Modelli, Teoria dei
Malgrado le modeste origini che ne hanno segnato la nascita, la teoria dei modelli ha sviluppato nel corso del tempo idee e metodi che l'hanno resa uno dei settori più significativi dell'indagine logica contemporanea, per le sue interessanti applicazioni all'algebra, alla geometria algebrica, all'analisi e all'informatica teorica. Non c'è da stupirsi quindi del ruolo paradigmatico che hanno avuto per la teoria dei modelli le indagini sull'assiomatizzazione della geometria condotte nei primi anni del Novecento da David Hilbert, Giuseppe Peano e Mario Pieri, per limitarci ai nomi più grandi.
La teoria dei modelli propriamente detta nasce quando questo tipo di problemi comincia a essere affrontato in modo sistematico ricorrendo agli strumenti propri della logica matematica, in particolare a quei linguaggi formali che la ricerca logica aveva elaborato per scopi fondazionali. Nel 1931 Alfred Tarski darà la prima definizione adeguata dei concetti semantici fondamentali di verità, modello, insieme definibile, conseguenza e, nel 1945, Anatolij I. Mal'cev mostrerà non solo come molte fondamentali strutture algebriche siano naturali interpretazioni per teorie formulate al primo ordine ma anche come si possano ottenere significativi risultati su di esse utilizzando fatti generali ‒ primo fra tutti, il teorema di compattezza ‒ sui modelli di insiemi di formule in linguaggi elementari con numero di costanti extralogiche arbitrario. Più o meno negli stessi anni Tarski pubblica i risultati ottenuti nei primi anni Trenta sulla completezza e decidibilità della teoria elementare dei numeri reali e mostra come trasferire queste proprietà alla geometria, formulando in termini logici generali la procedura che sta alla base della coordinatizzazione dello spazio euclideo sul campo dei reali. Strumento base per provare la completezza, il metodo dell'eliminazione dei quantificatori è introdotto nel 1918 da Thoralf Skolem e poi applicato, prima dell'intervento di Tarski, da Cooper H. Langford (1927) a diverse teorie degli ordini e da Mojzesz Presburger (1930) al gruppo additivo degli interi. La teoria dei modelli era nata.
A partire dagli anni Cinquanta, le ricerche si svilupperanno in due direzioni tra loro comunicanti ma con obiettivi diversi. Da una parte si rafforzeranno i contatti con l'algebra universale e lo studio si concentrerà sulla classificazione dei diversi tipi di classi di algebre o sistemi relazionali in termini della loro definibilità, sottolineando i rapporti tra proprietà di chiusura rispetto a relazioni e operazioni su strutture e forma sintattica dei possibili assiomi. Parallelamente, prenderà forma il progetto di una teoria dei modelli come contesto in cui sviluppare algebra, settori della geometria algebrica ecc. lungo le linee illustrate già negli anni Quaranta da Mal'cev e riprese negli anni Cinquanta da Abraham Robinson.
Altro tipo di ricerche che iniziano negli anni Sessanta sono quelle nate con i lavori di James B. Ax e Simon B. Kochen del 1965 sulla congettura di Artin, che apriranno la strada allo studio della teoria dei modelli dei campi valutati. Accanto a queste ricerche, dirette esplicitamente alle applicazioni, continuano le indagini connesse a classici problemi di tipo metamatematico (decidibilità, diverse forme di definibilità, categoricità, assiomatizzabilità finita ecc.). A partire dagli anni Sessanta decolla anche uno studio sistematico di ampie classi di linguaggi più espressivi di quelli elementari come i linguaggi infinitari, quelli con quantificatori generalizzati, frammenti del secondo ordine con interpretazioni di tipo 'regionale' (logica topologica, strutture boreliane, logica della probabilità ecc.). Ma le novità più significative riguardano le indagini connesse con il problema della categoricità. Nel 1965 Michael Morley dimostra il suo teorema sulla categoricità in potenza e i metodi che introduce aprono la strada a uno studio sistematico del numero dei possibili modelli (a meno di isomorfismo) delle teorie, elementari e non. Saharon Shelah sarà uno dei principali protagonisti del tentativo di sviluppare una teoria generale della classificazione dei modelli delle teorie e in questo contesto verranno introdotti metodi e concetti nuovi e fondamentali, quali quello di stabilità, di teoria semplice, di forking, di elemento immaginario, che saranno utilizzati anche nell'ambito di progetti di ricerca diretti in modo più esplicito alle applicazioni matematiche. Alla fine degli anni Settanta nasce dagli studi di Boris Zil'ber sulla congettura di Vaught (per cui ogni teoria totalmente categorica non è finitamente assiomatizzabile) quella che è nota oggi come teoria geometrica della stabilità, che introdurrà metodi nuovi e profondamente legati a tecniche e idee della geometria algebrica.
I linguaggi elementari o del primo ordine sono, non solo storicamente, i più importanti utilizzati nella teoria dei modelli, ed elementari sono quelle proprietà di strutture (o di insiemi, relazioni, funzioni in una struttura) definibili da formule di questi linguaggi. Essi, tuttavia, non sono gli unici studiati nella teoria dei modelli, poiché esistono oltre ai linguaggi del secondo ordine, dove si può quantificare sui sottoinsiemi, linguaggi infinitari in cui si possono costruire formule di lunghezza infinita e quantificare infinità di variabili; linguaggi con quantificatori generalizzati del tipo 'esiste una infinità k di elementi x per cui…', oppure 'è un aperto l'insieme degli x tali che…', ecc., che hanno proprietà particolari e sui quali si è accumulato un ricco corpus di risultati, ma è innegabile che il caso paradigmatico è quello elementare. Per questo ci limiteremo a esso, iniziando col richiamare alcune nozioni che sono immediatamente estendibili agli altri linguaggi più forti .
Data la struttura M di tipo τ, diremo che una relazione n-aria R è elementarmente definibile (con parametri) in M, se esistono b1,…,bm in DM per cui
[1] R = {〈a1,…,an〉 ∈ [DMn | M ' A[a1,…,an,b1,…,bm]]}
per una formula A con n+m variabili libere del linguaggio elementare Lτ. Nel caso di insiemi, basterà considerare n=1 e per funzioni prendere il grafo come relazione n+1-aria. Diremo poi che gli oggetti in questione sono definibili senza parametri se m=0 e definibili in senso generalizzato se sono intersezioni arbitrarie di relazioni (insiemi, funzioni) definibili. Nel caso n=0, la formula A di sopra non avrà variabili libere e sarà un enunciato, così che scrivere M'A significa che A è vera in M e che M è di A. Una classe K di strutture è elementare se è definibile, vale a dire se
[2] K = {M ∈ Sτ | M ' A}
per qualche enunciato A ed elementare in senso generalizzato se è intersezione di una famiglia arbitraria di classi elementari. Se con Sτ indichiamo la classe delle strutture con tipo di similarità τ, è facile verificare che la famiglia EC delle classi elementari è chiusa rispetto a complemento, intersezione e riunioni finite e costituisce un'algebra di Boole. Di fatto, EC coinciderà con l'algebra dei clopen (insiemi simultaneamente aperti e chiusi) dello spazio topologico EC+ i cui chiusi sono le classi elementari generalizzate.
