termine
Nel suo valore originario, designa il " limite " o " confine " di un terreno o di un territorio; per estensione, indica il " confine ", o i " limiti " entro cui si esercita un diritto formalmente riconosciuto, o che, aristotelicamente, definiscono l'ambito entro cui può cadere l'operazione che consegua alla natura di una cosa; ancora, designa l'‛ oggetto ' di un desiderio, il ‛ fine ' o l'‛ effetto ' di un'azione, e tutto ciò che a qualsiasi titolo indica la ‛ fine ' di qualcosa; solo nella Monarchia ha il valore (logico) di ‛ elemento significativo più semplice ' del discorso.
1. T. (in genere al plurale) indica i " confini " in senso geografico, in If IX 114 [il] Carnaro / ch'Italia chiude e suoi termini bagna; in Quaestio 54 ‛ termini occidentales ' sono i " confini " occidentali della terra abitabile; in Pg XIV 94 questi termini sono i " confini " della Romagna, indicati al v. 92 (tra 'l Po e 'l monte e la marina e 'l Reno), mentre in I 114 termini bassi indica l' " orlo " estremo della spiaggia del Purgatorio (cfr. vv. 100-101 Questa isoletta intorno ad imo ad imo, / là giù colà dove la batte l'onda).
Ha il valore di " limite " fisico in Pd II 86: se ‛ raro ' e ‛ denso ' nel corpo lunare si alternassero a strati, vi sarebbe un termine da onde, a partire dal quale, il ‛ denso ' non dovrebbe più lasciar passare, anzi dovrebbe ‛ riflettere ' il raggio che ha trapassato il ‛ raro ' (v. TERMINARE). Cfr. anche Quaestio 20 aqua est labile corpus naturaliter, et non terminabile termino proprio: l'acqua non è solida, e quindi non è per sé stessa limitabile, cioè non trova in sé il proprio limite, ma lo trova in un corpo solido; nei §§ 54 (seconda e terza occorrenza) e 57 si tratta dei ‛ punti terminali ' di una longitudine.
2. Argomentando in favore della monarchia universale, D. afferma che la ‛ mala cupidigia ' spinge gli uomini e le società alla lotta per la conquista di nuove terre e nuove glorie; un solo monarca, che possegga tutto e non abbia niente da acquistare, è dunque necessario perché li regi tegna contenti ne li termini de li regni, sì che pace intra loro sia (Cv IV IV 4). In verità, la monarchia universale a perfezione de l'umana vita... fu trovata (IX 1), secondo il poeta, e compito precipuo dell'imperatore è quello di provvedere a regolare le azioni umane mediante la legge; infatti, quanto le nostre operazioni si stendono tanto la maiestade imperiale ha giurisdizione, e fuori di quelli termini non si sciampia.
L'ambito della giurisdizione imperiale si estende fino ai ‛ limiti ' fissati alle operazioni ‛ umane ', cioè a quelle operazioni che la nostra [ragione] considera ne l'atto de la volontade, che sono proprie nostre del tutto, perché, quanto la nostra volontade ottenere puote, tanto le nostre operazioni si stendono (§ 7; cfr. § 4). I confini della giurisdizione imperiale coincidono così con quelli della volontà umana, dalla quale hanno origine operazioni che appartengono in proprio alla responsabilità dell'uomo. La giurisdizione imperiale si precisa e ‛ definisce ' dunque per rapporto all'operazione ‛ propria ' dell'uomo che è piena manifestazione della natura di lui; e i suoi limiti trovano riscontro nei limiti naturali dell'estrinsecazione dell'uomo. A sua volta, la legge positiva promulgata dall'autorità imperiale, che fissi secondo ragione l'ambito di ciò che è lecito nelle operazioni umane, è indirizzata alla volontà che in essa trova la sua norma. A dissipare ogni equivoco circa la natura della monarchia, che è ‛ universale ' ma opera in un ambito giurisdizionale ben definito, è bene notare che tutto ciò che appartiene al mondo creato si ‛ definisce ' in rapporto a una certa essenza, e alle operazioni o atti conseguenti come manifestazione di una certa natura. Essenza e natura sono però nient'altro che l'attuazione dell'idea di Dio secondo un piano provvidenziale, nel quale le essenze e le nature trovano la loro norma e la loro definizione. In questo modo Dio ‛ definisce ' in sé come idea una certa natura che, una volta creata, attua la propria essenza secondo la legge in essa insita come legge naturale; all'uomo, poi, dotato di libertà, è data la ragione che dia norma alla volontà nel perseguimento del bene; e alla società è dato il monarca che guidi secondo ragione l'umanità al suo fine.
