terzietà
Terzietà e indipendenza dell’azione pubblica
Terzietà (imparzialità) e indipendenza connotano diversamente l’attività dei soggetti che esercitano le differenti funzioni pubbliche – tipicamente giurisdizionale e amministrativa – sia per quanto concerne le specifiche modalità con cui esse vengono svolte (organizzazione e azione), sia rispetto alle loro finalità. Inoltre, la crescente complessità dell’azione pubblica ha contribuito a declinare questi caratteri in forme sempre più articolate. L’indipendenza è la «libertà di agire secondo il proprio giudizio e la propria volontà senza subire condizionamenti da altri». Il rilievo di tali caratteristiche può essere esaminato per quel che riguarda la funzione giurisdizionale, quella amministrativa e anche dal punto di vista delle cosìddette autorità indipendenti.
Terzietà e indipendenza del giudice. Il giudice è pienamente terzo e indipendente. La terzietà del giudice è un fine ‘in sé’, ad assicurare il quale è volta la sua autonomia e quindi tutta l’organizzazione dell’ordinamento giudiziario. La terzietà del giudice, che non deve avere alcun interesse all’esito del procedimento, altro che l’applicazione della regola giuridica, è un principio cardine degli ordinamenti liberali. Nella Costituzione italiana, essa è imposta in particolare dalle norme che prevedono: il divieto di iniziativa processuale di ufficio (art. 24, 1° co.); la garanzia del giudice naturale (art. 25, 1° co.); l’interdizione di costituire giudici straordinari o speciali (art. 102). L’indipendenza del giudice, garantita dall’art. 101 Cost., secondo cui egli è soggetto soltanto alla legge, è requisito fondamentale per garantirne la terzietà: l’assenza di vincoli e di rapporti di soggezione formale o sostanziale nei confronti di altri organi, poteri o soggetti, appare indispensabile per assicurare che il suo giudizio non sia influenzato da indebite ingerenze, volte a far prevalere la ‘ragion di Stato’ o interessi particolari sulla serena valutazione dei diritti in gioco. L’autonomia garantita all’ordine giudiziario, che si esplica tramite l’autogoverno e le tutele a difesa del singolo giudice, sono strumentali alla sua indipendenza e terzietà. Tuttavia, quest’ultima richiede anche garanzie circa lo svolgimento del procedimento, affinché l’organizzazione dell’attività mantenga il giudice al di sopra delle parti. Ciò richiede in particolare la separazione della funzione inquirente da quella giudicante, secondo i criteri del ‘giusto processo’ contenuti nell’art. 6 della Convenzione europea sui diritti umani, che sono stati alla base della modifica dell’art. 111 della Costituzione effettuata con la l. Cost. 2/1999.
Terzietà e indipendenza della pubblica amministrazione. La pubblica amministrazione – soggetta all’indirizzo e al controllo del potere politico, che individua gli interessi pubblici rilevanti, definisce in che misura vadano perseguiti ed eventualmente ne bilancia l’applicazione – non è per sua natura indipendente, mentre ha uno specifico coinvolgimento proprio nella promozione o nella tutela delle questioni pubbliche a essa affidate. Per quel che riguarda l’operato della pubblica amministrazione, la declinazione della terzietà deve quindi essere diversa rispetto a quanto discusso per l’attività giurisdizionale. A norma dell’art. 97 della Costituzione, «i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione». La prescrizione di terzietà rappresenta allora un criterio relativo ai modi in cui l’azione amministrativa si esplica, così da assicurare che l’interesse pubblico sia perseguito in maniera efficace, imparziale rispetto ai soggetti coinvolti, e nei limiti dei poteri che la legge affida all’amministrazione.
Strumentali a tal fine sono varie caratteristiche dell’organizzazione dell’attività amministrativa, che hanno nel tempo informato l’evoluzione della pubblica amministrazione italiana: in primo luogo, la separazione al suo interno tra l’anima politica e quella amministrativa, che in ogni caso convivono, attraverso l’attribuzione alla prima della funzione di indirizzo, programmazione e controllo, e alla seconda dell’attuazione delle azioni specifiche e degli interventi necessari per il bene comune; in secondo luogo, la definizione della struttura organizzativa, con la specifica indicazione delle responsabilità e dei poteri delle varie unità organizzative e degli incaricati; infine, la strutturazione del procedimento amministrativo secondo i principi della trasparenza, del contraddittorio e dell’accesso da parte dei soggetti interessati e con l’attribuzione di specifiche responsabilità. L’elaborazione di questi principi da parte della giurisprudenza amministrativa ha condotto a una maggiore imparzialità dell’amministrazione in relazione a vari aspetti: ai criteri di valutazione della fattispecie (motivazione); alla consequenzialità delle decisioni; alla terzietà del responsabile del procedimento; alla prevedibilità dell’azione amministrativa. Tutto ciò, peraltro, in un contesto in cui l’amministrazione mantiene un interesse di carattere generale all’esito del procedimento.
