Terremoti. Previsione dei terremoti
I terremoti non si possono evitare, né, a oggi, è possibile prevederli con precisione. I terremoti, infatti, si verificano in modo solo apparentemente casuale e in alcuni casi è possibile ricondurre la sismicità al concetto di caos deterministico. La sismicità, cioè, presenta un andamento apparentemente aleatorio, ma può essere spiegata da un meccanismo deterministico, che trae le origini nei moti convettivi del mantello terrestre e nel conseguente moto delle zolle litosferiche. Un obiettivo realistico è quello delle previsioni a medio termine spazio-temporale, basate sulle variazioni osservabili nella sismicità di fondo, in cui l'allarme è dato su un arco di tempo dell'ordine di qualche anno e con un'incertezza spaziale di centinaia di chilometri. Tale tipo di previsione consente la realizzazione di opere di prevenzione rilevanti.
Sul nostro pianeta, si verificano, in media, ogni anno, almeno un paio di terremoti distruttivi, che causano numerose vittime (più di 20.000 morti). L'irregolarità con cui i forti terremoti possono susseguirsi in una determinata zona contribuisce alla riduzione della consapevolezza del rischio sismico e, conseguentemente, a quella delle risorse dedicate alla sua mitigazione. È auspicabile che gli sforzi, attualmente focalizzati su attività di soccorso e ripristino estremamente dispendiose, siano indirizzati verso azioni preventive, come ben chiaramente enunciato da Kofi Annan: "Strategie di prevenzione più efficaci farebbero non solo risparmiare decine di miliardi di dollari, ma salverebbero decine di migliaia di vite [...]. Costruire una cultura della prevenzione non è semplice. Mentre i costi della prevenzione devono essere pagati oggi, i suoi benefici si potranno vedere solo in un futuro lontano".
Le azioni di prevenzione nel XXI sec., devono enfatizzare il carattere multisettoriale e interdisciplinare delle azioni orientate alla mitigazione dei disastri naturali, promuovendo la cooperazione tra diversi campi di attività: dalle scienze della Terra all'ingegneria, dalla pianificazione ambientale all'organizzazione delle attività di soccorso. Soltanto in tal modo sarà possibile raggiungere obiettivi primari, fra i quali la crescita della consapevolezza pubblica e l'impegno delle autorità, volti al contenimento delle perdite economiche, sociali e del patrimonio culturale.
Lo scopo principale della prevenzione è la definizione del rischio sismico di un'area che è la combinazione di elementi di natura fisica con altri di natura tecnica. Esso, infatti, è valutato in funzione della pericolosità, della vulnerabilità e della esposizione sismica e si esprime in relazione ai danni attesi a seguito di un terremoto, in termini di perdite di vite umane e di costo economico dovuto ai danni alle costruzioni e al blocco delle attività produttive. Poiché non è possibile intervenire sulla pericolosità sismica di un'area, dipendente dai suoi caratteri sismotettonici, l'unico modo di ridurne il rischio sismico e di mitigare gli effetti di un terremoto consiste nel ridurne la vulnerabilità e l'esposizione sismica.
Una strategia efficace per la mitigazione del rischio sismico richiede un'adeguata descrizione dei terremoti attesi, così come degli effetti legati alla propagazione delle onde sismiche. È necessario, infatti, rispondere ai seguenti quesiti: (a) dove, quando e quanto forte un terremoto può colpire la regione in esame? (b) Quali conseguenze ci si deve attendere qualora esso avvenga? La risposta alla prima domanda riguarda la previsione dei terremoti, mentre la seconda è oggetto degli studi di rischio sismico. Il carattere complesso dei fenomeni sismici non sembra consentire previsioni di tipo deterministico, conseguentemente non risulta possibile conoscere in anticipo le modalità (cioè il luogo, il tempo e la magnitudo) con le quali si verificherà il terremoto con una precisione tale da mettere in atto un piano di evacuazione. Inoltre, neppure previsioni di tipo statistico risultano attendibili, poiché, entro una qualsiasi regione sismogenetica di dimensioni sufficientemente piccole (un centinaio di chilometri), il numero di forti terremoti è troppo ridotto per consentire di definirne le probabilità di accadimento con la precisione richiesta.
