fotografia, teorie della
fotografìa, teorìe della. – Il passaggio dall’analogico al digitale ha profondamente influenzato il dibattito teorico a partire dagli anni Ottanta del Novecento, tanto che si può in larga parte attribuire a questo tema un ruolo centrale e inaugurale rispetto alla più ampia revisione, attualmente in corso, degli statuti disciplinari e delle metodologie di analisi della fotografia. Si può dire che la maggior parte degli studiosi sia concorde rispetto all’idea di una mutazione di 'regime scopico' (quell’insieme di funzioni, convenzioni e credenze che in ogni epoca e contesto socioculturale delimitano le modalità e le possibilità della visione) intervenuta allorché un insieme di algoritmi codificati secondo protocolli informatici binari, manipolabili e reversibili, si è venuto a sostituire alla genesi automatica, ottico-chimica dell’immagine. Più complesso è il quadro di posizioni che si definiscono a partire da un simile presupposto. Secondo alcuni, la rivoluzione digitale avrebbe definitivamente messo in crisi la vecchia logica indexicale in base alla quale la fotografia è, per definizione, una traccia materiale auto-generatasi per effetto della luce. Questa tesi è stata molto dibattuta e contestata, ricorrendo a diversi argomenti, per esempio di ordine semiotico (la fotografia non può essere integralmente fatta coincidere con la sua genesi materiale, dal momento che in essa si sommano funzioni di indice, icona e simbolo); epistemologico (la sua essenza è indefinita e indefinibile: più che una forma dotata di una sua univoca ontologia, andrebbe considerata come un nuovo genere di testualità, aperta e mutevole nel tempo); antropologico (la fotografia è sì traccia, ma non tanto di fenomeni fisici oggettivi, quanto dei saperi, delle intenzioni, delle strategie e delle relazioni che ogni volta ne definiscono le pratiche e gli orizzonti culturali). Soprattutto in ambito storico-artistico e massmediologico – in particolare rispetto ai temi della virtualità delle immagini e dell’intreccio tra realtà e finzione nell’estetica postmoderna – molti autori hanno sostenuto la fine della 'specificità' della fotografia e la sua confluenza nel più ampio e indistinto territorio dell’immagine. Quasi a corollario di ciò, spesso si è fatto ricorso all’idea di una 'crisi dello stile' e 'dello sguardo', che avrebbero definitivamente chiuso la fase classica della fotografia. Queste posizioni si sono perlopiù inserite nell’ambito delle teorie decostruzioniste tese a indagare la dimensione simulacrale e illusoria delle immagini tecnologiche. A riguardo, alcuni autori sono ricorsi alla definizione, assai controversa, di postfotografia (v.). Di contro, come si è detto, è stata avviata una profonda revisione della storiografia attraverso numerosi studi dedicati soprattutto alle fasi ottocentesca e modernista del medium e orientati verso interpretazioni antistoriciste dei suoi processi estetici e culturali, non vincolate da costruzioni cronologiche lineari o dalle tradizionali demarcazioni accademiche tra i generi fotografici. L’idea di un 'ritorno del reale' nelle pratiche contemporanee, per es. negli usi politici e testimoniali della fotografia, nelle sue forme di esperienza e negoziazione di modelli simbolici della realtà e della verità, si ritrova in alcuni studi di impianto sociologico. Nell’ambito della semiotica, perlopiù rimanendo nella scia della riflessione avviata da Roland Barthes con La chambre claire (1980), la fotografia è stata passata al vaglio delle moderne teorie della ricezione, indagandone i processi enunciativi e comunicativi. Tra le idee maggiormente diffuse, quella, sollevata da Jean-Marie Floch già nel 1986, e spesso ripresa nell’ultimo decennio, di una dialettica tra la Fotografia (intesa come forma assoluta) e le fotografie (le sue molte possibili espressioni). Tutto ciò ha implicato soprattutto un rinnovato interesse per aspetti generalmente trascurati dalle tradizionali storiografie, come le pratiche sociali, familiari, turistiche, scientifiche, giudiziarie, eccetera. La più significativa innovazione all’interno di un campo di studi che – particolarmente in Italia – solo in anni recentissimi comincia a trovare un suo assetto organico, sembra insomma risiedere nel lento superamento delle posizioni più rigide e unilaterali e nella consapevolezza di un medium dalla natura plurale e complessa.