TERMODINAMICA TECNICA
. La termodinamica tecnica è già stata trattata in modo necessariamente incompleto e frammentario nelle voci: motore: Motori a combustione interna; refrigerazione; termodinamica; turbina: Turbine a vapore; vapore: Macchine a vapore. Si cercherà qui di esporne i principî e risultati fondamentali con unità, il che rende inevitabile qualche ripetizione di cose già esposte nelle voci citate.
1. Principî. - Si può enunciare il primo principio nella forma seguente: È possibile trasformare calore in lavoro e lavoro in calore ed esiste un rapporto costante J detto equivalente meccanico del calore tra il lavoro prodotto (o consumato) ed il calore consumato (o prodotto). Si ha trasformazione integrale di calore in lavoro o di lavoro in calore quando un corpo, che scambia energia soltanto sotto forma di calore e lavoro e la cui energia cinetica non varia, subisce una serie di trasformazioni alla fine delle quali torna nello stato iniziale (ciclo). In questo caso si ha cioè Q = AL, indicando con A l'inverso di J con Q ed L rispettivamente le quantità di energia scambiate sotto forma di calore e di lavoro, valutate con la convenzione abituale di considerare le quantità di calore come positive o negative a seconda che sono date al corpo o tolte e le quantità di lavoro come positive o negative a seconda che sono compiute dal corpo o spese per comprimere il corpo. Se il corpo non torna nello stato iniziale Q = AL dipende soltanto dagli stati iniziale e finale, e può quindi essere uguagliato alla variazione subita da una grandezza U funzione dello stato fisico detta energia interna. D'altra parte nel caso di una massa di fluido che sulla superficie che la limita esercita una pressione normale p uniforme, si ha (v. termodinamica)
indicando con V il volume e con gli indici i e 2 gli stati iniziale e finale. In queste condizioni abbastanza restrittive, e che in particolare non si hanno nel caso di un fluido in moto, vale per una trasformazione infinitesima la relazione:
che può anche scriversi, ponendo i = U + ApV essendo i (entalpia o calore totale) una grandezza funzione dello stato fisico, nella forma:
Per studiare isolatamente le trasformazioni di un corpo, senza cioè occuparsi dei mezzi adoperati per dare o togliere calore, conviene immaginare l'esistenza di sorgenti di calore, alle quali si attribuisce la proprietà di potere cedere o ricevere quantità indefinite di calore restando a temperatura costante.
Il secondo principio può essere enunciato in forme apparentemente diverse. Una di esse è il postulato di Clausius: È impossibile che l'unico risultato di una trasformazione sia il passaggio di calore da un corpo a temperatura più bassa ad uno a temperatura più alta. Del tutto equivalente, ma forse più suggestivo per le applicazioni tecniche, è l'enunciato di Kelvin: È impossibile che l'unico risultato di una trasformazione sia la produzione di lavoro mediante calore sottratto ad una sola sorgente di calore. Strettamente connessi con il secondo principio sono la definizione di trasformazione non invertibile e l'affermazione che certe particolari trasformazioni non sono invertibili. Quando un sistema di corpi energeticamente isolato (che cioè non scambia energia con corpi non appartenenti al sistema) subisce una trasformazione, questa è detta non invertibile se è impossibile riportare il sistema nello stato iniziale, e ciò quali che siano i mezzi messi in opera, che devono soddisfare soltanto alla condizione di ritornare essi stessi alla fine della trasformazione inversa nello stato iniziale. Se invece ciò è possibile la trasformazione è detta invertibile. In realtà tutte le trasformazioni sono non invertibili, e le trasformazioni invertibili di cui si parla devono essere considerate come casi limiti.
La trasmissione di calore è un fenomeno non invertibile. Questa affermazione, che non significa soltanto che il calore si trasmette da corpi a temperatura più alta a corpi a temperatura più bassa e non nel senso inverso, ma ha invece, giusta la definizione prima data, un significato ben più generale, è una conseguenza immediata del postulato di Clausius, o piuttosto costituisce una forma di enunciato stesso di questo postulato. Come pure conseguenza del secondo principio (immediata se si adotta l'enunciato di Kelvin) è il fatto che non sono invertibili i fenomeni detti di dissipazione di energia, nei quali si ha trasformazione in calore di lavoro meccanico o di altre forme di energia, quali, ad esempio, la produzione di calore per attrito o per effetto Joule, i fenomeni di isteresi elastica, magnetica, dielettrica, ecc.
