TERMINE (lat. dies; fr. terme; ted. Befristung o Betagung; ingl. time)
Diritto romano. - È una clausola aggiunta a un negozio giuridico, per la quale gli effetti di questo si fanno incominciare, o venir meno, a un dato momento di tempo che si dice pure termine.
Questo logicamente deve essere futuro, perché solo per il futuro possiamo disporre del nostro e dell'altrui comportamento e quindi solo per il futuro fissare il momento in cui il nostro o l'altrui comportamento debba atteggiarsi in uno o in un altro modo. Del resto, il termine può essere fissato o in modo diretto con l'indicazione di un giorno preciso del calendario o in modo indiretto col riferimento a un avvenimento futuro (ad es., la morte di una persona), oppure al compimento della durata di uno stato di cose (ad es., quando sarai uscito di tutela). Nell'ipotesi di un termine fissato indirettamente bisogna vedere se vi sia certezza o meno che l'avvenimento futuro si verificherà, perché, mentre nel primo caso si avrà termine, nel secondo, propriamente, si avrà condizione (v.). Infatti, la linea differenziale tra il termine e la condizione consiste nella circostanza che il termine dev'essere certo. Questa certezza, tuttavia, non è sempre la medesima. La scuola, a tal proposito, distingue: a) il dies certus an et quando: es., il 20 marzo 1936; b) il dies certus anincertus quando: es., la morte di una persona; c) il dies incertus an certus quando: es., quando una persona compirà una certa età (in tal caso è incerto se la persona vivrà a quell'epoca); d) il dies incertus an et quando: es., il giorno delle tue nozze. La prima fattispecie si riconosce unanimamente come termine, l'ultima come condizione; invece il dies incertus an certus quando (ipotesi c) talvolta vale come termine (ciò si verifica ad es. in un legato pagabile al 20° anno del legatario, quando l'intenzione del testatore è che il legato stesso, al giorno in cui siano trascorsi 20 anni dalla nascita del legatario, sia pagabile, in ogni caso, a costui oppure, nell'ipotesi che questi sia morto, ai suoi eredi), talaltra come condizione; infine vale come condizione, almeno secondo il diritto giustinianeo, il dies certus an incertus quando (ipotesi b) apposto a un legato, giacché la disposizione a favore del legatario s'intende condizionata al fatto che la morte della terza persona avvenga durante la vita del legatario stesso. Del resto, questa parziale equiparazione del termine alla condizione si ricollega alla tendenza giustinianea di avvicinare il regolamento del negozio giuridico sotto condizione sospensiva a quello del negozio a termine. È da tener presente, per altro, che il criterio della distinzione tra il termine e la condizione si deve ricercare, specie nel diritto giustinianeo, più che nelle espressioni usate, nell'intenzione delle parti. Dalla nozione data di termine discende che questo, al pari della condizione, può essere sospensivo o iniziale, oppure risolutivo o finale. Il primo, dies a quo (nella terminologia romana: ex die) è l'avvenimento futuro, al giungere del quale si vuole abbiano inizio gli effetti del negozio giuridico; il secondo dies ad quem (nella terminologia romana: ad diem) quello al giungere del quale si vuole cessino quegli effetti. Trattandosi di termine sospensivo certus an et quando si distingue il momento della decorrenza (dies cedit) e il momento della scadenza (dies venit). Il primo segna la nascita del diritto, il secondo il giorno dal quale quel diritto si può fare valere: Dig., L, 16, de verb. sign., 213, pr. Questa distinzione ha particolare importanza in tema di acquisto di legato. Quivi il dies cedit col giorno in cui il diritto nascente dal legato perviene al legatario che così lo trasmette ai suoi successori, giorno che, secondo il diritto anteriore alla legge Iulia et Papia (diritto ripristinato poi da Giustiniano), corrisponde a quello della morte dell'ereditando, secondo la suddetta legge, invece, al giorno dell'apertura del testamento; il dies venit, d'altra parte, allo scadere del termine, quando l'avvenimento si verifica e quando l'onorato potrà far valere il diritto che gli proviene dal legato. Il termine, poi, può essere espresso o tacito espresso quando è apposto dal disponente o dalle parti; tacito, quando risulta dalla natura del negozio giuridico, dallo scopo e dalle circostanze di fatto, tali, ad es., le locazioni, la società, il mandato. Il termine espresso può essere fissato nel negozio giuridico e può essere rimesso alla volontà di una delle parti, ad es., del debitore: cum volueris. In tal caso esso si protrae sino alla morte della parte stessa. Il termine impossibile (es., il 30 febbraio) pare avesse lo stesso regolamento delle condizioni impossibili.
