UNITARIE, TEORIE RELATIVISTICHE
Il concetto di campo costituisce, per dirla con A. Einstein, "il maggior successo dell'uomo nella scienza". Esso permette dì rappresentare con continuità azioni esercitate da corpi esternamente ad essi, senza far intervenire la natura dei corpuscoli che tali azioni subiscono e con i quali il campo viene esplorato. Nella fisica classica si considerano soltanto campi nell'ordinario spazio geometrico (euclideo tridimensionale) che dipendono eventualmente dal tempo: così vengono considerati il campo gravitazionale e quello elettromagnetico. Anche nei casi elementari però, in cui le masse che provocano il campo gravitazionale e le cariche elettriche che provocano il campo elettromagnetico sono rappresentate da "singolarità", la conoscenza del campo non permette di rivelare la vera essenza fisica delle sue sorgenti, siano esse masse o cariche elettriche.
Nella teoria della relatività, che nega carattere assoluto (indipendente cioè dall'osservatore) sia allo spazio sia al tempo, per attribuire invece tale carattere allo spazio-tempo, il continuo quadridimensionale di tutti gli eventi elementari e di tutti i movimenti corpuscolari, i campi debbono essere considerati nello spazio-tempo. Loro tipico carattere è quello di riunire in uno solo enti che nella fisica classica appaiono distinti: spazio e tempo, massa ed energia, inerzia e gravitazione, campo elettrico e magnetico, cariche elettriche e correnti, ecc.
Nella teoria della relatività generale i campi inerziali e gravitazionali dipendono soltanto dalla geometria dello spazio-tempo, e così pure ha carattere soltanto geometrico la legge di moto per inerzia e per gravitazione di una particella. Si suol dire perciò che la teoria della relatività generale costituisce un modello atto a spiegare geometricamente l'inerzia e la gravitazione. La stessa cosa non avviene per il campo elettromagnetico, pur trovando esso adeguata e sintetica rappresentazione nello spaziotempo, e pur risultando semplici ed espressive le leggi che lo governano.
Nel 1918 H. Weyl tentò per primo di spiegare in termini geometrici sia i fenomeni gravitazionali che quelli elettromagnetici (e cioè essenzialmente tutti i fenomeni attualmente noti nel macrocosmo) servendosi di una geometria più ampia di quella spazio-temporale sufficiente a spiegare la sola gravitazione. Fu questa la prima teoria relativistica unitaria. Ad essa altre ne seguirono ad opera di A. Einstein, A. S. Eddington, T. Kaluza, O. Klein, O. Veblen ed altri fisici e matematici. I risultati concreti furono inadeguati agli sforzi che tali teorie erano costate, e ciò rese i fisici alquanto scettici nei loro riguardi. Malgrado ciò molti scienziati non riuscirono a sottrarsi al fascino delle teorie unitarie: primo fra tutti Einstein, cui è dovuta una mirabile teoria unitaria venuta alla luce dopo molti tentativi, abbandoni, riprese, che assillarono l'ultimo decennio della vita (1946-1955) del grande scienziato. Questa teoria ha ridestato vivo interesse per la relatività unitaria, che fu ed è oggetto di numerose ricerche, e si è riaccesa la speranza, espressa dal suo autore, di vedere un giorno anche la fisica del microcosmo, dominata dalla concezione quantistica, identificarsi con la geometria dello spazio-tempo, discendendo, come la fisica del macrocosmo, da un unico campo che entrambe le individui.
Spazio-tempo, inerzia, gravitazione. - Nella fisica relativistica la legge di propagazione della luce è assoluta; e resta quindi invariata, passando da un osservatore ad un altro, un'espressione differenziale quadratica come la seguente, che eguagliata a zero dà tale legge in una generica regione spaziale infinitesima e in un generico intervallo infinitesimo di tempo:
La [1] dipende da tre coordinate spaziali x1x2x3 e da una coordinata temporale x0. In essa (e analogamente in altre formule del seguito) è sottintesa la somma rispetto agli indici i e k, che si saturano.
Nell'intorno infinitesimo di una posizione e di un istante prefissati, cioè in un ambito infinitesimo, è sempre possibile scegliere un riferimento spazio-temporale, detto riferimento inerziale, tale che rispetto ad esso l'espressione [1] assuma la seguente forma pseudopitagorica:
Nella [2] la quantità (dl)2 = (dx1)2 + (dx2)2 + (dx3)2 rappresenta il quadrato della distanza fra due posizioni infinitamente vicine e, se t è il tempo e c la velocità costante della luce rispetto al riferimento inerziale presupposto dalla [2] stessa, x0 = c t.