Questo dipende dal teorema fondamentale della teoria dei modelli per i linguaggi elementari, il , dimostrato da Mal'cev nel 1938. Esso afferma che un insieme T di enunciati elementari ha un modello se è finitamente soddisfacibile, cioè se ogni sua parte finita ha un modello. In termini topologici, ciò significa che se l'intersezione di ogni sottofamiglia finita di un insieme di chiusi di EC+ è non vuota, anche l'intersezione dell'intera famiglia sarà non vuota. In altre parole, lo spazio è compatto e una sua base sarà costituita dai clopen che, si può provare in forza della compattezza, coincideranno appunto con le classi elementari. Spostandoci ora dalle classi di strutture agli insiemi di enunciati che le determinano, vediamo che come a ogni insieme di enunciati T possiamo associare la sua classe di modelli
[3] Mod(T) = {M ∈ Sτ | ∀A ∈ T, M ' A}
così a ogni classe K di strutture possiamo all'inverso associare la sua teoria
[4] Th(K) = {A ∈ FormL | ∀M ∈ K, M ' A}
è facile convincersi che, per ogni K, K⊆ModTh(K) e per ogni T, T⊆ThMod(T); l'insieme ThMod(T) coinciderà con l'insieme delle conseguenze di T mentre ModTh(K) conterrà tutte le strutture che sono elementarmente indiscernibili da quelle in K. Ciò significa che c'è una corrispondenza biunivoca tra le classi elementari generalizzate e le teorie elementari, gli insiemi di enunciati chiusi rispetto alle conseguenze: le classi elementari coincidono con le K per cui K=ModTH(K) e le teorie elementari con le T per cui ThMod(T)=T. Ritroviamo così un'altra forma del teorema di compattezza per cui se T'A, cioè se A è conseguenza di T, A sarà conseguenza di una parte finita di T; in altre parole, la relazione ' ha carattere finito. L'importanza del teorema espresso in termini di soddisfacibilità sta nel fatto che ci dà un criterio per l'esistenza di modelli e ci permette immediatamente di ottenere informazioni su quando una classe di strutture è elementare generalizzata o una teoria elementare è assiomatizzabile, cioè ha gli stessi modelli di una sua parte finita.
Se, utilizzando un concetto introdotto da Tarski nel 1935, diciamo che due strutture M e M′ sono elementarmente equivalenti (in simboli, M≡M′) quando Th(M)=Th(M′), avremo infatti che condizione necessaria affinché K sia elementare è che K sia chiusa rispetto a ≡, nel senso che se M∈K e M≡M′ allora anche M′∈K; analogamente, poiché le classi elementari sono i clopen di EC+, possiamo concludere che se ModT è elementare e quindi T finitamente assiomatizzabile allora ∼ModT sarà chiuso rispetto a ≡. Gli esempi di teorie elementari non finitamente assiomatizzate sono tanti: per esempio, la teoria dei campi di caratteristica zero, quella dei campi ordinati reali chiusi (che coincide con la teoria elementare dei reali di Tarski) o quella dei campi algebricamente chiusi, la teoria dei gruppi abeliani divisibili, ecc.; esempi semplici di classi non elementari, nemmeno in senso generalizzato, sono la classe dei gruppi finiti, quelle degli anelli o degli insiemi finiti, ecc. Centrale in queste dimostrazioni di non elementarità e di non assiomatizzabilità è sempre il teorema di compattezza. Consideriamo il caso dei gruppi e sia TGF l'insieme degli enunciati nel linguaggio con costanti extralogiche ×, −1, 1 veri in tutti i gruppi finiti. Se la classe dei gruppi finiti fosse elementare dovrebbe coincidere con ModTGF. Sia ora C un insieme infinito di nuove costanti individuali cn per n∈ℕ e consideriamo l'insieme
[5] X = TGF ∪ {ci = cj |i≠j con i,j∈ℕ} .
Per compattezza, perché X abbia un modello, basta che ne abbia uno ogni
[6] Xf = TGF ∪ {ci = cj |i≠j con i,j∈C′} ,
dove C′ è una parte finita di C. Ma l'algebra ci dice che possiamo sempre trovare un gruppo finito in cui ogni ci∈C′ è interpretato su un elemento diverso. TGF ha quindi anche modelli infiniti e così la classe dei gruppi finiti non può coincidere con quella dei modelli di TGF e non è elementare. Corollario è che non sarà finitamente assiomatizzabile la teoria complementare dei gruppi infiniti. Lo stesso ragionamento si può fare per tutte le classi che si ottengono restringendo una classe elementare alle sue strutture finite se esistono strutture finite arbitrariamente grandi. I modelli infiniti della teoria delle strutture finite si chiamano 'pseudofiniti' e hanno proprietà che li rendono estremamente interessanti per la luce che possono gettare in generale sullo studio dei modelli finiti. Si tratta di un tema di grande importanza anche per l'informatica teorica ma soprattutto in sé, come mostrano per esempio le ricerche di Ax (1968) sui campi pseudofiniti, e che ha portato allo sviluppo di nuove e interessanti tecniche.
L'uso della compattezza è particolarmente diretto nella dimostrazione delle varie versioni upward e downward del teorema di Skolem (forse il primo risultato ottenuto sui modelli di teorie) che ci forniscono altri semplici esempi di classi non elementari. Sfruttando un ragionamento come quello di sopra (dove gli insiemi C di nuove costanti sono di cardinalità h arbitraria) e le funzioni di Skolem, infatti possiamo dimostrare (versione downward) che se T è una teoria in un linguaggio di cardinalità infinita k (quindi con k formule) e ha un modello allora avrà anche un modello di cardinalità h≤k e che se (versione upward) T ha modelli finiti arbitrari o un modello infinito allora avrà anche modelli di cardinalità h per ogni h≥k. Nel caso il linguaggio sia numerabile, ciò significa che se una teoria ha modelli finiti arbitrari allora ha modelli di ogni cardinalità infinita, confermando così quella che si è rivelata una caratteristica dei linguaggi elementari: l'impossibilità di distinguere tra infiniti diversi e tra finito arbitrario e infinito. Gli unici cardinali che i linguaggi elementari sono in grado di distinguere sono quelli finiti, per esempio scrivendo
[7]∃x1,...,∃xn(Πi,jxi=xj∧A(xi)∧∀xn+1(A(xn+1)→Σixn+1=xn)),
dove π e Σ indicano congiunzioni e disgiunzioni generalizzate, per indicare che esistono esattamente n elementi che soddisfano A.
È questo che stabilisce un famoso teorema di Per Lindström (1968) in base al quale non esistono linguaggi con capacità espressiva maggiore o eguale a quella dei linguaggi elementari in cui valgano simultaneamente compattezza e teorema di Skolem nella forma numerabile. Quello di Lindström è il primo di tutta una serie di risultati che, a partire dagli anni Settanta, hanno fornito caratterizzazioni dei linguaggi elementari e delle loro estensioni in termini delle loro proprietà metamatematiche e che costituiscono un ramo interessante della teoria dei modelli noto come soft model theory.
