DURAZZO, Teresa
Nata a Genova il 14 dic. 1805 da Marcello e da Tommasina Negroni, si Sposò il 5 nov. 1823 con Giorgio Doria, conte di Montaldeo. Gli diede quattro figli - Ambrogio, Marcello, Andrea e Giacomo, il celebre naturalista - ai quali i pettegoli attribuirono paternità disparate, comunque diverse da quella legittima: nel 1836 la contessa Sibylle Merten s.Schaaffhausen dava per scontato che "Madame Dorias ältester Sohn ist ein De Mari, der zweite ein Zobolesky" (Houben, p. 177); in altri casi si parlerà di Massimo d'Azeglio come padre naturale del primogenito. Il matrimonio, tuttavia, era destinato ad essere solido perché fondato su una buona intesa intellettuale e cementato da idee politiche affini, liberali e patriottiche, che porteranno i due coniugi ad un impegno sempre più marcato nei circoli di opposizione genovesi.
Nel palazzo Doria di strada Nuova la D. teneva aperto un salotto dove si incontravano gli aristocratici più inquieti e dove comparivano uomini compromessi nei moti del 1821. Nella stessa dimora abitava, e riceveva con spregiudicatezza, il console di Francia Giuseppe Schiaffino, padre di quell'Anna Giustiniani che avrà col Cavour una tormentata storia d'amore. Le due donne, la D. e la Giustiniani, si legarono d'amicizia tra loro e con altre dame: Fanny Di Negro Balbi Piovera, Eugenia Raggi Pallavicino, Teresa Spinola Durazzo. Tutte si atteggiavano a rivoluzionarie, spesso pungolando "da sinistra" gli uomini della loro cerchia.
Alla morte di Carlo Felice, nell'aprile del 1831, le amiche attirarono l'attenzione della polizia: "In seguito di accordo fra di esse convenuto - riferisce il 9 maggio il governatore di Genova, G. A. Trincheri conte di Venanson - non solo non si sono limitate a non vestire a lutto, ma si presentano in pubblico e soprattutto al teatro vestite con vesti di colore, con grave scandalo di ogni ceto di persone" (Luzio, p. 249). Una dimostrazione di antilealismo che costò alla D., anzi a suo marito, già segnalato da tempo fra le "persone avverse al governo", le reprimende delle autorità. Non per questo si spezzò il sodalizio tra le giovani nobildonne, né venne meno la loro passione politica, alimentata anzi dalle vicende della cospirazione mazziniana del 1833 nella quale risultò compromesso il fratello della D., Carlo, e forse anche suo marito Giorgio. In particolare, la D. restò fedele alla Giustiniani quando costei venne abbandonata da parenti ed amici: "Thérèse Doria vient souvent; - scriveva questa al Cavour il 18 apr. 1835 - elle est assez bonne personne, mais un espace immense nous sépare - ; nous avons une manière toute diffèrente de sentir et de voir" (Codignola, Anna Giustiniani, p. 65).
Dopo il 1835 un'altra amicizia femminile venne a segnare profondamente la sua vita: quella con Bianca Desimoni Rebizzo, protagonista anch'essa dei salotti genovesi, impegnata nell'educazione dei fanciulli poveri prima, nell'istruzione femminile poi. La D. assistette fin dal principio l'opera pedagogica della Rebizzo, partecipò all'apertura di asili infantili, e intanto strinse amicizia con il marito di lei, Lazzaro, e con l'amante Raffaele Rubattino. Di Lazzaro, perdutamente e vanamente innamorato di Anna Giustiniani, la D. diventò la miglior confidente; tanto che, quando Anna mori suicida nell'aprile 1841, fu a lei che il Rebizzo si rivolse per sfogare il proprio dolore e per raccomandarsi che il cadavere dell'amata venisse imbalsamato e ritratto a grandezza naturale dal pittore G. Isola. L'intesa tra questi personaggi era tale che nel 1847 Bianca, Lazzaro e Raffaele andarono ad abitare tutti insieme a palazzo Doria, dove rimasero per undici anni.
