TERMINE
. Nella sua più lata accezione il termine, sia esso lapideo o ligneo o consistente in un albero, in una siepe, in un fosso, in un sentiero, è il segno di confine fra due fondi.
Fino dalla più remota antichità il termine consiste specialmente in una pietra confitta al suolo; i kudurru babilonesi erano infatti pietre portanti scolpiti i simboli della divinità; "grosse e nere pietre" (ὄρου) segnavano nell'età omerica i confini delle proprietà private (Om., Iliade, XXI, 405; Erod., I, 93); cippi lapidei (limites lapides signatae) posti sotto la protezione del dio Termine (v. appresso), venivano in Roma infissi con speciali cerimonie (Gromatici veteres, ed. Lachmann, Berlino 1848, p. 402); è di origine romana l'uso di porre sotto il termine lapideo (come segno distintivo) carboni, ceneri, terrecotte, ossa: la pratica dei cosiddetti testimonî ricorre ancor oggi nelle nostre campagne. Ma pur frequente in Roma fu l'uso di segnare i confini con alberi: frassini, olmi, cipressi (Igino, De limitibus constituendis, ed. Lachmann, p. 130) o anche Arbores incisae, notatae, clavicatae, come più spesso poi nel Medioevo (il pioppo [poplo] teclato, il cornale signato, la rovere arsa) e ancor oggi in talune regioni italiane. La segnatura o teclatura degli alberi come mezzo di segnare i confini viene detta anche sneida (cfr. schneiden, tagliare).
Il rispetto dei termini è stata una delle preoccupazioni del legislatore di ogni tempo: suggestivi raffronti possono stabilirsi fra le varie formule di imprecazioni contro i violatori dei termini: terrificante quella etrusca conservataci nel testo dei gromatici latini (Grom. veteres, ed. Lachmann, p. 351; per il diritto greco cfr. Plat., Leggi, VIII, 842). Nel diritto romano, caduta in desuetudine la sanzione della sacertas (Fest., v. Terminus, ed. Müller, p. 368; Dion., II, 74) contro l'autore della rimozione di termini (Crimen termini amoti), le leggi agrarie vi sostituirono multe ripetibili a mezzo di azioni popolari (Lex agraria, 5, in Riccobono, Fontes, p. 108; Call., Dig., XXXXVII, 21, De term. mot., 3, pr.); Adriano commina la relegazione e la confisca di una parte del patrimonio per gli appartenenti alle classi più elevate (splendiores), pene afflittive (castigationes) e la condanna a opus publicum per gli humiliores (Dig., XXXXVII, 21, de term. mot., 2; Paolo, R. Sent., V, 22, 2; Ed. Theod., 104). Nella legge agraria di Leone III Isaurico (sec. VIII) si richiama il precetto che "l'agricoltore nel lavorare il suo campo sia giusto e non oltrepassi i confini del suo vicino", nonché l'altro che nelle contese di confini fra villaggi "il confine antico sia intangibile". Sotto l'influenza del cristianesimo le pietre confinali vennero spesso segnate con una croce e religiosamente protette.
La religiosa santità dei confini nel Medioevo tedesco è denunziata da sanzioni atroci: le fonti tedesche ricordano che l'autore di rimozioni di termini vien seppellito vivo nel confine fino alla cintola e poi gli si fa passar sopra l'aratro ovvero lo si pianta col capo all'ingiù lasciandolo lì come il segno di confine. Secondo l'editto di Rotari la rimozione dei confini o la loro distruzione è punita invece nei liberi col sistema delle leggi agrarie romane, con le sanzioni cioè pecuniarie: solo negli schiavi con l'esecuzione capitale o col taglio della mano (Roth., 237, 239, 241; cfr. altresì legge dei Visigoti, X, 3, 25 e dei Bavari, XII, 2). Anche negli statuti italiani prevale il sistema delle sanzioni pecuniarie e solo in taluni si riscontrano pene corporali.
Le moderne legislazioni non si accordano sulla sede da assegnarsi al delitto di rimozione o di alterazione di termini: alcune lo contemplano tra i danni, altre tra i furti, altre tra le frodi e altre tra le falsificazioni di documenti, altre infine tra le usurpazioni (il nomen iuris è tratto dal cod. napoletano del 1819). Così lo ebbe a considerare il cod. pen. italiano del 1889 (art. 422), così ancora quello del 1930 (art. 631: "Chiunque per appropriarsi, in tutto o in parte, l'altrui cosa immobile, ne rimuove o altera i termini, è punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa fino a lire diecimila").