Dalla versione upward del teorema di Skolem possiamo ricavare immediatamente che non saranno elementari né la classe Kℕ delle strutture isomorfe ai naturali né quella dei campi ordinati archimedei. La prima, in quanto la teoria Th(ℕ) nel linguaggio con le costanti 0, s, +, ×, 〈 avrà modelli di cardinalità infinita arbitraria e quindi ℕ stesso sarà elementarmente equivalente a una struttura più che numerabile; la seconda, perché, con lo stesso ragionamento, ℝ sarà elementarmente equivalente a una struttura ℝ+ di cardinalità maggiore e ‒ per un teorema di Hilbert ‒ ogni campo ordinato archimedeo è immergibile in ℝ e quindi non ha cardinalità maggiore. Entrambi i risultati ci mostrano che tanto l'aritmetica AP di Peano quanto la teoria TR dei reali avranno modelli non isomorfi e non saranno quindi categoriche, secondo la definizione proposta da Oswald Veblen nel 1905. È questo un limite dei linguaggi elementari, se quello che cerchiamo è la caratterizzazione assiomatica delle strutture classiche, e che ci mostra che l'indiscernibilità rispetto alle proprietà elementari è significativamente più debole di quella rispetto a tutte le proprietà astratte codificata dall'isomorfismo. Ma è anche uno strumento ineguagliabile, nella prospettiva della teoria dei modelli, se raffiniamo il discorso e al posto della equivalenza elementare consideriamo la relazione di estensione elementare, introdotta da Tarski e Robert L. Vaught nel 1957. Supponiamo che M′ sia una sottostruttura di M, in simboli M′⊆M. Questo significa che DM′⊆DM e che per ogni costante d, f, R del comune tipo di similarità si ha
[8] dM′= dM fM′(a1,...,an) = fM(a1,...,an) ;
se 〈a1,...,an〉 ∈ RM allora 〈a1,...,an〉 ∈ RM′ .
è immediato verificare che se a1,…,an sono elementi di M′ non necessariamente soddisferanno le stesse formule in M e in M′; questo accade per quelle prive di quantificatori ma per esempio non per le formule dette universali del tipo
[9] ∀x1,...,∀xnB ,
dove B è priva di quantificatori, e neanche per le loro negazioni, equivalenti alle esistenziali; diremo allora che M′ è sottostruttura elementare di M e scriveremo M′〈M se per ogni formula A e ogni n-pla a1,…,an in DM′
[10] M ' A[a1,...,an] se e solo se M ' A[a1,...,an]
in altre parole se le n-ple di elementi di DM hanno le stesse proprietà elementari in M e M′. La relazione M′〈M implica M′≡M ma non vale in generale il viceversa: i singoli elementi possono localmente cambiare proprietà anche se globalmente M e M′ sono equivalenti. Per provare che possono esistere estensioni elementari proprie di strutture basta applicare, ancora una volta, il teorema di compattezza all'insieme De(M) ‒ il diagramma elementare di M ‒ ottenuto aggiungendo al linguaggio L una costante individuale da per ogni a∈DM e interpretando ognuna di queste come nome dell'individuo corrispondente. Otteniamo così una struttura MM che sarà un'espansione di M al linguaggio esteso LM, nel senso che avrà lo stesso dominio e l'interpretazione dei simboli di L coinciderà con M. Il diagramma elementare di M è la teoria Th(MM) di tutti gli enunciati di LM veri in MM. è facile verificare che un struttura W per L sarà isomorfa a un'estensione elementare di M se e solo se esiste una sua espansione WM al linguaggio LM che sia modello di De(M). Questo in quanto per ogni A e ogni a1,…,an:
[11] M ' A[a1,...,an] se e solo se MM ' A(da1,...,dan) .
Abbiamo così trasformato un problema d'immergibilità ‒ e in questo è essenziale il ricorso a quantità arbitrarie di costanti ‒ in un problema di soddisfacibilità; ci basta adesso applicare il teorema di Skolem nella versione upward per concludere che supposto che M abbia cardinalità maggiore di L, esso avrà estensioni elementari (ovviamente proprie) per ogni cardinale k maggiore della cardinalità di M. Sfruttando invece la versione downward e le funzioni di Skolem possiamo provare che se X è un sottoinsieme di M di cardinalità k e k è maggiore della cardinalità di L esisterà una sottostruttura elementare M(X) di M che estenderà X e avrà cardinalità k. Otteniamo così l' involucro di Skolem di X in M e la costruzione è utile quando si tratta di avere estensioni elementari con proprietà non elementari particolari. Un esempio è dato dalle tecniche introdotte da Andrzej Ehrenfeucht e Andrzej Mostowski nel 1956 per costruire strutture con gruppi di automorfismi arbitrariamente grandi; si tratta di tecniche basate sul concetto di successione di indiscernibili che, combinate con principi insiemistici come il teorema di Ramsey, hanno avuto applicazioni spettacolari a partire dagli anni Sessanta nello studio della delle teorie.
Sfruttando il concetto di diagramma e la compattezza in modo analogo a quanto fatto per i teoremi di Skolem, siamo in grado di costruire estensioni elementari che soddisfano proprietà più sottili di quelle che riguardano la cardinalità. Per esempio, estensioni elementari ℝ§ di ℝ non archimedee in cui possiamo studiare funzioni definite sui reali servendoci di caratterizzazioni dei concetti classici in termini di infiniti e infinitesimi; in ℝ§ infatti si può mostrare che f è continua nell'intervallo I se per ogni x∈I, f(x) ha distanza infinitesima da ogni f(x+τ)∈I, dove τ è un infinitesimo, oppure che il numero reale r è limite della successione {sn}n∈ℕ se è infinitamente vicino a un sm, per m naturale infinito. Per ottenere queste estensioni è sufficiente introdurre un linguaggio L che estende quello dei campi ordinati e che ha nomi per tutte le possibili relazioni e funzioni su ℝ oltre che per tutti i reali. In questo linguaggio consideriamo la famiglia H di tutte le formule concorrenti A(x,y) su ℝ, tali cioè che per ogni famiglia finita di reali r1,…,rn si ha:
[12] ℝ ' ∃y ((A(y,r1) ∧ ... ∧ A(y,rn)).
Utilizzando la compattezza come sopra otterremo una estensione elementare ℝ§ o, come si dice in questo caso, un allargamento di ℝ che realizzerà simultaneamente tutte le formule concorrenti nel senso che per ogni A(y,x)∈H e ogni r∈ℝ avremo un a∈ℝ§ per cui ℝ§'A[a,r] per ogni r∈ℝ. Poiché in ℝ la formula 0ǂ∣y∣∧∣y∣〈x è concorrente, avremo in ℝ§ reali infinitesimi, infiniti (poiché 1/a è infinito se a è infinitesimo) e naturali infiniti in quanto, se indichiamo con N(x) il predicato interpretato in ℝ come l'insieme dei naturali, la formula N(x)∧N(y)∧x>∣y∣ è concorrente. Utilizzando in ℝ§ infiniti e infinitesimi possiamo provare proprietà elementari di funzioni, successioni, ecc. in ℝ§, proprietà che, in forza del fatto che ℝ〈ℝ§, risulteranno vere anche in ℝ. Spesso, ciò non solo è più intuitivo e diretto del modo consueto di dimostrare ma permette di dar veste matematica trattabile a distinzioni che nel linguaggio classico dei limiti è complicato o impossibile rendere. È questa l'idea alla base della cosiddetta analisi non standard, introdotta da Robinson nei primi anni Sessanta e che da allora è divenuta uno strumento di estremo interesse non solo per la matematica in sé ma per ampi settori della matematica applicata (probabilità, statistica, fisica ed economia matematica, ecc.). Da allora, soprattutto dopo i contributi di studiosi come Peter A. Loeb, H. Jerome Keisler, Edward Nelson, l'analisi non standard è divenuta una disciplina matematica autonoma, ma è nella teoria dei modelli che trova la sua giustificazione e origine.