Nel 1842, frattanto, la D. aveva nuovamente trovato il modo di farsi notare dalle autorità. A giugno, quando arrivarono a Genova i sovrani con i giovani sposi Vittorio Emanuele e Maria Adelaide, ella si rifiutò di partecipare al ricevimento in loro onore, meritandosi nella buona società genovese, secondo la testimonianza di Roberto d'Azeglio, il titolo "d'entétée et de présomptueuse" (Gallo, p. 26). Di li a qualche anno, però, la sua testardaggine poté imporsi e trionfare. Nel 1846 l'VIII congresso degli scienziati italiani a Genova rivitalizzò la città, la risvegliò politicamente, dette avvio a diverse manifestazioni patriottiche. La D. organizzò, nei giorni di apertura del congresso, un grande concerto al teatro Carlo Felice in favore dei terremotati toscani; poi si adoperò per l'allestimento di una esposizione dei prodotti e delle manifatture nazionali. E poco dopo la chiusura del congresso, approfittando della ricorrenza centenaria della rivolta antiaustriaca di Genova, promosse per la notte del 10 dicembre una dimostrazione in ricordo di quell'evento, con l'illuminazione delle facciate di molti palazzi nobiliari.
Nel 1847, anno che vedrà Giorgio Doria assurgere a protagonista della vita politica genovese, la D. fu attivissima su diversi fronti. A marzo, secondo il governatore di Genova, era con Fanny Balbi tra fle più fervide nella raccolta delle adesioni e del denaro" per offrire la spada d'onore a Garibaldi (Spellanzon, III, p. 204). Ad ottobre si impegnò in una colletta per l'armamento della guardia civica romana; intanto sosteneva le iniziative del marito, dalla creazione del Comitato dell'ordine alle manifestazioni pubbliche per le riforme. A metà novembre C. G. Trabucco conte di Castagnetto, incaricato da Carlo Alberto di tastare il polso ad alcuni maggiorenti genovesi, ebbe un lungo colloquio con la "signora Teresa" e con Ferdinando Rosellini, nel quale "questi gli cantarono chiaramente quello che bisognava, ed egli si mostrò obbligatissimo" (IlRegno di Sardegna nel 1848-49, I, p. 110). Infine, il 10 dicembre, la D. sfilò alla testa delle donne genovesi nella grandiosa manifestazione patriottica al santuario di Oregina, che lei stessa aveva contribuito a organizzare; e al termine ricevette in consegna dai dimostranti le bandiere sventolate nel corteo. La fama del suo patriottismo superava i confini della Liguria: il io febbr. 1848, durante un banchetto offerto dal Corpo decurionale di Torino a vari cittadini di Genova, si brindò in onore della D. e delle sue amiche Balbi e Rebizzo.
Gli avvenimenti del 1848 coinvolsero tutta la sua famiglia. Il marito, impegnato sin dai primi mesi nella formazione della guardia civica, dopo l'insurrezione di Milano si recò in Lombardia; i figli Ambrogio e Marcello, allo scoppio della guerra, partirono volontari.
Con i figli la D. intratteneva da sempre un rapporto molto stretto e cameratesco; aveva inculcato in loro gli ideali patriottici, li aveva spartanamente preparati alla vita militare costringendoli, nelle villeggiature al castello di Montaldeo, a bagnarsi in un lago ghiacciato. Dai campi della Lombardia e del Veneto Ambrogio, divenuto aiutante di campo di Ferdinando di Savoia duca di Genova, scriveva in aprile alla madre numerose lettere nelle quali la invitava presso di sé, "a prendersi una vista della guerra" (Genova, Ist. mazziniano, Autografi, n. 19479). Ai primi di maggio Teresa era a Milano, dove rimase per tutto il mese, e Ambrogio meditava a maggior ragione di trascinarla sul campo di battaglia. "La nuova del suo arrivo - le scriveva il 7 maggio da Pacengo, presso Verona - ha fatto gran piacere a tutti, e ad una voce il generale Federici, Ternengo e gli altri hanno detto che non la lascerebbero più partire una volta qui fra noi"; si approssimava l'attacco definitivo a Peschiera, "quindi potrebbe godere di un magnifico spettacolo, il bombardamento d'una delle piazze austriache più forti, la resa della fortezza, oppure l'assalto della medesima" (ibid., n. 19481). L'invito, per questa volta, non venne accolto; ma la D. troverà modo un anno dopo di recarsi a Novara il giorno stesso della battaglia, ben accolta dal duca di Genova, che la inviterà a tirare il primo colpo di cannone contro le truppe austriache.
