Dolore, terapia farmacologica del
Nell'ambito della ricerca farmacologica sul d. che ha compiuto maggiori progressi figurano le scoperte relative al d. neuropatico. Le maggiori acquisizioni riguardano i canali ionici di membrana, il neurotrasmettitore glutammato, gli endocannabinoidi, i vanilloidi e i peptidi.
Canali ionici. - I canali ionici di membrana sono proteine di membrana essenziali per il corretto funzionamento dell'attività neuronale. Rappresentano infatti i mediatori dell'eccitabilità cellulare, il cui funzionamento è regolato da precise leggi biofisiche. L'alterazione del normale equilibrio dei diversi canali è causa di un'alterata funzione neuronale, alla base di diverse patologie a carico del Sistema nervoso centrale (SNC). Le acquisizioni sulla struttura molecolare dei canali, sulle variazioni di espressione e di attività osservate in corso di diverse patologie hanno consentito di programmare molecole in grado di inibire selettivamente la funzione di canali alterati. Nel caso del d. neuropatico è accertato che si verificano importanti modificazioni nell'espressione di particolari subunità del canale, associate a una redistribuzione del canale stesso nelle strutture interessate. In tali condizioni il canale non è più in grado di rispettare le proprietà biofisiche che ne regolano i tempi di apertura e chiusura, e determina uno stato di ipereccitabilità neuronale che contribuisce a mantenere una condizione di d. persistente, cronico. Tra i canali ionici maggiormente studiati e caratterizzati occorre ricordare quelli per il sodio e per il calcio, entrambi voltaggio-dipendenti, la cui cinetica di funzionamento dipende strettamente dal potenziale di membrana del neurone. Nei neuroni sensitivi periferici è stata confermata l'espressione selettiva di due geni che codificano per canali sodici, il Nav1.8 e il Nav1.9. La presenza di Nav1.3 è stata dimostrata in neuroni periferici danneggiati che presentano un'eccessiva eccitabilità elettrica. Va aggiunto che il coinvolgimento dei canali del sodio nei meccanismi alla base del d. neuropatico viene dimostrato anche dall'efficacia di farmaci ad azione antiepilettica e di anestetici locali, come la lidocaina, conosciuti proprio per la capacità di bloccare i canali sodici (Wood, Boorman, Okuse et al. 2004). Le tecniche di biologia molecolare e di elettrofisiologia hanno permesso di caratterizzare la struttura molecolare anche dei canali del calcio. Si tratta di proteine di membrana composte da 4-5 subunità codificate da geni distinti. Come per i canali del sodio, la cinetica di questi canali è legata a complesse proprietà biofisiche. L'attività dei canali del calcio è essenziale per il corretto funzionamento cellulare, essendo coinvolti in fenomeni quali neurotrasmissione, contrazione muscolare, espressione genica. Il calcio penetra nella cellula attraverso i canali, e innesca una cascata di eventi che consente la trasmissione dell'informazione da una cellula all'altra. Lo stesso si verifica nella trasmissione del segnale doloroso. Nei neuroni sensitivi deputati alla trasmissione nocicettiva, il calcio, attraverso i suoi canali, rappresenta un segnale di inizio e mantenimento del messaggio nocicettivo. Nel caso del d. cronico neuropatico, per es., i canali di tipo N sono stati identificati come i principali artefici dell'aumento di eccitabilità del neurone periferico e di rilascio di sostanze chimiche in grado di protrarre la durata dell'impulso dolorifico (Jentsch, Hubner, Fuhrmann 2004).
