dimostrato che se si espianta l'abbozzo di cuore da embrioni di pollo precoci (delle prime 24 ore d'incubazione) molto prima che incominci a contrarsi e che acquisti struttura specifica, si può assistere in vitro alla differenziazione istologica e funzionale della coltura; dopo 24-36 ore di vita in vitro la coltura, pur accrescendosi, incomincia a pulsare e più tardi (al 3° giorno) le sue cellule hanno la struttura degli elementi muscolari; vi si formano miofibrille striate; le cellule si dispongono a plesso con larghe anastomosi. Le colture conservano i caratteri specifici per circa un mese, più tardi si sdifferenziano. Talora anche da embrioni inoltrati (dal 4° all'8° giorno d'incubazione) si ebbero colture costituite nella loro totalità da elementi con caratteri muscolari (G. Levi, W. H. Lewis, O. M. Olivo). In tali casi l'accrescimento è limitato; dal frammento originario si spingono nel coagulo tozze fibre anastomizzate fra loro, e anche cellule con miofibrille striate (fig. 23). Oppure la sdifferenziazione è parziale, la striatura trasversa scompare, le miofibrille divengono lisce. In alcune colture di cuore anche i caratteri funzionali specifici persistono per un periodo eccezionalmente lungo; una coltura di cuore ad accrescimento molto limitato ottenuta da un embrione al 7° giorno continuò a contrarsi per un periodo di 7 mesi (Olivo). Anche cellule isolate e senza struttura specifica si possono contrarre in vitro per molte settimane. Sembra che la sdifferenziazione strutturale e funzionale sia accelerata dalla presenza di succo di embrioni.
Negli espianti di muscoli degli arti le fibre muscolari emigrano dal frammento originario in forma di lunghi germogli nastriformi con molti nuclei (figg. 4, 25), per movimento ameboide dell'estremità distale. Vi si riconoscono per qualche tempo le miofibrille, ma per la precoce scomparsa dei dischetti anisotropi esse appaiono lisce. Più tardi la sdifferenziazione delle fibre muscolari procede ulteriormente, i germogli polinucleati si risolvono in cellule distinte a forma di lunghi e sottili fusi (fig. 25); sembra che le miofibrille si trasformino in condrioconti. È singolare che gli elementi sdifferenziati di coltura di muscoli scheletrici acquistano la proprietà di pulsare ritmicamente (W. Lewis), proprietà che gli elementi da cui essi derivano nell'organismo non possiedono.
Assottigliamento spontaneo dell'espianto. - Se il tessuto è lasso (p. es., espianti di embrioni precoci, di muscoli) e se le sue cellule manifestano attività ameboide, esse s'allontanano l'una dall'altra per scorrimento attivo; l'espianto diviene così trasparente che le trasformazioni che subisce possono essere esaminate al microscopio in vivo; e mentre nelle comuni colture la zona di migrazione è estesa ed è abbastanza bene delimitata dal frammento originario, nelle colture in cui l'espianto si è spontaneamente dissociato, gli elementi migrati nel coagulo sono scarsi e spesso non ve n'è traccia (fig. 24). Immagini interessanti si vedono in espianti di muscoli scheletrici di embrioni di pollo al 4°-6° giorno; per la migrazione delle fibre muscolari e del mesenchima interposto si spostano in varia direzione e s'anastomizzano a plesso (fig. 24); gli aspetti diversi che tali colture presentano dipendono dal vario grado di attività delle fibre muscolari. Un quadro analogo si vede in espianti di ganglî sensitivi (figg. 29-30).
Colture di tessuto nervoso embrionale. - Se s'espianta in vitro un frammento di encefalo, di midollo spinale, di ganglio spinale o simpatico di un embrione, non si manifesta in un primo tempo migrazione di cellule come nelle altre colture, bensi emergono dall'espianto, gli entro le prime 24 ore, molti neuriti i quali crescono rapidamente in lunghezza per ameboidismo dall'estremità terminale della fibra (R. Harrison; figg. 26, 27); sono prolungamenti di cellule nervose dell'espianto in parte differenziate in vitro, in parte rigenerate dai monconi centrali di neuriti mutilati quando l'espianto fu preparato; quanto più maturo è l'embrione dal quale fu ottenuto l'espianto, tanto più prevalgono le fibre rigenerate sopra quelle differenziatesi in vitro (O. M. Olivo). Al 2° giorno di vita della coltura incominciano a migrare nel coagulo cellule nervose con prolungamenti multipli, le fibre sono più numerose, si ramificano e i rami s'anastomizzano l'uno con l'altro e con i prolungamenti delle cellule nervose; si costituiscono così complicate reti (figg. 29, 30). Il quadro complessivo è per i primi 15-20 giorni diverso dalle colture di cellule a caratteri embrionali e di epitelî. Ma più tardi migrano cellule a carattere epiteliale derivate in parte da cellule indifferenziate dell'espianto, in parte da cellule nervose sdifferenziate, e dopo poco più di un mese non v'è più traccia di elementi nervosi; s'ottiene una coltura pura di epitelio ad accrescimento permanente. Nelle colture dette comunemente di tessuto nervoso non si ritrova dunque traccia dell'architettura del sistema nervoso; non solo, ma anche la morfologia degli elementi specifici del tessuto nervoso (neuroni) si trasforma; pur mantenendo per qualche tempo i caratteri di elementi nervosi, essi differiscono, per molti riguardi, dai neuroni dell'organismo. Particolarmente istruttivo a questo riguardo riesce lo studio degli espianti di neuroni sensitivi a costituzione semplice; mentre nell'embrione hanno forma sferica con due neuriti, negli espianti essi emettono neuriti multipli (fig. 28), e quando emigrano nel coagulo la loro forma diviene irregolare, al punto che potrebbero essere confusi con neuroni dell'encefalo e del midollo spinale.
Colture ad accrescimento controllato. - Nelle colture delle quali abbiamo detto fin qui si manifesta un accrescimento caotico di cellule, a vicenda indifferenti o a caratteri specifici. Ma in condizioni particolari d'esperienza è possibile un accrescimento organotipico, vale a dire di parti nelle quali si ripete in modo più o meno perfetto l'architettura di organi dell'embrione. O.M. Olivo con l'espiantare la parte di un embrione di pollo allo stadio di linea primitiva che è destinata a formare il cuore (presunto abbozzo del cuore), dimostrò la formazione di una massa di tessuto pulsante costituito da elementi muscolari striati. Un risultato analogo fu ottenuto dal Holtfreter da espianti di uova di Anfibî allo stadio di morula e di gastrula. Un accrescimento organotipico ancora più perfetto si può avere con l'espiantare abbozzi di arti di embrioni di pollo dal 4° giorno d'incubazione in poi (D.H. Strangewavs e H. Fell). Da abbozzi di arti fra il 4° e il 7° giorno si sviluppano in vitro i varî elementi scheletrici a forma simile alla normale, mentre al momento dell'espianto essi erano rudimentali; inoltre essi crescono in lunghezza, ma più lentamente che nell'embrione; si stabiliscono i rapporti vicendevoli fra gli abbozzi, ma non si formano articolazioni. Abbiamo voluto accennare ai risultati di queste esperienze (per non parlare di altre analoghe: sviluppo in vitro dell'occhio, dell'organo dell'udito da abbozzi indifferenziati) perché esse dimostrano che il metodo delle colture può essere applicato anche a ricerche di morfologia sperimentale. Ma evidentemente l'essenza dei fenomeni che si producono nelle colture ad accrescimento controllato è fondamentalmente differente da quelli delle colture vere e proprie, le quali vanno considerate come colonie di cellule, sino a un certo punto paragonabili alle colonie di organismi unicellulari.