La definizione di un ambito preciso in ragione di un'essenza o di una norma razionale è, secondo D., condizione necessaria per la definizione stessa della perfezione di un ente creato. Per questa via ‛ perfezione ' e ‛ compiutezza ' si saldano all'esigenza dell'indicazione di un t., discostandosi dal quale per eccesso o per difetto non si consegue la perfezione: è quanto D. afferma dell'Impero, della natura universale e delle singole nature create, dicendo di esse che sono ‛ a certo t. ', che sono limitate, o finite, ‛ a certo t. ': sì come ciascuna arte e officio umano da lo imperiale è a certi termini limitato, così questo [l'‛ officio imperiale '] da Dio a certo termine è finito: e non è da maravigliare, ché l'officio e l'arte de la natura finito in tutte sue operazioni vedemo. Che se prendere volemo la natura universale di tutto, tanto ha giurisdizione quanto tutto lo mondo, dico lo cielo e la terra, si stende; e questo è a certo termine, sì come per lo terzo de la Fisica e per lo primo De Coelo et Mundo è provato (IV IX 2). Nel commento a Phys. III, Averroè rileva, fra l'altro, che la finitezza proviene dalla forma mentre l'infinitezza trova la sua radice nella materia (comm. 59 " Finitas... est similis formae, et infinitas materiae, unde post [Aristotele] declaravit quod infinitas est in re secundum materiam, et finitas secundum formam "); se materia è principio d'imperfezione, la forma è principio di perfezione: l'imperfezione è sinonimo di infinitezza; la perfezione, di finitezza (comm. 67 " quoniam forma est causa terminationis et continentiae, impossibile est ut ex ea accidat non terminatio et non continentia rei habenti formam "); per l'equivalenza dei termini ‛ perfectio ', ‛ terminatio ', ‛ completio ', v. PERFEZIONE. Così la giurisdizione de la natura universale è a certo termine finita - e per consequente la parti[culare] (Cv IV IX 3); li nostri desiderii naturali.., sono a certo termine discendenti; e quello de la scienza è naturale, sì che certo termine quello compie (XIII 7; si confronti con Vn III 1 me parve... vedere tutti li termini de la beatitudine al saluto di Beatrice); al contrario, il desiderio di ricchezza è sempre identico a sé stesso, nessun oggetto lo ‛ compie ', sì che nulla successione quivi si vede, e per nullo termine e per nulla perfezione (IV XIII 2; ma v. SCIENZA); tra le virtù morali, la Magnificenza... è moderatrice de le grandi spese, quelle facendo e sostenendo a certo termine (XVII 5); la ragione deve guidare e cavalcare l'appetito, e il freno è la temperanza, la quale mostra lo termine infino al quale è da cacciare (XXVI 7); solo cacciando e fuggendo quello che e quanto si conviene, l'uomo è ne li termini de la sua perfezione (§ 5); ancora, quando la mente... non si tiene a li termini del vero (I III 8) genera la fama, che produce un'immagine più ampia... che non è la cosa imaginata nel vero stato (§ 11; cfr. Mn III III 5); si veda pure Cv I VII 9 è l'obedienza con misura, e non dismisurata, quando al termine del comandamento va, e non più oltre: il t. è indicato dalla legge insita nella natura (la natura particulare è obediente a la universale) o rivelata dalla ragione (l'uomo è obediente a la giustizia); cfr. pure Vn X 1 troppa gente ne ragionava oltre li termini de la cortesia. Ancora, nell'uomo più ampi sono li termini de lo 'ngegno [a pensare] che a parlare (Cv III IV 11); più generalmente, non potea l'uomo ne' termini suoi / mai sodisfar (Pd VII 97), nei " limiti " delle sue possibilità. Per la definizione dell'ambito di una giurisdizione, cfr. Mn II VI 2, III VI 5.
