MODELLI, teoria dei
La parola "modello" (v. anche modello, vol. XXIII, p. 511) indica generalmente la riproduzione, con dimensioni ridotte, di un "prototipo", cioè di una struttura, una macchina, un corso d'acqua, ecc., o anche soltanto di una parte limitata di un'opera, o infine di un semplice "fenomeno". Quando si esegue il m. non è ancora, normalmente, costruito il prototipo e pertanto il funzionamento del m. illustra il funzionamento del prototipo e permette di eseguire, sul progetto di questo, le correzioni che l'esperienza sul m. ha mostrato utili o addirittura necessarie.
Non tutti i m. rientrano nello schema precedente, tuttavia le loro possibili estensioni risulteranno spontanee quando sia convenientemente illustrato il concetto precedente.
Modelli simili. -1. - L'idea di eseguire esperienze su m. è assai antica. Basterà ricordare che i consoli dell'Arte della Lana di Firenze bandirono nel 1418 un concorso per un m. che mostrasse il modo di voltare la cupola di S. Maria del Fiore. Un m. fu allora eseguito in muratura dal Brunelleschi, altri furono presentati da altri concorrenti, tra i quali il Ghiberti (VII, p. 970). Secondo diversi studiosi, dall'esame dei disegni di Leonardo da Vinci si dovrebbe concludere che egli aveva già l'idea di m. di macchine e di m. idraulici, ma nulla sappiamo della loro effettiva esecuzione. Sappiamo invece con certezza che Adam de Craponne (1526-1576) costruì nel 1554 un "modello" in piccolo di un canale per irrigazione e alimentazione di mulini derivato dalla Durance (H. Favre, in Schweizerische Bauzeitung, 1953). Per i m. di macchine è ben nota un'osservazione di Galileo che si trova all'inizio dei Discorsi e dimostrazioni matematiche sopra due nuove scienze. Si deve peraltro rilevare che delle antiche esperienze interessa soltanto l'idea; non essendo allora note le leggi della dinamica, i "modelli" non sempre davano luogo a forze e moti "simili" (nel senso che sarà precisato tra poco) a quelli del prototipo.
2. - Nel campo meccanico un m. è collegato al prototipo attraverso relazioni geometriche, materiali e meccaniche. Nel campo più generale della fisica sussistono anche relazioni dedotte da altre teorie (la teoria del calore, la termodinamica, l'elettrologia, ecc.). Le relazioni più semplici sono quelle geometriche e materiali.
Il m. rispetta in generale la similitudine geometrica (XXXI, p. 800, 1), ma si può anche modificare una dimensione in modo differente dalle altre due. Per es. nel m. di un corso d'acqua, che riproduce lunghezze di km, larghezze di qualche centinaio di m e profondità di una diecina di m (e spesso anche meno), conviene ridurre lunghezza e larghezza in modo maggiore che non l'altezza. Si ha allora un m. in scala alterata, cioè, dal punto di vista geometrico, non una similitudine, ma un'affinità (v. affinità: Matematica, I, p. 678).
Dal punto di vista concettuale si potrebbe pensare ad un collegamento geometrico più generale (che dia luogo ad una trasformazione puntuale biunivoca tra lo spazio occupato dal prototipo e quello occupato dal m.), ma esso non è frequentemente applicabile (G. Supino, in Annali di matematica, 1961).
3. - Assegnata la relazione geometrica tra m. e prototipo, ci si deve anche domandare se il materiale con cui si eseguisce il m. debba essere lo stesso che nel prototipo. Generalmente ciò non è necessario; quando il prototipo sia tutto costruito con un solo materiale, si potrà usare nel m. sia lo stesso materiale sia un altro (salvo eccezioni); se il prototipo è costituito con più materiali e sia possibile usare nel m. materiali differenti, occorrerà che i rapporti tra le pesantezze dei varî materiali usati rimangano gli stessi nell'originale e nel modello. Si dovrà cioè, generalmente, rispettare la similitudine materiale (XXXI, p. 801,8).
4. - Similitudine geometrica e similitudine materiale costituiscono il presupposto per ottenere la similitudine meccanica. Ma questa (che implica un moto "simile" con forze simili) si può anche ottenere senza che sussistano le due similitudini precedentemente ricordate. Illustriamo il procedimento nel campo della meccanica dei sistemi rigidi soggetti a vincoli bilaterali e privi di attrito. Per un sistema di N punti l'equazione simbolica della dinamica si scrive
essendo Fi le sole forze attive (perché in questo caso le reazioni dei vincoli non compiono lavoro). Questa equazione determina la soluzione quando siano date le condizioni iniziali del sistema.