Si chiama rendimento termico η di un motore termico il rapporto tra l'equivalente termico AL del lavoro ottenuto e il calore speso Q1, cioè dato al corpo operante nel motore. Se il corpo operante scambiasse calore con una sola sorgente di calore non sarebbe possibile, per il postulato di Kelvin, ottenere lavoro in una trasformazione ciclica. Affinché ciò sia possibile devono essere disponibili almeno due sorgenti di calore. Una frazione del calore Q1 ricevuto dalla sorgente a temperatura più alta si trasforma in lavoro; il resto Q2 = Q1 − AL viene versato alla sorgente a temperatura minore. Indichiamo con I e II tali sorgenti e siano T1 e T2 〈 T1 le rispettive temperature. Si può dimostrare (teorema di Carnot) che in queste condizioni il valore massimo del rendimento (s'intende per valori determinati di T1 e T2) si avrebbe nel caso ideale in cui la trasformazione subita dal sistema costituito dalle sorgenti e dalla macchina fosse invertibile. Ciò implica che negli organi della macchina e nel corpo operante non avvenga alcun fenomeno non invertibile, e inoltre che gli scambî di calore tra corpo operante e sorgenti avvengano senza differenza di temperatura. Quindi il ciclo percorso, detto ciclo di Carnot, deve essere costituito da due tratti di isotermiche a temperature T1 e T2 e da due trasformazioni senza scambio di calore (adiabatiche).
Si dimostra infatti che se per un'altra macchina qualunque funzionante secondo un ciclo, subordinata solo alla condizione che gli scambî termici avvengano con le medesime sorgenti, il rendimento termico fosse maggiore, si potrebbe ideare una trasformazione il cui unico risultato sarebbe il passaggio di calore dalla sorgente II alla I avente temperatura maggiore, in opposizione al postulato di Clausius. La dimostrazione vale anche nel caso in cui pure l'altra macchina funzioni secondo un ciclo di Carnot. Quindi date due macchine di Carnot funzionanti tra le medesime temperature, il rendimento di una di esse non può essere maggiore di quello dell'altra. Quindi i due rendimenti sono uguali, cioè il rendimento di un ciclo di Carnot dipende soltanto dalle temperature delle due isotermiche ed è indipendente da qualunque altra circostanza, e in particolare della natura del corpo che percorre il ciclo. D'altra parte, supposto che il ciclo sia percorso da un gas il cui volume specifico resti sempre abbastanza grande, e che in conseguenza possa essere considerato come un gas perfetto, è possibile calcolare il valore di η e si trova η = 1 − T1/T2 essendo T1 e T2 le temperature delle due isotermiche misurate nella scala assoluta del termometro a gas. Quindi, per quanto si è detto, tale risultato vale per un ciclo di Carnot percorso da un corpo qualunque.
Come conseguenza del teorema di Carmot risulta che se un corpo subisce una trasformazione nella quale non avvenga alcun fenomeno non invertibile, l'integrale
dipende soltanto dagli stati iniziale e i finale, e quindi può essere uguagliato alla variazione che subisce una grandezza S funzione dello stato fisico, che viene detta entropia. Quindi in una trasformazione adiabatica invertibile l'entropia resta costante.