Nel concetto del legislatore, termine è qualsiasi segno tangibile di riconoscimento dell'integrità dei fondi, purché immobile e duraturo: un ciottolo o un solco non possono valere come termini.
Come già il legislatore civile francese riconobbe al proprietario di un fondo il diritto di obbligare il vicino a porre a spese comuni i termini (action de bornage o di emplacement de bornes) fra le loro proprietà contigue (art. 646 cod. nap.), azione di carattere personale (Pothier, Traité du contrat de société, n. 236), così il codice italiano ha eguale norma (articolo 441): l'azione può essere promossa da chiunque ha la proprietà o un diritto reale sul fondo (l'usufruttuario, l'enfiteuta); è imprescrittibile; viene concessa non solo per stabilire per la prima volta i termini ma per ristabilirli se gli originarî siano stati distrutti o siano irriconoscibili. Diverso scopo ha l'azione per regolamento di confini (actio finium regundorum) diretta a fare apporre i termini fra due fondi quando i confini siano incerti e mal definiti (art. 79 cod. proc. civ.).
Bibl.: E. Cuq, La propriété foncière en Chaldée d'après les pierres limites, in Nouv. rev. hist., 1906, p. 701 segg.; id., Notes d'épigraphie, ibid., 1908, p. 462 segg.; Thureau-Dangin, in Rev. d'assyr., XVI; Steinmetzer, Die babyl. Kudurru (Grenzsteine) als Urkundenform, Paderborn 1922; N.-D. Fustel de Coulanges, La cité antique, Parigi 1923, p. 71 (trad. it. a cura di G. Perrotta, Firenze 1924, p. 74); E. Costa, Crimini e pene da Romolo a Giustiniano, Bologna 1921, pp. 18 e 132 segg.; A. Pertile, Storia del diritto it., Torino 1892, V, pp. 368 e 559; F. Schupfer, Il diritto privato dei popoli germanici, Roma 1907, II, p. 89; E. Besta, I diritti sulle cose nella storia del diritto italiano, Padova 1933, p. 91; G. Antonucci, Pietre di confine, in Arch. Scialoja per le consuet. giur. it., 1934, I, p. 70 seg.; B. Brugi, Proprietà, Torino 1926, II, p. 606 segg.
Il dio Termine.
I Romani onoravano come divinità le pietre che segnavano il confine, sia che vi vedessero l'abitazione del dio Termine, sia che le credessero sotto la sua protezione. Secondo la tradizione il culto sarebbe stato istituito da Tito Tazio e da Numa.
Chi spostava un termine o anche lo faceva cadere nell'arare il campo era maledetto. Il 23 febbraio, nella festa delle Terminalia, i confinanti festeggiavano i termini comuni: vi assistevano i servi e i vicini in vesti bianche. La festa è descritta da Ovidio (Fasti, II, 639 segg.). Ciascuno dei proprietarî inghirlandava il suo lato della pietra e offriva frutta, un agnello, e un maialino lattante. Lo stesso giorno ricorrevano anche le Terminalia pubbliche, festeggiate dallo stato al sesto miglio della Via Laurentina, forse perché vi passava il limite primitivo del territorio di Roma. Il culto di T. è associato a quello di Giove, detto anche Juppiter Terminus, e secondo alcuni il dio T. sarebbe un tardo sdoppiamento di Giove; secondo altri Giove, come dio della limitazione, avrebbe sostituito T. solo perché una pietra terminale era venerata nel tempio di Giove Capitolino. T. è raffigurato sopra un denaro di Varrone.
Bibl.: G. Wissowa, Religion und Kultus der Römer, 2a ed., Monaco 1912, p. 136; L. Deubner, in Chantepie, Lehrbuch der Religionsgeschichte, II, p. 436; W. Fowler, The Roman Festivals, n. ed., Londra 1925, p. 324 segg.; J. G. Frazer, The Fasti of Ovid, II, p. 481 segg.; J. A. Hild, in Daremberg e Saglio, Dictionn. d. antiq. gr. et rom., s. v. Terminus, Terminalia; E. Marbach, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A, col. 781 segg.