degenerazione, teoria della
Concezione che considerava la malattia mentale come frutto di un fenomeno di degradazione del sistema nervoso, dovuta a malattie o a fattori ambientali in grado di causare un deficit nervoso ereditario. La degenerazione veniva considerata come il processo inverso dell’evoluzione, cioè la regressione a stadi propri dell’uomo primitivo e dei suoi antenati preumani, con valenza di elemento patogenetico delle malattie mentali e della criminalità. Tale teoria si impose in campo psichiatrico intorno alla metà del 19° sec. in partic. a opera di Bénédict-Augustin Morel: egli interpretò le malattie mentali, l’alcolismo, ecc., come l’effetto di deviazioni patologiche ereditarie, che accumulandosi portano all’imbecillità, alla sterilità e per questa via all’estinzione progressiva di intere linee familiari. Questa presunta regressione venne a lungo concepita come un fenomeno ineluttabile e irreversibile, spostando il discorso (e le responsabilità) dal malato al progenitore, giustificando l’insuccesso terapeutico e legittimando l’idea che la malattia mentale fosse incurabile. In campo criminologico, nel 1876 giunse a conclusioni analoghe Cesare Lombroso: egli pensò di aver individuato la causa delle aberrazioni del senso morale in presunte alterazioni somatiche, considerate come il prodotto di un arresto dello sviluppo normale fino al decadimento a stadi ancestrali, indentificabile per la presenza di varie anomalie fisiche di origine atavica, misurabili dai diametri del cranio, dalle curve auricolari, dall’angolo facciale, ecc. Queste teorie consentirono anche di identificare nella prostituzione femminile un equivalente della degenerazione maschile; il modello della degenerazione si prestava così anche a giustificare la logora teorizzazione medico-psichiatrica dell’inferiorità femminile, che attribuiva l’isteria a una patologia degli organi genitali femminili. L’elaborazione scientifica del tema della degenerazione legittimò allo stesso modo maschilismo, classismo, razzismo e stigmatizzò i soggetti ‘socialmente pericolosi’, fossero essi alcolisti, sifilitici, epilettici, pazzi, delinquenti. La teoria della d. ebbe il suo punto d’arrivo negli anni 1933-45, quando anche eminenti scienziati sollecitarono e legittimarono le politiche eugeniche e il razzismo.