Ruolo dell'acido glutammico
L'acido glutammico rappresenta il neurotrasmettitore ad azione eccitatoria più diffuso nel SNC e svolge un ruolo chiave in molte funzioni. I recettori per l'acido glutammico vengono suddivisi in due grandi categorie funzionali: ionotropici e metabotropici. I recettori ionotropici sono legati all'apertura di canali ionici, mentre il gruppo dei recettori metabotropici, accoppiati a proteine G, viene suddiviso in 3 sottogruppi, in base al profilo farmacologico e al meccanismo biochimico. Sono stati condotti molti lavori sperimentali e clinici al fine di chiarire il ruolo di tali recettori in processi patologici a carico del SNC. Il recettore ionotropico N-metil-D-aspartato (NMDA) ha una distribuzione ubiquitaria nel SNC; nel midollo spinale è localizzato nelle corna dorsali ed è coinvolto nella trasmissione del dolore. Qualsiasi danno a carico di nervi periferici induce un aumento di rilascio di glutammato locale che apre il recettore NMDA innescando un meccanismo persistente di trasmissione del messaggio algogeno. Tale fenomeno è noto come wind-up e rende conto del motivo per cui la ricerca farmacologica ha profuso un notevole sforzo nel tentativo di trovare molecole in grado di bloccare questo recettore. In effetti, studi preclinici hanno dimostrato l'efficacia di agenti farmacologici ad azione antagonista sul recettore NMDA. Inoltre, studi clinici su pazienti hanno confermato tale effetto segnalando però la comparsa di importanti effetti collaterali, come sedazione e disforia. Un approccio promettente sembra essere rappresentato dall'utilizzo di molecole in grado di inibire specifiche subunità del recettore stesso. A tale riguardo, merita particolare attenzione l'uso di agenti in grado di bloccare la subunità NR2B. Evidenze sperimentali e precliniche hanno dimostrato che tali sostanze hanno un profilo molto più sicuro e privo degli effetti collaterali descritti precedentemente. Modulatori di siti allosterici del complesso recettoriale NMDA sembrano costituire un'altra possibilità di impiego. In particolare sono state studiate molecole ad azione modulatoria sul sito della glicina senza un valore clinico significativo. Nonostante incoraggianti studi sperimentali, i dati clinici non sembrano comunque confermare un valore clinico tale da giustificarne l'impiego. Dati farmacologici e immunoistochimici indicano che i recettori metabotropici di gruppo I per il glutammato sono coinvolti nella trasmissione nocicettiva. Oltre ad avere un ruolo nella trasmissione del d. sia a livello midollare sia a livello talamico e corticale, è stato dimostrato che il glutammato è anche in grado di eccitare i neuroni periferici nocicettivi, mediando risposte che sono legate anche all'attivazione di recettori metabotropici. Evidenze sperimentali suggeriscono che tali recettori possono rappresentare un interessante bersaglio farmacologico.
Cannabinoidi
Le proprietà psico-attive dei derivati della Cannabis sativa sono note fin dall'antichità: la capacità di generare stati di euforia, alterazioni delle percezioni spazio-temporali accanto a sensazione di rilassatezza muscolare, facilità nelle relazioni interpersonali e maggiore tolleranza nei confronti di stati dolorosi erano conosciuti già nel 4000 a.C. presso i popoli del Medio Oriente. Oltre agli usi ricreazionali erano inoltre ben conosciuti alcuni effetti terapeutici in numerose patologie quali la cefalea, nel d. da patologie reumatiche e articolari. Sono stati identificati almeno 60 derivati farmacologicamente attivi della Cannabis, noti con il nome di cannabinoidi, di cui i più studiati sono il δ-tetraidrocannabinolo (Δ-THC) e il cannabidiolo, i principali responsabili degli effetti psico-mimetici di droghe d'abuso ad ampio utilizzo, quali hascisc e marijuana. Nell'uomo la scoperta dei recettori di membrana CB1 e CB2 in grado di interagire con questi derivati ha dato grande impulso scientifico alla ricerca farmacologica sul dolore. Il fine è quello di identificare possibili agenti farmacologici in grado di replicare gli effetti benefici dei cannabinoidi, quali l'analgesia, eliminando però gli effetti psicotropi a carico del SNC. Molti studi in modelli sperimentali di d. hanno evidenziato la capacità di sostanze esogene di stimolare i recettori dei cannabinoidi e di ridurre pertanto la sensibilità per gli stimoli nocicettivi (Piomelli 2005). Gli studi clinici sull'uomo hanno dimostrato discreta efficacia in quelle forme di d. scarsamente sensibili agli analgesici di comune uso, come il d. in corso di neoplasie, il d. neuropatico e il d. nevralgico posterpetico. Il limite di una potenziale terapia medica con il Δ-THC è rappresentato dalla dose clinica efficace: la quantità di farmaco che ha mostrato efficacia terapeutica è risultata infatti tanto elevata da generare reazioni avverse superiori ai benefici clinici. Tuttavia, alcuni composti sintetici, analoghi degli endocannabinoidi, sono in fase avanzata di studio per il trattamento del d. da cancro e quello secondario a infezione da Herpes Zoster. Uno studio condotto su pazienti affetti da d. neuropatico cronico ha dimostrato l'efficacia e la tollerabilità dell'acido ajulemico, derivato sintetico del tetraidrocannabinolo, ma apparentemente privo di proprietà psico-attive. Altri studi clinici con derivati sintetici del tetraidrocannabinolo sono stati proposti nel d. in corso di sclerosi multipla.