Principali problemi suscettibili di studio con il metodo delle colture dei tessuti. - Velocità di accrescimento della coltura e condizioni che la modificano. - Una coltura di cellule indifferenti che dispone di materiale nutritivo adatto in quantità sufficiente, e nella quale i prodotti del catabolismo sono spesso eliminati, cresce per divisione mitotica illimitatamente e con ritmo costante per mesi e per anni; le irregolarità eventuali dipendono da condizioni estrinseche alle cellule; errori tecnici oppure variazioni nella composizione del mezzo. Per determinare l'entità di accrescimento di una coltura, il metodo più semplice è di misurare la superficie complessiva che acquista nell'unità di tempo. Però l'incremento in superficie è soltanto in parte l'espressione del valore di proliferazione; vi contribuisce pure l'intensità della migrazione cellulare. Più esatto è il determinare il rapporto fra cellule in divisione e in riposo (coefficiente mitotico) come hanno fatto O.M. Olivo e collaboratori. Dai confronti da essi istituiti, fra velocità di accrescimento dei tessuti dell'embrione e dopo espiantazione in vitro, risultò che tale velocità è diversa a seconda che si considera il frammento originario o la zona di migrazione; nel primo è minore che in un embrione a uno stadio corrispondente, e la differenza è tanto più rilevante quanto più giovane è l'embrione. Invece le cellule della zona di accrescimento, le quali verosimilmente si sono meglio adattate alle nuove condizioni di vita, crescono con velocità uniforme e illimitatamente. Le differenze nella velocità di accrescimento delle colture dipendono dalla diversa durata dell'intervallo di una mitosi e l'altra (periodo intermitotico). O.M. Olivo ed E. Delorenzi hanno trovato, col seguire in colture viventi singole cellule sorte da divisione sino alla mitosi successiva, che questo intervallo varia molto anche nelle cellule di una stessa coltura, da 7 a 21 ore; vi è sincronia soltanto fra le due cellule gemelle sorte da una divisione. Contrasta con queste rilevanti variazioni nella durata del periodo intermitotico la scarsa variabilità nella durata della mitosi; e a ogni modo quest'ultimo periodo è così breve, che le sue variazioni non possono avere importanza sul valore di accrescimento di una coltura. Sempre secondo questi autori, la distribuzione cronologica e topografica della mitosi è irregolare; si susseguono con la frequenza che è prevedibile secondo il calcolo delle probabilità. Il valore di accrescimento delle colture risente in alto grado l'influenza di azioni esteriori: temperatura, proprietà nutritive del mezzo di coltura, sostanze chimiche estranee alla composizione abituale di questo. Temperature inferiori a quella normale d'incubazione rallentano anche in animali a sangue caldo la durata della mitosi e del periodo intermitotico; al disotto di 21° l'acerescimento s'arresta (L. Bucciante); d'altra parte temperature superiori a 38° ne accelerano la velocità di accrescimento. Influenza considerevole hanno pure le proprietà fisiche del mezzo di coltura; se il coagulo di plasma sanguigno è lasso, perché diluito, le cellule emigrano e si moltiplicano più velocemente; la zona di accrescimento ha estensione più grande. Anche lo spessore del coagulo ha importanza; l'accrescimento è tanto più rapido quanto più sottile è lo strato di plasma coagulato. Fra le sostanze che influiscono sulla velocità di accrescimento vanno in prima linea segnalati i materiali nutritivi contenuti nel succo di embrioni (trefoni, A. Carrel); colture allevate in plasma puro crescono molto più lentamente che nel mezzo usuale di plasma e succo di embrioni. Considerando che l'attività mitotica è in relazione col metabolismo e che i trefoni meglio di tutte le altre sostanze sono assimilati dalle cellule, si spiega l'influenza che esplicano sulla velocità di accrescimento.
La prova raggiunta da A. Carrel che la velocità di accrescimento di una colonia di cellule rimane invariata per un periodo di tempo verosimilmente illimitato, pone sotto una luce nuova il problema dell'accrescimento e della senescenza dell'organismo. Sappiamo che le cellule dei tessuti di un embrione si moltiplicano velocemente soltanto nei primi periodi dello sviluppo; più lo sviluppo e l'accrescimento progrediscono, più il ritmo delle mitosi rallenta progressivamente e cessa al termine dell'accrescimento somatico. Si riteneva che questo fenomeno così costante in tutti gli animali dipendesse da una diminuzione progressiva della capacità di moltiplicazione insita alle cellule stesse (ipotesi della citomorfosi di Ch. Minot). Ma se le cellule sottratte all'influenza del tutto si accrescono illimitatamente e con ritmo uniforme, l'inibizione della moltiplicazione cellulare negli organismi non può essere legata a condizioni insite alle cellule, bensì a fattori estrinseci. Una esperienza di A. Carrel e A.H. Ebeling fa pensare che l'inibizione dell'accrescimento, così costante in tutti gli organismi, dipenda da sostanze contenute negli umori circolanti nell'organismo. A colture di cellule di pollo ad accrescimento costante fu aggiunto siero di sangue estratto da galline di 6 settimane, di 2 mesi, e di 3, 6, 9 anni. Si dimostrò che il valore di accrescimento della coltura è proporzionale all'età dell'animale dal quale fu ottenuto il siero: l'influenza inibitrice è tanto maggiore quanto più vecchio è l'animale. R.C. Parker lo confermò per colture di fibrociti di uomo, l'estensione della coltura era del 150% più grande in presenza di siero di bambino di 14 mesi che in presenza di siero di uomo di 27 anni. L'azione inibitrice del siero dipenderebbe in parte dalle proteine, in maggior grado dai lipoidi che contiene.
Azione di stimoli fisici e chimici sulle colture in vitro. - Dai risultati ottenuti in quest'ordine di ricerche ormai numerose risultò che le cellule sono molto più resistenti di quello che si potrebbe supporre all'azione degli stimoli esteriori. Sopravvivono anche dopo sottrazioni di grande quantità d'acqua, dopo soggiorno a temperature bassissime (−28°); sopravvivono e s'accrescono in un mezzo di concentrazione molecolare superiore e inferiore al normale; resistono pure a veleni inorganici e organici, naturalmente sino a una concentrazione determinata. Persino dopo lesioni meccaniche e mutilazioni, se non troppo gravi, e se fu risparmiato il nucleo, le cellule possono ristabilirsi in modo perfetto.
Le cellule reagiscono in modo vario alle influenze dell'ambiente; se lo stimolo non è troppo intenso e se agisce per breve tempo, le cellule sono stimolate a un accrescimento più veloce. Ma quando lo stimolo è più intenso e più protratto, di solito l'accrescimento della coltura è inibito; molto manifesta è l'inibizione sulle mitosi da parte dei raggi Röntgen e dei raggi β e γ del radio; inibizione la quale però, se le radiazioni non agirono con eccessiva intensità, è transitoria; essa è in un periodo successivo compensata da un accrescimento più veloce. La sensibilità delle cellule ai raggi Röntgen e al radio è massima nel periodo antecedente alla profase; quando la mitosi è iniziata esse sono molto meno sensibili. Le modificazioni regressive delle cellule visibili al microscopio per effetto di stimoli fisici e chimici intensi sono varie, ma non specifiche per un fattore determinato; nel citoplasma si possono avere i fenomeni seguenti: gelificazione del colloide omogeneo, fluidificazione in punti limitati, frammentazione dei condrioconti, aumento del grasso. Se il fattore nocivo non agì troppo intensamente, né troppo a lungo, le modificazioni sono reversibili; si ha una restitutio in integrum. Azioni più intense determinano un'alterazione irreversibile incompatibile con la sopravvivenza della cellula.