2. Proprietà termodinamiche dei fluidi. Lo stato fisico di un fluido omogeneo (che cioè ha le medesime proprietà in tutta la sua massa) resta determinato quando siano fissati i valori della temperatura T e del volume specifico v (volume dell'unità di massa). Cioè, ove sia nota la composizione chimica del fluido, fissati i valori di T e di v, restano determinati la pressione p (e dicesi equazione di stato l'equazione che lega p, v e T) e, a meno di costanti addittive arbitrarie per la definizione stessa di queste grandezze, i valori di U, i ed S riferiti, come si supporrà sempre in seguito, all'unità di massa. Più in generale lo stato di un fluido omogeneo può determinarsi assegnando i valori di due grandezze funzioni dello stato (ma non si può sempre senza ambiguità usare una coppia qualunque). Ne segue che lo stato di un fluido omogeneo resta determinato da un punto in un diagramma cartesiano in cui si portino per coordinate due grandezze che individuano lo stato. Se il corpo subisce una trasformazione, il punto rappresentativo descrive una curva, detta curva di trasformazione, che nel caso di una trasformazione ciclica è chiusa. Hanno particolare importanza il diagramma p-v (ascisse v, ordinate p), nel quale l'area sottostante ad una curva di trasformazione è uguale a
cioè al lavoro esterno; il diagramma di Mollier (ascisse S, ordinate i) e il diagramma entropico (ascisse S, ordinate T) nel quale, in assenza di fenomeni non invertibili, l'area sottostante ad una curva di trasformazione vale il calore scambiato, perché essendo in tale caso
Se un fluido gassoso, che per semplicità supporremo chimicamente puro, viene compresso isotermicamente e se la temperatura è minore di un certo valore T. detto temperatura critica dipendente dalla natura del fluido, ad un certo punto si inizia la condensazione. Il fluido non è più omogeneo, ma è costituito da una miscela eterogenea di liquido e vapore. Queste due parti vengono dette le fasi della miscela. In queste condizioni la pressione (detta di saturazione) è funzione soltanto della temperatura e quindi le isotermiche sono linee a pressione costante. Quando tutto il vapore si è condensato, e quindi il fluido è ritornato omogeneo, continuando a comprimere isotermicamente la pressione aumenta rapidamente al diminuire del volume. Lo stato fisico di ciascuna delle due fasi resta determinato quando sia fissato il valore della temperatura (oppure della pressione). Chiamansi curve limiti inferiore e superiore le curve che rappresentano gli stati fisici della fase liquida e della fase gassosa (vapore saturo secco) in un diagramma dello stato fisico (ad esempio, nel diagramma p-v o entropico). Tali curve si riuniscono in un punto detto punto critico. Risulta da ciò che se si passa dallo stato liquido a quello di gas secondo una curva di trasformazione che non interseca le curve limiti, il fluido resta omogeneo. In queste condizioni tutte le proprietà del fluido variano con continuità e non si può quindi indicare in quale punto della trasformazione è avvenuto il passaggio dallo stato liquido a quello gassoso salvo che si faccia una convenzione al riguardo (v. gas).
I fluidi gassosi quando il volume specifico è sufficientemente grande seguono approssimativamente le seguenti leggi, che vengono assunte per definizione come esatte per fluidi ideali detti gas perfetti: 1. L'equazione di stato è la pv = RT essendo R una costante che dipende dalla natura del gas; 2. volumi uguali di gas a parità di pressione e temperatura contengono ugual numero di molecole (legge di Avogadro); 3. l'energia interna è funzione soltanto della temperatura (legge di Joule). Queste leggi valgono sia per gas chimicamente puri sia per miscele di gas. Dalla legge di Avogadro risulta che, nel caso di gas chimicamente puri, a parità di p e di T, le masse dell'unità di volume sono proporzionali al peso molecolare μ. Quindi in tali condizioni il prodotto μ v è indipendente dalla natura del gas e in conseguenza è pure indipendente il prodotto μ R. Dalla legge di Joule e dall'equazione di stato risulta che, essendo i = U + Apv = U + ART, anche l'entalpia di un gas perfetto è funzione soltanto della temperatura. In una trasformazione a volume costante si ha per un corpo qualunque dQ = cv dT per la definizione stessa di calore specifico a volume costante cv, ed inoltre dQ = dU, perché il lavoro è nullo. Da ciò segue che per un corpo qualunque cv è uguale alla derivata parziale della U rispetto alla temperatura calcolata mantenendo costante il volume. Ma per i gas perfetti la U è funzione soltanto della temperatura. Quindi per tali fluidi cv è uguale alla derivata ordinaria di U rispetto a T. Ne segue, sempre perché U è funzione soltanto di T, che per un gas perfetto cv o è costante o è funzione soltanto della temperatura, e la stessa proprietà vale per il calore specifico a pressione costante cp perché, come si dimostra facilmente (v. termodinamica) la differenza cp − cv è uguale ad AR cioè ad una costante.
L'esperienza indica che per tutti i gas, salvo i monoatomici, cp e cv aumentano sensibilmente con l'aumentare della temperatura. Naturalmente si può per definizione attribuire ai gas perfetti la proprietà che i calori specifici siano costanti, ma questa convenzione che viene talvolta seguita (soprattutto per ragioni storiche e cioè perché quando si fissarono i principî della termodinamica le conoscenze sperimentali sui calori specifici dei gas erano limitate ad un ristretto intervallo di temperature) non appare opportuna, perché in tale modo le proprietà attribuite ai gas perfetti perdono il carattere di proprietà limiti valevoli per tutti i gas quando il volume specifico è sufficientemente grande e inoltre perché le miscele operanti nei motori a combustione interna seguono le leggi prima indicate con approssimazione ampiamente sufficiente, ma per esse non è trascurabile la variazione del calore specifico con la temperatura.