Mentre la creatura raggiunge la sua perfezione nel rispetto dei limiti fissati alla sua natura dal creatore, Dio, a sua volta, essendo principio fontale dell'essere, e non avendo nulla prima di sé, da nulla è limitato (Cv IV IX 3); anche la sua larghezza, il suo amore per la creatura, non si stringe da necessitade d'alcuno termine, sicché egli può, per caritade della perfezione della Donna gentile, donare ad essa de la sua bontade oltre li termini del debito de la nostra natura (III VI 10); cioè, i " limiti " di ciò che è dovuto alla nostra natura perché raggiunga la perfezione non ‛ limitano ', non ‛ costringono ' la larghezza della bontà divina. Ma se Dio non trova limiti fuori di sé, e la sua ‛ perfezione ' non soffre ‛ definizione ' alcuna, egli può disporre, nel suo imperscrutabile eterno disegno, ‛ fini ' da perseguire e mezzi per raggiungerli; in tal senso la Vergine è, nel piano della redenzione, termine fisso d'etterno consiglio (Pd XXXIII 3), ‛ oggetto ' di una decisione ‛ ab aeterno ', al quale, come a proprio ‛ scopo ', tendeva la storia della salvezza prima di Cristo.
3. I due valori di t. finora esaminati, sia quello di " confine " o " limite estremo ", sia quello di " attuazione " o " compimento ", sono da tener presenti per intendere l'uso del vocabolo nel senso di " fine "; in tal caso infatti esso può designare per un verso il " fine ultimo " cui si tende, e per un altro verso " ciò che pone fine " e conclude un'esperienza.
È dottrina aristotelica che il fine è l'atto (v.) e la forma (v.) verso cui muove ciò che è in potenza a qualcosa e che perciò cerca la propria perfezione; con questo valore t. occorre in Mn I XII 8 illud quod est alterius gratia necessitatur ab illo cuius gratia est, sicut via necessitatur a termino, e 12; Ep XIII 71 movetur propter aliquid... quod est terminus sui motus.
In Cv IV XII 15 l'anima nostra, incontanente che nel nuovo e mai non fatto cammino di questa vita entra, dirizza li occhi al termine del suo sommo bene, designa insieme il " fine " e l'" oggetto " cui si rivolge l'occhio dell'anima, ed è il sommo bene, Dio, nel quale lo buono camminatore giugne a termine e a posa (§ 19; cfr. Vn IX 1 lo termine de lo mio andare, il ‛ luogo ' verso cui D. doveva andare).
In Cv III XI 16 (tre volte), t. sta per l'‛ oggetto ' degli atti e delle passioni umane, ciò cui le passioni tendono e da cui gli atti provengono (nel senso in cui l'oggetto muove all'atto); in IV XII 5 si afferma che le ricchezze in loco di bastanza recano nuovo termine, cioè, non compiendo il desiderio, esse non appagano e propongono nuovi e maggiori ‛ oggetti ' di desiderio e nuove ‛ mete '. Vale ‛ effetto ' in VE II II 3 effectus sive terminus, e 4. In Pd XXXI 15 nulla neve a quel termine arriva, è il " termine di paragone ".