Effetti del termine. - Non si può affermare, come principio generale, che il termine, a differenza della condizione, abbia importanza solo per l'efficacia, non per l'esistenza del diritto concesso. Bisogna, a tal proposito fare delle distinzioni. Se si tratta di termine sospensivo, apposto a un negozio traslativo o costitutivo di diritti reali (ad es., legato per vindicationem), allora esso differisce il sorgere del diritto medesimo (Giustiniano, tuttavia, stabilì che l'alienante non potesse ulteriormente alienare la cosa già alienata). Se si tratta, invece, di negozî obbligatorî, escluso per altro il fedecommesso, allora il dies certus an et quando, se posto nell'interesse del debitore, sospende di regola il giorno in cui si acquista l'esercizio (dies veniens), non il sorgere del diritto di credito; quindi, se prima della scadenza il creditore non può agire in giudizio, d'altra parte il debitore paga validamente e il pagamento anticipato, anche se fatto per errore, non è ripetibile, mentre il dies certus an et incertus quando, apposto ai legati, differisce il giorno in cui il legato stesso comincia a decorrere a favore dell'onorato (dies cedens). I pegni e le ipoteche, costituite a termine, nascono al momento della conclusione del negozio, quantunque non possano esercitarsi se non alla scadenza del termine. Il giungere del termine risolutivo, nei casi in cui esso è applicabile, estingue il diritto sorto dal negozio cui è apposto, però in molti casi in cui il diritto civile considera come non scritto il termine finale (es., obbligazioni iuris civilis, costituzione di servitù), si dà efficacia al termine con mezzi pretorî indiretti (exceptio pacti conventi). Trattandosi di traditio della proprietà, secondo il diritto giustinianeo, il termine risolutivo, apposto a un negozio traslativo di proprietà (donazione, legato), fa che al suo giungere la proprietà sia revocata ipso iure (revoca reale).
Ammissibilità del termine. - In generale il termine sospensivo è ammesso. Tuttavia non lo tollerano i cosiddetti actus legitimi, cioè: la manumissio vindicta o censu, l'emancipazione, la datio tutoris, l'auctoritas tutoris, la mancipatio, la in iure cessio, l'expensilatio, l'acceptilatio, la cretio, la servi optio, la cognitoris datio e, inoltre, l'istituzione di erede. Le ragioni di tale incompatibilità sono da ricercarsi talvolta nella forma del negozio, talaltra nella natura del rapporto o diritto che s'intende costituire. Ancora, nel diritto classico, la stipulazione non tollera l'aggiunta di certi termini sospensivi come quelli post mortem del creditore o del debitore e ciò per l'originaria concezione rigorosamente personale dell'obbligazione. Ugualmente nulla è la stipulazione pridie quam moriar oppure quam morieris per l'impossibilità di stabilire il momento della scadenza. Passando al termine finale si può dire che esso in linea di massima è escluso per diritto civile oltre che dagli actus legitimi, anche da quegli atti che mirano a costituire rapporti giuridici essenzialmente duraturi e permanenti, come la trasmissione di proprietà, la costituzione di servitù, l'istituzione di erede. Esso, nel diritto classico, si poteva applicare soltanto a negozî costitutivi di diritti essenzialmente temporanei, quali l'usufrutto, l'uso, oppure a contratti come la società, la locazione, la stipulazione di rendita, il comodato. Aggiunto, per altro, ad atti che normalmente miravano a costituire rapporti duraturi poteva talvolta avere riconoscimento da parte del pretore. Il diritto giustinianeo, come si è già detto, riconosce revoca reale, ipso iure, al giungere del termine risolutivo aggiunto a un atto traslativo di proprietà. Il termine, aggiunto a negozî che non l'ammettono, o vale come non scritto oppure annulla il negozio. Valgono come non scritti i termini sospensivi o risolutivi aggiunti all'istituzione di erede o alle manumissioni; così pure, secondo il diritto civile, i termini risolutivi aggiunti alla stipulazione o al legato per damnationem o alle costituzioni di servitù; sennonché in queste tre ultime ipotesi il diritto onorario dava riconoscimento alla volontà delle parti mediante exceptiones pacti conventi. Annullano l'atto i termini apposti ad atti legitimi, oppure, secondo il diritto classico, alla tradizione della proprietà. Annullano del pari la stipulazione i termini sospensivi post mortem del creditore o del debitore, e pridie quam moriar o pridie quam morieris.