Supponiamo ora di avere risolto il problema del moto relativamente al "prototipo" ed alteriamo tutte le distanze nel rapporto da i a λ, le masse nel rapporto da 1 a μ, le forze nel rapporto da 1 a ϕ, i tempi nel rapporto da 1 a τ. L'equazione simbolica diviene:
e resta invariata se è
Le condizioni iniziali dovranno pure essere modificate; nell'istante iniziale le distanze tra i varî punti del sistema saranno alterate nel rapporto 1 a λ, le velocità nel rapporto 1 a λτ-1. Quando tutte queste modifiche sussistono insieme il m. funziona come il prototipo: il m. cioè rispetta le leggi della similitudine meccanica. Si osserverà che questa affermazione include due enunciati diffirenti. Che per tutte le forze (cioè per le forze attive e le reazioni) si debba avere
è l'enunciato della similitudine meccanica di Newton. Che nei sistemi meccanici privi d'attrito basti la similitudine delle forze attive è un risultato di Bertrand.
Ma si deve rilevare che la realizzazione della similitudine non è sempre arbitraria ed a volte non è neppure possibile.
Se, per es., il sistema considerato di N punti è soggetto a forze che dipendono dalla sola gravità, allora alterando le dimensioni del sistema le forze si modificano come le masse: cioè è ϕ = μ. In questo caso la similitudine si può effettuare soltanto se è λτ-2 = 1; cíoè, scelta ad arbitrio la similitudine geometrica, la similitudine cinematica è completamente determinata, e deve rispettare la "regola di Froude" (τ = √λ).
Se nel sistema di N punti, uno di essi (per fissare le idee il punto k) è collegato al terreno con un legame elastico, allora non possiamo trascurare la reazione del legame tenendo conto, come precedentemente, delle sole forze attive perché il vincolo elastico compie lavoro. Possiamo però applicare egualmente l'equazione simbolica supponendo tagliato il vincolo ed applicata al punto k la forza che esso trasmetteva: così tale forza compare nell'equazione come forza attiva.
A questo punto, supponiamo di ridurre le lunghezze nel rapporto i a λ. La lunghezza dell'elastico sarà ridotta da 1 a λ e la sua sezione retta da Ω a λ2Ω. La forza provocata dal legame applicato al punto k dovrà pertanto essere ridotta da 1 a λ2 se vogliamo che la dilatazione lineare dell'elastico resti costante (e quindi lo spostamento Δl si riduca a λΔl). Ma se le altre forze attive dipendono dalla sola gravità, e il m. è effettuato con lo stesso materiale del prototipo, allora queste forze sono ridotte come le masse, cioè nel rapporto1 : λ3. Le due riduzioni sono tra loro incompatibili e la similitudine non sembra possa sussistere; per lo meno non possono sussistere insieme la similitudine geometrica e la similitudine meccanica. Uno sperimentatore potrebbe però pensare ad un artificio: applicare la similitudine geometrica a tutto il sistema meno che all'elastico, il quale potrebbe avere la lunghezza ridotta nel rapporto da 1 a λ ma la sezione ridotta nel rapporto da 1 a λ3 (invece che 1 a λ2). In tal caso nel vincolo elastico la similitudine geometrica non sarebbe rispettata in modo completo ma - se l'elastico fosse di peso trascurabile - si sarebbe ottenuta la similitudine meccanica (che è il fatto più importante). E se il peso dell'elastico fosse di qualche importanza nel moto, allora si potrebbe cercare un materiale più pesante (cioè tale che siaμλ3 = μ′λ2) che desse luogo sotto lo stesso carico alla stessa dilatazione lineare: così non sarebbe rispettata né la similitudine geometrica né quella materiale, ma si giungerebbe ancora alla similitudine meccanica.
5. - Gli esempî precedenti sono stati ottenuti partendo dalle equazioni della dinamica. È perciò legittima la domanda se la costruzione di un m. esiga la conoscenza delle equazioni che reggono il fenomeno. A questa domanda risponde l'analisi dimensionale (v. similitudine, XXXI, p. 800, e dimensionale, analisi, in questa Appendice).
