terrorismo
s. m. – Il 21° sec. si è aperto con gli attentati dell’11 settembre 2001 e la guerra contro il t. lanciata dall’allora presidente statunitense George W. Bush, e i conseguenti attacchi militari in Afghanistan e Iraq. Ne è conseguito un rinnovamento del dibattito sul significato stesso del termine e si sono moltiplicate le analisi sulle cause e sui potenziali rimedi del terrorismo. In generale, sia le ricerche empiriche sia le riflessioni teoriche sull’argomento hanno riguardato tre livelli analitici: l’individuo, il gruppo e l’ambiente. Nel primo caso, ci si è interrogati sugli individui che diventano terroristi; nel secondo, le domande più rilevanti hanno riguardato i tipi di gruppi che utilizzano il t.; nel terzo, si è guardato alle precondizioni ambientali che facilitano l’emergere e la diffusione del fenomeno.
L'individuo. – Tradizionalmente, i militanti delle organizzazioni clandestine sono stati descritti come persone psicologicamente deboli, socialmente frustrate, fanatiche e crudeli. Ricerche basate su storie di vita e materiale biografico degli attivisti dei gruppi più radicali hanno però smentito che i terroristi presentino disturbi della personalità. Anche le ricerche sui militanti di organizzazioni clandestine fondamentaliste hanno sottolineato che sono gli stessi gruppi armati a evitare di selezionare individui con personalità deboli, che potrebbero mettere in pericolo l’organizzazione stessa. Diversamente dagli stereotipi diffusi, inoltre, i militanti tendono ad avere livelli d'istruzione e provenienza sociale più elevati rispetto al contesto dal quale provengono. I terroristi non sono, in genere, individui isolati: la decisione di aderire alle formazioni armate viene presa da persone già inserite in reti di rapporti amicali, rese particolarmente coese da un comune impegno politico. La socializzazione alla violenza risulta spesso graduale e l’ingresso nelle organizzazioni della lotta armata non è percepito come una grossa frattura rispetto alle forme d’impegno precedenti. Forniscono spesso bacini di reclutamento i luoghi d'incontro comunitari come, per es., le società gastronomiche o i gruppi alpini per i gruppi terroristi a base etnica, i gruppi di ultras per i militanti della destra estrema, le scuole coraniche per i fondamentalisti islamici e le sette riunite attorno ai predicatori radicali del Christian identity movement per il fondamentalismo cristiano. La ricerca identitaria appare poi tanto più rilevante nei paesi d'immigrazione, dove non solo le leggi si discostano dalle norme diffuse nelle comunità di prima socializzazione, ma anche le discriminazioni legate alla provenienza etnica vengono spesso lette in chiave religiosa. La crescita dell’ostilità diffusa verso l’Islam in seguito all’11 settembre contribuisce alla ricerca di una dimensione identitaria esclusiva nell’identità religiosa. Costituendo quella musulmana una comunità eterogenea per lingua, nazionalità ed etnia, l’identificazione comporta poi, soprattutto nei paesi di immigrazione, una reinvenzione dell’Islam. In particolare nella seconda generazione di migranti, la conversione religiosa si colloca in situazioni di tensione tra valori tradizionali e assimilazione nelle società occidentali. Per quanto riguarda, poi, i percorsi individuali, il mantenimento dell’impegno nel gruppo clandestino viene favorito dall’innescarsi di una serie di meccanismi di ‘non ritorno’. Per chi è latitante, oppure rischia di diventarlo presto, i bisogni materiali, in termini di denaro, alloggi, documenti falsi, accrescono la dipendenza dall’organizzazione clandestina.
Il gruppo. – Un secondo tipo di spiegazioni dell’esistenza del t. si è concentrato sul livello del gruppo, guardando soprattutto all’ideologia delle organizzazioni clandestine: la giustificazione della violenza rivoluzionaria nei gruppi di sinistra, la promozione di golpe militari a destra, la proclamazione di guerre sante nel fondamentalismo religioso, le identità etniche escludenti per i gruppi nazionalisti o razzisti. Soprattutto, il radicalismo religioso è sostenuto dalla propensione a visioni manichee con ‘deumanizzazione’ del nemico, immagini di tempi apocalittici, appelli ad armarsi contro le forze del male. Gruppi fondamentalisti cristiani hanno così giustificato gli attentati alle cliniche dove si praticavano aborti con citazioni bibliche a sostegno del diritto di usare la forza per difendere bambini non nati e con riferimenti all’accettazione da parte della Chiesa di dottrina della guerra giusta. Il ǧihād («battaglia») è stato affermato dai gruppi fondamentalisti islamici sulla base del diritto islamico all’autodifesa, sulla dignità e l'orgoglio. La ricerca sui gruppi clandestini attivi in diverse regioni del mondo indica che, comunque, l’ideologia tende a trasformarsi nel corso dell’azione, giustificando la scelta di strategie sempre più brutali. Le conseguenze implicite, anche se non previste, della scelta di clandestinità limitano, però, le capacità di adattamento all’esterno. Le formazioni clandestine divengono quindi simili a sette chiuse, perdono a poco a poco interesse al raggiungimento di fini esterni concentrandosi prevalentemente sull’obiettivo della mera sopravvivenza. Ciò esaspera la solidarietà interna e porta a una radicalizzazione strategica. Azioni terroriste sempre più brutali hanno la funzione di far crescere il morale dei membri, oltre che il prestigio dell’organizzazione rispetto ad altre che sono potenziali concorrenti.