Rapporti d'interdipendenza fra le cellule della zona di accrescimento. - Gli studî sulle colture in vitro hanno ridestato le antiche discussioni sull'individualità morfologica e funzionale delle cellule. È una coltura un complesso unitario a costituzione sinciziale, una vera individualità organica d'ordine superiore alle cellule (organismo parziale secondo A. Fischer)? Oppure è una colonia di cellule, ciascuna delle quali è dotata d'individualità propria? La questione ha molta importanza, sia in sé stessa, sia perché il valore del metodo delle colture nella ricerca biologica appare sotto luce diversa a seconda che l'una o l'altra interpretazione sia dimostrata esatta.
Fra i molteplici fatti attinenti la presunta costituzione sinciziale delle colture in vitro riferiremo i più importanti. Nella zona di migrazione di molte colture le cellule sono in prevalenza unite per i prolungamenti oppure per parziale adesione dei margini. L'unione è spesso tanto intima che non si distinguono limiti fra le cellule però secondo G. Levi e W. Lewis non si ha quasi mai continuità plasmatica fra queste, soltanto intima adesione; se si esamina al microscopio per un lungo periodo un gruppo di cellule, si acquista la convinzione che l'unione è illusoria; cellule apparentemente unite in modo che fra esse non si vede limite di sorta, a un certo momento si liberano per effetto di attività ameboide (fig. 31). Inoltre se nei punti in cui le cellule sono unite, il limite fra esse fosse realmente scomparso, si dovrebbe vedere il passaggio di particelle formate (condrioconti, granuli) attraverso il ponte plasmatico che le collega; invece quasi mai questo fenomeno si manifesta, anzi le particelle a un punto, che evidentemente corrisponde al limite fra le due cellule, ripiegano, quasi che trovassero una barriera che non possono oltrepassare (Ch. De Garis, G. Levi, fig. 32). Inoltre se con un finissimo ago di vetro si produce una lesione in una cellula, solamente la cellula colpita ne risente, anche quando non si vede limite di sorta fra esse (R. Chambersi, E. Kredel, O. M. Olivo); il processo regressivo consecutivo alla lesione non s'estende mai alle cellule vicine, come dovrebbe avvenire se esse fossero unite in un sincizio.
Una riprova indiretta della costituzione sinciziale delle cellule che crescono in vitro s'avrebbe, secondo A. Fischer, dalla circostanza seguente: se l'espianto è molto piccolo cresce stentatamente e per breve tempo. Secondo A. Fischer, un gruppo di cellule separato artificialmente dal rimanente della coltura non cresce e dopo qualche tempo muore, perché verrebbero a mancare gli scambî di materiali, indispensabili per la vitalità della coltura attraverso connessioni plasmatiche. Ma Olivo dimostrò che se poche cellule vengono isolate con una tecnica atta a conservarne l'integrità, esse si moltiplicano; il risultato negativo delle esperienze di Fischer dipende presumibilmente dal fatto che non si poté evitare una lesione del minuscolo espianto. Olivo isolò aggregati di 2, 26, 43 cellule; da 26 se ne formarono dopo 2 giorni 45 e dopo 10 giorni 400; da 43 cellule, se ne formarono entro 6 giorni più di 800, e nei giorni successivi s'accrebbero ulteriormente. Dal risultato di questa esperienza si è portati dunque a concludere in senso opposto alla tesi di Fischer: una coltura sarebbe una colonia di unità autonome e relativamente indipendenti le une dalle altre.
Un argomento importante in appoggio del principio di A. Fischer, che le colture sono sotto certi punti di vista paragonabili ad un organismo, sembrerebbe dato da esperienze di questo autore sulla rigenerazione delle colture; se in colture nelle quali l'accrescimento fu artificialmente arrestato con il coltivarle in un mezzo non nutritivo (colture a vita latente) viene asportato un settore, lungo gli orli della ferita si manifesta un vivace accrescimento cellulare e la perdita di sostanza si ricostituisce in modo perfetto entro pochi giorni; la rigenerazione non è mai difettosa, né esuberante, l'estensione della coltura ridiviene identica a quella che era prima. Da quest'interessante esperienza appare dunque che le colture hanno in comune con un organismo la limitazione della grandezza e la capacità di regolazione, il che fa pensare all'esistenza di intimi rapporti vicendevoli fra le cellule di una coltura, come fra quelle di un organismo; ciò però non infirma quanto si desume da altre osservazioni, che le singole cellule di una coltura abbiano un certo grado di autonomia morfologica e funzionale. Dimodoché allo stato attuale delle nostre conoscenze sembra che le colture di cellule a caratteri embrionali vadano considerate come colonie di cellule anziché come individualità d'ordine superiore.
La minuta struttura delle cellule a caratteri embrionali delle colture in vitro. - Quanto è stato visto col metodo delle colture nei riguardi della struttura delle cellule della zona di migrazione segna un sensibile progresso nella citologia; nessun altro metodo concede come questo l'analisi della struttura delle cellule dei Metazoi viventi per un lungo periodo di tempo. Le cellule della zona di accrescimento aderenti alla lamina di mica appaiono molto trasparenti, sia perché sono espanse in superficie, sia perché fortemente imbevute, e possono essere esaminate viventi con i più forti ingrandimenti. Si ebbe così la conferma di quanto le indagini citologiche nel periodo fra il 1905 e il 1915 avevano scoperto; la costante esistenza nel citoplasma di tutte le cellule, di filamenti colorabili in vivo col verde Janus, luminosi in campo oscuro, ma visibili anche a luce trasmessa, perché più refrangenti della sostanza fondamentale omogenea fluida, in cui sono sospesi. Sono questi i condriosomi di grandezza e di numero variabilissimo nei varî tipi cellulari (figg. 19, 33) e anche in una stessa cellula a brevi intervalli di tempo. Il fatto nuovo che le ricerche sulle colture hanno posto in evidenza è che i condriosomi cambiano di continuo di sede e di forma, e per di più i singoli condriosomi scompaiono e si riformano rapidamente; essi non sono organuli cellulari permanenti, come si ammise per qualche tempo, bensì strutture estremamente instabili, che probabilmente sono il risultato di una gelificazione circoscritta dalla parte fondamentale del citoplasma; i movimenti attivi dei condriosomi appaiono in modo incisivo in cinematografie di colture con illuminazione in campo oscuro (R.G. Canti). In queste si vedono di continuo gli spostamenti dei condriosomi, dall'endoplasma verso l'ectoplasma e viceversa, per effetto delle correnti che percorrono il citoplasma; si vede pure che cambiano attivamente di forma condensandosi a vicenda in granuli o allungandosi; si arrivò a supporre che i condriosomi siano contrattili. Delle parti formate del citoplasma delle cellule coltivate in vitro sono molto costanti i cosiddetti vacuoli di segregazione (figg. 19, 20) e le gocce di grasso (fig. 33); gli uni e le altre sono variabilissimi in quantità e instabili e non sono neppure come i condriosomi attributi costanti delle cellule; inoltre mentre i condriosomi non sembrano variare in modo appariscente in relazione al metabolismo cellulare, i vacuoli e le gocce di grasso sono l'espressione più palese dei processi di accumulo di materiale e di escrezione.