Un obiettivo realistico è rappresentato delle previsioni a medio termine spazio-temporale, basate sulle variazioni osservabili nella sismicità di fondo (ossia nella sequenza di eventi sismici, di moderata e bassa magnitudo, che caratterizzano mediamente una data regione anche in assenza di forti terremoti), in cui l'allarme è dato su un arco di tempo dell'ordine di qualche anno e con un'incertezza spaziale di centinaia di chilometri. Tale tipo di previsione consente la realizzazione di opere di prevenzione rilevanti quali: (a) la verifica della stabilità e l'eventuale adeguamento degli edifici e delle vie di comunicazione, anche impiegando moderne tecniche, quali l'isolamento sismico; (b) la verifica della completa operatività dei soccorsi, che l'esperienza di un non lontano passato si dimostra di difficile conseguimento anche in condizioni di normalità; (c) la pianificazione di tutte quelle operazioni che, dopo il terremoto, sarebbero inevitabilmente ostacolate dall'emergenza. Nella fig. 2 è riportata la mappa della pericolosità sismica del territorio italiano.
La precisione con la quale si può prevedere la localizzazione spazio-temporale di un forte evento, cioè di un evento con magnitudo superiore a una certa soglia, è tuttora un problema aperto. La previsione può essere probabilistica, ossia la magnitudo, il tempo e la localizzazione dell'evento possono essere indicati in modo non esatto, con una percentuale intrinseca di falsi allarmi e di fallimenti di previsione. Tuttavia, la capacità predittiva deve essere statisticamente significativa. Gli allarmi hanno durata variabile: si va dai giorni (previsioni a breve termine), agli anni (previsioni a medio termine), alle decine o centinaia di anni (previsioni a lungo termine) prima di un terremoto e sono coinvolte zone con dimensioni lineari di alcune decine di chilometri (nelle previsioni a breve termine), alcune centinaia di chilometri (in quelle a medio termine), migliaia di chilometri (in quelle a lungo termine). Le previsioni a breve termine possono sembrare le più utili, poiché potrebbero consentire la realizzazione di piani di evacuazione e la sospensione di attività a rischio nella zona interessata; tuttavia, proprio per i notevoli costi e inconvenienti che tali operazioni comportano, queste previsioni devono essere formulate con una grande precisione, che, per la natura stessa dei fenomeni sismici, risulta difficile, se non impossibile, da raggiungere. L'impatto negativo dei falsi allarmi connessi con la previsione a breve termine potrebbe, infatti, risultare peggiore dei danni causati da un evento non previsto. Sul lungo termine, invece, e, dunque, per quanto riguarda i terremoti di intensità maggiore (il cui ripetersi nei pressi di una medesima zona sismogenetica, anche a notevole distanza temporale, è stato provato dalla paleosismologia), il problema è rappresentato dalla mancanza di osservazioni sistematiche rilevanti.
Attualmente l'obiettivo più realistico appare quello delle previsioni a medio termine. L'incertezza spaziale delle previsioni, ossia l'incertezza nella localizzazione dell'epicentro del terremoto incombente, è intrinseca e non può essere inferiore alle dimensioni della sorgente del terremoto. Una sorgente sismica è, infatti, un oggetto di dimensioni finite, rappresentabile fisicamente come una porzione di faglia immersa nella litosfera. Quando avviene un terremoto, non si sa esattamente dove e con quali modalità si propagherà la frattura nella stessa crosta terrestre. La coppia di eventi avvenuti il 19 agosto 2002 a sud delle isole Fiji (separati da un intervallo di tempo di ca. 400 s e distanti 300 km), per esempio, suggerisce che l'incertezza spaziale delle previsioni è almeno pari a tre volte le dimensioni della sorgente del terremoto stesso. Inoltre, è necessario considerare che i precursori possono manifestarsi in un'area anche molto più estesa della sorgente stessa. Per convalidare l'esistenza di un precursore, ossia di una relazione sistematica fra un certo fenomeno quantificabile e il verificarsi di un forte terremoto, è necessario fornire un numero significativo di casi osservati, globalmente distribuiti. Finora l'efficacia della maggioranza dei fenomeni proposti come precursori si è rivelata inadeguata o, al più, è rimasta non dimostrata, soprattutto a causa dell'assenza di osservazioni sufficientemente prolungate e sistematiche. Tale ostacolo risulta, almeno in parte, superato, qualora si considerino i precursori sismici individuabili nei cataloghi dei terremoti. Essi, infatti, costituiscono i dati sismologici più diffusi e comunemente disponibili e contengono osservazioni strumentali prolungate e sistematiche, che consentono una verifica, su vasta scala, delle anomalie sismiche proposte quali precursori di un forte terremoto.
