TERZIARIO
Con il termine t. si è soliti designare quel complesso di attività extra-agricole ed extra-industriali che hanno per oggetto una produzione non materiale. Nella tradizionale tripartizione dell'economia (Clark 1940) il termine fa riferimento alla successione delle fasi storiche di sviluppo economico di una collettività, ma il criterio d'inclusione delle attività economiche all'interno del t., finendo per essere di tipo residuale, trovava ulteriore motivo d'indeterminatezza nel carattere estremamente disomogeneo delle attività terziarie, sotto il punto di vista sia dei servizi prodotti che dei fattori impiegati, del grado d'interdipendenza con gli altri settori, del rapporto con il mercato del lavoro. Gli stessi criteri d'immaterialità e intangibilità, più abitualmente richiamati nella definizione dei servizi, non fornivano una base solida e indiscutibile per una loro distinzione. Si è fatto ricorso pertanto a una classificazione delle attività terziarie fondata, da un lato, su alcune peculiarità del processo produttivo e, dall'altro, sulle modalità di consumo o sulla loro destinazione economica. Con riferimento al processo produttivo, sono state individuate quali caratteristiche economiche tipiche di molte attività terziarie l'utilizzo di un basso volume di capitale fisso in rapporto a un'alta intensità di capitale umano, anche professionalmente qualificato. L'introduzione delle tecnologie informatiche ha tuttavia modificato radicalmente queste caratteristiche. Oggi è nel t. che si ritrova un impiego elevato di tecnologia moderna (basti pensare ai trasporti, alla sanità, ai servizi finanziari, ecc.). Il prodotto delle attività di servizio è di norma immediato (produzione e consumo coincidono), personalizzato, erogato in via continuativa e di difficile conservabilità. La struttura dell'occupazione è caratterizzata da una più elevata incidenza del lavoro indipendente rispetto agli altri settori, da un maggior impiego di personale femminile e in talune attività dalla maggiore presenza di manodopera qualificata.
L'articolazione interna del settore terziario è stata analizzata in base a vari criteri. Quello funzionale pone l'accento sulla diversa destinazione dei servizi nel sistema economico, distinguendo − all'interno del settore − i "servizi per la produzione" (producer services) dai "servizi per il consumo" (consumer services; Greenfield 1966). In particolare, tra i servizi per la produzione rientrano le attività e le funzioni terziarie, presenti anche all'interno dell'industria, la cui produzione è prevalentemente destinata alla domanda intermedia e finalizzata al processo produttivo di beni finali. I servizi destinati al consumo, invece, raggruppano le attività dirette alla domanda finale. Vengono inoltre distinti, nella Contabilità nazionale, da una parte i servizi "destinabili alla vendita", siano essi acquistati dalle imprese o dalle famiglie, dall'altra i servizi "non destinabili alla vendita", che sono prodotti dalla pubblica amministrazione e da istituzioni sociali private senza fini di lucro e soddisfano bisogni collettivi, talvolta indivisibili, quali la giustizia, l'ordine pubblico, la difesa, la salute e l'istruzione.
Un'ulteriore e più articolata classificazione ripartisce i servizi in:
a) servizi per il sistema produttivo, che raggruppano in modo omogeneo quelle attività economiche destinate all'impiego intermedio delle imprese (agricole, industriali o terziarie) e che comprendono i comparti del commercio all'ingrosso, del noleggio e i servizi alle imprese;
b) servizi alle famiglie, che risultano destinati esclusivamente al consumo finale delle persone; sono compresi in questa categoria il commercio al minuto, gli alberghi e pubblici esercizi, i servizi personali;
c) servizi di rete, orientati sia all'impiego finale sia a quello intermedio, i cui destinatari possono essere sia famiglie che imprese; tali servizi svolgono una funzione di raccordo tra i soggetti economici sotto il profilo spaziale, finanziario e informativo, e includono, per es., le attività creditizie, assicurative, di trasporto e comunicazione;
d) servizi a destinazione collettiva, non destinabili alla vendita; ne fanno parte i servizi erogati dalla pubblica amministrazione come, per es., quelli inerenti la giustizia, la difesa, l'istruzione, la sanità, ecc.
Evoluzione del terziario. - Qualunque sia il tipo di classificazione adottato, è da sottolineare che negli ultimi decenni, in tutti i paesi industrialmente evoluti, si è assistito a una progressiva crescita del settore terziario. A questo proposito si parla di un processo di terziarizzazione delle economie, per designare quel complesso di fenomeni sintetizzabili soprattutto nell'aumento della quota di occupati nelle attività di servizio rispetto a quella impegnata nelle attività di produzione di beni. Il fenomeno di terziarizzazione caratterizzerebbe le società nelle quali una quota di occupazione superiore al 50% del totale è impiegata nei servizi.
La sempre maggior rilevanza del t. nell'economia dei paesi industrializzati trova conferma nei dati internazionali sull'occupazione: in media nei paesi OCSE la quota di occupazione nel t., pari al 49,2% nel 1970, era salita nel 1980 al 56,6%, per raggiungere nel 1991 il 63,7%. Livelli ancora più alti vengono tuttavia raggiunti da alcuni paesi, come gli Stati Uniti, il Canada, l'Australia, la Norvegia e il Regno Unito, che superano tutti il 70%.