L'invarianza di tutte le leggi fisiche di fronte ad ogni cambiamento delle quattro variabili x0x1x2x3, che soltanto lasci invariato il valore dell'espressione [1], costituisce il principio di relatività generale.
La [1], per la sua forma e per il suo carattere invariantivo, può interpretarsi come metrica di un continuo quadridimensionale, dove le quattro coordinate di un punto sono la coordinata temporale x0 e le tre propriamente spaziali x1 x2 x3. È questo lo spazio-tempo. Qui, e non nello spazio geometrico tridimensionale, le leggi fisiche debbono avere carattere invariantivo. Ad ogni punto dello spazio-tempo corrisponde un evento elementare, insieme di una determinazione propriamente spaziale e di una temporale. Ad ogni linea dello spazio-tempo corrisponde (a priori) un movimento corpuscolare.
Si consideri il moto per inerzia di un corpuscolo sottratto a ogni azione fisica. In questo caso non v'è ragione alcuna perché non siano identici tutti gli ambiti infinitesimi spazio-temporali: sempre e ovunque sarà perciò possibile, valendosi di un medesimo riferimento inerziale, dare alla metrica la forma pseudopitagorica [2], e lo spazio-tempo sarà pseudoeuclideo.
Rispetto ad un medesimo riferimento inerziale, il moto del corpuscolo considerato sarà rettilineo uniforme, rappresentato quindi da una retta dello spazio-tempo e cioè da una linea geodetica.
Scegliamo ora un riferimento non inerziale. Per esso non vale la [2], e alla metrica spazio-temporale compete la forma generale [1]. La legge di movimento del corpuscolo è però data anche in questo riferimento dalla precedente retta, poiché questa costituisce un ente geometrico che prescinde dal particolare riferimento di cui ci si vale per rappresentarlo.
Le equazioni differenziali che esprimono la legge della geodetica spazio-temporale sono analoghe a quelle che si debbono scrivere in meccanica classica quando, per calcolare il movimento inerziale di un corpuscolo, ci si riferisce ad un osservatore non inerziale. Al posto delle forze apparenti d'inerzia compaiono espressioni formate linearmente ed omogeneamente mediante i simboli di Christoffel
che alla lor volta dipendono linearmente ed omogeneamente dalle derivate parziali ordinarie dei coefficienti gik della metrica [1]. In tal modo i fenomeni inerziali trovano spiegazione geometrica nello spazio-tempo pseudoeuclideo: il movimento di un corpuscolo vi è rappresentato da una linea geodetica (retta) e le forze inerziali dai simboli di Christoffel, simboli che non sono tensori, che non hanno in sé nulla d'intrinseco, come appunto le forze d'inerzia, proprio perciò dette "apparenti".
In virtù dell'identità fra massa inerte e massa gravitazionale, anche la gravitazione può venire interpretata geometricamente nello spazio-tempo come l'inerzia, ma non in uno spazio-tempo pseudoeuclideo, bensì in uno spazio-tempo curvo, riemanniano.
La geometria di uno spazio riemanniano è tutta individuata da una generica forma differenziale quadratica come la [1], la quale però non può porsi, sempre e ovunque, valendosi di un medesimo riferimento spaziotemporale, nella forma pseudopitagorica [2]. Il tensore doppio simmetrico gik che vi compare e la individua, il tensore fondamentale, dà col suo campo la geometria nell'intorno di ogni evento, e permette altresì di stabilire la connessione fra due intorni contigui, perché la connessione negli spazî riemanniani è quella stessa che vige fra due faccette infinitesime contigue di una medesima superficie curva non sviluppabile su di un piano. Tale connessione (che permette di eseguire la derivazione tensoriale in coordinate generali) è data dai simboli di Christoffel
costruiti appunto con le dieci componenti del tensore fondamentale e con le loro derivate parziali ordinarie. Una geodetica dello spazio-tempo curvo riemanniano che non è più una retta, dà, rispetto ad un riferimento generico, il moto gravitazionale di un corpuscolo (quando la sua massa sia tanto piccola, rispetto a quella dei corpi che su di esso agiscono, da non influenzarne il moto); i simboli di Christoffel (che non è più possibile rendere tutti nulli con un semplice cambiamento del riferimento) rappresentano le forze apparenti inerziali e quelle gravitazionali; i coeficienti gik della metrica [1] i potenziali.