Supposto di aver conosciuto, in qualche modo, che una grandezza meccanica q dipenda soltanto dalle grandezze dimensionate q1 ... qn e dal funzionale di elementi puri &out;f, allora il legame tra q e le grandezze da cui dipende potrà sempre porsi nella forma
essendo q1, q2, q3 tre grandezze indipendenti assunte come fondamentali e
Gli esponenti αi, βi, γi saranno scelti in modo da formare con la grandezza qi il numero puro Ni. La formula precedente rappresenta il teorema π. La ϕ è una funzione "a priori" incognita, ma è sufficiente che i numeri puri Ni e il funzionale &out;f assumano lo stesso valore nel m. e nel prototipo, perché, necessariamente, la ϕ riprenda lo stesso valore nei due casi e quindi sia
cioè il moto del m. sia simile a quello del prototipo.
Questo procedimento, dunque, dà certamente la similitudine quando sia possibile fare in modo che nel modello e nel prototipo gli Ni abbiano gli stessi valori. E ciò è tanto più difficile da ottenere quanto più grande è il numero degli Ni. Quando sia possibile operare in questo modo si ha però il vantaggio che la similitudine è, in parte almeno, indipendente dalla teoria scelta per base perché tutte le teorie costruite con le stesse grandezze dimensionali ammettono la stessa similitudine. Così si ottengono le stesse condizioni, per il passaggio m.-prototipo, nella teoria semplificata della resistenza dei materiali, nella teoria matematica dell'elasticità e in almeno due teorie delle deformazioni finite (G. supino, 1947). Anche nel campo della plasticità si conoscono due teorie che danno luogo alle stesse regole per il passaggio m.-prototipo (G. Supino, 1956).
Non si può dunque escludere che, eseguita la ricerca su m. in base ad una teoria fissata, il risultato abbia una portata più vasta, restando valido anche nel campo di una teoria più completa o più precisa anche se non ancora completamente formulata. Si può inoltre osservare che il m. simile, oltre che rappresentarci un mezzo per risolvere le equazioni matematiche per via fisica, ci dà sempre qualcosa di più perché esso, prima ancora di essere m., è prototipo di se stesso, cioè dà direttamente la visione (almeno qualitativa) del fenomeno in esame.
6. - Si è notato che l'applicazione del teorema esige la conoscenza di tutte le grandezze che intervengono nel fenomeno, ma non esige che siano scritte le equazioni relative. Quando si conoscono le equazioni, allora il passaggio m.-prototipo può essere spesso semplificato, rinunciando alla condizione di eguaglianza di qualcuno degli Ni, e ciò consente di ottenere la similitudine in casi che non l'ammetterebbero se considerati dal solo punto di vista del teorema π. Qualche precisazione in proposito sarà data trattando dei m. idraulici e di quelli aerodinamici.
Qui si vuole ricordare che m. possono essere costruiti in molti campi della fisica; si devono escludere soltanto quelli nei quali la teoria scelta a base della similitudine indica l'impossibilità di riprodurre lo stesso fenomeno in scala differente (come accade quando per uno stesso liquido si voglia conservare contemporaneamente il numero di Froude e il numero di Reynolds).
La descrizione di varî tipi di m. sarà fatta in seguito; qui vogliamo accennare ad un'applicazione della teoria in campo geologico, applicazione fondata sul fatto che, riducendo in un m. la scala dei tempi in modo da riprodurre, per es., in un anno un fenomeno che si è svolto in un milione di anni e in 10 cm una lunghezza di 10 km, si deve necessariamente modificare anche la viscosità della roccia. Pertanto una roccia che presenti una viscosità non troppo elevata viene ricondotta ad un materiale che ha press'a poco la viscosità del rame, e ciò spiega come uno stratoide roccioso soggetto a sforzi tettonici possa apparire oggi piegato e contorto ma senza fratture, pur trattandosi di materiale relativamente fragile.
Modelli analogici. - 1. - I m. analogici non rappresentano fenomeni dinamici simili, ma fenomeni differenti retti da equazioni identiche, sicché essi devono essere considerati come modelli di equazioni piuttosto che come modelli di fenomeni fisici.
È noto infatti come lo studio di fenomeni fisici differenti porti talvolta a equazioni identiche; quando ciò si verifichi si suol dire che si è in presenza di un'analogia. Le prime analogie rilevate sono quelle esistenti tra la soluzione elastica del problema della torsione di un prisma e le soluzioni di varî problemi idrodinamici.