Peptidi
Evidenze sperimentali suggeriscono che, oltre al glutammato, diversi neuropeptidi rilasciati a livello periferico contribuiscano alla genesi del d. neuropatico: la sostanza P e il Calcitonin-Gene-Related-Peptide (CGRP) vengono indicati come responsabili dell'induzione del d., e il CGRP sarebbe coinvolto anche nelle fasi del mantenimento del segnale algogeno. In seguito a uno stimolo doloroso, la sostanza P viene rilasciata nel midollo spinale, e attiva i recettori di membrana definiti NK1. Studi sperimentali hanno confermato che l'inibizione di tali recettori NK1 è capace di ridurre la trasmissione nocicettiva. Pertanto sono stati prodotti molti farmaci antagonisti di NK1, ma la speranza di trovare in tali farmaci una nuova classe di potenti analgesici non è stata confermata da altrettanti studi sul piano clinico. Il lanepitant, un antagonista selettivo di NK1, è stato testato in pazienti affetti da d. neuropatico cronico: sebbene ben tollerato, il farmaco non si è dimostrato efficace sui sintomi dolorosi. Negli attacchi di emicrania è stato dimostrato che il peptide CGRP viene rilasciato a livello del sistema trigeminale, il sistema di fibre responsabili di convogliare le sensazioni di d. che provengono dai territori facciali e cranici. La ricerca di molecole ad azione antagonista verso il CGRP ha condotto alla produzione di farmaci che hanno dimostrato discreta tollerabilità e soprattutto una buona efficacia nel bloccare l'emicrania.
Vanilloidi
I canali ionici per i vanilloidi sensibili alla temperatura, o TRPV (Temperature-Sensitive Transient Receptor Potential Vanilloid), contribuiscono in modo significativo alla normale trasmissione della sensazione che accompagna variazioni di temperatura, ma anche del d., e sono pertanto divenuti un interessante bersaglio terapeutico per la terapia del dolore. I canali TRPV sono attivati dalla capsaicina, il principale componente naturale del peperoncino. La capacità di tale sostanza di indurre sensazioni di calore ma anche uno spiacevole senso di fastidio sono ben conosciute. La caratterizzazione degli aspetti biochimici dei canali TRPV e la vasta distribuzione nei tessuti umani indicano tuttavia che tali canali sono coinvolti in diverse funzioni cellulari. L'osservazione sperimentale che la capsaicina e altre sostanze analoghe erano in grado di produrre analgesia ha spinto verso la ricerca di analoghi sintetici con proprietà analgesiche. Nel corso degli ultimi anni del 20° sec. sono state perseguite due linee di ricerca. La prima orientata all'ottimizzazione di terapie basate sull'utilizzo di sostanze agoniste, capaci di legarsi ai TRPV, inattivando le fibre nocicettive. La seconda strategia è rappresentata invece dall'identificazione di agenti farmacologici ad azione antagonista sul canale TRPV che produrrebbe comunque un effetto antidolorifico. Evidenze preliminari hanno dato risultati incoraggianti su modelli sperimentali di d., ma appare prematuro sostenere che tali farmaci possano trovare applicazione nel futuro.