Ma come s'incurva lo spazio-tempo in presenza di masse assegnate? Come si precisa, attraverso le equazioni gravitazionali, la solidarietà fra fenomeni e spazio-tempo in cui si svolgono? Se si riguardano le masse come semplici singolarità del campo gravitazionale, le equazioni gravitazionali esternamente ad esse scaturiscono da un semplice ed espressivo principio variazionale: si consideri la regione spazio-temporale esterna alle masse e si calcoli in ogni suo punto la media delle curvature locali: a parità di valori al contorno, il valore medio, in tutta la regione, di tale curvatura media locale è il più piccolo possibile. In altre parole: lo spaziotempo è sì curvo, ma in media lo è meno che può.
Le equazioni gravitazionali che se ne traggono sono le seguenti:
dove Rik = Rki è un tensore doppio simmetrico, dipendente linearmente ed omogeneamente dalle curvature dello spazio-tempo e costruito con le componenti del tensore fondamentale e con le loro derivate parziali ordinarie prime e seconde (v. relatività, in questa App.). Le [3] permettono di determinare il campo del tensore fondamentale. Esse contengono termini quadratici che mancano nell'equazione di Laplace, cui ubbidisce il campo gravitazionale classico esternamente alle masse, e alla quale le [3] medesime si riducono in prima approssimazione. In dipendenza di ciò e delle quattro cosiddette identità di L. Bianchi, che conseguono dalle [3], è possibile trarre direttamente dalle equazioni di campo il moto delle sorgenti gravitazionali fra loro interagenti. Se ne deduce in particolare che, se la massa di una sorgente è piccola rispetto alle altre, il suo moto risulta dato da una geodetica dello spazio-tempo incurvato da queste; la legge della geodetica spazio-temporale, la legge d'inerzia generalizzata, cessa così di costituire un principio autonomo, perché esso discende dalle equazioni del campo gravitazionale e quindi, in sostanza, dal principio variazionale da cui queste scaturiscono.
Campo elettromagnetico. - Nello spazio-tempo riemanniano il campo elettromagnetico (nel vuoto) può rappresentarsi mediante un unico tensore doppio emisimmetrico Fik = − Fki (i, k = 0, 1, 2, 3), il tensore elettromagnetico, che con le sue sei componenti indipendenti e non nulle dà le tre componenti spaziali del campo elettrico e le tre del campo magnetico. La distribuzione elettrica è invece rappresentata da un vettore spaziotemporale ji, che con le sue quattro componenti dà la densità elettrica e le tre componenti spaziali della corrente specifica.
Le leggi elettromagnetiche di Maxwell si riducono alle due seguenti, che per il loro carattere tensoriale nello spazio-tempo soddisfano al principio di relatività generale: il tensore elettromagnetico è irrotazionale,
la sua divergenza eguaglia la distribuzione elettrica
Queste leggi si enunciano come le leggi elettrostatiche, con la differenza però che le leggi elettromagnetiche vigono nello spazio-tempo quadridimensionale e le elettrostatiche (essendo indipendenti dal tempo) nell'ordinario spazio tridimensionale.
I primi membri delle due relazioni [4] e [5] hanno la stessa struttura, soltanto che nella prima compare il tensore emisimmetrico di Ricci εjhki, nella seconda il tensore fondamentale ghk. Entrambi questi tensori fungono da costanti in uno spazio riemanniano, perché hanno ivi derivato tensoriale nullo:
La [4] comporta (come la corrispondente condizione elettrostatica) l'esistenza di un potenziale. Da essa si deduce infatti che il tensore elettromagnetico proviene per derivazione da un potenziale elettromagnetico rappresentato dal vettore spazio-temporale ϕi:
Dalla [5] si trae che il vettore distribuzione elettrica è "solenoidale", e ciò esprime il principio di conservazione dell'elettricità.
Tutte le manifestazioni energetiche del campo elettromagnetico si riassumono in un tensore doppio simmetrico Eik = Eki, funzione quadratica omogenea di Fik. Attraverso le sue manifestazioni energetiche il campo elettromagnetico esercita azione gravitazionale e contribuisce ad incurvare lo spazio-tempo. Brevemente si dice che anche l'energia elettromagnetica "pesa", intendendo dire che il tensore Rik non è nullo esternamente alle masse gravitanti, come lo è (per la [3]) in assenza di campo elettromagnetico, ma è proporzionale al tensore Eik.