La previsione dei terremoti scientificamente corretta consiste nell'indicazione della magnitudo, della localizzazione e del tempo origine di un futuro evento sismico, con una precisione tale da consentire una valutazione univoca del successo o fallimento della previsione stessa. I precursori, osservabili sulla superficie terrestre o in prossimità di essa, devono quindi essere relativi ai fenomeni quantificabili e statisticamente significativi. Secondo quanto stabilito dalla sottocommissione sulla previsione dei terremoti istituita dalla IASPEI (International Association Seismology and Physics of the Earth's Interior) i criteri per stabilire la significatività di un fenomeno precursore sono: (a) l'anomalia deve essere riconducibile ai meccanismi che determinano i terremoti; (b) l'anomalia deve essere simultaneamente rilevata in più di un sito o da più di uno strumento; (c) l'anomalia e la sua relazione con il susseguente verificarsi del terremoto, ossia le regole secondo cui si effettua la previsione, devono essere definite con precisione; (d) sia l'anomalia sia le regole devono essere ricavate da un insieme di dati indipendenti da tutti quelli su cui si effettua la previsione. È naturale considerare come possibili precursori quei fenomeni che avvengono nella litosfera durante l'accumulo degli sforzi. Quest'accumulo può indurre, infatti, processi di varia natura (per es., fenomeni di deformazione) che, in alcuni casi, risultano ben visibili e chiaramente riconducibili al sisma. In realtà, i terremoti dipendono dalle variazioni del campo degli sforzi, ma tale dipendenza è complessa, come è dimostrato dal fatto che le repliche (spesso erroneamente indicate come scosse di assestamento) avvengono sovente lungo piani dove gli sforzi dovrebbero essere ridotti dopo l'evento principale. Inoltre, mentre terremoti estremamente forti possono talvolta essere preceduti da segnali premonitori chiaramente identificabili, anche se diversi tra loro, per i terremoti relativamente piccoli l'area focale è minore e risulta più difficile identificare i precursori.
Fra i molteplici segnali che sono stati proposti come precursori utili per la previsione dei terremoti vanno ricordati: (a) le variazioni anomale della sismicità; (b) le variazioni della velocità e delle caratteristiche spettrali delle onde sismiche e dei meccanismi di sorgente; (c) le deformazioni crostali su scala regionale; (d) le variazioni anomale negli sforzi crostali; (e) le variazioni del campo gravitazionale e geomagnetico, delle correnti telluriche e della resistività (precursori geoelettrici); (f) le modificazioni anomale del flusso delle acque sotterranee e del contenuto di diversi componenti chimici dell'acqua (Rn, F, CO2, ossidi di azoto); (g) le anomalie nella pressione atmosferica, nella temperatura e nel flusso di calore terrestre.
Alcuni dei fenomeni elencati sono spiegabili mediante il modello della dilatanza, secondo cui una roccia satura d'acqua, sottoposta a sforzi di taglio (quelli direttamente responsabili della frattura che origina il terremoto) può aumentare di volume, a causa della formazione di microcrepe e della successiva infiltrazione di acqua al loro interno. La maggior parte dei precursori menzionati, tuttavia, è stata associata al terremoto solo dopo che lo stesso era già avvenuto. Inoltre, per stabilire un chiaro nesso precursore-evento è necessario raccogliere un certo numero di casi statisticamente significativi. Ciò non è stato ancora possibile, in generale, perché i terremoti forti sono eventi rari e ciascun fenomeno considerato precursore è caratterizzato da fluttuazioni proprie, non legate alla sismicità, che rendono particolarmente difficile l'individuazione del segnale precursore.