Da quanto visto sopra, esisteranno anche modelli non standard dell'aritmetica AP di Peano e il loro studio ‒ che si situa nel terreno di confluenza tra teoria della ricorsività e teoria dei modelli ‒ ha portato a risultati di grande interesse. Tra i primi risultati ottenuti utilizzando i modelli non standard, c'è il teorema del 1952 di Ryll-Nardzewski sulla non assiomatizzabilità di AP, cui molti altri sono seguiti riguardanti le risolubilità delle equazioni diofantee (Michael O. Rabin nel 1962, Haim Gaifman nel 1972 e nel 1976), l'esistenza di estensioni finali (in cui gli elementi nuovi seguono sempre quelli vecchi) con particolari caratteristiche o le proprietà dei modelli ricorsivamente saturi o risplendenti o, ancora, la non dimostrabilità in AP di enunciati che, diversamente da quelli utilizzati da Kurt Gödel nel suo teorema d'indecidibilità, non siano semplici traduzioni aritmetiche di proprietà metamatematiche. Prototipo di questi risultati è il teorema di Jeff Paris e Leo Harington del 1977 sulla indimostrabilità in AP di una versione modificata del principio combinatorio di Ramsey riguardante le partizioni dell'insieme delle relazioni su ℕ. Nel 1982 Kochen e Saul A. Kripke sono riusciti a dimostrare il teorema costruendo esplicitamente un modello di AP in cui il principio risulta falso eliminando il ricorso a concetti metamatematici.
Che rapporti esistono tra la forma degli assiomi che definiscono una classe elementare e le proprietà algebriche di quest'ultima? All'inverso, come caratterizzare linguisticamente le classi elementari chiuse rispetto a date relazioni o operazioni su strutture? È immediato verificare che la verità degli enunciati universali è preservata passando alle sottostrutture mentre quella degli enunciati esistenziali è preservata dalle estensioni. Uno dei temi centrali della teoria dei modelli alla fine degli anni Cinquanta è l'analisi dell'interrelazione tra la forma sintattica degli enunciati e le proprietà di chiusura delle classi di modelli da esse determinate. È un tema che riprende alcuni risultati classici dell'algebra universale, in particolare il teorema di Birkhoff (1935) che caratterizza le classi di modelli di teorie equazionali come varietà, vale a dire come classi chiuse rispetto a prodotti, immagini omomorfe e sottostrutture. Nel 1956 Mal'cev introdurrà il concetto di quasi varietà dimostrando che queste classi, chiuse rispetto a prodotti e sottostrutture, coincidono con le classi definibili da enunciati del tipo ∀x1,…,∀xn ((A1∧…∧Ak)→Ak+1) dove ogni Aj è atomica. Sono queste le formule note come formule universali di Horn e coincidono con le clausole di Horn note agli informatici. Il fatto interessante, come mostrerà Mal'cev, è che esse costituiscono la famiglia più ampia di classi elementari K che hanno strutture libere e queste ultime non sono altro che le strutture canoniche delle Th(K). Questo spiega perché, su queste clausole, semantica procedurale e denotazionale coincidono. Di fatto, esse sono l'intersezione della famiglia delle formule equivalenti a universali con quella delle formule di Horn, studiate da John C. McKinsey e poi Alfred Horn, Keisler e altri per caratterizzare le proprietà elementari preservate da prodotti diretti e prodotti ridotti. Nel 1950 Tarski mostrerà che le proprietà ereditarie coincidono con quelle esprimibili con enunciati universali e che le formule equivalenti a esistenziali sono quelle preservate dal passaggio alle estensioni (più in generale dai monomorfismi); questo ci dà un ulteriore criterio (dopo quello di Mal'cev in termini di sottostrutture finitamente generate) per stabilire quando M si immerge in una estensione che gode di una data proprietà elementare K. Ci basterà, infatti, provare che M rende vere tutte le formule universali conseguenza di Th(K). Come mostrato da Robinson, Bernhard Neumann e altri, diversi criteri più specifici di immergibilità si possono ricavare da questo come già negli anni Trenta aveva fatto Mal 'cev per il problema della divisibilità (cioè la possibilità di immergere un semigruppo in un gruppo). Nel 1957 Jerzy Łos e R. Suzko provano anche che le formule preservate dalle somme su catene (o colimiti diretti) coincidono con le formule prenesse universali-esistenziali del tipo ∀x1,…,∀xn ∃y1,…,∃ykB. L'interesse del risultato sta nel fatto che sono queste le formule con cui usualmente esprimiamo le proprietà di chiusura (chiusura rispetto a operazioni, esistenza di soluzioni per ogni sistema finito di equazioni e/o di disequazioni polinomiali, ecc.) ed è appunto con la costruzione di catene del tipo
[13] M1 ⊆ M2 ⊆ M3 ...
che possiamo ottenere a partire da una struttura data le estensioni che godono delle richieste proprietà di chiusura; basterà scegliere le catene opportune e, presa la riunione dei domini delle strutture appartenenti alla catena, definire le interpretazioni delle costanti del tipo in modo che la struttura risultante sia estensione di ogni Mj. È questo il colimite o la somma della catena limMj. Il concetto di limite, d'altra parte, si applica anche alle catene di estensioni elementari
[14] M1 〈 M2 〈 M3 ...
e in questo caso, come mostrato da Tarski, la somma limMj risulterà estensione elementare di ogni Mj. Combinato con il teorema di compattezza, questo ci permette costruzioni induttive di estensioni elementari con alti livelli di saturazione. Tecniche di altro tipo sono invece necessarie per affrontare gli omomorfismi e i prodotti. Nel 1959 Keisler riesce a fornire una dimostrazione diretta del teorema di Roger Lyndon per cui tutte e sole le formule preservate da omomorfismi suriettivi coincidono con quelle equivalenti a formule positive ‒ le formule cioè che otteniamo dalle atomiche usando solo ∨, ∧, ∀, ∃ ‒ mentre nel 1965 Keisler e Fred Galvin affrontano in generale il problema dei prodotti diretti e ridotti. è in questo contesto che, riprendendo ricerche precedenti di Łos, Keisler giunge a una caratterizzazione puramente algebrica della equivalenza elementare utilizzando un particolare tipo di prodotto ridotto, ossia l'ultraprodotto. Data la famiglia {Mi}i∈I di strutture e l'ultrafiltro F in P(I) (ultrafiltri di P(I) sono le famiglie di insiemi chiuse rispetto a intersezioni finite e passaggio ai sovrainsiemi tali che se X∉F allora ∼X∈F), l'ultraprodotto ΠMi∈I /F si ottiene quozientando il prodotto diretto rispetto a F, in modo che la soddisfazione delle formule atomiche da parte delle classi d'equivalenza di f1,…,fn dipenda esclusivamente da quello che si verifica nelle strutture Mi associate a insiemi X di coordinate in F. Łos aveva mostrato che questa dipendenza da insiemi di coordinate in F si estendeva a tutte le formule elementari e questo forniva per la prima volta un modo per dimostrare la compattezza confezionando un modello per una teoria T direttamente da una famiglia di modelli Mi per ogni parte finita i di T. La cosa più importante, però, è che Keisler poteva provare che due strutture M e M′ sono elementarmente equivalenti se e solo se hanno ultrapotenze (vale a dire ultraprodotti della stessa struttura M o M′) isomorfe tra loro. Oltre a offrire uno strumento unitario per costruire estensioni elementari, strutture sature, ecc. gli ultraprodotti permettevano finalmente di dare una caratterizzazione puramente algebrica delle classi elementari che risultavano coincidere con le classi K di strutture tali che tanto K quanto il complemento ∼K sono chiuse rispetto a isomorfismi e ultraprodotti. Se come strumento effettivo per stabilire l'equivalenza elementare gli ultraprodotti saranno presto abbandonati a favore del confronto in termini di isomorfismi locali proposto da Roland Fraissé già negli anni Cinquanta, la loro importanza sarebbe riemersa più tardi in collegamento con le applicazioni alla teoria degli spazi di Banach iniziate da Jean-Louis Krivine e allo sviluppo dei modelli booleani.