Teorie unitarie. - Lo spazio-tempo riemanniano ha tutta la sua geometria impegnata a spiegare la gravitazione e non permette di interpretare geometricamente anche gli enti elettromagnetici Fik e ji, di dare carattere geometrico alle leggi maxwelliane [4] e [5], nonché alla legge di movimento di un corpuscolo elettrizzato, perché questa fa intervenire un parametro (il rapporto fra la sua carica e la sua massa) che dipende dalla natura del corpuscolo.
Per spiegare in termini geometrici sia i fenomeni gravitazionali che quelli elettromagnetici è spontaneo valersi di spazî che hanno una geometria più ampia dei riemanniani quadridimensionali. Per ampliare la geometria di uno spazio riemanniano quadridimensionale si presentano ben naturali tre procedimenti: a) aumentare il numero delle dimensioni, valendosi di uno spazio ancora riemanniano, ma a cinque o più dimensioni; b) mantenere le quattro dimensioni, ma ampliare la metrica, che dà la geometria nell'intorno infinitesimo di ogni punto, assumendola non riemanniana; c) mantenere sia le quattro dimensioni sia la metrica riemanniana, ma ampliare la connessione fra due intorni contigui, servendosi, in luogo dei simboli di Christoffel, di coefficienti più generali.
Conforme al primo procedimento è la teoria unitaria di T. Kaluza (1921). Essa fa capo ad uno spazio riemanniano pentadimensionale, nel quale le coordinate di un punto sono la coordinata temporale x0, le tre coordinate propriamente spaziali x1 x2 x3 e una quinta coordinata ξ "inconoscibile", certamente né spaziale né temporale.
L'idea fondamentale della teoria è quella di determinare la forma differenziale quadratica, nelle cinque precedenti coordinate, che rappresenta la metrica e che dà col campo dei suoi coefficienti tutta la geometria dello spazio, in modo che al movimento di un generico corpuscolo elettrizzato, al quale non corrisponde una geodetica dello spazio-tempo quadridimensionale, corrisponda invece una geodetica dello spazio pentadimensionale.
Ciò è possibile pur di legare in modo semplice i coefficienti della metrica pentadimensionale (dσ)2 ai coefficienti gik (i, k = 0, 1, 2, 3) della metrica dello spazio-tempo quadridimensionale che danno i potenziali gravitazionali e alle componenti ϕi (i = 0, 1, 2, 3) del vettore spazio-temporale che costituisce il potenziale elettromagnetico. si ha infatti, denotando con, una costante universale:
Scrivendo, come nella teoria gravitazionale, che, esternamente alla materia, lo spazio pentadimensionale è in media il meno curvo possibile, si perviene ad una relazione tensoriale del tipo [3]. Essa sintetizza due leggi: la prima dice come pesi l'energia elettromagnetica, confermando la proporzionalità dei due tensori Rik ed Eik dello spazio-tempo quadridimensionale; la seconda afferma la solenoidalità del tensore elettromagnetico, conformemente alla [5], perché esternamente alla materia è nulla la distribuzione elettrica.
La teoria di Kaluza, successivamente perfezionata da O. Klein, geometrizza il moto di ogni corpuscolo e traduce in termini geometrici tutte le leggi gravitazionali ed elettromagnetiche, ma introduce una quinta misteriosa dimensione che persuade poco. Tuttavia, se alcuni dei risultatí elegantissimi ai quali la teoria perviene sono ottenuti, per così dire, "per costruzione", altri rappresentano reconditi teoremi, che non possono essere casuali. Molta verità fisica deve essere rappresentata dal modello geometrico di cui la teoria si vale.
Il modello è stato ampliato in varî sensi, anche considerando spazî a più di cinque dimensioni, e O. Veblen lo liberò nel 1933 dalla misteriosa quinta dimensione ricostruendolo nell'ambito proiettivo.
Nella teoria unitaria di Veblen si considera uno spazio proiettivo quadridimensionale i cui punti rappresentano le linee "extra" di uno spazio pentadimensionale. Ciò è del tutto analogo a quel che si fa quando si considera un piano proiettivo, i cui punti rappresentano le rette dell'ordinario spazio tridimensionale che escono da un punto prefissato.
Se non si vogliono accogliere nelle teorie relativistiche unitarie spazî pentadimensionali, o non si vuol ricorrere agli equivalenti spazî proiettivi, non restano altre alternative se non quelle d'ampliare la metrica o d'ampliare la connessione di uno spazio riemanniano quadridimensionale.
