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TERRORISMO

di Donatella della Porta - Enciclopedia Italiana - IX Appendice (2015)
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TERRORISMO.

Donatella della Porta

– Tipologie di terrorismo. Sulle cause del terrorismo. Bibliografia

Tipologie di terrorismo. – Il termine terrorismo viene in genere riferito ad azioni orientate ad acquisire potere politico attraverso un uso della forza, considerato come estremo, che ha l’effetto psicologico di diffondere il terrore tra alcuni gruppi della popolazione. Soprattutto dopo la Seconda guerra mondiale, il t. è stato considerato come una forma grave di violenza, compiuta prevalentemente da piccoli gruppi in condizione di clandestinità, orientata a diffondere messaggi politici attraverso i mezzi di comunicazione di massa. Di recente, il tema della definizione del t. è stato affrontato anche dal diritto internazionale, senza che tuttavia si riuscisse a trovare un accordo sull’individuazione di un confine tra terrorismo e resistenza, il primo considerato come criminale, la seconda invece come legittima.

Le finalità specifiche dei gruppi terroristi sono varie: dalla secessione di un territorio al rafforzamento del potere di un governo. Radicalizzazioni violente si sono avute nel corso di conflitti sociali, etnici e religiosi. Sulla base degli scopi delle organizzazioni clandestine si possono distinguere tre principali tipologie di t.: il terrorismo ideologico di destra, il terrorismo ideologico di sinistra e il terrorismo etnico-religioso.

ll t. di ispirazione ideologica di destra è disomogeneo all’interno in quanto a tattiche specifiche utilizzate. In Europa si è sviluppato negli anni Sessanta e poi, con nuova virulenza, negli anni Novanta. Soprattutto in questa seconda fase, il t. di destra ha sviluppato contatti internazionali sul la base prevalentemente di un’accesa retorica razzista e di azioni di violenza politica contro migranti e minoranze etniche.

I terroristi di ispirazione ideologica di sinistra hanno invece orientato le proprie azioni contro coloro che venivano considerati ‘nemici’ del popolo o ‘ingranaggi’ del sistema di sfruttamento capitalistico. Negli anni Settanta organizzazioni terroriste di questo tipo sono emerse in molte democrazie occidentali, come Giappone, Stati Uniti, Italia, Repubblica federale tedesca. In America Latina, le azioni di gruppi guerriglieri hanno accompagnato il crollo di deboli governi democratici nei Paesi in cui si erano sviluppati (come Argentina, Uruguay, Perù), restando vittime del t. di Stato dei militari e degli ‘squadroni della morte’, formati da terroristi di destra con forti appoggi nelle istituzioni. Le principali e più longeve organizzazioni clandestine che si richiamavano a ideologie di sinistra sono comunque per lo più scomparse, non solo in Europa e in America Latina, ma anche in Asia e Africa.

Mentre il t. ideologico di sinistra appare in declino, le forme più durature e virulente di t. sono quelle che si collegano a un nazionalismo esclusivo e violento. Il termine terrorismo, infatti, si è diffuso nel linguaggio politico negli anni Settanta in relazione ad azioni violente ed eclatanti da parte di gruppi che si consideravano rappresentanti di nazioni senza territorio (come i palestinesi). Questi gruppi hanno utilizzato forme di violenza, come, per es., i dirottamenti aerei, che hanno colpito principalmente cittadini di Stati del ‘primo mondo’, con l’obiettivo di attrarre l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale sulle tragedie dei loro popoli. Non solo in Africa e in Asia, ma anche nella ex Iugoslavia così come nella ex Unione Sovietica, conflitti nazionalisti hanno visto momenti di grande violenza da parte di organizzazioni clandestine.

A partire dagli anni Novanta, inoltre, gli attacchi più sanguinosi sono stati quelli legati al t. religioso fondamentalista (v. fondamentalismo): le forme più visibili di questo tipo di violenza si richiamano a una interpretazione radicale dell’islam (v. islamismo). Le azioni dei gruppi fondamentalisti islamici, che sembrano aver goduto di finanziamenti da parte di Stati arabi quali l’Irān, la Libia o l’Irāq, sono state presentate come parte di una guerra santa contro valori laici e occidentali. All’inizio del nuovo millennio la più eclatante azione del t. fondamentalista islamico furono gli attentati dell’11 settembre 2001 negli Stati Uniti. Successivamente, l’11 marzo 2004 bombe collocate da terroristi ispirati da al-Qā῾ida uccisero a Madrid 191 persone. Il 7 luglio del 2005 quattro terroristi fondamentalisti islamici vicini ad al-Qā῾ida provocarono a Londra, con attentati suicidi, la morte di 56 persone. Il 7 gennaio 2015, in un’irruzione armata al settimanale satirico «Charlie Hebdo» a Parigi, rivendicata da al-Qā῾ida in Yemen, furono uccise 12 persone. Attentati terroristici continuano a fare migliaia di vittime nell’Africa settentrionale e in Medio Oriente in Paesi come la Libia e la Siria, ma anche l’Irāq e il Libano rivendicati dall’IS.

Il t. legato al fondamentalismo religioso non riguarda, comunque, solo l’islam: erano di ispirazione religiosa la metà dei 30 gruppi clandestini che, nel 1998, il segretario di Stato americano Madeleine Albright dichiarò di considerare come i più pericolosi. Al fondamentalismo islamico si contrappone un fondamentalismo israeliano. Al fondamentalismo cristiano si richiamano, negli Stati Uniti, gli attentati, talvolta con esiti mortali, contro cliniche dove si praticano interruzioni volontarie di gravidanza. Al buddismo si riferivano, invece, gli attentatori che nel 1995 liberarono gas nervino nella metropolitana di Tōkyō, dichiarando di agire contro un complotto massonico internazionale.