L'analisi non standard ci mostra in un caso specifico come possa essere fecondo distinguere tra le proprietà di strutture in termini della loro e come questo ci permetta di ottenere utili principi di transfer, come appunto succede quando trasferiamo proprietà elementari da un allargamento di ℝ a ℝ stesso. È in tutto il corpus di ricerche volte ad applicare questa prospettiva all'algebra e alla geometria algebrica però che, sin dalle origini, la specificità della teoria dei modelli trova la sua piena realizzazione. I primi risultati in questo senso risalgono a Mal'cev, che nel 1945 mostrò come applicare il teorema di compattezza ai principî locali della teoria dei gruppi. Posto che TG sia la teoria che otteniamo nel linguaggio elementare L con le costanti ×, −1, 1 traducendo i noti assiomi per i gruppi, ciò che Mal'cev dimostra è che tutti i principî locali che stabiliscono che una proprietà P, se vale per tutti i gruppi finitamente generati, vale per tutti i gruppi, si possono ottenere come corollari immediati della compattezza una volta che la proprietà P sia elementare ed ereditaria, preservata cioè passando da una struttura alle sue sottostrutture. Sia infatti G un gruppo e con D(G) indichiamo il suo diagramma, l'insieme di tutti gli enunciati basici ‒ atomici e negazione di atomici ‒ di LG veri nella sua espansione GG. Come nel caso dei diagrammi elementari, G sarà isomorfo a una sottostruttura di un gruppo G′ se e solo se esiste un'espansione di G′ a LG modello di D(G). Supponiamo ora che TP sia un insieme di enunciati i cui modelli coincidono con le strutture che godono di P. E' chiaro allora che, affinché G sia isomorfo a un sottogruppo di un gruppo che gode di P, è sufficiente che Tp∪TG∪D(G) abbia un modello. Per compattezza questo si verifica se ha un modello ogni TP∪TG∪D′, dove D′ è parte finita di D(G). Ma ogni D′ conterrà un numero finito di costanti da per a∈G. Se da1,…,dan sono tutte le costanti in D′, il sottogruppo G′ di G generato da a1,…,an sarà finitamente generato e quindi per ipotesi modello di TP∪TG∪D′ poiché D′⊂D(G′). Ne concludiamo che G si immergerà in un gruppo che gode di P e godrà esso stesso di P se P è ereditaria. In questo modo si ottengono diversi risultati non banali, per esempio che ogni gruppo divisibile può essere ordinato, ma il metodo si può estendere combinandolo con altre idee.
Con i lavori di Robinson degli anni Cinquanta l'idea della teoria dei modelli come contesto in cui generalizzare i concetti e i metodi dell'algebra si sviluppa in nuove direzioni sino a configurarsi come un vero e proprio programma di ricerca. In primo piano, ora, sono soprattutto le applicazioni alla teoria dei campi e alla geometria algebrica. Un primo risultato interessante riguarda la possibilità di trasferire proprietà elementari da campi di caratteristica zero a campi di caratteristica positiva. Il principio di transfer che Robinson formula si basa sul fatto che ‒ posto che nel linguaggio LC con le costanti 0, 1, +, −, ×, TC sia la traduzione degli ordinari assiomi per i campi ‒ le teorie TCp per i campi di caratteristica p si ottengono aggiungendo assiomi del tipo
[15] Ap p∙1≠0
dove p∙1 indica la somma 1+1+…+1 con p termini, mentre per la teoria TC0 dei campi di caratteristica zero occorre aggiungere a TC Ap per ogni primo p. Supponiamo ora che A sia un enunciato per cui TC0'A; per compattezza A sarà conseguenza di un insieme T′ dato da T più un numero finito di assiomi della forma Ap; sia quindi q il più piccolo tra i primi diversi dal massimo di questi. E' chiaro che ogni campo di caratteristica q′≥q sarà modello di T′ e quindi renderà vero A; ne segue che ogni proprietà elementare goduta da tutti i campi di caratteristica zero sarà goduta da tutti i campi di caratteristica q′≥q, dove q dipende da A, e si può addirittura provare che esiste un algoritmo che ci dà q in funzione di A. Conseguenza immediata è che non esisterà un enunciato E0 che definisca la proprietà di essere di caratteristica zero, perché, se così fosse, sarebbe vero in campi di caratteristica positiva. Come per la dicotomia elementare/non-elementare, anche in questo caso rendere esplicito il diverso modo con cui date proprietà sono definibili ci fornisce principî di transfer. Per esempio dal principio sopra enunciato possiamo provare una forma debole del teorema di irriducibilità di Hilbert per cui, se un polinomio è assolutamente irriducibile nell'anello M degli interi algebrici di un'estensione finita dei razionali, allora rimarrà tale in ogni quoziente M/J, per tutti salvo un numero finito di ideali J in M. Un'applicazione ben più significativa è quella data da Ax nel 1968 e che riguarda i campi algebricamente chiusi. Sia TCAC la teoria dei campi algebricamente chiusi che otteniamo da TC aggiungendo per ogni n∈ℕ l'assioma ACn
[16] ∀y0,...,∀yn−1 ∃x (xn+yn−1xn−1+...+y0=0)
e indichiamo con TCACn - dove n è zero o un primo - la teoria dei campi algebricamente chiusi di caratteristica n. Si può provare che ogni TCACn è completa nel senso che per ogni enunciato A T'A oppure T'∉A, così che la verità o meno di ogni enunciato del linguaggio è determinata dalla teoria uniformemente per tutti i modelli. Poiché il principio di Robinson si estende a queste teorie, possiamo concludere che un enunciato A sarà conseguenza di TCAC0 se e solo se TCACp'A per tutti i primi p maggiori di un dato q. Il teorema di Ax è reso possibile dal fatto, già posto in luce da Robinson, che una parte non banale della geometria algebrica su un campo M si può esprimere nel linguaggio elementare dei campi, in particolare i fatti riguardanti le varietà affini e le mappe polinomiali tra esse. Utilizzando il principio di transfer a partire dai campi algebricamente chiusi di caratteristica positiva - che si possono vedere come somme su catene di campi finiti - Ax prova così che ogni mappa polinomiale da una varietà affine (definita su un campo algebricamente chiuso) in sé stessa, se iniettiva è anche suriettiva. È un risultato non banale le cui dimostrazioni puramente algebriche sono estremamente più complicate e indirette.
Un ruolo centrale nella dimostrazione è svolto dalla completezza delle varie TCACn. Il concetto di completezza era stato da sempre al centro dell'analisi metamatematica, non solo perché rappresenta un ragionevole indebolimento al piano linguistico di quella caratterizzabilità strutturale irraggiungibile per le teorie elementari, ma anche perché teorie assiomatizzabili - o più in generale ricorsivamente assiomatizzabili - risultano decidibili se complete. La prospettiva cambia con Robinson che ‒ sfruttando il fatto che una teoria T è completa se e solo se è soddisfacibile e i suoi modelli sono tutti elementarmente equivalenti ‒ mostra come utilizzare la completezza di TCAC0 per formulare principî di transfer, in particolare dare lo status di principio dimostrativo al principio euristico, formulato da Solomon Lefschetz nel 1957, per cui la geometria algebrica su un campo algebricamente chiuso di caratteristica zero non è altro che la geometria sul campo dei complessi ℂ. Il principio è letteralmente vero se si considerano come enunciati della geometria algebrica quelli elementari e il teorema di Ax dato sopra si può vedere come un'illustrazione di questa idea, che sarà più tardi perfezionata da Paul C. Eklof e Jon Barwise con l'introduzione di linguaggi più forti di quelli elementari in grado di esprimere frammenti più ampi della geometria algebrica.