In altre occorrenze, il vocabolo designa la " fine " di qualcosa (Cv IV XXVIII 15 [la morte di Ortensio] significa lo termine de la senettute), o senz'altro la morte (Pg XX 39 quella vita ch'al termine vola; cfr. Rime C 40 Passato hanno lor termine le fronde, " Le fronde degli alberi... hanno già trascorso il limite della loro vita " [Barbi-Pernicone]). In Mn II V 9 in termino vale " alla scadenza "; in VIII 5 si tratta del " traguardo "; in XI 7 in utroque termino, " all'inizio e alla fine ".
Si notino le locuzioni: ‛ aver t. ' (Pd XVI 78 le cittadi termine hanno. / Le vostre cose tutte hanno lor morte; Detto 231); ‛ metter t. ' (Fiore CLXXI 4 digli ch'altro termine ti metta, e CLXXXV 1 S'avessi messo termine a un'ora); ‛ senza t. ' (Pd XV 10 Bene è che sanza termine si doglia / chi, per amor di cosa che non duri / etternalmente, quello amor si spoglia; Detto 232 amar vorria san termine, " vorrei che il mio amore divenisse infinito, perfetto, senza ombra e senza confini "; ‛ a certo t. ', in Cv IV IX 2 (tre volte) e 3, XIII 7, XVII 5, già citati. Sono da ricordare ancora le occorrenze in traduzione: Cv III XV 16 quando circuiva lo suo termine al mare (da Prov. 8, 29 " quando circumdabat mari terminum suum "); IV VII 9 Non trapasserai li termini antichi che puosero li padri tuoi (da Prov. 22, 28 " Ne transgrediaris terminos antiquos, / quos posuerunt patres tui "); XXIII 8 quel termine del quale si dice per lo Salmista: " Ponesti termine, lo quale passare non si può " (da Ps. 103, 9 " terminum posuisti quem non transgredientur "; ma cfr. B. Nardi, L'arco della vita, in Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 119 n. 34: " Il Salmo veramente parla del limite posto da Dio alle acque, e non del termine della vita umana! "), e IV 11 A costoro - cioè a li Romani - né termine di cose né di tempo pongo; a loro ho dato imperio sanza fine (da Virgilio Aen. I 278-279 " His ego nec metas rerum nec tempora pono: / imperium sine fine dedi ").
4. In alcuni passi della Monarchia, il vocabolo sta a designare l'elemento pienamente significativo e più semplice che entri nella composizione della proposizione: elemento ‛ pienamente ' significativo, perché si tratta di un categorema, cioè di un vocabolo che può fungere da soggetto e da predicato e che ha autonomo significato (come, ad esempio, ‛ uomo ', ‛ animale ') e che si distingue dai sincategoremi o ‛ copredicati ', perché questi, particelle che entrano nella composizione della proposizione, non hanno significazione piena e autonoma (come il quantificatore ‛ ogni ', la copula ‛ è ', ecc.); elemento ‛ più semplice ', perché nel discorso logico gli altri momenti, proposizione e sillogismo, lo presuppongono e risultano di essi; cfr. Aristotele Anal. pr. I 1, 24b 16-18 " Terminum [ὅρον] vero voco in quem resolvitur propositio, ut praedicatum et de quo praedicatur, vel apposito vel diviso esse et non esse ".
L'uso dantesco fa sempre riferimento alla funzione del t. nel sillogismo (v.), e solo di conseguenza nelle proposizioni (maggiore, minore, conclusione) che compongono il sillogismo. Nel sillogismo, dunque, i t. sono tre: due, quelli che compongono la conclusione; il terzo, ‛ t. medio ', è quello con cui soggetto e predicato della conclusione si confrontano nelle premesse; così ogni t. occorre due volte nel sillogismo e ne risultano tre proposizioni. La posizione del t. medio (soggetto o predicato) nelle premesse determina le ‛ figure ' sillogistiche.