Per quanto riguarda l'Italia, il fenomeno ha iniziato a verificarsi a partire dagli anni Settanta, con un certo ritardo rispetto agli altri paesi sviluppati. Le unità di lavoro impiegate nei servizi destinati alla vendita sono aumentate, fra il 1970 e il 1990, con un tasso medio annuo del 2,7% a fronte di una riduzione continua nel settore agricolo (−2,6% annuo) e di un ridimensionamento anche nel comparto industriale (−0,5% annuo). Molto diverso l'andamento della produttività, misurato a prezzi costanti come rapporto tra variazione del valore aggiunto a prezzi costanti e variazione delle unità occupate. La crescita della produttività si è mantenuta su livelli molto alti nell'industria manifatturiera, mentre nel t. privato ha registrato valori molto più contenuti (Rey 1992; ISTAT 1993). Come risultato della combinazione di questi fattori, se il tasso di crescita del valore aggiunto a prezzi costanti dei due settori non appare molto distante, profondamente diverse sono le modalità con cui tale crescita si è manifestata: nell'industria attraverso una forte crescita della produttività, nei servizi di mercato attraverso l'aumento degli occupati. Questi ultimi, misurati in unità di lavoro standard, sono aumentati di altre due milioni e mezzo di unità fra il 1980 e il 1992, passando dal 34% al 43% dell'occupazione totale. Aggiungendo anche le unità di lavoro impiegate nei servizi non destinabili alla vendita, la quota dell'occupazione terziaria ha raggiunto in Italia il 62%, valore di poco inferiore al livello medio dell'area OCSE.
L'evoluzione del t. nelle principali economie industrializzate si caratterizza in particolare per il peso crescente che in esso assumono i servizi destinati al sistema produttivo, soprattutto quelli più moderni e innovativi (il cosiddetto t. avanzato). Il settore dei "servizi per le imprese" vede così in Italia aumentare la sua quota sul valore aggiunto ai prezzi di mercato dell'intera economia dal 3,9% nel 1980 al 5,9% nel 1992, e il suo peso sull'occupazione dal 3,3% al 7,1%, manifestandosi come il più dinamico fra i comparti del terziario. Ma in generale tutti i comparti producer services- credito, assicurazioni, comunicazioni, trasporti − hanno registrato tassi di sviluppo superiori a quelli dei comparti consumer services. Una certa crescita ha interessato anche i servizi tradizionali e la pubblica amministrazione.
Alcune tipologie di servizi privati si sono inoltre sviluppate non tanto in funzione integrativa, quanto in parziale sostituzione di servizi prima erogati da enti pubblici, in seguito a provvedimenti volti al contenimento della spesa pubblica e più in generale alla riduzione della presenza pubblica nell'economia a partire dagli anni Ottanta: per es., le ''piccole privatizzazioni'' realizzate da alcuni enti locali, che hanno preferito convenzionarsi con imprese private specializzate per la fornitura agli utenti di servizi in precedenza prodotti direttamente a costi maggiori (per es. autoservizi, refezione scolastica e ospedaliera, assistenza domiciliare). Altri servizi privati infine si sono sviluppati in sostituzione di servizi di cura delle persone precedentemente autoprodotti all'interno del nucleo familiare e non più disponibili in ragione dell'accresciuto tasso di attività femminile. Per es., secondo stime degli operatori del settore, nel 1994 in Italia la ristorazione collettiva offriva più di sei milioni di pasti, consumati in ambiente scolastico, sanitario o aziendale; e l'Italia è sicuramente in ritardo rispetto agli altri paesi industriali.
L'entità del fenomeno di terziarizzazione risulta tuttavia attenuata se l'analisi si sposta dall'occupazione al valore aggiunto. Infatti, mentre dal lato dell'occupazione il t. assorbe una quota crescente della forza-lavoro, dal lato della produzione la quota dei servizi sul prodotto interno lordo è risultata crescente in misura molto inferiore, a causa della più lenta dinamica della produttività nel settore terziario. In secondo luogo, i prezzi di vendita dei servizi hanno subito una dinamica molto più accentuata rispetto ai prodotti degli altri settori (Barca e Visco 1992): di conseguenza, l'aumento della quota dei servizi sul PIL, se calcolato a prezzi correnti, risulta essere stato fra il 1983 e il 1993 dell'8,6%; se calcolato a prezzi costanti, si riduce invece a un più modesto 2,6%. Bisogna tuttavia osservare che le tecniche statistiche usuali di stima del PIL a prezzi costanti si dimostrano piuttosto carenti nell'apprezzare i miglioramenti qualitativi incorporati sia nei prodotti manifatturieri, sia, a maggior ragione, nei servizi, rendendo piuttosto problematica la valutazione comparata della produttività (Baumol 1986; Fuà 1993).