Farmaci anti-infiammatori non steroidei
I farmaci anti-infiammatori non steroidei (FANS) vengono indicati con successo nel trattamento del d. acuto, in alcuni casi anche nelle forme di d. cronico, seppure con rischi di effetti collaterali non sottovalutabili, soprattutto a livello gastrico e renale. I FANS di recente introduzione sono in grado di inibire selettivamente l'isoforma dell'enzima ciclo-ossigenasi (COX) di tipo 2, rispetto alla isoforma 1, pertanto vengono definiti COX-2 inibitori. L'affinità di tali inibitori per l'isoforma 1 o l'isoforma 2 ne determina la selettività, rendendoli più sicuri e in teoria privi degli effetti collaterali posseduti dai progenitori. Tali farmaci trovano indicazione nel trattamento del d. acuto, ma soprattutto nel d. cronico in corso, per es., di artrite reumatoide. L'inibizione aspecifica dei classici FANS nei confronti delle isoforme dell'enzima COX sia 1 sia 2 si ritiene responsabile degli effetti collaterali dei FANS, in particolare a livello della mucosa gastrica. L'introduzione successiva degli inibitori selettivi dei COX-2 era mirata a minimizzare l'occorrenza di tali effetti indesiderati, lasciando inalterata l'efficacia anti-infiammatoria. Ciò ha portato a un notevole incremento nell'utilizzo degli inibitori COX-2, tra i quali rofecoxib, celecoxib, valdecoxib, etoricoxib. Tuttavia, l'osservazione di gravi effetti cardiovascolari che si sono verificati nei pazienti che utilizzano i COX-2 inibitori ha portato al ritiro di buona parte di tali farmaci dal commercio. Il meccanismo attraverso cui essi sarebbero responsabili di questi eventi avversi è dovuto al fatto che gli inibitori selettivi dell'enzima COX-2 possono ridurre la formazione di prostacicline, sbilanciando il normale equilibrio esistente in favore dei trombossani, sostanze ad azione potenzialmente pro-trombotica, determinando pertanto un aumento del rischio cardiovascolare di tipo ischemico. Alla luce di ciò non si deve però concludere che tale categoria di farmaci non debba essere più utilizzata, e tanto meno che tutti i farmaci appartenenti a questa classe mostrino lo stesso profilo di potenziale pericolosità. È infatti accertato che ciascun inibitore COX-2 possiede caratteristiche molecolari, biochimiche, farmacocinetiche differenti. È necessario, quindi, personalizzare la prescrizione del tipo di farmaco, la posologia e i tempi di somministrazione, facendo particolare attenzione ai soggetti che soffrono di ipertensione arteriosa, malattie cardiache e diabete, e ai fumatori, vale a dire a soggetti i quali presentano concreti fattori di rischio cardiovascolari.
Farmaci oppiacei
L'utilizzo dei farmaci oppiacei rimane un'opzione di prima scelta nel trattamento delle sindromi dolorose croniche, in particolare in corso di neoplasie. Gli oppioidi hanno dimostrato la loro efficacia anche nel trattamento del d. neuropatico. Una revisione della letteratura ha confermato l'utilità di farmaci ad azione agonista sui recettori degli oppiacei, peraltro con un discreto profilo di tollerabilità (Eisenberg, McNicol, Carr 2005). Sono stati inoltre introdotti nel mercato oppiacei di sintesi, utilizzati come anestetici generali e come analgesici nelle procedure chirurgiche. Tali oppiacei, come fentanyl, sufentanil remifentanyl, alfentanyl, hanno dimostrato un'ottima efficacia clinica e una buona tollerabilità. In linea generale, la scelta tra gli oppioidi dipende dalle proprietà farmacodinamiche e farmacocinetiche, ossia dalla velocità con cui entrano in circolo, agiscono e vengono eliminati. Ciò vale, tuttavia, prevalentemente per l'utilizzo in camera operatoria. L'utilizzo degli oppiacei nel d. cronico deve comunque rispettare il principio di ottenere la massima analgesia con la minima incidenza di eventi avversi. È quanto raccomandano le linee guida che indirizzano la scelta terapeutica verso lo schema posologico più semplice e la modalità di somministrazione meno invasiva. La morfina viene ancora considerata da molti l'oppioide di prima scelta, tuttavia ciò non sempre corrisponde a una migliore efficacia clinica o a una buona tollerabilità. è stato approvato, per es., l'utilizzo di fentanyl somministrato per via transdermica, attraverso un cerotto contenente il principio attivo (Transdermal Therapeutic System, TTS). L'effetto analgesico di oppioidi con lunga durata d'azione, come fentanyl, è stato dimostrato in pazienti con d. neuropatico, con d. in corso a neoplasie e con lombalgie croniche. L'efficacia di tali trattamenti è ovviamente in relazione a un significativo miglioramento della qualità della vita dei soggetti trattati. Sono ormai molti gli studi clinici controllati che hanno paragonato fentanyl a oppiacei classici come la morfina. Alcuni risultati indicano che i due analgesici sono egualmente efficaci, ma fentanyl ha una tollerabilità maggiore, ossia vi è una minore incidenza di effetti collaterali. La buona tollerabilità di fentanyl si è osservata anche in pazienti che non avevano mai assunto oppioidi e in pazienti anziani. Nel 2001 è stata promulgata in Italia una nuova legge in materia di prescrizione dei farmaci oppiacei per il trattamento del d. cronico severo. In accordo con le linee guida dell'Organizzazione mondiale della sanità, si è voluto assicurare un più efficace trattamento del d. nei malati terminali e in quelli affetti da d. severo non responsivo ai comuni trattamenti analgesici. La legge, che ha avuto il merito di snellire le procedure relative alla prescrivibilità degli oppiacei, rendendoli più accessibili al paziente, si riferisce ai seguenti farmaci oppiacei: buprenorfina, codeina, diidrocodeina, fentanyl, idrocodone, idromorfone, metadone, morfina, ossicodone, ossimorfone.
