Vedi TERRA SIGILLATA dell'anno: 1966 - 1973
TERRA SIGILLATA
Il termine "terra sigillata", che non risale ad alcuna fonte antica, viene usato da molti archeologi per indicare una varietà di ceramiche ellenistiche, italiche e delle province romane, alcune delle quali hanno particolari denominazioni loro proprie, sia antiche che moderne. [Si vedano le voci: ceramica (Stenico), vol. ii, p. 503-4; megaresi, vasi (Del Chiaro), vol. iv, pp. 970-974; aretini, vasi (Stenico), vol. i, p. 6o8-616]. Tra le locuzioni antiche troviamo quelle di ceramica "pergamena", "samia", "aretina" e "saguntina", che sono state tutte fraintese ed applicate erroneamente in varî modi. Non è facile formulare una soddisfacente definizione inclusiva ed esclusiva del termine t. s., ma sembra opportuno comprendervi: 1) tutto il vasellame da mensa italico e provinciale ricoperto da una superficie rossiccia o rosso-arancione di recente denominata Glanztonfilm (Petrikovits, in Germania, xxix, 1951, p. 278; Schleiermacher, ibid., xxxiii, 1955, p. 146); 2) alcune ceramiche ellenistiche coperte da Glanztonfilm rossiccia o nera che appaiono così strettamente connesse alla classe precedente da non poter essere omesse e, 3) alcune ceramiche a rilievo ottenuto da matrice, fabbricate in Italia, che non presentano superficie di copertura. La nostra definizione arbitraria esclude quindi un certo numero di fabbriche imperiali romane più o meno strettamente connesse colla t. s. e che la precedono o la seguono nel tempo, o le sono contemporanee; tra queste poniamo la "sigillata nabatea", le ceramiche "belghe" ad imitazione delle forme aretine lisce, "vasi a pareti sottili" di vario tipo che si rinvengono dalla Spagna alla Liguria e ad Atene, ceramiche "retiche", ceramiche verniciate a piombo fabbricate in Oriente, in Gallia ed in Pannonia, e statuette, lucerne ecc., a volte confezionate dalle stesse officine producenti terra sigillata. Viceversa riteniamo devervi comprendere alcune categorie di "imitazione t. s.", che alcuni studiosi vorrebbero escluse.
Il termine Glanztonfilm pone in rilievo la lucentezza della copertura, che può variare da opaca a lucidissima, la cui composizione argillosa è priva di piombo o sale, ma che dovrebbe essere ricca d'illite (Rijken-Favejee, Ghem. Weekblad, xxxviii, 1941, p. 262), ed estremamente sottile; vengono così evitate le implicazioni di termini quali "smalto", "vernice", "vetrina", "ingubbiatura", "lustro" ed altri, i quali hanno significato diverso, sia per il profano che per l'esperto chimico o il ceramista, che possiedono sfumature di significato vario in lingue diverse, e che sensu stricto non si addicono alla terra sigillata. La vernice Glanztonfilm della t. s. è essenzialmente quella della ceramica attica a figure nere ed a figure rosse del periodo classico; le differenze consistono nel carattere dell'argilla e nel processo di cottura (Bimson, Antiq. Journ., xxxvi, 1956, pp. 200-204; per una discussione più tecnica e per riferimenti ad importanti studî precedenti, v. Schumann, in Ber. d. deutsch. Keram. Ges., xxiii, 1942, pp. 408-426; Köppen-Oberlies, ibid., xxxi, 1954, pp. 287-301, ed i varî articoli del Winter in Keram. Zeitschr., 8-10, 1956-58). Esperimenti promettenti, sebbene ancora in fase iniziale, propongono l'analisi della t. s. mediante spettroscopia ed attivazione neutronica: v. Sayre-Dodson, in Am. Journ. Arch., lxi, 1957, pp. 35-41 (ceramica aretina), ed Emeleus-Simpson, in Archaeometry, iii, 1960, pp. 16-24 (ceramica gallica).