I primi anni Novanta rappresentano tuttavia un punto di svolta per il settore terziario. Fare previsioni sullo sviluppo futuro del t. risulta alquanto problematico; Francia e Germania da tempo evidenziano un t. stagnante, mentre Stati Uniti e Giappone continuano a caratterizzarsi per un t. piuttosto dinamico. Ancora più incerto è il contributo che il settore potrà offrire allo sviluppo di nuova occupazione (Garonna 1994). Ciò che sta venendo meno, soprattutto, è la qualità del t. di essere un settore relativamente protetto dalla concorrenza estera: il commercio internazionale di servizi si espande a ritmi persino superiori al commercio di beni e comincia a essere oggetto di accordi multilaterali di liberalizzazione.
Poiché la produzione di servizi tende a essere contestuale al loro consumo, l'internazionalizzazione del t. avviene soprattutto nella forma di investimenti diretti nel paese ''importatore'' da parte di imprese del paese ''esportatore'', che detengono conoscenze tecnologico-organizzative e risorse manageriali adatte per produrre servizi in modo più competitivo rispetto alle aziende locali. Questi investimenti diretti possono avvenire sia nella forma della creazione ex novo di attività (investimenti greenfield), sia in quella, più frequente nei servizi, dell'acquisizione di attività o marchi già esistenti nel mercato d'insediamento (Cominotti e Mariotti 1993). La maggiore facilità dei trasporti a lunga distanza rende possibile l'esportazione di servizi anche nella forma di spostamento dei consumatori dal proprio paese verso centri qualificati di produzione di servizi situati in altri paesi, come avviene per i viaggi dei pazienti verso strutture sanitarie straniere. In un altro settore, quello turistico, vi è stata una crescente sostituzione del consumo all'estero rispetto al consumo sul territorio nazionale, con un'espansione molto forte del turismo internazionale.
Sviluppo del terziario avanzato. - Per quanto riguarda in particolare i producer services, ha assunto importanza crescente il settore del cosiddetto ''t. avanzato per la produzione'' (Cipolletta e Freschi 1983; Tassinari e Vaglio 1989; Barbieri e Rosa 1990). Esso comprende servizi e funzioni professionali a rapido sviluppo, caratterizzate da contenuto innovativo e basate essenzialmente sulle risorse dell'informazione e della conoscenza. Di conseguenza, si tende a valorizzare soprattutto il capitale umano e si assiste all'affermarsi di nuovi modelli di lavoro, caratterizzati da elevata autonomia, responsabilità, professionalità e flessibilità organizzativa (Momigliano e Siniscalco 1986).
Nell'area dei servizi di t. avanzato per la produzione sono state individuate varie attività: servizi tecnici (ricerca e sviluppo, engineering, assistenza tecnica), servizi per la commercializzazione dei prodotti (ricerche di mercato e sondaggi d'opinione, marketing, pubblicità), servizi per la gestione del capitale umano (selezione, formazione e consulenza organizzativa), servizi informatici (software houses e centri di elaborazione elettronica di dati), servizi amministrativi e finanziari (revisione dei bilanci, leasing e factoring), consulenza di direzione. L'affermarsi dei servizi avanzati, che riflette essenzialmente l'esigenza di modernizzazione e d'innovazione gestionale e tecnologica, riguarda sia la quota ''internalizzata'' nelle imprese industriali (o t. ''implicito'') sia la parte di queste attività che si sposta all'esterno (t. ''esplicito''), con un rapporto fra le due componenti che è più spesso di complementarità che di sostituzione.
In prospettiva lo sviluppo del settore terziario s'indirizzerà sempre più verso la gestione e il trattamento delle informazioni, intese non come beni finali di consumo, bensì come strumento a vantaggio di una maggiore efficienza dei sistemi economico-sociali. Grazie agli enormi sviluppi che si sono avuti nel campo dell'informatizzazione, infatti, sono in molti a prevedere che nei prossimi anni gran parte della popolazione attiva sarà impiegata nell'elaborazione dei dati e nella gestione dell'informazione. In tal senso è altresì prevedibile un'integrazione sempre maggiore tra il settore terziario avanzato e l'industria, anche grazie alla possibilità di un riallineamento dei prezzi di vendita dei servizi a quelli degli altri comparti produttori di beni vendibili, dovuto a notevoli incrementi di efficienza connessi ad aumenti del grado di automazione.