Diritto italiano (articoli 851; 854; 856; 1172 segg; 1176 cod. civ.). - Il concetto, gli effetti del termine, sono, nel diritto civile italiano, sostanzialmente identici a quelli del diritto romano. Tuttavia, mentre per il diritto giustinianeo il dies certus an incertus quando, apposto a un legato, deve trattarsi come una condizione, una simile regola non può ammettersi nel diritto italiano, non trovando essa fondamento né in principî generali, né in disposizioni di legge. D'altra parte per l'art. 1173, in caso di termine tacito, spetta all'autorità giudiziaria di fissare fin quando deve durare l'efficacia del negozio o quando deve adempiersi un'obbligazione. Spetta ugualmente all'autorità giudiziaria di stabilire per l'adempimento dell'obbligazione un termine conveniente se questo sia stato rimesso alla volontà del debitore. La distinzione: termine di diritto e termine di grazia, è estranea oltre che al diritto romano, anche alla legislazione italiana. Termine di diritto sarebbe quello derivante dallo stesso negozio giuridico, termine di grazia quello concesso dall'autorità giudiziaria al debitore perché possa adempiere la sua obbligazione fuori del tempo stabilito; in altre parole, termine di grazia è una vera dilazione accordata dall'autorità giudiziaria. Il termine si può apporre a tutti i negozî giuridici eccetto quelli che per loro natura (ad es., il matrimonio) o per disposizione di legge non lo tollerano. Di regola, tutti i negozî che non possono essere fatti a condizione, non possono nemmeno essere sottoposti a termine; tuttavia alcuni che possono essere condizionati, non tollerano l'aggiunta del termine (es., l'istituzione di erede) e altri, che non ammettono condizione, importano sempre un termine (es., la cambiale). Il termine, aggiunto a un negozio che lo esclude, vale come non apposto. Non v'è ragione di ritenere non apponibile un termine finale a negozî traslativi di proprietà non essendo questa, nel diritto italiano, essenzialmente perpetua. Così pure è valido il termine iniziale o finale apposto a una disposizione testamentaria a titolo particolare. Ove il termine iniziale sia apposto a negozî traslativi o costitutivi di diritti reali, si discute se esso sospenda l'esercizio soltanto oppure l'esistenza stessa del diritto. È preferibile l'opinione di coloro i quali ritengono che il termine sia stato posto per sospendere l'esercizio del diritto reale già trasmesso. Trattandosi di termine iniziale aggiunto nell'interesse del debitore a negozî obbligatorî, secondo il progetto di riforma (art. 118), il debitore che ha pagato prima della scadenza non potrà ripetere l'intero pagamento per il principio che l'obbligazione sussisteva anche prima della scadenza, ma potrà ripetere ciò di cui il creditore siasi arricchito in conseguenza dell'anticipato pagamento, ad es., frutti, interessi.
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