Farmaci antiepilettici e dolore neuropatico
Evidenze sperimentali hanno dimostrato l'esistenza di molteplici similitudini nei meccanismi fisiopatologici che sottendono la genesi di forme di epilessia e di d. neuropatico. Pertanto è giustificato l'utilizzo di farmaci antiepilettici nella terapia del d. neuropatico. Nei primi anni del 21° sec. è stato introdotto un farmaco antiepilettico, il gabapentin, che ha in alcuni casi sostituito la carbamazepina. Tale farmaco è indicato nel trattamento di diverse forme di d. cronico su base neuropatica, come diverse forme di nevralgie facciali, il d. secondario a infezione da Herpes Zoster, il d. da lombalgia cronica, e come profilattico negli attacchi di emicrania. Il suo meccanismo di azione è legato alla capacità di inibire una specifica subunità dei canali ionici per il calcio, l'alpha-2-delta. è stata infatti dimostrata un'aumentata espressione di tale subunità in neuroni sensitivi in diversi modelli sperimentali di d. cronico. In tali situazioni, laddove l'iperespressione ha luogo nei neuroni delle corna dorsali del midollo, il gabapentin ha una notevole efficacia analgesica, dimostrando che l'ipereccitabilità neuronale è legata a un alterato funzionamento della subunità alpha-2-delta. Il farmaco, generalmente molto ben tollerato, può essere somministrato anche a dosaggi relativamente elevati (oltre 2400 mg/die). Tra gli antiepilettici di nuova introduzione, va menzionata la lamotrigina, il cui meccanismo d'azione è legato al blocco dei canali ionici voltaggio-dipendenti per il sodio e per il calcio di tipo N e P. La lamotrigina, come carbamazepina e gabapentin, è indicata in tutte le sindromi dolorose croniche come il d. in corso di neuropatia diabetica, la nevralgia trigeminale, il d. centrale secondario a ictus cerebrale o in corso di sclerosi multipla. Una revisione della letteratura ha valutato le la tollerabilità di nuovi farmaci antiepilettici approvati dalla statunitense Food and Drug Administration (FDA). Si tratta della oxcarbazepina, un derivato della carbamazepina, del topiramato, del levetiracetam e della zonisamide. La oxcarbazepina agisce come il diretto predecessore, carbamazepina, bloccando le correnti ioniche del sodio e in parte del calcio. Il topiramato blocca le correnti del sodio, i recettori dell'acido glutammico di tipo AMPA e potenzia la trasmissione inibitoria del GABA. Il levetiracetam non ha effetto sui canali del sodio, ma blocca i canali del calcio di tipo N e P/Q. Inoltre è stato dimostrato che il sito di legame del levetiracetam è rappresentato dalla proteina vescicolare sinaptica SV2. Anche i canali del calcio di tipo T sono stati coinvolti nella trasmissione del d. neuropatico dai nocicettori periferici e nel midollo spinale. Zonisamide ed etosuccimide sono farmaci antiepilettici in grado di bloccare selettivamente i canali T. La revisione degli studi clinici in cui sono stai utilizzati i suddetti farmaci ha dimostrato come essi siano ben tollerati ed efficaci nel trattamento di diverse sindromi dolorose croniche. Tra questi, viene segnalato il levetiracetam come il più maneggevole tra i precedenti, soprattutto in relazione al potenziale uso in pazienti anziani (Guay 2003). È importante tuttavia segnalare che tutti i farmaci suddetti necessitano di titolazione, ossia la dose ottimale va raggiunta gradualmente, partendo dalla dose minima e aumentando il dosaggio ogni settimana. La titolazione è necessaria per evitare l'insorgenza di fastidiosi effetti collaterali. L'emicrania è caratterizzata da un dolore episodico, e la natura parossistica di tali episodi, così come i meccanismi che sottendono l'esordio di una crisi emicranica, la avvicinano per molti aspetti alla stessa epilessia. A riprova di tale considerazione, l'emicrania è una delle patologie dolorose per la quale gli antiepilettici hanno