Teseo
Mitico eroe antico, celebrato per la forza e per il coraggio. Figlio del re di Atene Egeo ma cresciuto da Chirone senza nulla sapere del padre, recatosi ad Atene T. sfuggì per una fortunosa agnizione al veleno approntatogli da Egeo su istigazione della nuova moglie Medea (cfr. Met. VII 404-455).
I mitografi e i poeti antichi narrano numerose imprese dell'eroe contro predoni di strada (tra gli altri, Perifete, Scirone, Procuste; cfr. Met. VII 433-450) e lo vogliono altresì partecipe alla spedizione degli Argonauti, alla caccia al cinghiale calidonio (cfr. Met. VIII 260 ss.) e alla guerra che Ercole portò alle Amazzoni (la cui regina Ippolita avrebbe poi dato a T. un figlio, Ippolito). T. fu legato di stretta amicizia al re dei Lapiti Piritoo, desideroso di sposare una figlia di Giove: lo aiutò perciò dapprima a rapire Elena (liberata subito dopo dai Dioscuri) e poi lo accompagnò nell'Averno, nel tentativo di impadronirsi di Proserpina: ma l'impresa fallì, e Plutone condannò T. a rimanere nel mondo dei morti seduto sopra una pietra, finché fu liberato da Ercole, che nell'occasione strascinò in catene fuori del baratro Cerbero (cfr. Aen. VI 122, 392-397, 618). Infine, intervenuto alle nozze di Piritoo con Ippodamia, combatté con i Lapiti contro i Centauri che, ebbri di vino, si erano dati ad atti violenti (cfr. Met. XII 210-535).
Il nome di T. è però legato soprattutto all'uccisione del Minotauro: Atene, allora tributaria di Minosse, doveva inviare in Creta ogni anno sette giovani e sette fanciulle, che venivano immolati al mostro rinchiuso nel labirinto; T., il cui nome era stato sorteggiato tra gli sventurati, uccise il Minotauro ritrovando quindi l'uscita per l'aiuto di Arianna, figlia di Minosse e di Pasifae (e dunque sorellastra del mostro), innamoratasi di lui. Durante il viaggio di ritorno T., invaghitosi della più giovane sorella di lei, Fedra, abbandonò Arianna nell'isola di Nasso (cfr. Met. VIII 169-176). All'arrivo ad Atene dimenticò di far mutare alla nave le nere vele di lutto, ed Egeo, ritenendo perciò il figlio perito nell'impresa, per il dolore si precipitò in mare. Durante il regno di T. Atene godette di un lungo periodo di pace e di prosperità (trascinato dalle false accuse di Fedra, T. condannò all'esilio anche il figlio Ippolito, come D. ricorda in Pd XVII 46-47, sulla scorta di Met. XV 497-505). T. contribuì altresì a por fine alla sanguinosa guerra dei Sette contro Tebe (cfr. Theb. XII 519 ss.: dov'è in forte rilievo l'intervento di T. che riporta finalmente la pace); gli venne anche attribuita l'istituzione delle Panatenee e dei giochi Istmici. Secondo alcuni mitografi, il trono gli sarebbe poi stato tolto da Menesteo: e T., maledetti gli Ateniesi, sarebbe morto violentemente a Sciro.
La cultura medievale ravvisò nei mostri mitologici vinti da T. emanazioni diaboliche. E tra i demoni dell'Inferno dantesco sono, appunto, il Minotauro e i Centauri: all'infamia di Creti in preda a ira furiosa Virgilio rinfaccia la morte violenta subita per mano del duca d'Atene (If XII 16-20 Forse / tu credi che qui sia 'l duca d'Atene, / che sù nel mondo la morte ti porse? / Pàrtiti, bestia, ché questi non vene / ammaestrato da la tua sorella: cfr. Met. VIII 169-173. Si noti il titolo di duca, suggerito anacronisticamente a D. dall'allora esistente ducato franco di Atene); mentre tra gli esempi di gola punita gridati nella sesta cornice purgatoriale è menzionato il comportamento dei maladetti Centauri alle nozze di Piritoo (Pg XXIV 121-123 " Ricordivi ", dicea, " d'i maladetti / nei nuvoli formati, che, satolli, / Tesëo combatter co' doppi petti... "; cfr.Met. XII 210-535).
Sulla spinta dell'asserita opposizione di T. alle forze diaboliche, esaltata altresì dall'aureola di giustizia e di equanimità attribuita al suo regno, l'esegetica medievale suggerì la pseudo-etimologia theos eu, " il buon Dio ": e dunque non di rado T. è indicato come ‛ figura Dei ' (in particolare, è stata sottolineata l'importanza che tale chiave interpretativa assume rispetto alla Tebaide di Stazio alla luce del commento pseudo-fulgenziano edito, tra gli altri scritti di Fulgenzio, da R. Helm, Lipsia 1898). Di ciò occorre tener conto per bene intendere il rammarico delle Furie dantesche, le quali, adirate contro il vivo che intende penetrare nella città di Dite, recriminano: Mal non vengiammo in Tesëo l'assalto! (If IX 54), cioè - come suggeriscono anche i commentatori trecenteschi - " abbiamo fatto male a non vendicarci contro Teseo per la violazione, che egli fece, del regno infernale ". In realtà, secondo il mito antico, T. fu vinto e dovette essere liberato da Ercole. Occorre però avvertire che l'episodio della discesa agli Inferi di T., Piritoo ed Ercole è raccontato nelle chiose medievali secondo varianti le più diverse (non esclusa quella che proclamava la vittoria dell'eroe sull'Inferno e su Cerbero). Una cosa pare certa: quel ricordo della discesa agl'Inferi di T. vuol alludere, per linguaggio figurale (O voi ch'avete li 'ntelletti sani, v. 61), ad altra, decisiva, violazione del mondo sotterraneo, quella operata da Cristo, che sancì la più rovinosa sconfitta per le forze del Male, e che non a caso è stata proprio ricordata poco prima da Virgilio (If VIII 124-126 Questa lor tracotanza non è nova; / ché già l'usaro a men segreta porta, / la qual sanza serrame ancor si trova). E T. ‛ figura Christi ' non poteva non riuscire comunque vincitore nello scontro con l'Inferno, come ricorda, a maggior dolore e scorno dei demoni, il Messo: Cerbero vostro, se ben vi ricorda, / ne porta ancor pelato il mento e 'l gozzo (IX 98-99).
Bibl. - G. Padoan, Il mito di T. e il cristianesimo di Stazio, in " Lettere Ital. " XI (1959) 432-457; ID., Il canto XXI del Purgatorio, in Nuove lett. IV 348-350.