A Genova, nel frattempo, era stata molto attiva nell'organizzare, unitamente a Bianca Rebizzo, comitati di soccorso ai volontari ed ai coscritti. Anche negli anni successivi non farà mancare la propria adesione ad iniziative e raccolte di fondi in favore degli esuli; ma con il 1849 il periodo della passione politica sembra chiudersi. L'amicizia e la collaborazione con la Rebizzo si indirizzarono semmai verso l'opera educativa di quest'ultima, specie dopo la fondazione, nel 1850, del Collegio italiano delle fanciulle. Il salotto di strada Nuova restò aperto, ma non fu più luogo d'incontro delle personalità politiche più in vista di Genova e d'Italia.
La pittura, che la D. aveva appreso sin da giovane avendo per maestro tra gli altri Massimo d'Azeglio, diventò nella maturità l'interesse predominante. Federico Alizeri, nel 1866, poneva la D. in testa ad un breve elenco di pittori genovesi e ricordava che "da più anni ha il suo nome cogli accademici", cioè faceva parte dell'Accademia ligustica di belle arti (Alizeri, III, p. 488). Buona paesaggista, cui non dispiaceva tuttavia cimentarsi talvolta nella figura umana - come nel Duello mandato alla Esposizione italiana di Firenze nel 1861 - la D. espose frequentemente a Genova, cedette molti suoi quadri a beneficio degli emigrati politici nel decennio 1850, si fece apprezzare anche da molti inglesi "ai quali ella stessa è cortese dei suoi dipinti" (ibid.).
La D. morì a Nervi (Genova) il 14apr. 1895.
Fonti e Bibl.: Genova, Univ. degli studi, Facoltà di economia e commercio, Arch. Doria, scatole 515-519, 524 s., 529-531, 536 s., 540 s., 544-546, 549-551, 555, 557-559, 562; Ibid., Istituto mazziniano, Autografi, nn. 16906, 17468, 17541, 19474, 19502; F. Alizeri, Notizie dei professori di disegno in Liguria, III, Genova 1866, p. 488; E. Celesia, Diario degli avvenimenti di Genova nell'anno 1848 e F. Alizeri, Commentario delle cose accadute in Genova in marzo e in aprile 1849, Genova 1950, pp. 47, 327; N. Tommaseo-G. Capponi, Carteggio ined. dal 1833 al 1874, a cura di I. Del Lungo-P. Prunas, III, Bologna 1920, p. 123; A. Luzio, Garibaldi, Cavour, Verdi, Torino 1924, p. 249; G. Gallo, L'opera di Giorgio Doria a Genova negli albori della libertà, Genova 1927, pp. 23, 28 s., 40, 67 s.; A. Colombo, La tradizione del Balilla a Genova nel 1846, in GoffredoMameli e i suoi tempi, Venezia 1927, pp. 241, 280; H. H. Houben, Die Rheingräfin. Das Leben derkölnerin Sibylle Mertens.Schaaffhausen, Essen 1935, pp. 177, 201, 299; C. Spellanzon, Storia delRisorgimento e dell'unità d'Italia, III, Milano 1936, p. 204; A. M. Ghisalberti, Un diario d'esiliodi G. Galletti, in Rass. stor. del Risorg., XXIV (1937), p. 1003; A. Cappellini, Stelle genovesi, Genova 1937, pp. 73-79; A. Codignola, Anna Giustiniani. Un dramma intimo di Cavour, Milano 1941, pp. 8, 21, 65, 99, 101 s., 126, 162, 187 s., 194 s., 204; Id., Risorgimento ed antirisorgimento all'VIIIRiunione degli scienziati italiani, Genova 1946, pp. 8, 31, 49; L. Balestreri, Scorci di vita genovesenel Risorgimento. Il salotto di Bianca Rebizzo, in Atti dell'Accad. ligure di scienze e lettere, XIII (1956), pp. 166, 171 s.; F. Poggi, Dall'amnistia diPio IX all'armistizio Salasco, in L'emiraz. politica in Genova ed in Liguria dal 1848 al 1857, I, Modena 1957, p. 82; Il Regno di Sardegna nel1848-49 nei carteggi di Domenico Buffa, a cura di E. Costa, I, Roma 1966, pp. 5, 13, 110; Larchiviodei Durazzo marchesi di Gabiano, in Atti dellaSoc. ligure di storia patria, XCV (1981), 2, pp. 174, 181, 642; B. Montale, L'emigrazione politicain Genova ed in Liguria (1849-1859), Savona 1982, p. 44; Diz. del Risorg. naz., II, ad vocem Doria, Teresa.
G. Assereto