Originati nell'Oriente ellenistico, varî tipi di t. s. a superficie rossa vennero fabbricati dal II sec. a. C. fino al IV o V d. C., in una vasta serie di province romane. Ne consegue che l'argilla di base su cui veniva applicata la caratteristica Glanztonfilm varia considerevolmente in composizione (presenza o assenza di mica, ecc.) e colore (tonalità di giallo chiaro e rosso). Basti dire che di regola le argille impiegate per la manifattura di t. s. erano di qualità per lo meno pura, e che alcune di queste, quali quelle impiegate dalle migliori fabbriche italiche e galliche, venivano preparate con gran cura, e dal punto di vista ceramico stanno alla pari coi migliori prodotti attici o persino li superano.
Le stesse varianti di tempo e luogo che influenzano l'argilla, influenzano anche le forme vascolari associate alla terra sigillata. In breve, la t. s. è soprattutto una ceramica da mensa, comprendente specialmente crateri, tazze, piatti e coppe, in grande varietà ed evoluzione di sagome; appaiono a volte anche brocche e calamai, nella produzione seriore anche mortai e, molto raramente, lucerne.
Alcune di queste forme sono di regola lisce, o al massimo decorate con piccole palmette impresse, "rotellatura", piccole figure in rilievo prodotte mediante matrice e quindi applicate, incisioni colla tecnica del "cristallo tagliato", e copertura à la barbotine; altre forme, specialmente crateri e coppe, ma anche alcune tazze, erano normalmente decorate a rilievo mediante matrice. (Sui problemi base della manifattura v. aretini, vasi). L'impiego di pittura per motivi decorativi è eccezionale. Il problema decorativo della t. s. si risolve quindi in luci, ombre ed accenti su una superficie monocroma ricurva in due dimensioni (per esempio nella forma Dragendorff [in seguito citato Dr.]) 30 o nella zona superiore di Dr. 29) o in tre (per esempio nelle Dr. 11 e 37, Déchelette 67, ecc.). La t. s. decorata, nonostante variazioni locali e cronologiche, ha in comune le caratteristiche di una produzione in serie mediante matrice, ripetitiva e meccanica, e una tediosa monotonia che è inerente ad essa, in netto contrasto con i vasi dipinti attici o italo-meridionali, che erano per lo meno potenzialmente differenti l'uno dall'altro.
In verità la t. s. offre uno dei migliori campi di ricerca, fin dall'antichità, per lo studio degli effetti che la produzione in serie ha sull'artista, l'artigiano e il pubblico consumatore. Un tale studio si dovrebbe fare, ma rimane al di là degli scopi della presente opera. Fino a quando l'industria della t. s. si estese alla Gallia, la ceramica fu principalmente usata da civili, sebbene la maggioranza di queste ceramiche venisse esportata sufficientemente lontano dalle fabbriche da eliminare ogni contatto personale fra vasai ed acquirenti. (Invero E. Ettlinger vorrebbe addirittura adottare quale criterio primo della t. s. la produzione per l'esportazione, riducendo le ceramiche a distribuzione locale allo stato di "t. s. d'imitazione"). Con l'espansione in Gallia, tuttavia, e con l'installazione di una frontiera militare permanente nel N, i vasai s'interessarono sempre più alla clientela militare, molto meno dotata di senso critico, la quale, per la sua indifferenza verso i valori estetici e per la sua lontananza dai centri di produzione, non esercitava pressione alcuna sui ceramisti per il mantenimento di un alto livello di espressione artistica. Questo genere di rapporto tra vasaio e pubblico presenta delle eccezioni nei casi della t. s. locale di Colchester e della Spagna, entrambe al servizio di un pubblico civile più o meno locale, ed entrambe dotate di uno stile decorativo originale. In quanto ai vasai stessi, bisogna supporre che alcuni di essi fossero dei veri artisti con notevole sensibilità ed integrità di spirito; ma le esigenze di una produzione in serie e le tecniche della manifattura di coppe a rilievo, certamente scoraggiarono lo sviluppo di alte qualità artistiche e spinsero a sostituirvi lavoro trasandato, affrettato e poco curato per il conseguimento di una maggiore produzione o d'altri fini. Lo studio dettagliato della t. s., specie delle industrie provinciali del I e II sec., rivela molti casi di rivolta contro il tedio della noiosa ripetizione degli stessi punzoni negli stessi motivi, ed una ricerca per nuovi particolari e stili decorativi d'ispirazione solitamente classica o romana, invece che provinciale. Troviamo così innovatori provinciali quali Germanus, Libertus, Satto e molti altri meno influenti. Ma in pratica non si può fare una netta distinzione fra l'artista e l'artigiano; ambedue le reazioni alla produzione in serie sono spesso visibili nell'opera della medesima persona.