Bibl.: C. Clark, The conditions of economic progress, Londra 1940; H.T. Greenfield, Manpower and the growth of producer services, New York 1966; I. Cipolletta, R. Freschi, La diffusione dei principali servizi del terziario avanzato presso le imprese industriali, in Rassegna di lavori dell'Istituto, Supplemento a Congiuntura italiana, 26, 2 (febbraio 1983); J. Gershuny, I. Miles, The new service economy. The transformation of employment in industrial societies, Londra 1983; I. Cipolletta, R. Bellotti, Il terziario superiore nella provincia di Roma: tendenze e possibilità di sviluppo, in Istituto Regionale di Studi e ricerche per la Programmazione Economica e territoriale del Lazio (IRSPEL), Roma e il suo hinterland, scenari e proposte, Roma 1985; W.J. Baumol, Productivity growth, convergence and welfare: what the long-run data show, in The American Economic Review, 5 (1986); F. Momigliano, D. Siniscalco, Mutamenti nella struttura del sistema produttivo e integrazione fra industria e terziario, in Mutamenti strutturali del sistema produttivo, a cura di L. Pasinetti, Bologna 1986; G. Tassinari, A. Vaglio, Il terziario avanzato per le imprese, in AA.VV., Industria manifatturiera e terziario avanzato per le imprese (progetto finalizzato CNR ''Struttura ed evoluzione dell'economia italiana'', sottoprogetto ii ''Sistema delle imprese''), Milano 1989; G. Barbieri, G. Rosa, Terziario avanzato e sviluppo innovativo, Bologna 1990; F. Barca, I. Visco, L'economia italiana nella prospettiva europea: terziario protetto e dinamica dei redditi nominali, Temi di discussione del Servizio Studi, Banca d'Italia, n. 175, 1992; G.M. Rey, I mutamenti nella struttura economica: fattori produttivi, distribuzione del reddito, domanda, in L'Italia verso il 2000: le istituzioni, la società, l'economia, Roma 1992; Italia multinazionale nei servizi. Radiografia degli investimenti diretti stranieri in Italia, a cura di R. Cominotti e S. Mariotti, Milano 1993; G. Fuà, Crescita economica. Le insidie delle cifre, Bologna 1993; Istituto Centrale di Statistica (ISTAT), Il settore dei servizi nel dibattito attuale, in Rapporto annuale. La situazione del Paese 1992, Roma 1993; P. Garonna, La parabola dei servizi in Italia: dal decentramento produttivo alla deterziarizzazione, in L'economia italiana dagli anni '70 agli anni '90. Pragmatismo, disciplina e saggezza convenzionale, a cura di F.R. Pizzuti, Milano 1994.
Teorie dello sviluppo del terziario. - Sebbene esista un consenso pressoché totale sul fatto che nelle economie avanzate si sia registrato un progressivo sviluppo del settore terziario a scapito tanto dell'agricoltura quanto dell'industria, le spiegazioni delle ragioni strutturali alla base di questo fenomeno di ''terziarizzazione'' sono notevolmente articolate e differenziate.
La teoria dei tre stadi di sviluppo. - Una breve rassegna del dibattito sulla terziarizzazione può essere utilmente iniziata riferendosi alla cosiddetta ''teoria dei tre stadi di sviluppo''. La classificazione delle attività economiche in primarie, secondarie e terziarie ha origine in una specifica visione del processo di crescita e sviluppo che i sistemi economici tenderebbero a seguire. Secondo la teoria dei tre stadi di sviluppo, l'economia passa da una prima fase in cui prevale il settore agricolo a una seconda fase di massiccia industrializzazione, che sfocia infine nella terza fase della terziarizzazione (Fisher 1935, 1939 e 1945; Clark 1940; Rostow 1953 e 1960; Kuznets 1957 e 1971; Chenery 1960). Le spiegazioni dello sviluppo della terziarizzazione che si richiamano alla teoria dei tre stadi si basano fondamentalmente sull'idea che i guadagni di produttività che sono alla base del processo di sviluppo danno vita a redditi reali pro capite crescenti che, a loro volta, provocano una modificazione della struttura della domanda a scapito dei prodotti agricoli e a vantaggio, inizialmente, dei prodotti industriali e, successivamente, dei servizi.
Tale comportamento della domanda viene spiegato sulla base di un'estensione e generalizzazione della cosiddetta ''legge di Engel'', secondo la quale al crescere del reddito i consumatori si volgono in misura crescente al soddisfacimento dei bisogni secondari tramite il consumo di beni industriali e servizi, avendo assicurato il soddisfacimento dei bisogni primari garantito soprattutto dal consumo di alimenti prodotti dal settore agricolo. In questi termini, però, la legge di Engel può spiegare solo il declino relativo dell'agricoltura; affinché essa possa spiegare anche la terziarizzazione è necessario assumere che i bisogni secondari vengano soddisfatti in misura crescente dai servizi a scapito dei prodotti industriali.
L'identificazione del soddisfacimento dei bisogni secondari con il consumo di servizi, tuttavia, solleva qualche perplessità. Sebbene sia vero che un certo numero di bisogni secondari è effettivamente soddisfatto da servizi, non bisogna enfatizzare troppo quest'aspetto; esistono infatti prodotti primari e secondari che sono certamente destinati al soddisfacimento di bisogni secondari (i cosiddetti ''beni di lusso''), così com'è vero che alcuni servizi sono evidentemente destinati al soddisfacimento di bisogni primari (per es., i servizi sanitari ed educativi di base). Ma le spiegazioni della terziarizzazione basate sui tre stadi di sviluppo sono state criticate soprattutto per aver analizzato la domanda di servizi in termini troppo generali e per avere eccessivamente trascurato l'analisi dell'offerta (v., per es., Stanback 1979; Petit 1986).