Le proprietà termodinamiche di un gas perfetto restano completamente determinate quando siano noti il valore della costante R e la legge di variazione di cv (oppure di cp) in funzione della temperatura. Per gas chimicamente puri questi dati ovviamente provengono dall'esperienza. Per miscele gassose invece possono venire calcolati, nota la composizione della miscela. Si ha infatti che la R della miscela è uguale alla media baricentrica riferita alla composizione in peso dei valori che ha tale grandezza per i componenti, e che proprietà analoghe valgono per i valori di cp e cv corrispondenti a una determinata temperatura. Le prime due di queste leggi possono essere considerate di origine sperimentale, e sono d'altra parte in accordo con ipotesi fondamentali della teoria cinetica dei gas perfetti; l'ultima ne è una conseguenza.
Quando si passa dal caso limite dei gas perfetti ai fluidi reali lo studio delle proprietà termodinamiche diviene molto più complesso. È opportuno dividere le molte equazioni di stato proposte (il cui numero stesso è indice delle difficoltà che si oppongono alla soluzione del problema) in due gruppi. Ad un gruppo appartengono equazioni (Van der Waals, Clausius, Dieterici, Wohl) che sono approssimativamente valevoli in tutto il campo del fluido omogeneo, e quindi anche nell'intorno del punto critico e nel campo del liquido. Appartiene, ad esempio, a questo gruppo l'equazione di Van der Waals (p + a/v2) (v − b) = RT nella quale a, b ed R sono costanti dipendenti dalla natura del fluido. Quando v diviene grandissimo i termini a/v2 e b divengono trascurabili. Quindi la forma limite di questa equazione per v tendente ad infinito coincide con l'equazione dei gas perfetti. Il fatto che le equazioni di questo gruppo valgono anche nell'intorno del punto critico permette di trovare delle relazioni tra i coefficienti dell'equazione e le coordinate pc, vc e Tc del punto critico (v. gas), relazioni che nel caso di equazioni nelle quali non vi siano più di tre coefficienti indipendenti, permettono di esprimere questi in funzione di pc, vc e Tc . Sostituendo queste espressioni nell'equazione di stato si giunge ad equazioni nelle quali i parametri dipendenti dalla natura del fluido sono le coordinate del punto critico. Nel caso dell'equazione di Van der Waals si giunge, ponendo pr = p/pc, vr = v/vc, Tr = T/Tc, alla cosiddetta equazione in coordinate ridotte: (pr + 3/vr2)•(3 vr − 1) = 8 Tr nella quale i coefficienti numerici sono indipendenti dalla natura del fluido. Ne segue che ad una medesima coppia di valori di pr e vr corrisponde un medesimo valore di Tr indipendente dalla natura del fluido. È questa la legge degli stati corrispondenti, che però è solo approssimata.
L'approssimazione che può essere raggiunta con equazioni di questo gruppo è attualmente in generale insufficiente. Per questo motivo trovano maggiore impiego nella tecnica equazioni che, in opposizione con le precedenti, possono chiamarsi a campo di validità limitato. Queste equazioni, di origine sperimentale, valgono entro certi limiti nel campo dei vapori surriscaldati e dei gas reali, ma non nel campo del liquido e nell'interno del punto critico. Quindi i coefficienti che compaiono in esse non sono legati alle coordinate del punto critico. Appartiene, ad esempio, a questo gruppo l'equazione di Callendar-Mollier per il vapore d'acqua:
Ha importanza fondamentale il fatto che l'equazione di stato di un fluido è legata alle sue proprietà termiche. Si può dimostrare infatti, basandosi sui due principî della termodinamica, che quando sia nota l'equazione di stato di un fluido valevole in certo campo e sia nota anche la legge di variazione di cp, (oppure di cv) al variare della temperatura lungo una linea a pressione costante compresa nel campo di validità dell'equazione (ad esempio, la legge di variazione del valore limite cpo del calore specifico a pressione costante del fluido sottoposto a pressione così piccola da comportarsi come un gas perfetto, se l'equazione di stato vale in questo campo, come generalmente avviene) allora tutte le proprietà del fluido studiate nella termodinamica restano completamente determinate. È possibile cioè, ove, ad esempio, si assumano v e T come variabili indipendenti, esprimere in funzione di queste l'entalpia, l'energia interna, l'entropia, i calori specifici a pressione ed a volume costante del fluido. Nel caso in cui l'equazione di stato utilizzata valga in tutto il campo del fluido omogeneo restano anche determinate la legge di variazione della pressione di saturazione ps in funzione della temperatura e, in conseguenza, le proprietà del fluido lungo le curve limiti.