Terzietà e indipendenza nelle autorità indipendenti. La crescente complessità dell’apparato dell’azione pubblica diretta ha contribuito nel tempo alla distinzione tra le diverse forme di intervento e soprattutto ha condotto ad articolare la funzione amministrativa anche al di fuori della pubblica amministrazione tradizionale, attraverso istituzioni in varia misura indipendenti dal potere politico: le cosiddette autorità indipendenti. Alla radice di tale scelta vi sono diversi motivi: in primo luogo l’identificazione di settori del diritto particolarmente sensibili, tali che l’amministrazione della normativa non vada in mano a organismi soggetti a un’influenza politica, particolarmente per ambiti quali la libertà di stampa e di informazione (Garante per la radiodiffusione e l’editoria, poi Autorità per le comunicazioni); la concorrenza (Autorità per la concorrenza ed il mercato); il risparmio (CONSOB); la riservatezza dei dati personali (Garante della privacy). Si è ritenuta necessaria dunque la creazione di istituzioni del tutto indipendenti dal governo, con un’ampia autonomia organizzativa e regolamentare, soggette solo allo scrutinio del giudice amministrativo, che dal punto di vista procedurale garantissero contraddittorio, trasparenza e accessibilità. Si è poi aggiunta la rilevanza dell’ordinamento di attività e settori economici ai fini dell’integrazione dell’economia europea. L’indipendenza dai governi delle istituzioni preposte al funzionamento dei mercati (concorrenza) o di specifici settori (autorità di regolazione) è divenuta la loro caratteristica essenziale, al punto da provocare contestazioni da parte delle autorità europee laddove le normative nazionali cerchino di restringerne o limitarne la discrezionalità.
La creazione di stituzioni del tutto indipendenti dal potere esecutivo, in alcuni casi anche per quel che riguarda le stesse modalità di nomina dell’organo (l’Autorità garante della concorrenza, così come in precedenza il Garante dell’editoria, è nominata dai presidenti delle due Camere), ha dato negli anni origine ad accesi dibattiti sia rispetto alla loro natura sia per quanto concerne le modalità organizzative e il loro perimetro di azione. In tal senso, è di grande interesse la questione se dal punto di vista della terzietà tali istituzioni presentino caratteri simili alle altre amministrazioni, ovvero, soprattutto per quelle preposte alla tutela di interessi sensibili, se possano ravvedersi tratti simili alla funzione giurisdizionale, il che avrebbe anche conseguenze circa i modi in cui la loro azione dovrebbe articolarsi, in particolare richiedendo una netta separazione tra funzione istruttoria e funzione decisoria.
Questa impostazione, in effetti avanzata durante il periodo di grande elaborazione dottrinale che ha accompagnato l’introduzione delle principali autorità indipendenti negli anni 1990, appare tuttavia sostanzialmente abbandonata dalla dottrina e dalla giurisprudenza, che connotano ormai definitivamente le autorità indipendenti quali entità amministrative, sulla base di una serie di elementi: finalità dell’istituzione, volta in genere alla tutela di specifici interessi generali; tipologia dei provvedimenti; organizzazione, che caratterizza l’istituzione come essenzialmente unitaria, senza distinzione tra funzioni istruttorie e decisorie; ricorribilità delle decisioni presso la giustizia amministrativa e secondo i suoi tipici parametri. In sostanza, mentre i criteri di funzionamento delle autorità indipendenti implicano un’organizzazione e procedure tali da garantire l’imparzialità attraverso il contraddittorio, il diritto di accesso e la definizione dei compiti del responsabile del procedimento, questi non si estendono per quanto concerne la terzietà dell’organo giudicante: talché terzo è solo il giudice del rinvio, il quale peraltro incontra il proprio limite nel poter compiere solo una valutazione di legittimità delle decisioni prese dalle autorità indipendenti.
Queste conclusioni appaiono peraltro anch’esse soggette a una perplessità di fondo: la creazione delle autorità indipendenti trova radice nell’esigenza di tutelare, senza le mediazioni della politica, alcuni diritti particolarmente sensibili e necessari di specifiche competenze. Un’applicazione imparziale appare difficilmente compatibile con la discrezionalità, pur soggetta al vaglio del giudice, propria dell’amministrazione. Tale difficoltà è stata in alcuni casi resa esplicita, a seguito della caratteristica delle norme: così, per quanto riguarda la tutela della concorrenza, è stato riconosciuto dalla Corte europea dei diritti umani, che essa ha valenza quasi-penale, e pertanto le decisioni in materia devono essere prese a seguito di un procedimento che garantisca la valutazione nel merito della questione da parte di un giudice terzo e imparziale. Conclusioni che nel tempo potrebbero condurre a una riconsiderazione delle connotazioni di terzietà relative almeno ad alcune autorità indipendenti.