La paleosismologia ha evidenziato, anche se con grandi incertezze, che gli intervalli di tempo intercorsi fra i forti terremoti (ossia i soli eventi principali di magnitudo elevata, escluse le repliche) lungo una certa faglia possono essere estremamente variabili. Dunque, anche ammesso che il concetto di comportamento periodico sia valido in generale per qualsiasi faglia, un lungo intervallo di tempo trascorso dall'ultimo forte terremoto non garantisce che il prossimo evento sia imminente, lungo la faglia in esame, poiché questo dipende dall'effettiva distribuzione dei periodi di ritorno, che è ignota. Diverse metodologie di previsione, tuttavia, si basano sull'ipotesi di un ripetersi quasi-periodico degli eventi (earthquake-recurrence hypothesis). Il più noto è probabilmente il modello della lacuna di sismicità (seismic gap), basato sulle seguenti assunzioni: (a) i terremoti avvengono su faglie note, pertanto la localizzazione e il meccanismo sono noti; (b) gli eventi principali (escluse le repliche) sono quasi-periodici (dopo un forte terremoto la probabilità che ne avvenga un altro è bassa); (c) la distribuzione frequenza-magnitudo per gli eventi su una singola faglia è descritta dal modello del terremoto caratteristico (cioè i forti eventi tendono a ripetersi con un valore preferenziale di magnitudo, caratteristico per l'area in esame. La verifica del metodo basato sul modello della lacuna di sismicità mediante le previsioni reali è tuttora in corso, ma i risultati ottenuti finora indicano che tale modello può essere rifiutato con un livello di confidenza del 95% (cioè la probabilità che tale modello sia adeguato, secondo le osservazioni disponibili, è inferiore al 5%). Un esempio della sua inadeguatezza è rappresentato da quanto è accaduto nelle Marche e nell'Umbria nel 1997, dove, nell'arco di poche ore, si sono susseguiti due eventi di entità comparabile, il secondo dei quali è stato fatale per quattro persone, che si trovavano all'interno della Basilica Superiore di San Francesco in Assisi per il rilievo dei danni causati dalla prima scossa.
Recentemente, si è raggiunta la consapevolezza che la parte fragile della crosta terrestre si comporta come un sistema dissipativo non lineare, probabilmente caotico e autoorganizzato. L'evoluzione di questo tipo di sistemi dipende fortemente dalle loro condizioni iniziali ed è molto sensibile a perturbazioni anche piccole, perciò i sintomi di un forte terremoto imminente possono essere diversi di volta in volta. Tuttavia, il flusso sismico, purché opportunamente mediato nello spazio e nel tempo, presenta alcune caratteristiche utili per la previsione, cioè alcune proprietà generali riscontrabili, con una certa regolarità, prima di un forte terremoto. I precursori sismici, osservati a livello globale nel flusso sismico durante il periodo di 2-3 anni che precede un forte terremoto, sono i seguenti: (a) aumento dell'attività sismica, raggruppamento degli eventi nello spazio e nel tempo e concentrazione spaziale degli epicentri; (b) aumento delle variazioni temporali della sismicità e del raggruppamento spaziale delle sorgenti sismiche; (c) interazione a distanza fra vari terremoti.
Tra i precursori sismici formalmente definiti, ricordiamo: il verificarsi di eventi di magnitudo moderata, caratterizzati da un numero particolarmente elevato di repliche; la quiescenza sismica; le variazioni relative della distribuzione frequenza-magnitudo di Gutemberg-Richter per i piccoli terremoti rispetto a quelli moderati; l'aumento della correlazione spaziale del flusso sismico e crescita esponenziale dell'energia rilasciata che è modulata da un andamento periodico rispetto al logaritmo del tempo.
Nello studio dei precursori sismici è necessario tenere presente che la preparazione di un forte terremoto coinvolge in genere un complesso sistema di faglie, piuttosto che una singola faglia. Pertanto, i precursori vanno ricercati entro un'area con dimensioni lineari di diverse centinaia di chilometri, per poter rilevare eventuali correlazioni a grande distanza. Infatti, i precursori di carattere non locale, come la migrazione della sismicità, possono riflettere processi in atto su vasta scala (per es., il moto delle placche litosferiche) che non sono spiegabili mediante una semplice redistribuzione postsismica degli sforzi in un mezzo elastico. Durante il periodo di incubazione non si sa dove e quando avverrà il sisma, poiché i precursori si manifestano sparsi su tutta l'area di preparazione. Successivamente, all'approssimarsi del terremoto, i precursori tendono a concentrarsi spazialmente attorno all'eventuale epicentro.