In Mn II V 23, in citazione da Arist. Eth. Nic. VI 9, 1142b 22-24 Sed et hoc falso sillogismo sortiri: quod quidem oportet sortiri; per quod autem non, sed falsum medium terminum esse, si afferma che qualcosa di vero si ricava da un sillogismo falso che abbia un falso t. medio; ma in Cv IV IX 6, in contesto analogo, si fa riferimento a falsi principi piuttosto che a un t. ‛ falso ' e nel passo del trattato politico già ricordato si ha si ex falsis verum... concluditur (Mn II V 24); la falsità, come la verità, è propria della proposizione (e i ‛ principi ' sono le premesse), non del t.; ma la difficoltà va superata intendendo che il ‛ t. medio ' è il responsabile della falsità delle premesse del sillogismo in quanto tale; è da tener presente anche che in Aristotele si tratta dell'‛ eubulia ' e del ‛ fine buono ' che può essere raggiunto talora " per aliquod malum ", come scrive s. Tommaso (ad l.), sicché " finis se habet sicut conclusio, et id quod est ad finem sicut medius terminus ". Si è detto che i t. nel sillogismo sono tre. Se il t. medio è solo apparentemente lo stesso, e in realtà è diverso, i t. sono quattro e non si ha sillogismo: Mn III VII 3 Utraque... propositio [le premesse] vera est, sed medium variatur et arguitur in quatuor terminis, in quibus forma sillogistica non salvatur.
Nelle altre occorrenze si parla del t. all'interno di quelle proposizioni che sono le premesse; ma le considerazioni attengono alla struttura proposizionale, non a quella sillogistica. In VIII 4-6, nella discussione del valore di quodcumque, si dice che in esso è compreso il quantificatore omnis, che ha la funzione di ' distribuire ' il t. cui si accompagna (nunquam distribuit extra ambitum termini distributi, § 4). D. fa tre esempi: ‛ omne animai currit ', ‛ omnis homo currit ', ‛ omnis grammaticus ', nei quali si tratta della distribuzione del t. che segue immediatamente omnis (la distribuzione opera sempre in un contesto risultante di sincategorema e categorema; in due casi il contesto è proposizionale). Secondo il poeta, nel primo caso la distribuzione si avrà pro omni eo quod sub genere animalis comprehenditur, e nel secondo pro suppositis huius termini ‛ homo '; nel terzo, genericamente, distributio magis coartatur (§ 5). Due cose sono da rilevare: che la funzione di omnis è condizionata dal termine che segue e dall'ampiezza dell'estensione di esso; che suppositum è t. di ' seconda imposizione ' (di secondo livello linguistico) e designa il ‛ rapporto ' di qualcosa di particolare a qualcosa di comune (" hoc... nomen ‛ suppositum ' est nomen secundae impositionis, significans ipsam habitudinem particularis ad naturam communem, in quantum subsistit in ea; particulare vero, in quantum exceditur ab ea ", Tomm. III Sent. VI 1, 1 sol.); il ‛ supposito ' del t., come il t. stesso, è un t. di primo livello, o di ‛ prima imposizione ', che designa una realtà individuale, e che si ottiene rendendo ‛ particolare ' il t. ‛ distribuito ': ‛ quest'animale ', ‛ quest'uomo ', ‛ questo grammatico '. Conclude D.: è da considerare che cosa è distribuito dal segno universale ‛ omnis '; si vedrà così facilmente quantum sua [del quantificatore] distributio dilatetur, cognita natura et ambitu termini distributi (§ 6; per i problemi connessi alla dottrina della ‛ distribuzione ', cfr. L. M. de Rijk, The development of suppositio naturalis in mediaeval logic, I, in " Vivarium " IX [1971] 71-101). Maior propositio... declarata est in terminis (Mn III XII 5) vale " la proposizione maggiore è evidente per i suoi stessi termini ".