I vacuoli hanno la proprietà di assumere in vivo colori poco tossici insolubili nei lipoidi (rosso neutro, blu trypan e altri), si trovano in tutte le cellule, sono numerosissimi nei macrofagi. Sono ritenuti prodotti del metabolismo; in macrofagi allevati in un mezzo contenente succo di embrioni sono abbondanti (fig. 19), diventano piccoli e poco colorabili in presenza di un mezzo salino (fig. 20). Probabilmente non tutti i vacuoli colorabili col rosso neutro che si formano nelle cellule hanno lo stesso significato; alcuni sono destinati a raccogliere nel loro interno un secreto, altri accumulano riserve nutritive, altri segregano sostanze non digeribili assunte dalla cellula (inchiostro di China), altri infine (che appaiono sempre nelle colture al 2° e 3° giorno) sono l'espressione di un processo regressivo (Z. Grodzinski). Però non v'è un limite netto fra le varie sorta di vacuoli; quando in un vacuolo di secrezione s'accumula inchiostro di China, diventa un vacuolo di segregazione. Le gocce di grasso (esteri di glicerina) sono quasi costanti nelle cellule della zona di migrazione delle colture; come i vacuoli, sono scarse nelle cellule emigrate di recente, aumentano con l'età della coltura, evidentemente per effetto della depressione del metabolismo. Anche la grandezza e il modo di distribuzione, e non soltanto il numero delle gocce di grasso, variano a seconda dell'età delle colture, e anche a seconda della natura della cellula; nei mioblasti del cuore le gocce sono piccole e numerose, crescono di grandezza quando la cellula invecchia, ma non in modo eccessivo; nei fibroblasti, invece, si formano subito poche gocce voluminosissime, nell'epitelio epidermico si vedono gocce minutissime alla periferia della cellula.
Riguardo alla struttura del nucleo in riposo, le osservazioni sulle cellule viventi delle colture hanno riaffermato la convinzione, che i più moderni citologi s'erano formata, sull'artificiosità delle strutture nucleari visibili nei preparati istologici. Nelle cellule viventi il contenuto nucleare ha struttura otticamente omogenea, non contiene altre parti formate all'infuori di uno o due nucleoli. I cromosomi appaiono all'inizio della mitosi, verosimilmente per gelificazione di un materiale diffuso; sembra probabile che durante l'intermitosi preesista un substrato nel quale la cromatina si concentra, formando i cromosomi; ma i mezzi di indagine non ci concedono di darne la prova obiettiva, almeno nel materiale utilizzato nelle indagini sulle colture dei tessuti.
Ameboidismo, fagocitosi e granulopessi nelle cellule in vitro. - Sappiamo che l'ameboidismo ha una parte preminente nella coltivazione dei tessuti; senza movimento ameboide le cellule non migrano dall'espianto e non si costituisce dunque la zona di accrescimento. E sappiamo pure che l'ameboidismo non ha caratteri uniformi, anzi ha peculiarità proprie nei varî tipi di cellule. I fibrociti emigrano emettendo lunghi prolungamenti, il movimento degli elementi del miocardio si manifesta con l'emissione di propaggini tozze; le cellule endoteliali dei vasi nel migrare s'allungano molto e rimangono in contatto con cellule vicine, gli epitelî presentano il movimento di massa. I monociti e le cellule istiocitarie restano sempre isolate e si spostano per l'ondeggiare di una membrana ondulante, ialina, trasparente. Le cellule in vitro sono molto adatte allo studio di processi morfologici che segnano l'assunzione di materiali liquidi e solidi; si distingue la fagocitosi (assunzione di parti solide), dalla colloidopessi (passaggio di sostanze colloidali le quali sono assunte e trasformate nel citoplasma); però non v'è un limite netto fra i due fenomeni: i fagociti hanno sempre potere colloidopessico; e la colloidopessi viene oggi considerata come l'espressione di ultramicrofagocitosi (fagocitosi di particelle ultramicroscopiche di metalli colloidali, di sostanze coloranti acide insolubili nei lipoidi, ecc.). Nei tessuti dell'organismo sono fagociti i granulociti e i macrofagi; invece nelle colture altre cellule quali i fibrociti, diventano fagociti; sembra adunque che la proprietà di fagocitare corpi estranei non sia, come si riteneva, un privilegio di determinate sorte di cellule, la differenza è di grado (W. Lewis); secondo W. Möllendorf una fibrocita diviene in vitro fagocita, perché la tensione superficiale della cellula diminuisce. Lo stesso valga per la colloidopessi; nell'organismo soltanto le cellule del tipo istiocitario assumono i colori acidi, mentre nelle colture i colori sono assunti, sebbene in minore quantità, da quasi tutte le cellule. Le cellule fagocitano nelle colture granuli di pigmento, frammenti di eritrociti, batterî, granuli di carbone e molte altre sostanze; nel citoplasma si formano vacuali intorno alle parti fagocitate, dopo qualche tempo le particelle si disgregano e sono digerite.
Persistenza dei caratteri speafici, differenziazione e sdifferenziazione delle cellule coltivate in vitro. - Nella coltivazione dei tessuti, l'architettura tipica di un organo non si mantiene: ciò apparve evidente fino dai primordî delle ricerche sulle colture; i fenomeni che si producono negli espianti ad accrescimento detto "organotipico", sono di natura diversa da quelli delle vere e proprie colture; si ha accrescimento limitato d'intere parti di un embrione, mentre nelle colture, essendo perturbata l'armonia nelle correlazioni spaziali e umorali fra i varî tessuti, si manifesta una dissociazione nell'accrescimento di essi. Ma la scomparsa dell'architettura dell'organo non implica di necessità un mutamento nei caratteri proprî delle cellule differenziate; questi non di rado si manifestano in vitro. Ciò può avvenire per due vie diverse. 1. Per differenziazione in vitro di cellule embrionali da abbozzi molto precoci: da espianti della regione dell'embrione destinata a formare il cuore si sviluppano in vitro fibre muscolari striate (Olivo, pag. 709); dal mesenchima di abbozzi di arti si forma cartilagine o osso (H. Fell), da abbozzi del sistema nervoso si differenziano in vitro neuroblasti ed essi si perfezionano ulteriormente. 2. Più frequente è l'altra eventualità: che espianti di organi già differenziati conservino in vitro i proprî caratteri strutturali e funzionali specifici e che talora raggiungano un grado di differenziazione maggiore di quello che avevano; il che fu visto in espianti di cuore, di muscoli scheletrici, di tessuto nervoso e soprattutto di epitelî. Incomparabilmente più frequente è però, dopo un certo periodo di vita in vitro, l'attenuazione e la scomparsa degli attributi strutturali e funzionali specifici delle cellule, interpretate come una sdifferenziazione, vale a dire come un ritorno a un grado meno alto di perfezione strutturale (Chr. Champy); le cellule rifarebbero a ritroso gli stadî che esse hanno percorso nella differenziazione ontogenetica, come nella rigenerazione di parti dell'organismo. A noi non sembra che i due ordini di fenomeni siano paragonabili; nelle cellule sdifferenziate dei blastemi rigenerativi persiste latente la capacità di ridifferenziazione, capacità per la quale il blastema è in grado di ricostruire gli organi perduti, mentre le cellule sdifferenziate delle colture non risulta che abbiano tale potere. Fino a oggi non è dimostrato, per es., che le cellule sdifferenziate del miocardio siano in grado di ricominciare a pulsare e che vi si possano ricostituire le miofibrille. Probabilmente l'analogia fra cellule delle colture e dell'embrione è soltanto apparente, esse differiscono per proprietà essenziali, come differiscono da qualsiasi altro elemento esistente in natura; nelle cellule delle colture il mutamento di forma, il manifestarsi di attività ameboide e proliferativa, l'imbibizione, l'espansione in superficie dipendono da mutamenti irreversibili nella permeabilità della membrana, inerenti al nuovo ambiente in cui le cellule si trovano.