Sino agli anni Cinquanta la tecnica per dimostrare la completezza di una teoria è sostanzialmente una: l'eliminazione dei quantificatori (d'ora in poi EQ) usata a questo scopo da Langford, Tarski, Presburger per ottenere i risultati citati all'inizio. L'idea è che se in una teoria T tutti gli enunciati senza quantificatori risultano decisi nel senso che per ciascuno di essi
[17] T ' A oppure T ' ∉A
perché essa sia completa basta che per ogni formula B(x1,…,xn) con le variabili indicate libere ci sia un'altra formula B′(x1,…,xn) con libere le stesse variabili per cui
[18] T ' ∀x1,...,∀xn (B(x1,...,xn) ∣ B′(x1,...,xn)) .
La decidibilità degli enunciati privi di quantificatori è immediata se le strutture generate dai denotati dei termini chiusi in ogni modello sono isomorfe tra di loro. Questo è vero, per esempio, per TCACn e per TCRC ‒ la teoria dei campi reali chiusi che si ottiene da quella dei campi ordinati aggiungendo l'assioma ACd per ogni naturale dispari più l'assioma AR
[19] ∀x (x > 0 → ∃y (y2 = x))
che stabilisce che ogni elemento positivo è un quadrato ‒ e anche per tante altre teorie algebricamente interessanti che posseggono una sottostruttura prima, una sottostruttura comune (a meno d'isomorfismo) a tutti i modelli. Il problema è provare EQ, e per far questo basta dimostrare la [18] per le formule esistenziali, in particolare (poiché ogni matrice è equivalente a una disgiunzione di congiunzioni di basiche e ∃ si distribuisce su ) per le esistenziali primitive della forma
[20] ∃x1,...,∃xn (Πj∈I Aj ∧ Πj∈I Bi)
dove le Aj sono atomiche e le Bi sono negazioni di atomiche. Nel caso dei campi e dei campi ordinati le esistenziali primitive sono tutte e sole le formule attraverso le quali esprimiamo l'esistenza di soluzioni per sistemi di equazioni e disequazioni e loro negazioni. Si spiega allora come Tarski facesse ricorso a risultati come il teorema di Sturm sulla localizzazione delle radici di polinomi a coefficienti reali per dimostrare che TCRC ammette EQ. L'analisi di Robinson è diversa e offre uno schema unitario applicabile a campi reali chiusi, algebricamente chiusi, differenzialmente chiusi, ordini densi e tante altre teorie interessanti. Essa si basa su una proprietà più debole di EQ, la model-completezza formulata in termini non linguistici ma strutturali. Model-completa è ogni teoria T i cui modelli sono tali che se M⊆M′ allora M〈M′; in altre parole le estensioni sono elementari. È chiaro, allora, che se T è model-completa e ha una sottostruttura prima che è anche modello, sarà completa. Robinson formula anche un criterio sintattico per la model-completezza, provando che T è model-completa se per ogni B esiste una B′ universale (o esistenziale) con le stesse variabili libere per cui vale [18]; la differenza con EQ sta nel fatto che qui la B non è necessariamente priva di quantificatori ma ha un prefisso di complessità minimale. A questo punto è immediato provare che TOD, la teoria degli ordini densi senza estremi, è model-completa; per TCAC e TCRC la via è considerare le possibili estensioni semplici ottenute aggiungendo soluzioni a sistemi di equazioni e/o disequazioni. La stessa tecnica è utilizzabile in tante altre situazioni: per la teoria dei gruppi ordinati abeliani divisibili, quella dei campi differenziamente chiusi, la teoria del campo esponenziale ℝexp (il campo dei reali arricchito con la funzione esponenziale), ecc. Sulla stessa linea, ma sulla base di tecniche diverse, sono i risultati di Ax e Kochen e Yuri Ershov della metà degli anni Sessanta riguardanti la congettura di Artin e la model-completezza e completezza di svariate teorie dei campi valutati. Utilizzando un principio di transfer da campi di caratteristica finita a campi di caratteristica zero analogo a quello di Robinson, per la prima volta Ax e Kochen risolvevano un problema che non aveva avuto precedentemente soluzione con metodi convenzionali (e non la ha tuttora) dando origine a sviluppi di estremo interesse.
Da tutti questi risultati emerge che sufficiente per la model-completezza è la possibilità ‒ dati due modelli M e M′ per cui M⊆M′ ‒ di trasportare in M le soluzioni di equazioni o disequazioni con coefficienti in M esistenti in M′. Spesso, infatti, non è difficile, dato un sistema definito su M, trovare soluzioni in un'estensione: il problema è di inferire da questo la risolubilità in M. In altre parole, condizione sufficiente per la model-completezza è che se M e M′ sono modelli di T per cui M⊆M′ ogni formula primitiva con coefficienti in M soddisfatta in M′ sia già soddisfacibile in M. Questo significa che M è esistenzialmente chiusa in M′ e più in generale in ogni sua estensione modello di T. Come mostrato da Robinson in una serie di fondamentali lavori, è possibile provare dalla model-completezza di TCAC il Nullstellensatz di Hilbert (in campo algebricamente chiuso M, ogni polinomio che si annulla su tutti gli zeri comuni a un insieme di polinomi è combinazione lineare di questi) come pure, da quella di TCRC, raffinamenti della soluzione data negli anni Venti da Emil Artin al XVII problema di Hilbert sulla rappresentabilità dei polinomi definiti positivi come somme di quadrati di funzioni razionali su ℝ. Le applicazioni matematiche della model-completezza non si limitano però alla teoria dei campi, ma coinvolgono in generale tutte quelle teorie algebriche per cui risulta significativo un concetto analogo alla proprietà di essere algebricamente chiuso. Era stato sulla base di questa analogia che negli anni Venti Artin e Otto Schreier avevano introdotto il concetto di campo reale chiuso. Alla ricerca di un concetto di model-completezza relativa, Robinson giunse negli anni Sessanta a definire per ogni teoria T la nozione di model-completamento, concepita come la teoria che ha come modelli tutti i modelli di T esistenzialmente chiusi di T. Nel caso esista, il model-completamento di T sta a T esattamente come TCAC sta a TC o TCRC a TCO, la teoria dei campi ordinati. Non tutte le teorie hanno un model-completamento e ammettono una nozione elementare di struttura algebricamente chiusa. E' questo, per esempio, il caso della teoria dei gruppi come mostrato da Eklof e Gabriel Sabbag e la teoria del forcing finito e infinito introdotta da Robinson negli anni Settanta ha tra i suoi scopi quello di indagare quando questo avviene in generale. Sulla base di questi criteri per l'esistenza di teorie analoghe al model-completamento, Robinson isola la teoria dei campi differenzialmente chiusi TCDC . Questa è il model-completamento di quella dei campi differenziali TCD, che a sua volta si ottiene introducendo una nuova costante funzionale D per la derivata e postulando
[21] D(x + y) = Dx + Dy ; D(xy) = xDy + yDx .