Servizi alla produzione e servizi al consumo. - Le teorie tradizionali della terziarizzazione, analizzando la domanda di servizi, prestano eccessiva, se non esclusiva, attenzione alla domanda dei consumatori, trascurando invece la domanda da parte delle imprese (Petit 1986, pp. 19-48). Se in passato la gran parte dei servizi era costituita da servizi di tipo personale, gli sviluppi tecnologici e gestionali delle imprese hanno ormai condotto a una crescente domanda di servizi impiegati nel processo produttivo. Poiché i fattori che regolano la domanda di servizi da parte delle famiglie (consumatori) e delle imprese sono diversi, è necessario tracciare una distinzione fra servizi al consumo (domandati dalle famiglie) e servizi alla produzione (domandati dalle imprese); una distinzione analoga a quella fra beni di consumo (che sono per definizione solo beni finali) e mezzi di produzione (che possono essere tanto beni finali quanto beni intermedi).
Nelle moderne economie avanzate si assiste a una tendenza alla crescita dei servizi alla produzione, cioè della domanda di servizi da parte delle imprese (per un'analisi dell'evoluzione che avviene in tale settore, con particolare riferimento all'Italia, v. Momigliano e Siniscalco 1982). Questa domanda sembra derivare soprattutto dal fatto che le imprese tendono a trasferire al proprio esterno (esternalizzare) un numero crescente di attività che assai spesso, sebbene non esclusivamente, sono attività di tipo terziario.
L'esternalizzazione di alcune fasi del processo lavorativo è fondamentalmente originata dallo sforzo da parte delle imprese di rendere più efficienti i processi di produzione. Da un lato, la stessa crescita delle dimensioni d'impresa rende possibile trasferire all'esterno alcune attività, godendo così di significative economie di scala. Dall'altro lato, l'esternalizzazione è favorita anche dai vantaggi che offre la specializzazione: una serie di attività può essere svolta in modo più efficiente da imprese autonome che si specializzano nello svolgimento di tali specifiche attività. La specializzazione favorisce più elevati livelli di produttività con ovvi vantaggi sia per le imprese che domandano i servizi sia per quelle che li erogano (per una rassegna recente su questi temi, v. Petit 1986, pp. 125-42).
Per quanto riguarda i servizi al consumo richiesti dalle famiglie in società economicamente avanzate, il fattore probabilmente più significativo in grado di spiegare tale domanda è un fenomeno in qualche misura analogo al processo di esternalizzazione messo in atto dalle imprese. Con l'evoluzione del sistema sociale ed economico, attività che prima erano svolte prevalentemente in seno alla famiglia − e, quindi, escluse per definizione dalle tradizionali misurazioni e rilevazioni statistiche − sono trasferite all'esterno per essere espletate da unità produttive autonome.
La produttività del terziario. - Piuttosto che considerare la domanda di servizi, molti sostengono che una soddisfacente comprensione del fenomeno della terziarizzazione debba basarsi soprattutto sull'analisi dell'offerta di servizi. Le spiegazioni della terziarizzazione fondate sull'idea di una progressiva sostituzione di servizi a beni industriali causata dal crescere del reddito non sembrano suffragate in modo convincente dai dati empirici disponibili. Se fosse valida l'ipotesi che al crescere del reddito pro capite la domanda di servizi cresce più rapidamente della domanda di beni, i dati statistici dovrebbero mostrare una crescita sia della quota di occupazione nei servizi, sia della quota di prodotto nazionale lordo proveniente dal terziario. Tuttavia, mentre non vi sono problemi per quanto riguarda la lettura dei dati concernenti l'occupazione, sorgono difficoltà nella lettura dei dati sulla produzione, in quanto la terziarizzazione della produzione è riscontrabile solo dall'esame dei dati a prezzi correnti.
Una crescente terziarizzazione della produzione dovrebbe implicare una decisa tendenza alla crescita della quota del t. nel prodotto nazionale sia quando essa sia misurata a prezzi correnti, sia quando sia misurata a prezzi costanti. In realtà, gli aggregati a prezzi correnti mostrano un comportamento diverso da quello degli aggregati a prezzi costanti. In tutti i paesi più sviluppati, la tendenza alla crescita della quota del settore t. emerge in modo netto solo dall'osservazione dei dati a prezzi correnti, mentre i dati a prezzi costanti mostrano essenzialmente una tendenza alla stabilità del rapporto fra quota terziaria e quota industriale che, insieme, guadagnano rispetto all'agricoltura. Certamente le difficoltà di misurazione dell'output del t. rendono in qualche misura problematiche tutte le conclusioni deducibili dall'osservazione dei dati statistici, ma la divaricazione di comportamento è così significativa ed estesa a più paesi che essa dev'essere necessariamente indicativa di qualche fattore strutturale sottostante (per dati relativi ad altri paesi oltre l'Italia, v. Rowthorn e Wells 1987; Singh 1987).
Una spiegazione del diverso comportamento degli aggregati a prezzi correnti e costanti si basa sull'esistenza di un notevole differenziale di produttività fra t. da una parte, e settori primario e secondario dall'altra. In tutti i paesi la produttività è più elevata e cresce più rapidamente nell'industria (e, in particolare, nell'industria manifatturiera) che nel settore dei servizi nel suo complesso (per ulteriori dettagli concernenti l'andamento della produttività nei vari settori e nei servizi in particolare, v. Rowthorn e Wells 1987; Dutt e Lee 1993). Se questa è la situazione, ne discende immediatamente una spiegazione coerente del comportamento dinamico delle quote di occupazione e produzione di agricoltura, industria e servizi.