trovato indicazione. L'acido valproico, per es., da tempo utilizzato in alcune forme di epilessia, è stato il primo antiepilettico approvato negli Stati Uniti per il trattamento profilattico delle crisi emicraniche. In seguito altri farmaci antiepilettici sono stati introdotti per il trattamento cronico in corso di emicrania, per es., la carbamazepina e la lamotrigina; topiramato e levetiracetam hanno poi fornito interessanti indicazioni nel ridurre preventivamente la frequenza degli attacchi di emicrania. Farmaco di nuovissima introduzione è il pregabalin. Evidenze sperimentali suggeriscono che, come per il gabapentin, la cui struttura chimica è molto simile, il pregabalin agisce legandosi alla subunità alpha-2-delta dei canali ionici per il calcio riducendo il rilascio di vescicole sinaptiche dai terminali nervosi. Ciò si traduce in una riduzione del rilascio di trasmettitori come il glutammato, la sostanza P e il CGRP, coinvolti nella trasmissione del messaggio nocicettivo. Studi clinici condotti su un vasto campione di pazienti diabetici con d. neuropatico ne confermano l'efficacia a dosi comprese tra 300 e 600 mg/die.
Approcci analgesici invasivi
Nuove e sofisticate tecniche di anestesia regionale sono state introdotte per il trattamento del d. sia acuto sia cronico. L'utilizzo di cateteri nervosi periferici è inoltre aumentato in virtù del riscontro di migliori risultati nel trattamento del d. postoperatorio. Studi clinici controllati hanno mostrato, per es., come l'infusione continua di analgesici tramite catetere sia molto efficace nel trattamento del dolore postoperatorio. Inoltre, la disponibilità di nuovi strumenti e di tecniche mirate a facilitare la sostituzione dei cateteri ha dato ulteriore impulso all'adozione di cateteri periferici per i blocchi nervosi in corso di d. cronico. Tali tecniche, che appaiono di facile applicabilità e rapida diffusione, richiedono comunque una notevole esperienza clinica da parte dei medici anestesisti, e possono in molti casi essere eseguite a domicilio e parzialmente gestite dai pazienti stessi. Ciò viene anche favorito, è importante sottolinearlo, dalla maneggevolezza e sicurezza dei nuovi farmaci anestetici utilizzati.
Terapia neurochirurgica funzionale del dolore
Numerosi studi clinici hanno avuto pubblicazione, in supporto di un'indicazione chirurgica per il trattamento di una serie di sindromi dolorose centrali e periferiche. Le sindromi dolorose maggiormente selezionate includono diverse forme di d. neuropatico cronico, nevralgia posterpetica, sindromi dolorose da deafferentazione, da lesioni midollari, e anche forme di d. centrale come la sindrome talamica. La stimolazione della corteccia cerebrale motoria (MCS, Motor Cortex Stimulation) rappresenta un'alternativa per il trattamento di sindromi dolorose centrali e per d. neuropatico intrattabile. La MCS prevede l'inserimento di elettrodi epidurali, il cui corretto posizionamento è assicurato dall'impiego intraoperatorio di tecniche di ricostruzione computerizzata dell'immagine cerebrale, associate a tecniche di neuronavigazione. I parametri di stimolazione (frequenza e voltaggio) sono regolati in base al beneficio ottenuto e alla comparsa di effetti collaterali. Sebbene le basi scientifiche dell'efficacia di tali trattamenti non siano state del tutto chiarite, sembra che l'inibizione della trasmissione dolorifica a livello della regione cerebrale talamica rappresenti il meccanismo più credibile. È stato inoltre ipotizzato che la MCS coinvolga l'attivazione orto- e/o anti-dromica dei fasci nervosi che connettono la corteccia motoria a quella sensitiva. Questi, a loro volta, attiverebbero neuroni sensitivi con attività inibitoria sulla trasmissione dei segnali nocicettivi. Studi clinici di follow-up hanno mostrato un mantenimento dell'efficacia terapeutica di MCS fino a