La teoria dei campi differenziali era stata introdotta precedentemente da Joseph F. Ritt e Ellis R. Kolchin ma non si disponeva di esempi di campi differenzialmente chiusi, anche se si può provare che in caratteristica zero ce ne sono infiniti. Sarà solo nel 1968 che Leonore Blum darà degli assiomi espliciti per la teoria che da allora è stata oggetto di importanti studi da parte di Carol Wood, Shelah, Ehud Hrushovski e altri.
Come si è detto, la model-completezza è implicata dalla EQ ma il viceversa non vale e ci sono teorie ‒ come quella del campo esponenziale ‒ che sono model-complete ma non ammettono EQ. è d'altra parte possibile trovare anche per EQ condizioni strutturali analoghe a quelle che definiscono la model-completezza. Come dimostrato da Joseph R. Shoenfield (1967),T ammetterà EQ se e solo se è submodel-completa, vale a dire se per ogni M0 immergibile in un modello di T e ogni coppia M1 e M2 di modelli di T che siano entrambi estensioni di M0 si ha
[22] M1 ' A[a1,...,an] se e solo se M2 ' A[a1,...,an]
per ogni n-pla di elementi di M0 e ogni formula A. È chiaro, allora, che se T è model-completa e ogni sottostruttura M di un modello di T ha un involucro M* ‒ vale a dire un'estensione di M che non solo è modello di T ma è sottostruttura di ogni modello di T che estenda M ‒ allora T ammetterà EQ. è quello che si verifica per TCAC e TCRC considerando per ogni campo la sua chiusura algebrica e per ogni campo ordinato la sua chiusura reale. Abbiamo così un metodo unitario e diretto per provare EQ per entrambe le teorie. La strategia si estende ad altri casi; quello che è interessante, come suggeriscono i due esempi precedenti, è considerare che cosa EQ comporta per quanto riguarda la definibilità di insiemi e relazioni nelle strutture modello. Non è difficile dimostrare che se M è un campo algebricamente chiuso, i sottoinsiemi X di Mn definibili da formule atomiche coincideranno con gli insiemi algebrici (cioè gli insiemi di zeri di sistemi di polinomi) e, poiché per EQ ogni formula è equivalente a una priva di quantificatori e quindi combinazione booleana di atomiche, gli insiemi definibili saranno combinazioni booleane di insieme algebrici. Come già sottolineato da Tarski negli anni Trenta, la quantificazione esistenziale corrisponde alla proiezione parallela all'asse della variabile quantificata e quindi ogni proiezione di un insieme algebrico sarà una combinazione booleana di insieme algebrici di dimensione affine più bassa. È questo il noto teorema di Chevalley secondo il quale nel caso dei campi ordinati reali chiusi, la proiezione di un insieme semialgebrico (il luogo dei punti che soddisfano un dato sistema di equazioni e disequazioni) è una combinazione booleana di insiemi semialgebrici, quello che nella geometria algebrica reale si chiama un insieme costruibile. Gli insiemi definibili elementarmente coincidono, quindi, con gli oggetti di studio della geometria algebrica reale. Questo ci permette di utilizzare tutte le tecniche per la definibilità nello studio dei costruibili. Il discorso diventa più chiaro se introduciamo il concetto di struttura ordinata o-minimale. Una struttura M è o-minimale se i sottoinsiemi definibili di DM sono la famiglia più piccola possibile, vale a dire la famiglia delle riunioni finite di punti e di intervalli (eventualmente illimitati). Ogni teoria di strutture ordinate che ammette EQ è o-minimale (cioè i suoi modelli sono o-minimali) ma non vale, in generale, il viceversa, anche se si può provare che i campi ordinati o-minimali coincidono con quelli reali chiusi; ciò che conta è che la condizione metamatematica di o-minimalità ci permette ‒ come mostrato a partire dai lavori di Anand Pillay, C. Steichorn e soprattutto Lou van der Dries e Alex Wilkie ‒ uno studio sistematico non solo del campo ordinato ℝ ma anche di sue espansioni ottenute mediante l'introduzione di funzioni trascendenti come exp o considerando le funzioni analitiche. Le teorie TRext e TRan ‒ come provato da Angus MacIntyre, David Marker e van der Dries ‒ sono model-complete, o-minimali e, sotto la condizione dell'aggiunta della funzione log, ammettono anche EQ.
Alla o-minimalità delle strutture ordinate corrisponde la minimalità per strutture qualsiasi che si ha quando i sottoinsiemi definibili del dominio sono il meno possibile, vale a dire quelli finiti e co-finiti (i complementi cioè dei finiti) che sono definibili (con parametri) in ogni struttura. Esempio fondamentale di struttura minimale è quello dei campi algebricamente chiusi. La cosa importante è che alle strutture fortemente minimali (le strutture le cui estensioni elementari sono tutte minimali) si può estendere gran parte dell'armamentario concettuale sviluppato per lo studio dei campi: una nozione di struttura prima, una di dipendenza algebrica e quindi di base che soddisfa le condizioni isolate assiomaticamente da Saunders MacLane e Hassler Withney negli anni Trenta, un concetto di dimensione (la nozione generale di rango di Morley) e altro che ci permettono di generalizzare gran parte della teoria sviluppata da Ernst Steinitz nel 1910 per la classificazione dei campi algebricamente chiusi in termini della cardinalità delle basi sul sottocampo primo. Non stupisce quindi che il concetto, introdotto nel 1966 da William Marsh, si sia rivelato di estrema importanza ‒ soprattutto dopo i lavori di John T. Baldwin e Alistair A. Lachlan del 1971 ‒ nello studio della categoricità, un tema cui è collegata la maggior parte degli sviluppi significativi della teoria dei modelli degli ultimi decenni.