Supponendo che, al crescere del reddito reale, la domanda reale di beni primari ''perda terreno'' rispetto alla domanda di beni industriali e servizi (legge di Engel) e che il rapporto fra domanda di beni industriali e servizi resti sostanzialmente stabile mentre la dinamica della produttività nel settore industriale è assai più accelerata che nel t., discendono i seguenti risultati: a) le quote di produzione e occupazione del settore primario tendono a diminuire nel tempo; b) la quota di occupazione nel secondario tende a diminuire nel lungo periodo, la quota di produzione industriale in termini reali cresce rispetto a quella agricola e resta costante rispetto a quella terziaria; c) la quota di produzione di servizi, espressa in termini reali (a prezzi costanti) cresce rispetto alla quota agricola e resta stabile rispetto a quella industriale; d) la quota di produzione di servizi, espressa a prezzi correnti, cresce sia rispetto alla quota agricola che a quella industriale; e) la quota di occupazione nel t. tende a crescere sia rispetto all'agricoltura sia rispetto all'industria.
In altre parole, gli acquirenti di beni e servizi (siano essi consumatori o imprese) sono ''costretti'' a modificare la composizione della loro domanda corrente poiché i servizi divengono progressivamente più cari rispetto ai beni industriali (e agricoli) a causa del più basso tasso di crescita della produttività del terziario. D'altro canto, la minore crescita della produttività nel t. fa sì che gli occupati nei servizi acquistino un peso percentuale crescente via via che la domanda di servizi cresce con il reddito. Rowthorn e Wells hanno sviluppato un semplice modello (Rowthorn e Wells 1987, pp. 321-32) che, partendo dalle ipotesi menzionate riguardo alla domanda di servizi e ai differenziali settoriali di produttività, ''riproduce'' quanto si rileva dall'osservazione dei dati. Se la situazione delle economie più avanzate è quella sinteticamente ora descritta, ne deriva immediatamente una conclusione che ha importanti risvolti sia economici che sociali. Il processo di terziarizzazione che interessa i vari sistemi economici conduce necessariamente a un abbassamento del tasso globale di crescita. Se la domanda reale di servizi resta stabile rispetto alla domanda reale di beni, l'abbassamento del tasso globale di crescita del sistema economico non può essere evitato, essendo esso la media ponderata dei tassi di crescita settoriali. Naturalmente, la riduzione del tasso globale di crescita potrebbe essere evitata se fosse possibile determinare più consistenti incrementi di produttività nel t.; molti hanno sottolineato però che notevoli incrementi di produttività nel t. nel suo complesso sono ostacolati da alcuni fattori di natura strutturale.
Le cause della bassa produttività dei servizi. - Vi è, in generale, concordanza di vedute sul fatto che il settore terziario abbia finora avuto una dinamica della produttività più contenuta di quella del settore primario e, soprattutto, del settore secondario. Più precisamente la produttività del t. è stata notevolmente più bassa di quella dell'industria manifatturiera, generalmente considerata il settore trainante dell'intera economia (Kaldor 1966). Recenti verifiche empiriche (Dutt e Lee 1993) sostanzialmente confermano l'ipotesi di una più bassa produttività dell'industria dei servizi.
Già negli anni Quaranta, J. Fourastié (1949) aveva suddiviso le attività economiche in tre settori basandosi sulle differenze di produttività: nel settore primario la produttività cresce a un tasso pari all'incirca a quello medio; nel settore secondario a un tasso superiore a quello medio; nel settore terziario a un tasso assai basso se non nullo. W. Baumol (1967) pubblicò un articolo destinato a esercitare grande influenza sul dibattito concernente la terziarizzazione dell'economia. Egli suddivideva le attività economiche in due grandi gruppi: le attività ''tecnologicamente progressive'' e quelle in cui la produttività cresce solo sporadicamente e in misura contenuta. L'appartenenza di un'attività all'uno o all'altro gruppo dipende essenzialmente dal ruolo che il lavoro svolge in tale attività: tanto maggiore è il contenuto di lavoro dell'output di un'attività, tanto minore tende a essere la sua produttività. Il t. è il settore con i più bassi tassi di crescita della produttività a causa dell'elevata incidenza del lavoro rispetto ai mezzi di produzione. Per Baumol, nel t. il lavoro rappresenta in molti casi il ''fine'' piuttosto che il mezzo per ottenere ciò che si desidera; ciò fa sì che riduzioni significative degli input di lavoro siano non solo difficilmente realizzabili, ma spesso nemmeno desiderabili. Chi domanda e acquista un bene industriale non si preoccupa di quale e quanto lavoro sia stato impiegato per produrre quel bene, ma chi domanda e acquista un servizio è primariamente interessato alla qualità e alla quantità del lavoro svolto per erogare il servizio. Un esempio tipico è quello dei servizi educativi: chi li domanda è interessato, oltre che alla qualità, anche alla quantità del lavoro svolto dagli insegnanti, nel senso che una riduzione delle ore d'insegnamento per studente non viene considerata un fatto positivo alla stessa stregua della riduzione delle ore di lavoro necessarie per produrre un bene (Baumol 1967, p. 416). Ciò costituisce evidentemente un ostacolo rilevante a consistenti incrementi di produttività nel terziario.