Sulle cause del terrorismo. – Nonostante l’attenzione crescente al fenomeno terroristico, la riflessione sulle sue cause è ancora aperta. In generale, le ricerche empiriche e le riflessioni teoriche sull’argomento hanno riguardato tre livelli analitici: l’individuo, il gruppo, il sistema.

Sul piano individuale, tradizionalmente i militanti delle organizzazioni clandestine sono stati descritti come persone immature, psicologicamente deboli, socialmente frustrate, fanatiche e crudeli. Ricerche basate su storie di vita e materiale biografico degli attivisti dei gruppi più radicali hanno però smentito che i terroristi tendano ad avere disturbi di personalità. Anche ricerche recenti sui militanti di organizzazioni clandestine fondamentaliste hanno sottolineato che sono gli stessi gruppi armati a evitare di selezionare, anche per le missioni più estreme (come gli attentati suicidi), individui con personalità deboli, che potrebbero mettere in pericolo l’organizzazione stessa. Diversamente dagli stereotipi diffusi, inoltre, i militanti tendono ad avere livelli di istruzione e provenienza sociale più elevati rispetto a quelli dei loro gruppi di riferimento. I terroristi non sono inoltre, in genere, individui isolati: la decisione di aderire alle formazioni armate viene presa da persone già inserite in dense reti di relazioni amicali, dove i rapporti affettivi sono rafforzati da un comune impegno politico. La socializzazione alla violenza è inoltre spesso graduale e l’ingresso nelle organizzazioni della lotta armata non è percepito come una grossa frattura rispetto alle forme di impegno precedenti. Antecedenti esperienze in organizzazioni militari (eserciti, forze di polizia, gruppi di guerriglia) possono facilitare la socializzazione alla violenza di futuri terroristi.

Un secondo tipo di spiegazioni si è concentrato sul livello del gruppo, guardando soprattutto all’ideologia delle organizzazioni clandestine. Il radicalismo religioso, in particolare, è sostenuto dalla propensione a visioni manichee con deumanizzazione del nemico, immagini di tempi apocalittici, appelli a farsi soldati contro le forze del male. La ricerca sui gruppi clandestini attivi in diverse regioni del mondo indica che, comunque, l’ideologia tende ad adattarsi nel corso dell’azione, giustificando la scelta di strategie sempre più brutali. In generale, il ciclo di vita delle organizzazioni terroriste è caratterizzato da un graduale processo di ‘incapsulamento’, durante il quale esse perdono a poco a poco interesse al raggiungimento di fini espliciti, concentrandosi invece sull’obiettivo della mera sopravvivenza. Nel corso di questa evoluzione, i fini si radicalizzano e la partecipazione diviene totalizzante, mentre si riducono i contatti con l’ambiente esterno.

Gli studi sul t. si indirizzano, infine, alle condizioni ambientali che possono contribuire al suo emergere e alla sua crescita, individuando ora la presenza di fratture etniche o di classe, ora la cultura politica di un Paese, ora lo spettro delle disuguaglianze economiche. Rilevando l’importanza delle esperienze storiche, si è osservato che raramente il t. è un’azione solitaria, essendo invece spesso sostenuto da comunità caratterizzate da culture di violenza, alimentate da un senso diffuso di ingiustizia. Esperienze di oppressione di gruppi etnici producono sentimenti di umiliazione, ma anche rabbia e indignazione con la ricerca di una vendetta verso ciò che viene vissuto come una violenza indiscriminata contro un popolo. L’emergere di formazioni armate è senza dubbio influenzato dalla disponibilità di simpatie e protezioni esistenti all’esterno, così come dalle strategie repressive scelte dagli apparati istituzionali. Molte formazioni armate sono nate, in effetti, nel corso di conflitti sociali acuti. Durante l’escalation di un conflitto le aspettative sulla brutalità e inumanità degli avversari divengono profezie che si autoavverano. Nel corso della radicalizzazione, i temi del conflitto si spostano verso valori percepiti come fondamentali, gli obiettivi divengono sempre meno negoziabili, la leadership più intransigente, i membri più disponibili all’uso di mezzi estremi. L’intervento di terze parti, inclusi altri Stati, infine, rende le controversie sempre meno trattabili in modo pacifico.

Bibliografia: D. della Porta, Social movements, political violence and the state, Cambridge-New York 1995; M. Juergensmeyer, Terror in the mind of God: the global rise of religious violence, Berkeley 2000, 20033; Ch. Tilly, The politics of collective violence, Cambridge-New York 2003; International handbook of violence research, ed. W. Heitmeyer, J. Hagan, Dordrecht-Boston2003; J.O. Engene, Terrorism in Western Europe: explaining trends since 1950, Cheltenham (UK)-Northampton (Mass.) 2004;Research on terrorism. Trends, achievements and failures, ed. A. Silke, London-Portland (Oreg.) 2004; Making sense of suicide missions, ed. D. Gambetta, Oxford-New York 2005; Leaving terrorism behind, ed. T. Bjørgo, J. Horgan, London-New York 2009; M. Caiani, D. della Porta, C. Wagemann, Mobilizing on the extreme right, Oxford 2012; D. della Porta, Clandestine political violence, Cambridge 2013.

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