Quest'osservazione indica la possibilità di effettuare, in seconda approssimazione, previsioni spazialmente più accurate, basate sulle anomalie sismiche identificabili in un'area più ristretta e in un intervallo di magnitudo inferiore, compatibilmente con la completezza dei dati disponibili.
Solo pochi algoritmi utilizzano l'analisi dei piccoli terremoti (attività di fondo) per i quali esiste una statistica molto attendibile, con finalità di previsione degli eventi forti, che sono invece rari. Quelli formalmente definiti e basati sull'analisi simultanea di alcuni dei precursori sismici individuati nel flusso sismico, quali gli algoritmi CN e M8, consentono un monitoraggio sistematico della sismicità e una verifica su vasta scala della loro capacità predittiva. Gli algoritmi sono stati sviluppati, secondo uno schema di tipo pattern-recognition (riconoscimento dei tratti) per consentire l'analisi simultanea di diverse proprietà del flusso sismico (multiple seismicity patterns) che sono quantificate mediante un insieme di funzioni del tempo t empiricamente definite. CN e M8 utilizzano, come dato essenziale, l'informazione contenuta nei cataloghi dei terremoti e individuano le variazioni dell'attività sismica che possono essere considerate precursori di un forte terremoto, ossia di un evento con magnitudo superiore a una soglia M0 prefissata, dipendente, in generale, dal regime sismico della regione studiata. Tale analisi consente di determinare gli intervalli temporali o TIP (Times of increased probability) in cui risulta aumentata, rispetto alle condizioni normali, la probabilità che si verifichi un forte terremoto. La semplice definizione dei periodi di allarme come periodi di aumentata probabilità rispetto alle condizioni normali, senza l'attribuzione di una specifica stima di probabilità per il forte terremoto imminente, è imposta dal fatto che qualsiasi tentativo di quantificare l'incremento della probabilità durante i TIP richiede diverse assunzioni a priori. Per esempio, sarebbe necessario ipotizzare che la sequenza temporale dei terremoti sia di tipo poissoniano (cioè completamente casuale e priva di memoria) e che i vari TIP siano indipendenti fra loro. In realtà la distribuzione dei terremoti non è poissoniana nel tempo e non è uniforme nello spazio.
Quando un TIP è dichiarato in una data regione, il terremoto con M≥M0 può avvenire in qualsiasi punto dell'area allertata e, dunque, per ridurre l'incertezza spaziale delle previsioni, la regione definita deve essere la più piccola possibile. D'altra parte è stato osservato empiricamente, su scala globale, che le dimensioni lineari dell'area analizzata devono essere maggiori o uguali a 5÷10 L, dove L è la lunghezza (proporzionale a M0) della sorgente dei sismi che si vogliono prevedere. Ciò è perfettamente coerente col fatto che il flusso di terremoti che precede un forte evento è generato da un complesso sistema di faglie, molto più esteso della sorgente stessa. Inoltre, se l'area entro cui i precursori sismici sono ricercati ha dimensioni lineari pari ad almeno 5÷10 L, gli eventi con magnitudo M〈M0 risultano avere dimensioni trascurabili e, dunque, possono essere ritenuti puntiformi entro la regione esaminata. Il soddisfacimento di quest'ultima condizione è molto importante, perché permette di applicare le metodologie valide per i processi puntiformi all'analisi del flusso sismico degli eventi principali con M〈M0, cioè a un insieme di dati statisticamente significativo, con conseguente stabilità dei risultati. Gli esperimenti condotti per oltre vent'anni su scala globale hanno consentito una prima valutazione dell'efficacia, ossia della validità statistica, delle previsioni fornite dagli algoritmi CN e M8. La significatività statistica dei risultati ottenuti, superiore al 95%, evidenzia la capacità predittiva di tali algoritmi.
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