un anno dopo il posizionamento degli elettrodi, peraltro con scarsi effetti collaterali. La stimolazione cerebrale profonda (DBS, Deep Brain Stimulation) è una tecnica neurochirurgica che ha trovato importanti applicazioni nel trattamento di diversi disturbi del movimento. La DBS venne introdotta nel trattamento di alcune forme di d. negli anni Cinquanta del 20° sec., poi, per disposizione della FDA, ne è stato proibito l'utilizzo negli Stati Uniti a partire dagli anni Ottanta, fino a essere nuovamente oggetto di studio nel trattamento del d. cronico neuropatico intrattabile in pazienti postischemici. La stimolazione sia dell'area grigia periacqueduttale/periventricolare sia del nucleo ventro-postero-laterale (VPL) del talamo mostrava un'efficacia terapeutica. Si ritiene che la DBS dell'area grigia periacqueduttale determini il rilascio di oppioidi endogeni, teoria supportata dall'osservazione che l'effetto analgesico indotto dalla DBS può essere abolito dalla somministrazione di un antagonista oppioide quale il naloxone. Insieme all'attivazione del sistema oppioide discendente, è stato osservato un incremento dell'attivazione del nucleo dorsale mediale del talamo, area strettamente associata al sistema limbico, ciò potrebbe risultare in una modulazione della risposta emozionale al dolore. Nel caso della stimolazione talamica il meccanismo potrebbe consistere nell'attivazione delle vie inibitorie cortico-fugali dirette al midollo spinale (Owen, Green, Stein et al. 2006).
La DBS ha trovato inoltre impiego nella terapia delle cefalee autonomiche trigeminali farmaco-resistenti (TACs, Trigeminal Autonomic Cephalalgias), un gruppo di sindromi caratterizzato principalmente da d. periorbitario accompagnato da importanti fenomeni autonomici. Studi di tomografia a emissione di positroni (PET) hanno evidenziato un'attivazione patologica della porzione infero-posteriore dell'ipotalamo durante gli attacchi emicranici. Inoltre, studi di risonanza magnetica funzionale hanno dimostrato un aumento del flusso ematico ipotalamico associato a variazioni morfovolumetriche, indicando l'ipotalamo quale generatore della cefalea. In tali casi la DBS prevede l'impianto di elettrodi nell'ipotalamo omolaterale alla sintomatologia cefalalgica (Leone, Franzini, D'Andrea et al. 2005). Un'altra alternativa chirurgica utilizzata in alcune forme di d. cronico è rappresentata dalla stimolazione del midollo spinale (Spinal Cord Stimulation). Essa prevede l'utilizzo di un generatore elettrico che manda impulsi elettrici a una determinata area bersaglio del midollo spinale. L'esatto meccanismo cellulare attraverso cui tale tecnica funziona non è stato ben chiarito. In diversi studi clinici condotti su pazienti affetti da alcuni tipi di d. cronico viene sottolineata l'efficacia della tecnica in uso. Rimane tuttavia la necessità di studi clinici più vasti e di criteri di selezione dei pazienti più rigorosi. Tra le cosiddette terapie fisiche, va menzionata una metodica definita stimolazione magnetica transcranica o TMS (Transcranial Magnetic Stimulation). Tale tecnica consiste nell'applicare una stimolazione ripetitiva, generata da un campo magnetico, a specifiche aree della corteccia cerebrale. La tecnica non è invasiva, e i magneti (coil) vengono applicati sulla cute del cuoio capelluto sovrastante la zona prescelta. Lo stimolo viene dato sotto forma di treni di impulsi che si ritiene possano produrre cambiamenti a lungo termine della eccitabilità delle aree cerebrali stimolate. Ciò produrrebbe un riarrangiamento dei circuiti cerebrali stimolati, non solo nelle immediate vicinanze dell'area prescelta, ma anche a distanza. Studi clinici condotti su pazienti affetti da forme diverse di d. centrale o periferico ne supportano l'efficacia e la buona tollerabilità.
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