Una equazione termodinamica particolarmente semplice che lega grandezze relative alle curve limiti è l'equazione di Clapeyron:
alla quale si giunge applicando i due principî ad un ciclo di Carnot con salto di temperatura infinitesimo percorso da una miscela di liquido e vapore. In essa r è il calore di vaporizzazione, cioè la quantità di calore occorrente per vaporizzare a temperatura costante l'unità di massa di liquido, ed u (volume differenziale) è la differenza tra i volumi specifici del vapore saturo secco e del liquido sulla curva limite. Ovviamente, ove siano note le leggi di variazione in funzione di T di due delle tre grandezze r, u e ps questa equazione permette di determinare la legge di variazione della terza.
I risultati dell'elaborazione fatta valendosi delle relazioni termodinamiche, dei risultati sperimentali possono essere rappresentati mediante formule e tabelle (particolarmente comode per le grandezze relative alle curve limiti, che sono funzioni di una sola variabile) o graficamente. Trovano largo impiego nelle applicazioni diagrammi entropici e di Mollier nei quali sono segnate le curve limiti e fasci di curve a p costante, v costante, ecc.
3. Trasformazioni termodinamiche. - Lo studio delle trasformazioni si presenta in generale nella forma seguente: sono noti lo stato iniziale 1, le condizioni nelle quali avviene la trasformazione (che devono essere tali che la trasformazione risulti fisicamente determinata) e una grandezza funzione dello stato relativa allo stato finale 2. Con questi dati si devono trovare le equazioni delle curve di trasformazione rappresentate in diagrammi dello stato fisico e si devono calcolare il lavoro esterno ed il calore scambiato. Casi particolarmente semplici sono quelli nei quali resta costante una grandezza funzione dello stato fisico, cioè le trasformazioni a pressione costante, volume costante, entropia costante, ecc.
Lo studio delle trasformazioni a p e v costante per i gas perfetti è immediato. Nelle isotermiche si ha pv = p1 v1 e quindi
Il calore scambiato è uguale all'equivalente termico del lavoro, perché l'energia interna, essendo funzione della sola T, resta costante. In una adiabatica, essendo per un gas perfetto dU = cvdT, la (i) diviene cvdT + Apdv = 0. Dividendo per T si ha:
La quale integrata supponendo cv costante conduce alla Tvk-1 = cost. essendo k = cp/cv, e quindi alla pvk = cost. Ne segue:
Queste ultime relazioni valgono approssimativamente anche se cv varia ponendo k uguale al rapporto tra i valori medî di cp e cv nell'intervallo di temperatura considerato. La (3) d'altra parte si integra immediatamente anche considerando cv variabile, bastando in genere porre cv = a + bT.
Anche per gli altri fluidi (vapori surriscaldati, gas reali, miscele di liquido e vapore) lo studio delle trasformazioni nelle quali resta costante una grandezze funzione dello stato non presenta concettualmente alcuna difficoltà. Un procedimento generale, che sovente può essere abbreviato, è il seguente. Se indichiamo con y la grandezza che resta costante e con x una qualunque grandezza variabile funzione dello stato, la curva che rappresenta la trasformazione in coordinate x-y è un segmento di retta parallelo all'asse delle x. Lo stato fisico in un punto qualunque della trasformazione è determinato dalle coordinate; quindi restano determinate tutte le grandezze funzioni dello stato. È quindi possibile, ripetendo il procedimento, costruire per punti la curva di trasformazione in un qualunque diagramma. Il lavoro esterno si ottiene calcolando l'integrale
oppure, se ciò non è possibile o esige calcoli laboriosi, misurando l'area sottostante alla curva di trasformazione disegnata nel diagramma p-v. Il calore scambiato si può in generale calcolare come somma algebrica della variazione dell'energia interna e dell'equivalente termico del lavoro. Risultati affatto generali, valevoli cioè per qualunque fluido, sono i seguenti, conseguenze immediate delle (1) e (2): il calore scambiato è uguale alla variazione di entalpia nelle trasformazioni a pressione costante, alla variazione di energia interna nelle trasformazioni a volume costante ed all'equivalente termico del lavoro nelle trasformazioni ad energia costante. In una adiabatica l'equivalente termico del lavoro è uguale alla variazione di energia interna cambiata di segno e, se la trasformazione è invertibile, l'entropia resta costante.