Biologia delle cellule neoplastiche. - A. Carrel, R. A. Lambert, F. M. Hanes, A. Fischer, W. Lewis e altri hanno ottenuto colture anche di cellule tumorali maligne di varî animali; di cellule epiteliali del carcinoma di topo, di fibrociti, di sarcomi di ratto, di cellule del sarcoma di Rous dei polli. Alcuni di questi elementi crescono in vitro da anni (da 6 anni lo stipite del carcinoma di Ehrlich per merito di A. Fischer, fig. 34); tumori umani furono coltivati soltanto per breve tempo. Le colture conservano indefinitamente inalterata la caratteristica malignità; se la coltura é innestata a un animale sano, determina nel punto d'innesto un tumore. Si ricercò con insistenza quali cellule del tumore sono latrici della malignità; per il carcinoma, che può essere allevato in coltura pura, nessun dubbio è possibile; la malignità è legata alle cellule epiteliali; nei sarcomi dei ratti le cellule maligne sono i fibrociti; nel sarcoma di Rous cellule ameboidi simili ai macrofagi. Le cellule tumorali non hanno nelle colture caratteri citologici speciali, per cui possano essere distinte dalle cellule normali della stessa specie; le colture di carcinoma sono simili a quelle di un epitelio normale (A. Fischer). Lo stesso si può dire per i fibrociti di alcuni sarcomi. Le cellule dei carcinomi e dei sarcomi di ratto si moltiplicano per mitosi e la durata della mitosi è la stessa delle cellule normali; soltanto le cellule del sarcoma di Rous proliferano per divisione diretta. In alcuni casi le cellule tumorali hanno un numero abnorme di cromosomi; non risulta però che il fatto sia tanto costante da giustificare l'ipotesi che le anomalie della formula cromosomica siano in nesso con le proprietà delle cellule neoplastiche (Th. Boveri). Le cellule tumorali hanno in genere una durata di vita limitata, però le perdite sono compensate da attivissima divisione mitotica delle cellule sane; così si spiega l'apparente contraddizione che le mitosi siano tanto più numerose nelle colture dei tumori che nei tessuti normali, mentre l'incremento di sostanza nelle une e nelle altre è presso a poco lo stesso.
Fu detto che le cellule neoplastiche in vitro hanno speciali proprietà biologiche (utilizzano per il proprio nutrimento il siero di sangue a differenza delle cellule normali, hanno proprietà glicolitiche e proteolitiche e altre ancora), le quali però non sembra siano veramente specifiche, visto che esistono, per quanto in minor grado, anche nelle cellule normali, e visto che esse non sono comuni a tutte le cellule tumorali, ma sono proprie soltanto ad alcune specie di queste. Fino a oggi non risulta che vi sia neppure una differenza qualitativa importante fra cellule tumorali e normali; le differenze sono soltanto d'ordine quantitativo (A. Fischer). In casi singoli si dimostrò che cellule normali coltivate in vitro possono trasformarsi in neoplastiche; ciò fu dimostrato con certezza per il virus filtrabile del sarcoma di Rous, l'aggiunta del quale a una coltura di macrofagi determina la trasformazione in vitro in cellule sarcomatose; se queste sono innestate in un animale normale vi producono un tumore.
Azioni reciproche fra cellule e batterî nelle colture dei tessuti. I virus filtrabili. - La più gran parte dei batterî, e più degli altri quelli della putrefazione, danneggiano gli espianti in vitro fino dalle prime ore di vita; se i batterî contenuti nella coltura sono all'inizio dell'incubazione scarsi, si può avere per 24 ore e più migrazione e anche accrescimento, ma con il moltiplicarsi dei batterî nella coltura, le cellule regrediscono ben presto. Però vi sono alcuni batterî patogeni per l'uomo e per gli animali (della tubercolosi umana e aviaria, del tifo, ecc.) che, pur accrescendosi rigogliosamente, non danneggiano le cellule in modo tale da ostacolare la migrazione e la riproduzione. A. Fischer coltivò per un anno cellule del sarcoma di Rous del pollo con bacilli della tubercolosi aviaria. A. Maximow coltivò bacilli tubercolari umani con noduli linfoidi e con connettivo di coniglio; vide formarsi gli elementi tipici del processo tubercolare; cellule epitelioidi e giganti. I bacilli sono fagocitati in scarso numero dai fibrociti, in prevalenza dalle cellule del reticolo del tessuto linfoide; esse si trasformano in cellule epitelioidi, le quali alla loro volta si possono unire formando le caratteristiche cellule giganti di Langhans. Anche se, come non di rado accade, le cellule sono stracariche di bacilli, non regrediscono; i bacilli fagocitati si disgregano nel citoplasma. Quando una cellula si divide, i bacilli sono trasmessi in numero eguale alle due cellule figlie. Se i bacilli del tifo abbiano azione dannosa sulle cellule delle colture, è controverso. Secondo D. T. Smyth non sarebbero per nulla dannosi; W. Lewis avrebbe visto formarsi nelle cellule che hanno assunto bacilli dei vacuoli, nell'interno dei quali i bacilli si muovono di continuo e finiscono con l'essere digeriti. La fagocitosi di bacilli sarebbe un fenomeno accidentale; quando arrivano in contatto con la cellula diventano immobili e sono attratti a poco a poco nell'interno del citoplasma (D. T. Smith, H. S. Willis e W. Lewis), A. Maximov lo contesta; nella fagocitosi avrebbe molta parte la proprietà della superficie della cellula e la sua attività ameboide. Anche il bacillo della difterite, il Bact. coli, il bacillo radicola, il micrococco aureo, la Spirochøta gallinarum, il Treponema pallidum furono coltivati in vitro insieme con le cellule; quest'ultimo fu coltivato da tessuto sifilitico di coniglio; dopo 9 giorni il treponema perdette la virulenza e la vitalità. Insistenti tentativi furono rivolti a rintracciare col metodo delle colture l'agente del tifo esantematico; la virulenza dopo alcuni giorni di coltivazione sembra attenuarsi alquanto; che la Ricktesia sia veramente l'agente di questa malattia non risulta dimostrato.
Molti virus filtrabili furono studiati in colture in vitro: quello del vaccino, della poliomielite, della rabbia, dell'encefalite; sembra che la persistenza della virulenza di alcuni agenti filtrabili sia in dipendenza con la persistenza della vita delle cellule.
Ricerche sull'immunità e sull'anafilassi. - Fino dal primo periodo degli studî sulle colture fu dimostrata la produzione di anticorpi capaci di inattivare gli antigeni da parte di cellule isolate dall'organismo.
A. Carrel e R. Ingebrigtsen coltivarono noduli linfatici e midollo osseo di cavia in plasma della stessa specie con aggiunta di un antigene di eritrociti lavati di capra, i quali non sono emolizzati dal siero di sangue di cavia; dopo 4 giorni il liquido che si raccoglieva nella coltura emolizzava gli eritrociti di capra, mentre il siero delle colture di controllo era inattivo. Le emolisine possono dunque prodursi in vitro. Le reazioni immunitarie sono dunque fenomeni cellulari, indipendenti dall'organismo. Anche il fenomeno anafilattico si manifesta in cellule coltivate in vitro. E. Sereni e L. Garofolini dimostrarono che colture di milza ottenute da polli sensibilizzati al siero di cavallo conservano sino al 3° trapianto il potere di reagire a dosi minime di siero di cavallo con shock anafilattico, segnalato dalla brusca morte delle cellule. Gli autori ritengono che nell'anafilassi la quale si manifesta nell'organismo, la formazione degli anticorpi spetti agli organi ematopoietici; gli anticorpi in eccesso penetrerebbero in circolo e sarebbero in un secondo tempo assorbiti dagli altri tessuti, in modo così completo che gli anticorpi stessi potrebbero essere del tutto sottratti dal sangue circolante.