L’ambiente. – Gli studi sul t. si indirizzano, poi, alle condizioni ambientali che possono contribuire al suo emergere e alla sua crescita, menzionando ora la presenza di fratture etniche o di classe, ora la cultura politica di un Paese, ora lo spettro delle disuguaglianze economiche. Rilevando l’importanza delle esperienze storiche, si è osservato che raramente il t. è un’azione solitaria, essendo invece spesso sostenuto da comunità caratterizzate da culture di violenza, rette da un senso diffuso di ingiustizia. Esperienze di oppressione di gruppi etnici producono sentimenti di umiliazione, ma anche rabbia e indignazione con ricerca di una vendetta contro quella che viene vissuta come aggressione indiscriminata contro un popolo. In questi casi si sviluppano identità esclusive e l’omogeneizzazione del gruppo, sempre più chiuso rispetto all’esterno, ne rafforza la resistenza. In un circolo vizioso la polarizzazione delle relazioni fa crescere l’isolamento. Per quanto riguarda le precondizioni sociali, crisi di sviluppo connesse a problemi interni o internazionali, disoccupazione, urbanizzazione accelerata, povertà estrema sono state spesso citate come cause di devianza individuale o collettiva. Fra le condizioni permissive per il t., si è parlato comunque anche di modernizzazione e industrializzazione, che accentuano la vulnerabilità delle società contemporanee. Se un certo accordo vi è nel considerare le variabili politiche come rilevanti per la spiegazione della violenza terrorista, le interpretazioni specifiche si sono però contraddittoriamente concentrate sulla risposta dello Stato all’emergere delle organizzazioni clandestine, ritenuta ora troppo debole, ora eccessivamente repressiva; sulle reazioni delle élites al governo rispetto all’aggregarsi di nuove domande collettive, talvolta analizzate in termini di assenza di riforme, tal'altra in quelli di un mutamento troppo rapido; sulle condizioni del sistema politico, accusato di ostacolare la costituzione di nuovi attori collettivi o, viceversa, di istituzionalizzare precocemente i movimenti. Mentre c'è chi sostiene che la democrazia introduce alcune precondizioni per il t., dato che i diritti limitano gli strumenti repressivi in mano allo Stato e la libera stampa diffonde i messaggi dei terroristi, viceversa il t. è stato anche visto come sostituto di movimenti sociali quando situazioni politiche o altre riducono la propensione alla mobilitazione di massa. Le diverse condizioni ambientali aiutano a spiegare non solo le differenze strutturali e ideologiche esistenti tra gruppi emersi in periodi o ambienti differenti, ma anche i cambiamenti della stessa organizzazione nel tempo. In particolare, rispetto alle organizzazioni terroriste presenti nelle democrazie occidentali, si è osservato che esse emergono e si rafforzano in una situazione di progressiva radicalizzazione di movimenti sociali di fronte a una risposta intempestiva e inefficace da parte degli attori istituzionali. Molte formazioni armate sono nate, in effetti, nel corso di conflitti sociali acuti. Da alcuni movimenti che rivendicavano indipendenza rispettivamente dalla Gran Bretagna e dalla Spagna sono state fondate l’IRA (Irish republican army) e l’ETA (Euskadi ta askatasuna, «Nazione basca e libertà»); nel corso di lunghi cicli di protesta sono nate le BR (Brigate rosse) in Italia e la RAF (Rote Armee Fraktion) in Germania; dalle rivendicazioni di gruppi che si proclamano difensori delle masse diseredate sono venuti i Montoneros in Argentina e Sendero luminoso in Perù; dalla diaspora e dalla repressione dei curdi o dei palestinesi sono nati gruppi che cercano di riconquistare, con le armi, un territorio per i loro popoli. In tutte queste situazioni, si è avuta una escalation graduale del conflitto. Soprattutto in relazione alle forme recenti di t., sono state sottolineate anche dimensioni geopolitiche e, più in generale, di relazioni internazionali. Gli studi sull’evoluzione delle reti globali del t. fondamentalista hanno rilevato il ruolo che i reduci della resistenza (sostenuta dagli Stati Uniti) dei mugiāhidīn in Afghanistan, provenienti da vari paesi arabi, hanno avuto nella diffusione del terrorismo. Futuri terroristi hanno ricevuto addestramento, armi e motivazioni nel corso dei numerosi conflitti armati in Medio Oriente, Cecenia, ex Iugoslavia, acquisendo una visione militaristica della politica. La recente guerra in Afghanistan ha spinto molti gihadisti salafiti a cercare nuove protezioni in altri paesi, tra cui Pakistan e Iran, diffondendo, piuttosto che ridurre, competenze militari e motivazioni ideologiche. In modo simile, la resistenza all’invasione statunitense in Iraq ha coinvolto una coalizione eterogenea di gruppi nazionalisti, gihadisti salafiti (che combattono per un ritorno al califfato governato dalla sharī ‘a , la legge di Dio) e ba‛tisti (il vecchio partito di Saddam Hussein), con un ruolo attivo giocato da ex soldati e ufficiali dell’esercito iracheno oltre che dell’allora servizio segreto. Più in generale, il t. fondamentalista del nuovo millennio è stato ricollegato alle trasformazioni nelle relazioni internazionali seguite al crollo del blocco sovietico e alla aggressività (reale o percepita) degli Stati Uniti, rimasti come unica superpotenza a livello mondiale.