Si può ampliare la metrica riemanniana generalizzando in varî modi l'espressione differenziale quadratica [1] che la definisce: accogliendo la proposta di S.A. Eddington, secondo la quale
adottando le metriche di Mosharaffa, di Stephenson e Kilmister, o addirittura spingendosi a generiche metriche di Finsler
Si può generalizzare la connessione valendosi, nella derivazione tensoriale, invece dei simboli di Christoffel
di generici coefficienti
dipendenti dalle coordinate e dai loro differenziali. Tuttavia nelle teorie più feconde essi dipendono soltanto dalle coordinate, cioè la connessione è affine (v. relatività, App. II, 11, p. 681).
La connessione affine interviene nella teoria relativistica unitaria di Weyl. Nella teoria di Weyl i coefficienti di connessione
differiscono dai simboli di Christoffel
tratti dalla metrica [1], per un tensore triplo, costruito linearmente ed omogeneamente col potenziale elettromagnetico ϕi:
Una circostanza poco persuasiva che si presenta nella teoria di Weyl è la seguente: uno scalare, quale il modulo di un vettore, non resta invariato nel trasporto per parallelismo, perché il tensore fondamentale gik non si mantiene costante. Questa circostanza non si riscontra invece nell'ultima teoria di Einstein, che sotto molti aspetti è quella più consona all'ideale unitario.
L'ultima teoria unitaria di Einstein. - L'idea fondamentale è la seguente: valersi sì di uno spazio-tempo quadridimensionale non riemanniano, ma a connessione affine e il più prossimo, per le sue proprietà essenziali, agli spazî riemanniani, uno spazio-tempo che dipende, come gli spazî riemanniani, da un unico campo fondamentale che riassume in sé ogni ente fisico; scegliere questo campo in modo che, esternamente alle sue sorgenti, lo spazio-tempo sia in media il meno curvo possibile.
Il tensore fondamentale non può essere simmetrico (a differenza di quanto avviene negli spazî riemanniani), perché il suo campo deve rappresentare sia il campo gravitazionale, che è descritto da un tensore simmetrico, sia il campo elettromagnetico, che è descritto da un tensore emisimmetrico. Si può perciò spezzare il tensore fondamentale, che indicheremo con Gik, in due parti, l'una simmetrica
e l'altra emisimmetrica
Al campo fondamentale s'impone, come negli spazî di Riemann: di dare la metrica [1]; di fungere da costante nella derivazione tensoriale; di mantenere costante anche il tensore di Ricci con esso costruito. Precisamente:
La seconda e la terza delle [13] ripetono le [6]; in esse però la derivazione tensoriale è eseguita servendosi dei coefficienti di connessione
e poiché non v'è simmetria, nella seconda bisogna trattare h da primo indice e k da secondo. Esplicitamente la seconda delle [13] si scrive così:
La [13″] riassume 64 equazioni lineari nei 64 coefficienti di connessione.
Se il campo fondamentale è simmetrico, dalla [13″] si deduce che i coefficienti di connessione si riducono ai simboli di Christoffel e lo spazio risulta riemanniano; non così se il campo fondamentale non è simmetrico. In questo caso i coefficienti di connessione, ottenuti risolvendo la [13], non sono simmetrici, e la loro parte emisimmetrica (rispetto ai due indici inferiori) costituisce un tensore triplo Tlhr: il tensore di Cartan, che dà la torsione dello spazio-tempo. In virtù della terza condizione [13], il seguente vettore, detto vettore di torsione, o vettore di Einstein, è nullo:
Posto
può anche scriversi così:
Questa relazione, confrontata con la [4], permette di identificare il tensore emisimmetrico *Gik, "coniugato" della parte emisimmetrica del tensore fondamentale, con il tensore elettromagnetico Fik. In tal modo risulta identicamente soddisfatta la prima legge elettromagnetica, mentre la seconda, la [5], diviene la definizione della distribuzione elettrica: "distribuzione elettrica è ciò che diverge dal coniugato del tensore fondamentale"; e identicamente (ecco ciò che giustifica la definizione) tale distribuzione elettrica risulta solenoidale, conformemente al principio di conservazione dell'elettricità.