Bibl.: R. Harrison, The growth of the nerve fibers as a mode of protoplasmic movement, in J. of ex. Zool., IX (1911), pp. 787-848, id., On the stereotropism of embryonic cells, in Science, XXXIV (1911), pp. 279-81; A. Carrel, Pure culture of cells, in J. of exper. Med., XVI (1912), pp. 165-168; R. Harrison, The life of tissues: the organism from the embryological standpoint, in Trans. Congr. Amer. Phys. a. Surg., IX (1913), pp. 65-76; Cr. Champy, Quelques résultats de la méthode de culture des tissus. I, Généralités. II, Le muscle lisse, in Arch. de Zool. expér. et gén., LIII (1914), pp. 42-51; A. Carrel, Age and multiplication of fibroblasts, in J. of exper. Med., XXXIV (1921), pp. 599-623; T. S. P. Strangeways, Tissue culture in relation to growth and differentiation, Cambridge 1924; W. H. Lewis e M. R. Lewis, Behavior of cells in tissue cultures, in Gen. Cytology, Chicago 1925; A. Carrel, The fundamental properties of the fibroblasts and the macrophages. The Fibroblasts, in J. of exper. Med., XLIV (1926); O. M. Olivo e E. Delorenzi, Sulla durata dell'intercinesi nelle cellule coltivate in vitro, in Atti R. Accad. dei Lincei, VII (1928), pp. 936-38; O. M. Olivo, Über die frühzeitige Determinierung der Herzanlage deren histologische und physiologische Differenzierung in vitro, in Verh. Anat. Ges., LXVI (1928), pp. 108-118; B. Erdmann, Praktikum der Gewebepflege oder Explantation besonders der Gewebezüchtung, 2a ed., Berlino 1930; A. Fischer, Gewebezüchtung, Monaco 1930; B. Ephrussi, La culture des tissus, Parigi 1932; O. M. Olivo, Ricerche sulla velocità di accrescimento delle cellule e degli organi, III, Coefficiente mitotico dell'accrescimento, distribuzione topografica e cronologica della mitosi e durata dell'inercinesi, nella zona di migrazione diretta, in Arch. exper. Zellforschung, XIII (1932), pp. 221-57; A. Fischer, M. Fischer e A. Hollmann, Der gegenwärtige Zustand eines 6 Jahre alten Carcinomstammes in vitro, in Z. Krebsforsch., XXXIX (1933), pp. 1-4; G. Levi, Explantation, besonders die Struktur und die biologische Eigenschaften der in vitro gezüchteten Zellen und Gewebe, in Ergebn. d. Anat. u. Entwicklung, XXXI (1934), pp. 125-708.
Tessuti vegetali.
I vegetali più semplici, come molti Batterî e Alghe, hanno il corpo unicellulare. Ma già negli stessi Batterî, come anche nelle Alghe; esistono numerose specie il cui corpo è fatto di poche o molte cellule riunite in un aggregato, nel quale esse godono di una grande indipendenza, perché a un dato momento possono isolarsi e diventare libere. A questa riunione cellulare si dà il nome di colonia o famiglia (Streptococcus, Sarcina, Spondilomorum, Gonium, ecc.). Nelle Embriofite (Muschi, Felci, Fanerogame), come anche in molte Alghe, specialmente del gruppo delle Feoficee, il corpo risulta di tessuti, ossia di aggregati cellulari permanenti nei quali le cellule, indissolubilmente legate fra loro, formano un complesso organico non soltanto morfologico, ma anche fisiologico, in quanto gli elementi, generalmente tutti simili fra loro, compiono anche una medesima funzione. La mutua dipendenza delle cellule nei tessuti è resa manifesta dai collegamenti protoplasmatici (plasmodesmi) che attraversano le membrane divisorie, specialmente in corrispondenza delle punteggiature, e dall'incapacità delle cellule stesse, al contrario di quelle delle colonie, di dividersi e moltiplicarsi, se vengono isolate, anche impiegando i più delicati artifici della tecnica. Malgrado le sopraindicate differenze, una netta distinzione fra le due sorta di aggregati cellulari, colonie e tessuti, non è facile stabilire, esistendo numerosi gradi intermedî fra gli uni e gli altri; cosicché si può ritenere che i tessuti non rappresentino che il grado più perfetto di riunione cellulare.
Sebbene i tessuti si mostrino già nelle Alghe, essi raggiungono la maggiore differenziazione nelle piante vascolari (Pteridofite, Fanerogame), cosi dette perché nel loro corpo si stabilisce uno speciale sistema conduttore per il rapido trasporto degli alimenti. Prendendo a considerare in particolar modo queste piante, i tessuti derivano inizialmente dallo zigoto, che per ripetute segmentazioni dà origine all'embrione. Questo è occupato da tessuti che, per la capacità dei loro elementi di dividersi ripetutamente, furono detti meristematici o anche formativi, in opposizione ai tessuti definitivi o adulti che da essi provengono. Quando, infatti, l'embrione si svolge in una nuova pianta, il caule, le foglie e le radici dopo un certo tempo raggiungono lo stato adulto e sono costituiti da tessuti definitivi primari, mentre i tessuti meristematici, che prima occupavano l'intero embrione, si localizzano negli apici vegetativi, suscettibili di ulteriore accrescimento. Essendo i meristemi apicali molto delicati e facilmente danneggiabili dagli agenti esterni, l'apice caulinare viene protetto dalle giovani foglie, che insieme con esso formano la gemma, l'apice radicale invece da una sorta di cappuccio detto caliptra o pileoriza. Gli apici vegetativi rappresentano i focolai di formazione delle nuove cellule, le quali a mano a mano che se ne allontanano cessano di dividersi, aumentano di volume, raggiungono le dimensioni e la forma definitive e concorrono in tal modo all'accrescimento dell'organo cui appartengono.
In molte piante, specie nelle legnose, a questo accrescimento, che proviene direttamente dalla differenziazione dei meristemi apicali e determina la struttura primaria del caule, della foglia e della radice, succede un nuovo accrescimento, talvolta scarso, talvolta molto considerevole, come nei grandi alberi, dovuto all'attività di meristemi intercalari (v. istologia: Istologia vegetale), le cellule dei quali dividendosi continuamente originano tessuti definitivi secondarî e quindi la struttura secondaria dei diversi organi. Si distinguono i tessuti secondarî da quelli primarî per il particolare ordinamento dei loro elementi in serie radiali, determinato dalla divisione delle cellule meristematiche prevalentemente in senso parallelo alla superficie dell'organo. Tale ordinamento è manifesto nei tessuti del legno e della corteccia secondaria, e nel tessuto sugheroso, prodotti rispettivamente dal cambio (v.) e dal fellogeno (v.), che sono i meristemi intercalari più importanti.
I tessuti definitivi, a completo sviluppo, constano generalmente di cellule vive, sebbene non manchino esempî di tessuti morti, come il tessuto vascolare, il sugheroso, spesso lo sclerenchimatico e talvolta il parenchimatico, cui tuttavia spettano uffici molto importanti, quali la conduzione dell'acqua, il sostegno, la protezione dai fattori ambientali avversi, ecc.
Circa la loro costituzione, i tessuti definitivi sono omomorfi se sono fatti di cellule tutte simili, eteromorfi se fra le cellule ordinarie sono sparsi elementi speciali per struttura, contenuto e funzione, che prendono il nome di idioblasti.
Secondo la forma dei loro elementi, i tessuti definitivi si possono distinguere in cellulari e fibrosi. I primi risultano di cellule tanto lunghe quanto larghe, oppure più lunghe che larghe, ma sempre terminate da pareti orizzontali; i secondi invece, essendo costituiti di elementi allungati e assottigliati alle due estremità (fibre), si giustappongono e non si sovrappongono. I primi sono adibiti alle più varie funzioni, i secondi invece hanno un ufficio prevalentemente meccanico o anche di trasporto dell'acqua (es., tessuto tracheidico del legno delle Conifere).