La firma del fabbricante veniva spesso impressa sulla t. s., una o più volte, sul fondo di vasi lisci e decorati, o sulla matrice usata per riprodurre forme decorate. Tali marche di fabbrica rivelano grande diversità cronologica e locale, che non merita d'essere qui discussa; basti dire che l'esistenza di migliaia di firme di fabbricanti, trovate in tutto l'Impero Romano ed oltre i suoi confini, agevola grandemente lo studio della terra sigillata.
Molti volumi del Corpus Inscriptionum Latinarum includono le firme su t. s. sotto la dicitura instrumentum domesticum; per la t. s. italica ("aretina") v. specialmente i voll. xi e xv; per la t. s. gallica v. specialmente il vol. xiii; per liste più complete, v. anche F. Oswald, Index of Potters' Stamps on Terra Sigillata (gallica e germanica) e il catalogo di timbri italici dell'Oxé (in corso di stampa).
Manca un manuale complessivo che tratti in dettaglio tutte le fasi della t. s., sebbene J. Déchelette, Les vases céramiques ornés de la Gaule romaine (2 voll., 1904) e Oswald e Pryce, Introduction to the Study of Terra Sigillata (1920) facciano riferimento alle ceramiche ellenistiche ed italiche quale preparazione per lo studio delle ceramiche provinciali occidentali. L'articolo fondamentale di H. Dragendorff, Terra Sigillata, in Bonner Jahrbücher, xcvi, 1895, pp. 18-155 è ora in gran parte superato; ma è ancora utile prendere come riferimento tipologico le forme dei vasi secondo la sua numerazione. Il Catalogue of the Ranan Pottery in the British Museum (1908) di H. B. Walters ha un'estesa ed utile introduzione, ma anch'esso non è aggiornato; Römische Keramik mit Einschluss der hellenistischen Vorstufen (1910) di Fr. Behn è puramente un catalogo del vasto Römisch-germanisches Zentral-Museum di Magonza, senza commentario o adeguate illustrazioni; l'articolo dello scrivente, Terra Sigillata in Pauly-Wissowa-Kroll, Suppl. vii, 1940, coll. 1295-1352 omette documentazione fotografica e contiene la sua parte d'errori; Roman Pottery (1955) di R. J. Charleston è un bel libro, abbondante d'illustrazioni, ma il testo ha scarso valore indipendente. Tenendo in considerazione le loro limitazioni, ed in mancanza d'altro, i lavori summenzionati possono suggerirsi per una preparazione generale, ma lo studio delle ceramiche romane in generale, e della t. s. in particolare, non si è ancora sintetizzato in una disciplina vera e propria come quella, per esempio, dello studio dei vasi greci.
Per facilitare la trattazione, si può suddividere la t. s. approssimativamente in:
I. Ceramiche ellenistiche e romano-orientali; II. Ceramiche italiche; III. Ceramiche provinciali occidentali; IV. Ceramiche mediterranee posteriori selezionate.
In linea di massima queste quattro categorie hanno validità; più difficile, però, sarebbe l'applicarle in tutti i casi specifici. L'elemento dei motivi umani, quasi impossibile ad identificare in materia di fabbricazione, trasporto, distribuzione, acquisto e uso della t. s., è importante per la nostra indagine quanto lo sono fattori più concreti, sia tecnici che economici. Scoperte recenti, e la tentata suddivisione del materiale, hanno rafforzato il sospetto, presso chi scrive, che sforzi per raggruppare la t. s. in categorie metodicamente organizzate in funzione di tempo e luogo, anche se necessarî, non sono del tutto realizzabili; l'argomento è molto più disorganizzato che non si penserebbe dalle crestomazie e dai manuali.
Bibl.: Una rassegna delle principali officine di t. s. localizzate nei centri ellenistici, nella penisola italiana e nelle province dell'Impero Romano, sarà data dall'autore qualora venga fatto seguito con Appendici alla presente Enciclopedia.