TERESA EUSTOCHIO VERZERI (Ignazia), santa
TERESA EUSTOCHIO VERZERI (Ignazia), santa. – Nacque a Bergamo il 31 luglio 1801, primogenita (fra cinque sorelle e due fratelli) di Antonio e della contessa Elena Grumelli Pedrocca.
Cresciuta in una famiglia aristocratica di radicate e solide tradizioni cattoliche (la zia Antonia Grumelli, clarissa, aveva fondato a Bergamo nel 1775 il Collegio apostolico, un pio sodalizio impegnato a tramandare l’azione e la spiritualità della disciolta Compagnia di Gesù), nel gennaio del 1817 entrò nel monastero bergamasco di S. Grata, dove rimase solo per qualche mese. La legislazione asburgica, che impediva di accogliere candidate alla vita monacale che non avessero raggiunto la maggiore età, impose a Teresa, non ancora diciassettenne, di tornare a casa. Rifiutati i progetti matrimoniali (in base ai quali sarebbe dovuta andare in sposa a un rampollo dei conti Albani di Bergamo), Teresa manifestò il desiderio di abbracciare la vita religiosa (scelta, questa, che sarebbe stata condivisa anche dalle tre sorelle Caterina, Maria e Giuditta, e dal fratello Girolamo). La morte del padre (1822) contribuì ad accentuare il legame con il suo direttore spirituale, il canonico e vicario diocesano Giuseppe Benaglio. Questi, anch’egli esponente della nobiltà bergamasca, era figura familiare in casa Verzeri, dove, sin dal 1816, aveva guidato le coscienze della contessa e delle sue figlie. In virtù di tale ruolo e del carisma di cui era dotato, Benaglio esercitò una forte influenza sugli orientamenti spirituali della giovane Teresa. La quale, ritornata nel 1821 nel cenobio di S. Grata (insieme a Virginia Simoni – nipote di Benaglio – con la quale avrebbe condiviso successive esperienze religiose) aveva manifestato crescente disagio per le «censure» e le «contraddizioni» riservatele dalle altre monache (Valsecchi, 1869, p. 19). Ciò la indusse a lasciare il monastero (1823), nel quale, però, cinque anni dopo sentì l’esigenza di rientrare per compiere la professione e prendere i voti. Nel 1831, tuttavia – com’era già successo otto anni prima – fu lo stesso Benaglio a sollecitare Teresa a uscire dal cenobio benedettino per coinvolgerla, insieme ad altre nobildonne bergamasche delle quali il canonico era direttore spirituale, nella gestione della scuola per fanciulle bisognose che aveva fondato presso la chiesa della località di Gromo, nella parte alta della città.
La fondazione di questo istituto risaliva a qualche anno prima, quando Benaglio aveva radunato alcune sue penitenti di elevato lignaggio (Virginia Simoni, Maria Ceresoli, Carolina Suardo e la stessa Teresa) consacrandone la pia unione al Sacro Cuore. Le Figlie del Sacro Cuore di Gesù (questo il nome assunto dal cenacolo femminile, le cui finalità erano l’apostolato missionario, l’assistenza di malati e bisognosi, l’educazione cristiana, la formazione delle giovani) furono inizialmente guidate da Simoni. L’improvvisa decisione di quest’ultima di sposarsi portò Teresa a succederle nella direzione del sodalizio. Sotto la sua guida la pia unione conobbe un significativo sviluppo, sia nel numero di vocazioni (fra le quali si annoveravano anche quelle delle tre sorelle e della madre vedova di Teresa) sia in quello delle sedi (a Romano Lombardo nel 1833, a Breno in Valcamonica nel 1835, successivamente a Darfo, Clusone, Sant’Angelo Lodigiano, Lugano).
La morte di Benaglio, avvenuta il 17 gennaio 1836, privò il nuovo istituto dell’autorevole protezione che, negli anni precedenti, si era resa necessaria per mettere le Figlie del Sacro Cuore al riparo dalle polemiche di cui erano state fatte oggetto, tanto in alcuni ambiti del clero locale (influenzati dalle residue correnti filogianseniste ostili all’impronta ignaziana assunta dal sodalizio) quanto in alcuni settori del governo austriaco (poco propensi ad avallare la nascita di una nuova congregazione religiosa). Maturò pertanto l’idea di affiliare le consorelle alla Società del Sacro Cuore, la congregazione femminile fondata da Maddalena Sofia Barat nel 1800 e approvata da Leone XII nel 1826. A tale scopo nel 1837 Teresa si recò a Torino per definire i termini della fusione, che tuttavia non andò in porto. Nonostante il fallimento della missione, il contatto con l’istituto creato da Barat, che nella sua Società aveva adottato pratiche e spiritualità ignaziane, contribuì a orientare in senso gesuitico la nascente congregazione. In effetti Teresa, che pure non celò mai nelle sue opere – specialmente nel Libro dei doveri – l’intensa attrazione esercitata su di lei dal misticismo di Caterina da Genova, Giovanni della Croce, Teresa d’Avila, Francesco di Sales, Francesca Chantal, Vincenzo de’ Paoli, mostrò una particolare propensione per il modello ignaziano. Esso le sembrava rispondere meglio di altri alle esigenze di sintesi fra le istanze contemplative e l’impegno pratico (caritativo, assistenziale, educativo) che le sue consorelle avrebbero dovuto perseguire.