Sistemi di tessuti - I tessuti definitivi si riuniscono a formare sistemi di tessuti che sono: il cutaneo, il vascolare e il fondamentale.
Sistema cutaneo. - Il sistema cutaneo primario, proprio degli organi giovani, è rappresentato dall'epidermide. Il tessuto epidermico è fatto di cellule vive, a stretto contatto fra loro, con la membrana esterna, nelle parti aeree (caule e foglia), rivestita di cuticola sottile o spessa, secondo l'ambiente in cui la pianta vive, giacché essendo la cuticola, per la sua speciale natura chimica, scarsamente permeabile all'acqua e ai gas, specialmente quando è secca, costituisce un efficace mezzo di difesa contro una soverchia perdita d'acqua per traspirazione e anche contro i rapidi sbalzi di temperatura. Una cuticola di notevole spessore, cui si aggiungono spesso alcuni strati sottostanti cutinizzati, si trova nelle piante di luoghi aridi, come le piante grasse e le sempreverdi della regione mediterranea (mirto, lentisco, lauro, ecc.), dette anche sclerofille per le foglie rigide, coriacee, lucenti, proprietà dovute in parte alla spessa cuticola. Nelle piante acquatiche sommerse, invece, la cuticola è lievissima e la ragione è ovvia, perché in esse l'assorbimento si compie per tutta la superficie del corpo. Sull'epidermide di molte piante oltre alla cuticola si deposita della cera, in forma varia, costituendo un rivestimento che conferisce alle varie parti un colore verde glauco caratteristico. La cera coadiuva la cuticola nella sua funzione protettiva e serve anche ad allontanare l'acqua che venga a cadere sulla superficie delle foglie. Alcune piante deserticole mostrano al disopra della cuticola incrostazioni di sali igroscopici, il cui significato è ancora controverso, sebbene debba essere in relazione con l'approvvigionamento idrico di queste piante. Frequenti sono nelle membrane delle cellule epidermiche di numerose piante le infiltrazioni di sostanze diverse: silice, carbonato e ossalato di calcio; negli Equiseti e nelle Graminacee la quantità di silice è tale che, arroventando un frammento di epidermide sopra una lamina metallica viene distrutta tutta la parte organica e rimane la silice a riprodurre tutti i particolari di struttura.
L'epidermide proviene dallo strato più esterno dei tessuti meristematici apicali, detto perciò dermatogeno, le cellule del quale si dividono unicamente mediante pareti perpendicolari alla superficie (anticline). Non mancano però esempî di piante in cui le cellule del dermatogeno subiscono anche divisioni parallele alla superficie (pericline), dando origine a un'epidermide di più strati. Nelle foglie di varie specie di Begonia, di Peperomia, ecc., le cellule dell'epidermide stratificata assumono la funzione di riserva d'acqua. Le cellule epidermiche sono di regola prive di cloroplasti, quindi il colore verde dei giovani cauli e delle foglie è dovuto ai tessuti sottostanti; fanno eccezione le cellule epidermiche delle foglie delle piante acquatiche sommerse, delle felci e di alcune altre rare piante terrestri crescenti in luoghi molto ombrosi.
L'epidermide delle parti aeree è provvista di stomi, che con le loro minuscole aperture permettono gli scambî gassosi fra l'interno della pianta e l'ambiente. Al contrario delle altre cellule epidermiche, quelle stomatiche sono fornite di cloroplasti, ciò che riesce di particolare vantaggio per la funzione degli stomi perché, essendo essi capaci in presenza della luce di fabbricare zucchero e condensarlo in amido, possono anche regolare il loro turgore e quindi l'apertura del dotto stomatico, facilitando, attenuando o addirittura sopprimendo il processo di traspirazione, secondo la necessità della pianta. Alla piccolezza dei dotti stomatici supplisce il numero degli stomi. Si è calcolato che nelle foglie di alcune piante gli stomi arrivano a 500 per mmq., perciò si può immaginare l'epidermide come una membrana quasi impermeabile, per la presenza della cuticola, crivellata però da un numero considerevole di forellini microscopici. Attraverso una membrana così fatta il vapore acqueo può diffondere con grande facilità, quasi come se le cellule traspiranti dei tessuti interni fossero allo scoperto, con questo vantaggio, però, che quando gl'innumerevoli fori si restringono o si chiudono, la traspirazione è limitata o arrestata. Gli stomi sono in maggiore quantità nelle foglie che nel caule e in quelle ordinariamente localizzati sulla pagina inferiore, eccezionalmente invece sulla pagina superiore, come in alcune Graminacee di luoghi steppici e nelle foglie galleggianti di piante acquatiche; in molte altre piante gli stomi sono sparsi su tutt'e due le pagine fogliari (pisello, girasole, cavolo, ecc.).
Dipendenze frequenti dell'epidermide, oltre agli stomi, sono i peli o tricomi, di diversissima forma e struttura e con funzioni diverse. Si possono citare fra gli altri esempî i peli aggrappanti del luppolo e della robbia che permettono all'esile caule di queste piante di attaccarsi ai sostegni per reggersi e sollevarsi; i peli ghiandolari che secernono mucillagini, olî essenziali, sostanze irritanti varie; i peli assorbenti, fra i quali caratteristici quelli squamosi delle Bromeliacee che permettono ad alcune specie (Tillandsia usneoides, ecc.), assorbendo acqua di pioggia o di rugiada con le scarse sostanze minerali in essa disciolte, di vivere senz'alcun contatto col terreno, sospese ai rami di altre piante e perfino ai fili metallici; i peli tattili esistenti sugli stami di varie piante; le setole sensibili della lamina fogliare della Dionaea muscipula, ecc.
Nella radice l'epidermide esiste soltanto nella regione di assorbimento, mentre al di là di tale zona essa cade ed è sostituita dallo strato della corteccia immediatamente sottostante, detto esoderma. L'epidermide radicale, essendo adibita alla sola funzione dell'assorbimento della soluzione acquosa nutritizia del terreno, mostra caratteristiche diverse da quella delle parti aeree, cioè è priva di cuticola e di stomi, mentre è fornita di numerosi peli con membrana molto sottile (peli radicali) per aumentare la superficie assorbente. Per questi suoi caratteri speciali l'epidermide radicale è anche indicata col nome di epiblema.
Quando, col crescere dell'età e dello spessore della pianta, l'epidermide si rompe e si desquama, ad essa si sostituisce il sughero, sistema cutaneo secondario. Il tessuto sugheroso, costituito di cellule morte, strettamente riunite fra loro, senza spazî intercellulari e con membrane suberificate è un tessuto definitivo secondario, dovuto all'attività del fellogeno. Essendo il tessuto sugheroso impermeabile ai gas e ai vapori, il fellogeno provvede alla funzione degli scambî gassosi con la produzione delle lenticelle, apparecchi speciali, paragonabili per il loro ufficio agli stomi.
Sistema vascolare. - Questo sistema risulta di tutto il complesso dei fasci vascolari che attraverso le radici, il caule e i suoi rami giunge nelle foglie irrorando tutta la pianta. Nelle foglie i fasci, ramificandosi abbondantemente, formano un fitto reticolo, i cui ultimi ramuscoli si anastomizzano fra loro o terminano a fondo cieco nel parenchima fondamentale.
Il fine reticolo vascolare riesce ben evidente in alcune foglie guardando la pagina inferiore; in altre, più sottili, per trasparenza.
