teoria
Dal gr. ϑεωρία, der. di ϑεωρός, termine che nell’antica Grecia indicava una persona inviata, di solito come parte di una delegazione (detta ϑεωρία), a consultare un oracolo o ad assistere a una festa religiosa; per estensione il termine significò anche «spettatore» e ϑεωρία indicò l’atto di chi assisteva ai sacrifici degli dei o ai detti degli oracoli. Siccome, d’altronde, questa azione consiste essenzialmente nel «contemplare» con reverenza la celebrazione d’una festa o cerimonia religiosa, il termine passò a designare la considerazione conoscitiva in genere.
In Anassagora t. significa «contemplazione dell’ordine cosmico». Nella Repubblica di Platone la «contemplazione [ϑεωρία] della totalità del tempo e dell’essere» designa la conoscenza e saggezza suprema dei filosofi iniziati ai sommi archetipi ideali ai quali, nell’utopia della polis, dovrebbe essere ispirato il governo. Il tema platonico del primato etico-gnoseologico della «vita contemplativa (βίος ϑεωρητικός)» rispetto alla vita pratica fu modificato da Aristotele; nella sua gerarchia delle scienze la cognizione dei principi spetta non all’etica, ma ad altre «scienze teoretiche» (matematica, fisica, teologia). Dalla classificazione aristotelica derivò la distinzione tra la scienza «divina» dell’intelletto puro, fine a sé stessa, temporanea nell’uomo e perpetua negli dei, e le scienze pratiche e sociali. La dicotomia tra vita contemplativa e vita activa divenne corrente nella tarda antichità: theoria, contemplatio, a cui Boezio aggiunse speculatio, diventarono sinonimi per designare l’ascesi spirituale e l’itinerario della mente verso la divinità; nella patristica greca e latina t. assunse anche il significato di contemplazione della natura come essenza divina. La pregnanza religiosa del termine si accentuò nel Medioevo cristiano con il neoplatonismo e con il recupero scolastico dei testi aristotelici. Niccolò Cusano definì apex theoriae la conoscenza che culmina nella contemplazione dell’archetipo divino. La dicotomia t.- pratica, ossia tra scienza pura e applicata, ricomparve invece nelle classificazioni medievali del sapere naturalistico: medicina, matematica (theorema è una proposizione da dimostrare), astrologia e astronomia.
Alla fine del 13° sec. erano definite theoricae le congetture matematiche sui moti planetari, poi confutate da Copernico. Nel linguaggio scientifico di Galileo le «variate teoriche» della cosmologia geocentrica sono meri espedienti di calcolo destinati a ‘salvare i fenomeni’, obsoleti rispetto al vero sistema eliocentrico. Bacone condannò le t. infondate come sinonime degli idola theatri, e Comenio subordinò la mera t. alla pratica. La più completa relativizzazione del termine fu dovuta alla logica induttiva e al metodo sperimentale, in cui il requisito essenziale di ogni t. consisté nell’unificare serie crescenti di fenomeni: un’ipotesi poteva valere come t. esplicativa provvisoria, o essere definita ‘legge naturale’, ma soltanto fino a che non fosse contraddetta da una o più eccezioni emerse in ulteriori test sperimentali. In tal senso Newton formulò nel 1672 la Nuova teoria della luce e dei colori, e i fisici newtoniani definirono t. una serie di proposizioni coerenti tra loro, «ricavate dagli esperimenti» e capaci di prevedere ulteriori fenomeni. La legge gravitazionale fu un paradigma esemplare di t. che unificò la fisica corpuscolare, le leggi planetarie di Keplero, la legge della caduta dei gravi e gli assiomi della meccanica razionale. Leibniz reinterpretò la dinamica delle forza in chiave aristotelica e teorizzò l’unità di t. e pratica, materia e forma, fisica e metafisica, ossia la ricerca dei principi assoluti e delle cause finali in natura.
Dall’inizio del 18° sec. la semantica del termine si generalizzò nel linguaggio fisico e matematico sovrapponendosi ai termini ‘ipotesi’, ‘metodo’, ‘congettura’, ‘sistema’: t. del moto, t. della visione (Berkeley), t. dei numeri o delle funzioni analitiche (Eulero, d’Alembert, Lagrange), t. delle equazioni, t. della Luna, t. della Terra (Burnet, Buffon), t. dei colori (Newton, Goethe), t. della materia, e così via. Boscovich costruì su premesse newtoniane-leibniziane una Theoria philosophiae naturalis relativistica. Kant, autore di una ipotetica Storia generale della natura e teoria del cielo, tornò a distinguere tra filosofia teoretica, come indagine sulla struttura della ragione pura e sulla conoscenza delle leggi naturali, e filosofia pratica, dedita alla coerenza tra il giudizio morale e l’azione e alla ricerca dei fini. Nel gergo dell’idealismo tedesco riaffiorò il primato speculativo della pura t. in espressioni come t. della conoscenza, t. del pensiero, t. dello spirito. Hegel, riunificando t. e prassi nell’autocoscienza dello spirito universale, culmine del metodo dialettico, si limitò a citare al termine della sua Enciclopedia delle scienze filosofiche (➔) le parole di Aristotele sulla teologia come «speculazione (ϑεωρία) migliore e più eccellente». In senso polemico e antispeculativo, il «rovesciamento della prassi» invocato da Marx e dalla sinistra hegeliana consisté nella reinterpretazione materialistica della dialettica, avversa al «misticismo» con cui Hegel aveva mistificato in figure astratte i rapporti giuridici e sociali, le leggi dell’economia politica e gli eventi della storia universale. Il metodo dialettico marxiano inserì lo schema teorico della lotta di classe e del crollo del capitalismo in un’ideologia messianica, fissando come meta la soluzione rivoluzionaria del conflitto e la scomparsa dello Stato.