Oltre ai fattori di ostacolo allo sviluppo della produttività messi in luce da Baumol, è stato anche preso in considerazione un altro elemento: la bassa esposizione di numerose attività terziarie al processo concorrenziale. La concorrenza in generale, e la concorrenza internazionale in particolare, agisce come forza propulsiva fondamentale a favore dello sviluppo delle innovazioni tecnologiche che sono alla base dei guadagni di produttività. La pressione cui sono sottoposte le imprese per difendere e ampliare la propria quota di mercato si traduce, soprattutto nell'industria manifatturiera, in un costante sforzo volto a ridurre i costi e innalzare la produttività introducendo innovazioni tecnologiche. Il t., però, è stato un settore tipicamente poco esposto alla concorrenza.
Molti servizi non sono prodotti per il mercato internazionale e non sono quindi esposti alla pressione concorrenziale cui sono soggetti i beni industriali. Inoltre, come spesso avviene nel caso dei servizi personali e della distribuzione commerciale, nemmeno i mercati interni sono caratterizzati da un elevato grado di competitività: la forte differenziazione e localizzazione tipiche di queste attività costituiscono in generale rilevanti ''barriere all'entrata'' di imprese concorrenti (Sylos Labini 1992, pp. 265-68). Infine, un discorso a parte meritano i ''servizi non destinabili alla vendita'' erogati dal settore pubblico; qui si registrano i guadagni di produttività meno significativi a causa non solo della quasi non esistente pressione concorrenziale, ma anche di ostacoli e resistenze di natura non strettamente economica. Attualmente, tuttavia, si assiste a una crescita della pressione concorrenziale in alcune branche dei servizi e ciò, conseguentemente, dà vita a una più forte spinta a favore di incrementi di produttività in tali attività.
Terziario avanzato e terziario tradizionale. - Finora abbiamo considerato il t. nel suo insieme malgrado la grande eterogeneità che caratterizza le attività in esso comprese. Un'analisi più approfondita del settore richiede tuttavia che si tracci almeno una distinzione fra moderne attività terziarie, tecnologicamente avanzate, e attività terziarie di tipo più tradizionale. Con qualche inevitabile semplificazione, un'utile linea di demarcazione fra i due sottosettori può essere tracciata nei termini seguenti.
Appartengono al t. avanzato quelle attività connesse in particolare al grande sviluppo delle tecnologie informative e informatiche e che sono, in larga misura, costituite da servizi alla produzione (o alle imprese). Appartiene invece al t. tradizionale un insieme di attività (alcune delle quali sono un retaggio di fasi storiche precedenti) caratterizzate non solo da basso contenuto tecnologico ma anche da condizioni di lavoro assai arretrate (rapporti di lavoro precari, informali, illegali, ecc.). Quest'ultimo tipo di servizi è particolarmente diffuso nelle economie meno avanzate ma non è certo assente in quelle più sviluppate: basti pensare all'enorme diffusione di servizi personali erogati in modo informale e al di fuori delle normative vigenti (i lavori domestici sono un esempio tipico), e all'ancor grande incidenza della piccola distribuzione (fenomeno particolarmente rilevante in Italia).
La grande eterogeneità delle attività raggruppate nel settore terziario è stata posta alla base di una critica delle analisi che si limitano a prendere in considerazione dati aggregati riguardanti l'intero settore. Momigliano e Siniscalco (1982) hanno tentato una diversa interpretazione della terziarizzazione basandosi su dati disaggregati ed evidenziando che il fenomeno è largamente imputabile alla crescente domanda di servizi (tecnologicamente avanzati) alla produzione. Tuttavia, il fatto che i servizi non considerabili tecnologicamente avanzati e integrati con il settore industriale restino una componente assai importante del settore t. ha indotto altri a considerare la terziarizzazione come risultato di un eccesso di offerta della forza lavoro piuttosto che l'effetto di cambiamenti nella struttura della domanda. In quest'ottica il t. funziona da ''serbatoio'' di forza lavoro ridondante, cioè non assorbibile dal settore industriale (per un'analisi in tal senso, v. Frey 1975).
È presumibile che la dinamica della produttività sia più accelerata nel t. avanzato che in quello arretrato e, in effetti, ci sono indicazioni in tal senso (v., per es., i dati riportati in Baumol, Blackman e Wolff 1989, pp. 128-29). Inoltre, non solo la produttività nel t. avanzato cresce più rapidamente, ma ciò contribuisce in modo non trascurabile alla crescita della produttività della stessa industria, essendo questi servizi prevalentemente destinati alle imprese. È evidente, per es., che servizi di trasporto e comunicazione più efficienti contribuiscono a rendere più efficienti e meno costose le attività industriali che li impiegano. Tuttavia, Baumol e altri, in un lavoro sulla produttività negli USA (1989), hanno messo in guardia contro un eccessivo ottimismo riguardo al t. avanzato. Considerando la grande espansione dei servizi informativi avanzati negli USA, essi osservano che, in buona misura, quest'espansione continua a essere il risultato di incrementi di produttività più bassi rispetto all'industria, e che gran parte degli incrementi di produttività registrati è dovuta non tanto a una maggiore efficienza dei processi lavorativi come tali, quanto a un'elevatissima crescita della produttività realizzata nella produzione dei capitali fisici impiegati dai servizi avanzati. In altri termini, sarebbe sempre l'industria il settore di avanguardia nel processo di crescita e sviluppo (Baumol, Blackman e Wolff 1989, pp. 115-61; Rowthorn 1992, pp. 475-79).