Il sistema vascolare ha una doppia funzione, quella del sostegno, perché forma come una sorta d'impalcatura nell'organo cui appartiene, e quella principale della conduzione sia dell'acqua del terreno con i sali nutritizî in essa disciolti, sia delle sostanze organiche elaborate nei processi di sintesi. Perciò alla sua costituzione prendono parte anzitutto quegli elementi e quegli apparecchi specialmente adatti a tale scopo, come le tracheidi e le trachee per il trasporto dell'acqua, i tubi cribrosi per il trasporto delle sostanze proteiche, cui si associano secondariamente tessuti parenchimatici (parenchima vascolare e parenchima cribroso) coadiuvanti anch'essi il trasporto, e tessuti meccanici di rinforzo.
La struttura dei fasci vascolari varia secondo le piante e le parti di una stessa pianta. Nelle radici esistono fasci semplici, formati soltanto di tubi cribrosi o soltanto di tracheidi e trachee. Nel caule e nelle foglie i fasci sono di regola composti o cribro-vascolari, perché fatti di due porzioni distinte, la cribrosa, detta anche floema, e la vascolare o legnosa, detta anche xilema. Le due porzioni, potendo assumere posizione reciproca differente, generano tipi differenti di fasci composti, di cui il più frequente è il collaterale, così detto perché le due porzioni vengono a contatto per un lato, si giustappongono. Nelle Cucurbitacee e in altre poche famiglie di Dicotiledoni i fasci sono bicollaterali per il fatto che a una porzione vascolare comune si addossano due porzioni cribrose da due lati opposti. Nei rizomi di molte Monocotiledoni (mughetto, giaggiolo, ecc.) si riscontra un terzo tipo di fascio composto, il concentrico, nel quale la la porzione cribrosa è circondata dalla porzione vascolare. Fasci concentrici, sebbene alquanto diversi dai precedenti, si trovano nella struttura secondaria del caule delle Gigliacee arborescenti. Nei fasci composti collaterali di solito la struttura si complica per l'aggiunta di tessuti di sostegno che formano dal lato della porzione cribrosa o anche dal lato della porzione vascolare una guaina meccanica, interrotta in questo secondo caso soltanto al limite fra le due porzioni.
Circa l'origine dei fasci vascolari, essi provengono dalla differenziazione dei cordoni procambiali o desmogenici, aggruppamenti di cellule meristematiche lunghe e sottili che si formano in seno ai meristemi apicali, nella regione centrale detta pleroma (v istologia: Istologia vegetale). Considerando lo sviluppo di un fascio collaterale, la differenziazione degli elementi nel cordone desmogenico procede da due poli opposti, in senso centrifugo per la porzione vascolare, in senso centripeto per quella cribrosa. Se la differenziazione è completa e le due porzioni vengono a contatto, il fascio si dice chiuso, se invece persiste fra le due porzioni una zona allo stato meristematico, il fascio si dice aperto. Il primo tipo è proprio delle Monocotiledoni, il secondo delle Dicotiledoni e delle Gimnosperme. Gli elementi prodotti per i primi in corrispondenza del polo vascolare sono lunghe tracheidi con ispessimenti anulari o spiralati, capaci di permettere alle parti in via di sviluppo di compiere il loro accrescimento longitudinale. In complesso esse formano il protoxilema o legno primitivo, il quale a completa formazione del fascio viene schiacciato dai tessuti circostanti e sostituito dal metaxilema risultante di tracheidi e di trachee con lume più ampio e con ispessimenti delle membrane più fitti, spiralati, reticolati, punteggiati, areolati. Parimenti al polo cribroso si originano prima sottili tubi cribrosi costituenti il protofloema, che viene schiacciato e rimpiazzato dal metafloema a tubi cribrosi più ampî.
I fasci collaterali chiusi non sono suscettibili di ulteriore sviluppo; in quelli aperti invece la zona meristematica, detta cambio intrafasciale, prolifera su tutti e due i lati producendo elementi di legno secondario o deuteroxilema sul lato interno, elementi della corteccia secondaria o deuterofloema sul lato esterno. Per tale attività del cambio intrafasciale il caule delle piante legnose può raggiungere un notevole spessore.
Sistema fondamentale. - Questo sistema, che riempie lo spazio fra i due precedenti, è il più eterogeneo di tutti, essendo adibito a molteplici funzioni, principalmente a quelle molto complicate del metabolismo e quindi al deposito dei prodotti principali e secondarî del ricambio, inoltre alla funzione degli scambî gassosi e alla funzione meccanica. Per queste ragioni varî tessuti partecipano alla sua costituzione. Anzitutto il parenchima, vero tessuto di riempimento, risultante di cellule ordinariamente vive, di forma sferica, ellissoidale, cilindrica, prismatica, secondo i casi, e con membrane poco ispessite, punteggiate, di natura cellulosopectica, talvolta anche lignificate. Gli aspetti che assume il parenchima variano secondo le funzioni cui esso è adibito. Nei giovani cauli verso la periferia e soprattutto nelle foglie si origina un parenchima verde o clorenchima ricco nelle sue cellule di cloroplasti, in cui si compie la funzione della fotosintesi. Il parenchima aereatore o aerenchima, sviluppato in modo particolare nelle piante acquatiche e palustri per accumulare aria a disposizione dei tessuti più profondi, è caratterizzato dalla presenza di intercellulari o di lacune talora molto ampie, separate da sottili tramezzi di cellule, e disposte ordinariamente con molta regolarità in seri- longitudinali, come nei piccioli di Pontederia, nei cauli di Myriophyllum e di Hippuris, ecc. I parenchimi di riserva, frequenti nei tuberi, nei rizomi, nei bulbi, nei semi, accumulano nelle loro cellule e spesso anche nelle membrane quantità considerevoli di sostanze carboidrate (glucosio, amido, saccarosio, inulina, mannane, galattane), grassi, sostanze proteiche diverse. A questa categoria si possono ascrivere anche i parenchimi con riserva d'acqua, proprî di quelle piante che periodicamente o perennemente vengono a trovarsi in condizioni difficili per il loro approvvigionamento d'acqua (piante grasse). Nei parenchimi secretori si aprono canali, saccocce, lacune di varia ampiezza per accogliere prodotti di secrezioni diverse. I canali resiniferi delle Conifere si riempiono di una oleoresina, la trementina; i canali delle Ombrellifere e delle Araliacee, le lacune delle foglie e dei frutti di agrumi accolgono olî essenziali diversi: le tasche mucipare delle Malvacee accumulano mucillagini, ecc.
Fanno parte infine del sistema fondamentale il collenchima e lo sclerenchima, i quali per la forma dei loro elementi fanno parte ora dei tessuti cellulari, ora dei tessuti fibrosi. Il collenchima, costituito di elementi vivi, a stretto contatto fra loro e con le membrane ispessite negli angoli, è un tessuto meccanico molto elastico, proprio degli organi erbacei in cui si sviluppa al disotto dell'epidermide. Lo sclerenchima, invece, risultante di elementi con pareti di solito molto ispessite e generalmente lignificate, vivi o più spesso morti, strettamente uniti fra loro, è un tessuto poco elastico e forma ipodermi sclerenchimatici, come nelle foglie rigide delle Gimnosperme e di molte Monocotiledoni, guaine meccaniche nei fasci vascolari, lamine o cordoni di sostegno sparsi nei tessuti molli delle cortecce e nel parenchima delle foglie.
Bibl.: Gola-Negri-Cappelletti, Trattato di Botanica, Torino 1936; E. Strasburger, Trattato di botanica, Milano 1928; G. Bonnier, Cours de Botanique, Parigi 1900; H. Molisch, Anatomie der Pflanzen, Jena 1936; G. Haberlandt, Die physiologische Pflanzenanatomie, ivi 1924.