Tutto questo è molto semplice. Se si tenta però di prevedere teoricamente le trasformazioni che avvengono nelle macchine termiche ci si urta in difficoltà di tutt'altro ordine di grandezza, dovute soprattutto al fatto che in tali casi il problema termodinamico risulta legato a problemi di trasmissione del calore, di moto dei fluidi ed anche di chimica-fisica (nei motori a combustione interna) alla cui soluzione esatta si oppongono in generale difficoltà insuperabili. È possibile invece nel caso delle macchine a stantuffo lo studio sperimentale diretto delle trasformazioni, fatto valendosi dei diagrammi dell'indicatore, disegnati da apposito strumento dal quale appare come varia la pressione p nel cilindro al variare del volume V di fluido contenuto. Ovviamente tali diagrammi non devono essere confusi coi diagrammi termodinamici p-v, poiché in questi si porta in ascisse il volume specifico (cioè, in sostanza, poiché l'unità di massa è arbitraria, il volume di una massa di fluido che resta costante) mentre nelle parti dei diagrammi dell'indicatore corrispondenti alle fasi di introduzione e di searico la massa di fluido contenuto nel cilindro varia. Solo le parti dei diagramma relative alle fasi di espansione e comprensione, nelle quali la massa di fluido contenuta nel cilindro resta costante, possono venire considerate come curve di trasformazione disegnate nel diagramma pressione-volume. Noto per tali fasi come varia p in funzione di V e la massa operante nel cilindro e supposto che non avvengano fenomeni chimici (condizione questa non soddisfatta nelle fasi di espansione dei motori a combustione interna, perché in queste continua la combustione) è possibile studiare gli scambî termici avvenuti nella trasformazione, scambî che appaiono evidenti se si disegna la curva di trasformazione in un diagramma entropico.
È opportuno per la tecnica rappresentare con relazioni empiriche le curve di trasformazione che si hanno in tali fasi. Si trova che si prestano relazioni delle forma p Vn = cost. Questo risultato, al quale ovviamente non si deve dare il carattere di legge fisica, giustifica lo studio generale delle trasformazioni di questo tipo,. che vengono dette politropiche e comprendono come casi limiti le trasformazioni a pressione ed a volume costante, con n rispettivamente uguale a zero ed a infinito, e inoltre per i gas perfetti le isotermiche e se si suppone cv costante anche le adiabatiche. Si trova che nel caso dei gas perfetti e se si suppone cv costante, lungo una politropica resta costante il rapporto c = dQ/dT tra il calore scambiato in un tratto infinitesimo della trasformazione e la relativa variazione di temperatura, rapporto che si chiama calore specifico, generalizzando questo concetto, che originariamente era limitato alle trasformazioni a pressione ed a volume costante, ad una trasformazione qualunque. Tra n e c sussiste la relazione n = (cp − c)/(c2 − c). L'importanza che ha per la tecnica questo risultato è attenuata dal fatto che nei motori a combustione interna cv: varia, e che nei compressori di gas si ha da fare con trasformazioni intermedie tra le isotermiche e le adiabatiche, campo nel quale c varia in modo estremamente rapido al variare di n (infatti nelle isotermiche c è uguale a infinito ed n ad 1, e nelle adiabatiche c è uguale a zero ed n a k, cioè è poco maggiore di 1), e quindi una trasformazione che segue solo approssimativamente la legge p Vn = cost. è in generale lontana dall'essere a calore specifico invariabile.
Bibl.: J. A. Ewing, Thermodynamics for Engineers, Cambridge 1920; W. Schüle, Technische Thermodynamik, Berlino 1930 (entrambe queste opere sono state tradotte in italiano); U. Bordoni, Fondamenti di Fisica Tecnica; I, Bologna 1936; P. Brunelli, Termotecnica, I, Torino 1935; R. Glazebrook, A Dictionary of applied Physics, I, Londra 1922; Handbuch der Physik, IX, X, XI, Berlino 1926; Handbuch der Experimentalphysik, III e IX, Lipsia 1929.