La geometria dello spazio-tempo nella teoria unitaria einsteiniana è dunque tutta individuata dal campo fondamentale, che con la sua parte simmetrica dà ovunque la metrica, mentre con la parte simmetrica e l'emisimmetrica dà la connessione e quindi la curvatura (o flessione) e la torsione. Ma come determinare questo campo fondamentale? Con quel medesimo suggestivo principio variazionale di minima curvatura media che vige nella teoria semplicemente gravitazionale. Da esso, eseguendo la variazione nel rispetto dell'unica condizione indefinita [14] imposta al campo fondamentale, si trovano le seguenti due equazioni tensoriali da aggiungere alla [14]:
La prima, che coincide con la [3] quando lo spazio-tempo è riemanniano, afferma che è nulla la parte simmetrica
del tensore asimmetrico Rik, costruito con i coefficienti di connessione non riemanniana così come il tensore che compare nella [3] è costruito con i simboli di Christoffel nel caso riemanniano; la seconda afferma che è irrotazionale la parte emisimmetrica
del tensore Rik.
Il quadro delle equazioni indefinite del campo einsteiniano unitario è dunque costituito dalle 4 equazioni riassunte dalla [14], dalle 1o riassunte dalla prima delle [15], dalle 4, riassunte dalla seconda delle [15] : in totale 18 equazioni, mentre le incognite sono le 16 funzioni delle 4 coordinate, costituenti le componenti del tensore fondamentale. Ma fra le equazioni di campo intercedono 6 identità (una discende dalla [14], una dalla seconda delle [15] e quattro, analoghe a quelle di Bianchi, dalla prima), cosicché le equazioni indipendenti sono soltanto 12. Si ha perciò libertà nella scelta di 4 variabili, come deve essere, se si vuol lasciar libera la scelta del riferimento spazio-temporale, conformemente al principio di relatività generale.
Lo schema logico seguito per esporre 1'ultima teoria unitaria di Einstein non è quello che seguì il suo autore, il quale cercò di sfruttare all'estremo un unico principio variazionale, per ricavarne, oltre alle equazioni di campo [15], anche la costanza del tensore fondamentale e financo la [14].
L'unico campo al quale perviene 1'ultima teoria relativistica einsteiniana costituisce 1'estrema sintesi di tutti i campi noti del macrocosmo: il campo che dà la geometria dello spazio-tempo e quindi la cinematica, il campo dell'inerzia, il campo della gravitazione, il campo elettromagnetico. Esso comporta una propagazione ondosa, nella quale i fronti d'onda, che propagano entrambe le azioni, gravitazionali ed elettromagnetiche, avanzano con la Velocità della luce.
La risoluzione delle equazioni che reggono il campo unitario potrà forse rivelarci il misterioso legame che deve intercedere fra elettricità e gravitazione. Tale legame però è certamente assai tenue, perché in prima approssimazione le equazioni di campo si separano nettamente nelle equazioni maxwelliane [4] e [5], riguardanti il solo campo elettromagnetico, e nella [3], riguardante la sola gravitazione; quest'ultima, a sua volta, per campi gravitazionali deboli, si riduce all'equazione di Laplace della teoria gravitazionale classica.
Come dalla [3], relativa al solo campo gravitazionale, sono state tratte le leggi di movimento delle sorgenti gravitazionali, così dalle [14] e [15] sono state tratte le leggi di moto delle sorgenti del campo unitario, costituite da corpuscoli esercitanti azioni gravitazionali ed elettromagnetiche. La deduzione dalle sole equazioni di campo delle leggi di moto delle sorgenti non è invece possibile nella fisica classica della gravitazione e dell'elettricità.
Bibl.: Di carattere generale: H. C. Corben, in Rend. Seminario mat. fis. di Milano, XXXIII (1952); C. W. Kilmister e G. Stephenson, in Il nuovo Cimento, IX (1954); B. Finzi, in Cinquant'anni di relatività, Firenze 1955; Atti V congr. Unione matem. ital., Pavia 1956; A. Lichnerowicz, Théories relativistes de la gravitation et de l'électromagnétisme, Parigi 1955; M. A. Tonnelat, La théorie du champ unifié d'Einstein, Parigi 1955.
Contributi fondamentali: H. Weyl, in Sitz. d. Preuss. Ak. Wiss., 1918; A. S. Eddington, The math. theory of relativity, Cambridge, 1924; T. Kaluza, in Sitz. d. Preuss. Ak. Wiss., 1921; O. Klein, in Phys. Zeitsch., XXXVII (1926); O. Veblen, Projective Relativitätstheorie, Berlino 1933; A. Einstein, The meaning of relativity, Princeton, appendice II alla terza ediz. (1950), alla quarta (1953), alla quinta (1955); A. Lichnerowicz, in Journ. Rat. Mech., III (1954); E. Clauser, in Il nuovo Cimento, XIV (1958).