Il neoidealismo del 20° sec. ha ripreso la suggestione di t. monistiche definitive, come la retorica Teoria generale dello spirito di Gentile. Un’articolata t. speculativa delle varie forme della cultura è la Filosofia dello spirito e la Teoria e storia della storiografia di Croce, che relegò la conoscenza naturalistica tra gli pseudoconcetti; in altro senso, la fenomenologia di Husserl ha esplorato le dimensioni pre-categoriali della percezione pura, mentre Cassirer con la Fenomenologia delle forme simboliche ha collocato sia il pensiero mitico sia il pensiero razionale, le arti e le scienze esatte, nell’ambito di una rappresentazione simbolica del mondo. Gli epigoni hegeliano-marxisti della Scuola di Francoforte hanno definito «t. critica» una variante sociologica, psicoanalitica ed estetizzante della dialettica materialistica.
L’uso non speculativo del termine passò dalle scienze sperimentali e matematiche all’epistemologia dell’empirismo, estendendosi all’etica e alla terminologia delle scienze umane, fin dalla Teoria dei sentimenti morali di Smith. In età positivistica, con il declino delle t. onnicomprensive della conoscenza e con la relativizzazione della filosofia ‘teoretica’, anche nelle ricerche di psicologia, estetica, storiografia, diritto, sociologia, scienza politica, economia politica, si affermò una molteplicità di formulazioni autonome di principi teorici, più o meno consapevolmente ispirate all’epistemologia delle scienze matematiche, fisiche, naturali. Centrale in quest’ottica è l’esigenza che la pluralità delle t. esplicative trovi costantemente conferme non soltanto nel confronto con i fenomeni, ma nella discussione collegiale interna alla comunità scientifica. Si parla in tal senso di continua ‘verifica’ delle t.; più drasticamente si afferma che l’impossibilità intrinseca di «falsificare» una t. significa che essa non è scientifica: Popper ha definito come tali il marxismo, la t. darwiniana dell’evoluzione e la psicoanalisi. L’empirismo sensista diffidava delle t. ed esaltava i fatti, ma la più avvertita epistemologia positivista analizzò da vari punti di vista il contenuto teorico-formale implicito in ogni approccio sperimentale al mondo dei fenomeni. J.F.W. Herschel insisté sulla funzione delle ipotesi di lavoro che giovano a ricondurre induttivamente fatti isolati sotto leggi generali; Whewell ritenne che l’accordo tra t. e fatti è tale che «ciò che sotto un certo aspetto è un fatto, sotto un altro aspetto è una t.», e che senz’altro «una t. vera è un fatto»; mentre J.S. Mill obiettò che il valore esplicativo delle t., come prevedono le regole del metodo newtoniano, cresce grazie ai vari metodi induttivi e deduttivi di generalizzazione, che spiegano classi sempre più ampie di fenomeni, fino a rendere tendenzialmente deduttive tutte le scienze. Secondo Mach, teorico dell’empiriocriticismo, lo svolgimento storico delle t. meccaniche e fisiche dimostra piuttosto il loro carattere provvisorio, strumentale, di rappresentazioni abbreviate o «economiche» delle sensazioni, atte a formulare previsioni destinate a confluire in leggi, che sono a loro volta approssimazioni sempre più precise alla realtà naturale. La crisi della fisica classica tra la fine del 19° sec. e gli inizi del 20° fu preceduta e seguita da riflessioni metodologiche che segnarono distanze sempre più nette dai residui metafisici impliciti nelle ‘leggi di natura’ già note. Duhem approfondì lo studio storico delle t. sistematiche della cosmologia e giunse a una definizione funzionale: «una t. fisica non è una spiegazione. È un sistema di proposizioni matematiche dedotte da un ristretto numero di principi, con lo scopo di rappresentare nel modo più semplice, più completo e più esatto un insieme di leggi sperimentali». Rifiuto di assoluti metafisici, economia di pensiero, controllo sperimentale costante, anticipazione euristica dell’esperienza guidarono l’epistemologia della fisica teorica, nella fase in cui entrarono in crisi postulati ‘assoluti’ come lo spazio euclideo a tre dimensioni e il tempo uniforme, e a questi parametri tradizionali del moto assoluto subentrarono le quattro dimensioni dello spazio curvo non euclideo e la velocità limite della luce. La rivoluzione relativistica di Einstein, la t. dei quanti di Planck, P.A.M. Dirac, N. Bohr, segnarono una svolta profonda, insieme con il principio di indeterminazione di Heisenberg e i modelli alternativi di t. cosmologiche relativistiche: universo statico, universo in espansione, universo fluttuante, multiverso. Elettromagnetismo, gravità, interazioni nucleari forti, interazioni deboli sono le quattro forze fondamentali del mondo fisico che non convergono ancora in una ‘t. del tutto’, né la paradossale pluralità della t. delle stringhe appare in grado di unificare fenomeni di crescente complessità.