TERZINA
. Metrica. - Elemento della seconda parte del sonetto (v.), ma, usata da sola, è la strofe gloriosa della Divina Commedia, composta di tre versi endecasillabi col primo e terzo rimati fra loro e il secondo che dà la rima al primo e al terzo della strofe seguente, finché la serie si chiude con un verso che rima col secondo dell'ultima strofe (ABA BCB... YZY Z).
È difficile chiarire bene la genesi di questo metro, usato la prima volta da Dante, perché nella sua formazione ebbe grande parte il genio del poeta fiorentino. Tuttavia tra le opinioni espresse, che vorrebbero scoprire il segreto, è comunemente accolta e ha anche una tradizione che risale agli antichi trattatisti, quella che fa nascere la terzina dal serventese tetrastico (AAA b, BBB c, CCC d, ecc.) formato di tre endecasillabi monorimi più un quinario ehe dà la rima alla strofa seguente. Dante avrebbe soppresso il quinario e dato la funzione di esso al secondo endecasillabo. Questa ipotesi (che non esclude che Dante, nella sua invenzione, avesse presenti le terzine del sonetto) è certo attraente, se si considera quanto geniale sarebbe la trovata che con piccole modificazioni consegue notevoli effetti: togliere la monotonia di tre consonanze consecutive e allacciare la serie delle strofe in un ritmo continuo più agile: delle strofe ternarie. Esse contribuiscono non soltanto al rilievo del simbolo nel numero tre (strofe di tre versi, rima ripetuta tre volte) che domina nell'opera, ma anche e sopra tutto a quell'armonia di linee che è tanta parte della costruzione del Poema. Nella terzina Dante impresse siffattamente i segni stilistici delle sue espressioni, che essa fu detta (ed è rimasta sempre, nella poesia italiana, con questo appellativo) dantesca. Dopo Dante fu adoperata (fatta eccezione per Cecco d'Ascoli) da chi compose poemi allegorici, come il Boccaccio nell'Amorosa visione, il Petrarca nei Trionfi, l'Uberti e il Frezzi rispettivamente nel Dittamondo e nel Quadriregio, Matteo Palmieri nella Città di Vita, il Machiavelli nell'Asino d'oro; e insieme con essi, cronisti e storici dal Tre al Cinquecento fino al Machiavelli stesso nei due Decennali. Nei secoli XVI e XVII, nella poesia narrativa ebbe il sopravvento l'ottava rima e nel sec. XVIII il verso sciolto; ma nella seconda metà del Settecento la terzina dantesca fu rinnovata, ricongiungendosi, anche per altri aspetti, a Dante, dal Varano nelle Visioni e meglio ancora dal Monti in alcune delle sue Cantiche, per le quali fu salutato Dante redivivo.
Le terzine in serie pari al canto dantesco furono adoperate anche in componimenti lirici, e poiché nei manoscritti del poema di Dante i canti avevano il titolo latino capitulum, questo rimase ai componimenti della medesima struttura metrica; e così si ebbe il capitolo ternario detto anche semplicemente ternario. Capitoli ternarî di tono elegiaco scrissero l'Ariosto e altri nel sec. XVI; burleschi e satirici il Berni, nello stesso secolo; di satirici poi si ha una bella serie da Antonio Vinciguerra nel sec. XV a Vittorio Alfieri nel sec. XVIII. Ma negli stessi secoli incontriamo la terzina anche in altre forme poetiche: nell'ecloga e in talune forme della drammatica.
Tra i moderni si giovarono della terzina in dolci elegie il Foscolo (Le rimembranze) e il Leopardi (Il primo amore) che ha pure un ternario satirico (I nuovi credenti). Ai nostri tempi ne diedero esempî bellissimi il Carducci nel forte Idillio maremmano, il Pascoli in molte composizioni e specialmente nei Poemetti, Giovanni Marradi nelle Rapsodie Garibaldine.
Bibl.: H. Schuchardt, Ritornell und Terzine, Halle 1875, p. 123 segg.; G. Mari, La sestina d'Arnaldo e la terzina dantesca, in Rend. Ist. lombardo, s. 2a, XXXII, p. 953 segg.; F. Flamini, in Giorn. stor. lett. ital., XXXVIII, pp. 438-39; F. D'Ovidio, Sull'origine dei versi italiani, in Versificazione italiana e arte ritmica medievale, Milano 1910, p. 215, n. 2; T. Casini, Per la genesi della terzina e della Commedia dantesca, in Miscellanea di studi storici in onore di G. Sforza, Lucca 1920, pp. 689-697; G. Carducci, Opere, VIII, p. 225.