In ambito pedagogico, Teresa, anticipando alcune suggestioni del ‘metodo preventivo’ poi elaborato da don Giovanni Bosco, evidenziò la valenza dell’istruzione come strumento di miglioramento delle condizioni individuali e collettive, specialmente delle giovani donne. Nonostante il crescente richiamo esercitato dalla proposta di Teresa e delle sue seguaci, la mancanza di un riconoscimento ufficiale da parte del vescovo di Bergamo, Carlo Gritti Morlacchi (che, mostrandosi piuttosto freddo verso il culto del Sacro Cuore – forse perché ancora memore della sensibilità filogiansenista che aveva segnato parte del clero bergamasco – si era limitato ad approvare solo oralmente il pio sodalizio), indusse Teresa a cercare altrove la legittimazione canonica di cui l’istituto necessitava per potersi accreditare e consolidare. Nell’autunno del 1840 si recò allora a Roma dove, approfittando dei buoni uffici del cardinale bergamasco Angelo Mai, si fece ricevere da Gregorio XVI al quale sottopose le costituzioni della nuova congregazione. Esse, redatte seguendo il modello delle costituzioni della Compagnia di Gesù, furono approvate provvisoriamente dalla congregazione dei Vescovi e regolari il 14 maggio 1841.
Forte del beneplacito romano, Teresa tornò in Lombardia per sviluppare la nuova congregazione, che trovò un munifico protettore nel vescovo di Brescia, Carlo Domenico Ferrari, il quale nel 1842 proclamò Teresa superiora generale. Trasferita nel convento bresciano di S. Afra la loro casa generalizia (1843), le Figlie del Sacro Cuore – che intanto avevano ottenuto anche la non scontata approvazione del governo imperiale – si espansero verso nord, aprendo case a Trento, Rovereto e Riva del Garda. Nel 1847 altre sedi vennero aperte anche a Piacenza, Recanati e a Roma, dove la superiora si era recata personalmente ottenendo da Pio IX l’approvazione definitiva delle costituzioni (13 novembre). Nella primavera del 1848, lo scoppio della rivoluzione antiaustriaca e l’instaurazione del governo provvisorio in Lombardia comportarono l’occupazione delle case delle Figlie del Sacro Cuore, espulse con l’accusa di gesuitismo. Se il repentino ristabilimento del regime asburgico consentì la riapertura di tutte le case precedentemente chiuse, la congregazione conobbe un ulteriore sviluppo nel 1850 con la fondazione di altre sedi ad Arpino e a Roma, dove la superiora era ritornata per assistere alla consacrazione a nuovo vescovo di Brescia del fratello Girolamo. Questi (che durante il lungo episcopato manifestò una forte devozione verso il Sacro Cuore cui consacrò la diocesi, nella quale si impegnò a spegnere le ultime tracce di giansenismo) favorì notevolmente la congregazione di cui la sorella era al vertice.
Affetta da attacchi di epilessia sempre più forti e frequenti, Teresa si spense a Brescia il 3 marzo 1852. Alla sua morte la congregazione poteva contare su circa duecento consorelle insediate in 15 case. Dichiarata venerabile nel 1883, venne beatificata da Pio XII nel 1946 e canonizzata da Giovanni Paolo II nel 2001. Le sue reliquie sono conservate nella cappella delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù a Bergamo.
Opere. Preci e pratiche divote della serva di Dio Teresa Eustochio Verzeri, fondatrice e superiora generale delle Figlie del S. Cuore, morta in odore di santità in Brescia il 3 marzo 1852, Brescia 1867; Lettere della serva di Dio Teresa-Eustochio Verzeri fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore, I-VII, Brescia 1874-1878; Libro dei doveri: documenti di spirito proposti alle figlie del Sacro Cuore di Gesù dalla loro madre fondatrice, Bergamo 1937, 1952.
Fonti e Bibl.: A. Valsecchi, Teresa-Eustochio nobile Verzeri e Mr Giuseppe conte Benaglio fondatori dell’Istituto delle figlie del Sacro Cuore: discorsi tre, Bergamo 1869; G. Arcangeli, Vita della venerabile Teresa Eustochio nob. Verzeri: fondatrice e superiora generale delle Figlie del S. Cuore, Brescia 1881; Discorsi e Radiomessaggi di Sua Santità Pio XII, VIII, Ottavo anno di Pontificato, 2 marzo 1946 - 1° marzo 1947, Città del Vaticano 1947, pp. 293-295; La beata Teresa Verzeri, nella luce di alcuni discorsi, conferenze, studi, intorno alla sua personalità, alla sua spiritualità, al suo sistema educativo, Padova 1966; P. Calliari - D.T. Donadoni, Figlie del Sacro Cuore di Gesù, in Dizionario degli Istituti di perfezione, III, Roma 1976, coll. 1681-1683; P. Calliari, Verzeri Teresa Eustochio, ibid., IX, Roma 1997, coll. 1942-1944; Acta Apostolicae Sedis. Commentarium Officiale, 2001, vol. 93, pp. 329 s. (Decretum super miraculo, 18 dicembre 2000), pp. 757-760 (Giovanni Paolo II, Homelia in canonizatione quinque Beatorum, 10 giugno 2001); R. Capitano, Rassegna bibliografica ragionata dell’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù, Roma 2013, pp. 27-40; G. Rocca, Les jésuites et les filles du Sacré-Coeur de Jésus, in Échelles de pouvoir, rapports de genre. Femmes, jésuites et modèle ignatien dans le long XIXe siècle, a cura di S. Mostaccio et al., Louvain 2014, pp. 129-162; G. Zanchi, La luce di Dio nell’oscurità. Teresa Verzeri: vita e opere, Roma 2014; V. Ciciliot, Donne sugli altari. Le canonizzazioni femminili di Giovanni Paolo II, Roma 2018, p. 259.