Per concludere, l'economia politica classica considerava i servizi attività che, seppure necessarie e indispensabili, esercitano un ruolo frenante rispetto al processo di accumulazione e crescita. I servizi erano considerati da A. Smith (1776) "attività improduttive", vale a dire attività che non davano vita alla creazione di un sovrappiù risparmiabile e accumulabile. Con il tramonto dell'economia politica classica, la distinzione fra attività produttive e improduttive cessò di rappresentare uno dei cardini dell'analisi teorica, tanto che J. Schumpeter (1954) poté definire la questione un "cimelio da museo". È solo in tempi relativamente recenti che si è creato un nuovo interesse per l'industria dei servizi e per il ruolo che essa svolge nel processo di crescita. Senza dubbio questo nuovo interesse è stato stimolato dal crescente peso acquistato dal t. nelle economie più sviluppate (per una storia degli atteggiamenti della teoria economica riguardo ai servizi, v. Delaunay e Gadrey 1992; Dutt 1992; Alvaro ed Erba 1995).
Le moderne analisi del t. non sono più incentrate sulla distinzione classica fra attività produttive e improduttive né, ovviamente, ipotizzano che gran parte dei servizi sia di tipo personale od offerta quasi esclusivamente dal settore pubblico. Tuttavia è significativo che, seppure partendo da differenti punti di vista e arrivando a conclusioni spesso sensibilmente diverse, ciò che accomuna le diverse spiegazioni della terziarizzazione è un approccio in cui, di nuovo, si pone l'accento sull'analisi del processo di accumulazione e crescita, come avveniva per l'economia politica classica.
Bibl.: A. Smith, An inquiry into the nature and causes of the wealth of nations, 1776 (Chicago 1976); A.G.B. Fisher, The clash of progress and security, Londra 1935; Id., Primary, secondary, tertiary production, in Economic Record, 2 giugno 1939; C. Clark, The conditions of economic progress, Londra 1940 (19512, 19573); A.G.B. Fisher, Economic progress and social security, ivi 1945; J. Fourastié, Le grand espoir du XX siècle, Parigi 1949; W.W. Rostow, The process of economic growth, Oxford 1953; J.A. Schumpeter, History of economic analysis, Londra 1954; S. Kuznets, Quantitative aspects of the economic growth of nations. ii, Industrial distribution of national product and labor force, in Economic Development and Cultural Change, 5 (1957), pp. 1-111; H.B. Chenery, Patterns of industrial growth, in American Economic Review, 50 (1960), pp. 624-54; W.W. Rostow, The stages of economic growth, Cambridge 1960; N. Kaldor, Causes of the slow rate of economic growth in the United Kingdom, ivi 1966; W.J. Baumol, Macroeconomics of unbalanced growth; the anatomy of urban crisis, in American Economic Review, 57 (giugno 1967), pp. 415-26; S. Kuznets, Economic growth of nations: total output and production structure, Cambridge (Mass.) 1971; L. Frey, L'occupazione terziaria, Milano 1975; T.M. Stanback, Understanding the service economy, Baltimora 1979; F. Momigliano, D. Siniscalco, Note in tema di terziarizzazione e deindustrializzazione, in Moneta e Credito, 25, 138 (1982), pp. 143-81; P. Petit, Slow growth and the service economy, Londra 1986; Id., Services, in The New Palgrave: A Dictionary of Economics, a cura di J.L. Eatwell, M. Milgate e P. Newman, Londra 1987; R.E. Rowthorn, J.R. Wells, De-industrialization and foreign trade, Cambridge 1987; A. Singh, Manufacturing and de-industrialization, in The New Palgrave: A Dictionary of Economics, cit.; W.J. Baumol, S.A.B. Blackman, E.N. Wolff, Productivity and American leadership: The long view, Cambridge (Mass.) 1989; J.C. Delaunay, J. Gadrey, Services in economic thought: three centuries of debate, Norwell (Mass.) 1992; A.K. Dutt, Unproductive sectors' and economic growth: a theoretical analysis, in Review of Political Economy, 4 (1992), pp. 178-202; R.E. Rowthorn, Productivity and American leadership, in Review of Income and Wealth, 38, 4 (dicembre 1992), pp. 475-96; P. Sylos Labini, Elementi di dinamica economica, Bari 1992; A.K. Dutt, K.Y. Lee, The service sector and economic growth: some cross-section evidence, in International Review of Applied Economics, 7 (1993), pp. 311-29; G. Alvaro, A. Erba, La classificazione delle attività produttive ed il ruolo dei servizi nel dibattito economico, "Quaderni del Dipartimento di Contabilità Nazionale e Analisi dei processi sociali", 1, Roma 1995.