La svolta decisiva nello studio della categoricità avviene negli anni Sessanta quando Łos lo relativizza introducendo la k-categoricità in base alla quale una teoria è k-categorica se tutti i modelli di cardinalità k sono isomorfi. È facile vedere che se TDO, la teoria degli ordini densi, è └0-categorica ma non categorica per ogni k più che numerabile, TCACn è k-categorica per k>└0 ma non per └0; k-categorica per ogni cardinale infinito è invece la teoria dell'identità in cui equipotenza e isomorfia coincidono mentre categorica in nessun cardinale infinito è TCRC. Ci sono altri casi? Nel 1965, in un lavoro che segna una tappa fondamentale nella storia della teoria dei modelli, Michael Morley dimostra che, nel caso numerabile, non ci sono altre possibilità e che se una teoria T è categorica per un cardinale infinito lo è per tutti. Nel 1972 il risultato sarà esteso da Shelah al caso di teorie non necessariamente numerabili, all'interno di un programma generale che orienterà non solo la ricerca futura dello stesso Shelah ma quella di un grande numero di ricercatori e che pone come obiettivo quello della classificazione a meno di isomorfismo dei modelli di ogni teoria T in termini di invarianti (cardinali o altro), così come avviene nel caso dei campi algebricamente chiusi o degli spazi vettoriali. Nel corso di questa indagine Shelah introdurrà nozioni e metodi fondamentali quali il concetto di forking, quello di elemento immaginario, di stabilità, l'idea di teoria semplice, ecc., che costituiscono l'armamentario mediante il quale è stata affrontata tutta un'ampia gamma di problemi, oltre a quello della classificazione. Tutti questi concetti ruotano attorno alla nozione di n-tipo, utilizzata sistematicamente da Morley. Data una struttura M e un insieme C di costanti che denotano individui di M, (da ora in poi non distingueremo tra costante ed elemento), n-tipo su C è ogni insieme p completo di formule con libere n variabili nel linguaggio LC. Il tipo è di M se ogni sua parte finita è realizzabile (è cioè soddisfacibile) in M mentre lo è di una teoria T se è tipo di almeno un modello di T; un n-tipo è quindi la descrizione di una possibile n-pla di elementi ma non necessariamente un tipo p di M sarà realizzato in M stesso; il teorema di compattezza ci permette d'altra parte di concludere che ogni tipo di M sarà realizzato in un'estensione elementare; iterando la costruzione e utilizzando le catene elementari si possono ottenere strutture che realizzano il massimo numero possibile di tipi definiti su sottoinsiemi di cardinalità minore di un dato k infinito. Sono queste le strutture k-sature analizzate sistematicamente nel 1962 da Morley e Vaught sulla scorta di precedenti lavori di Fraissé e B. Jonsson; una struttura è satura se è k-satura dove k è la sua cardinalità e si può provare che le strutture sature sono non solo universali (nel senso che in esse si immergono tutte le strutture elementarmente equivalenti di cardinalità minore ) e omogenee (nel senso che ogni funzione f: A→M che preserva le formule elementari, dove A ha cardinalità minore di quella di M, si prolunga a un automorfismo) ma che strutture sature di eguale cardinalità se elementarmente equivalenti sono anche isomorfe. Isomorfe tra di loro, se numerabili, sono anche le strutture duali delle sature, i modelli atomici che realizzano, tra le strutture elementarmente equivalenti, il minor numero possibile di tipi; questo avviene quando il tipo delle formule soddisfatte da ogni elemento del modello è isolato, vale a dire generato da una singola formula. Modelli └0-saturi e atomici ci permettono di caratterizzare le teorie ω-categoriche, come mostrato dal teorema di Ryll-Nardzewski per cui una teoria completa è ω-categorica se ha un numero finito di n-tipi per ogni n∈ℕ o, equivalentemente, se ogni suo modello numerabile M ha gruppo di automorfismi oligomorfo cioè con numero finito di orbite in DMn. Esempi di teorie ω-categoriche (o └0-categoriche) oltre alla teoria degli ordini densi senza estremi sono quella dei gruppi abeliani divisibili o quella del Random Graph (che tra l'altro ammette EQ) sulla quale esiste un gran numero di studi in vista dei suoi collegamenti con la teoria della complessità. Lo stesso può dirsi, in generale, della teoria elementare dei grafi visti come strutture 〈D,R〉, dove R è una relazione binaria. I grafi sono divenuti particolarmente importanti dopo che nel 1981 Alan Mekler ha dimostrato che ogni struttura numerabile può essere interpretata in un grafo. Una forma di ubiquità, questa, che risulta estremamente utile.
Risolto il problema della ω-categoricità, lo sforzo più grande si è volto al caso più che numerabile; le teorie categoriche in potenze più che numerabili includono le teorie fortemente minimali e a loro volta sono incluse in una gerarchia di famiglie di teorie basata sulle proprietà dei loro tipi, in primo luogo la loro cardinalità. Così k-stabili sono le teorie il cui numero di tipi su un insieme C di cardinalità minore di k è ancora minore di k. In particolare, le teorie ω-stabili coincidono con quelle totalmente trascendenti definite da Morley per dimostrare il suo teorema e si può provare che tutte le teorie fortemente minimali sono ω-stabili. Più ampia ancora la famiglia delle teorie stabili, k-stabili cioè, per qualche k, inclusa nella famiglia delle teorie superstabili che a sua volta è parte delle famiglia delle teorie semplici. Superstabilità e semplicità sono definite non più in termini della cardinalità dei tipi ma in base al concetto di forking, che nel caso delle teorie semplici ci fornisce una sorta di nozione di indipendenza. Tanto le teorie semplici che quelle stabili godono di proprietà che hanno esplicite conseguenze algebriche nel caso di specifiche strutture. Per esempio, la proprietà dell'ordine stretto (vera per teorie semplici e stabili) impone che in nessun modello ci possono essere ordinamenti definibili di n-ple formanti catene infinite e questo nel caso dei gruppi significa che ogni endomorfismo iniettivo da un gruppo stabile in sé stesso è anche suriettivo: un analogo del teorema di Ax. Esiste, attualmente, una notevole letteratura sui gruppi stabili motivata dal programma portato avanti da studiosi come Gregory Cherlin, Bruno Poizat, Ehud Hrushovski di sviluppare un'approccio allo studio dei gruppi algebrici, che sono stabili se costruiti su un campo algebricamente chiuso, nel contesto della teoria generale della stabilità.
Se le tecniche introdotte da Shelah poggiano in modo essenziale su metodi che coinvolgono ipotesi insiemistiche forti, una prospettiva radicalmente diversa ‒ orientata alla geometria algebrica e che vede appunto la teoria dei modelli come una sorta di generalizzazione di questa al caso di strutture qualsiasi ‒ è la teoria geometrica della stabilità nata con i lavori di Zil'ber degli anni Ottanta dedicati al problema di Vaught sull'esistenza o meno di teorie, categoriche in un cardinale più che numerabile, finitamente assiomatizzabili. Al di là delle conclusioni cui Zil'ber giunge (non esistono teorie totalmente categoriche finitamente assiomatizzabili) e che saranno approfondite successivamente da Hrushovski con la dimostrazione che ‒ modulo la semplice aggiunta di assiomi che impongono una cardinalità infinita ‒ una simile assiomatizzazione esiste, di grande importanza sono i metodi impiegati. Zil'ber sfrutta il fatto che nelle strutture minimali l'operatore D che a ogni insieme X associa la famiglia D(X) degli elementi definibili nella struttura con paramentri in X è un operatore astratto di dipendenza (nel senso introdotto da MacLane per assiomatizzare il concetto di sottospazio lineare generato da un insieme X) e che gli insiemi D(X) così individuati costituiscono una geometria. Generalizzando quanto avviene nel caso della geometria proiettiva si può mostrare che, a seconda delle proprietà reticolari di questa geometria, essa permette la definizione entro la struttura di campi, gruppi o insiemi puri che risultano quindi interpretabili in essa. Qual è questa dipendenza? Nel 1984 Zil'ber formula la congettura (che da allora porta il suo nome ) che se la geometria di una struttura M fortemente minimale non è localmente modulare, allora in essa sarà interpretabile un campo K e i sottoinsiemi di Kn definibili in K coincideranno con quelli definibili in M. La congettura sarà refutata nel 1993 da Hrushovski che poi, assieme con Zil'ber, dimostrerà come essa risulti vera se ci si limita al caso in cui M è una struttura di Zarinski, in cui i sottoinsiemi definibili di DMn sono combinazioni booleane di elementi di una topologia su DM che simula quelle della topologia di Zariski sullo spettro di un anello commutativo usata in geometria algebrica. Dello stesso periodo è un altro risultato di estrema importanza, ancora dovuto a Hrushovski: la dimostrazione in tutte le caratteristiche della congettura geometrica di Mordell-Lang, che aveva sino ad allora resistito alle tecniche usuali. Un risultato che combina la prospettiva à la Robinson ‒ sotto la cui insegna la teoria dei modelli era nata ‒ con i nuovi metodi della teoria della stabilità.
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