Se z è l'asse del prisma, posto u = − θyz, v = θzx, w = θϕ (essendo u, v, w gli spostamenti secondo gli assi, θ l'angolo di torsione, e ϕ una funzione delle sole x,y), si trova che le componenti di tensione diverse da zero sono
e che deve essere soddisfatta la condizione
Sul contorno deve essere (per le condizioni ai limiti)
Se al posto della ϕ si considera la funzione armonica associata ψ (cioè la funzione ψ tale che
si hanno invece le condizioni
e sul contorno,
cioè
Nota la ψ per un dato contorno il problema della torsione è risolto per un prisma che ammetta quel contorno come sezione retta.
Si consideri ora il moto con rotore costante di un liquido perfetto nelle sole due dimensioni x e y. Indicando con u e v le componenti della velocità (si suppone, come si è detto, w = 0) si ha:
Sul contorno la velocità deve essere tangenziale, cioè deve essere
Segue
e per θ = 1 si ricade nelle stesse equazioni che reggono il problema della torsione (analogia di Greenhill, 1867).
2. - Una seconda analogia tra il problema della torsione e un problema idrodinamico è la cosiddetta analogia di Boussinesq (1871). Precisamente, dalle equazioni dei liquidi viscosi si deduce che in un tubo cilindrico con sezione arbitraria e di asse z è:
dove γ è il peso specifico, i la pendenza motrice, η il coefficiente di viscosità.
Si può quindi scrivere
essendo ψ armonica. Sul contorno deve essere w = 0 e quindi sul contorno si ha:
Per valori convenienti di γ, i ed η la ψ coincide con la ψ della torsione.
3. - I m. analogici sono assai posteriori, in ordine di tempo, alla scoperta delle precedenti analogie. Per quanto si sa, il primo ad utilizzare un'esperienza analogica nel campo delle equazioni alle derivate parziali è stato H. S. Hele-Shaw. Questi ha osservato nel 1898 che il moto laminare di liquido viscoso tra due lastre parallele molto vicine (e perciò considerato in due dimensioni) è retto dalle stesse equazioni di un moto irrotazionale di liquido perfetto, ed ha utilizzato l'analogia per ottenere risultati su questo ultimo tipo di moto partendo dal moto laminare. L'utilità dell'analogia dipende dal fatto che un liquido "reale" non è mai perfetto e che la realizzazione di un moto irrotazionale con un liquido reale risulta in generale impossibile.
Matematicamente l'analogia si giustifica osservando che, quando la distanza tra le due lastre sia sufficientemente piccola, il moto è laminare e le componenti di velocità u, v risultano anch'esse tanto piccole da poter trascurare le forze d'inerzia. Inoltre, se il piano x, y è il piano medio compreso tra le lastre di vetro, si può affermare che
saranno piccole in confronto a
Poiché la stessa cosa si può dire per le derivate di v (mentre è w = 0), così le equazioni di Navier si riducono alle:
Se si indica con 2c lo spessore del film laminare e con ū, ã la media fatta secondo la z delle componenti di velocità, si ottiene:
e quindi, indicando con h il carico piezometrico (γh = p),
Dall'equazione di continuità si ha poi
sicché, tenuto conto delle relazioni precedenti, risulta
Questa equazione coincide con l'equazione delle linee di corrente di un liquido perfetto incomprimibile in moto piano irrotazionale.
Risultati sperimentali sono stati ottenuti da Hele-Shaw stesso e da F. Riegels. In sostanza si pongono (fig.1) due lastre parallele a distanza di circa 0,5 mm e s'immette acqua nello strato compreso tra di esse mentre da un tubo forato esce una soluzione colorata. Se tra le lastre è posto un disco K, la soluzione colorata indica l'andamento delle linee di corrente intorno a K. Un'analogia poco diversa è stata utilizzata sperimentalmente pochi anni fa da A. Russo-Spena. Infatti la h che si è considerata or ora (e che è anch'essa una funzione armonica) può essere fatta coincidere con la funzione h che rappresenta il carico piezometrico in un ammasso filtrante. Peraltro, avendo ricordato analogie nel moto delle acque filtranti, si deve osservare che la prima analogia in questo campo è stata indicata da U. Puppini e da N. Pavlovsky (1922), i quali hanno suggerito m. elettrici per lo studio del moto delle acque filtranti ed hanno condotto numerose ricerche sperimentali.
4. - Tra le equazioni alle derivate parziali la più feconda dal punto di vista analogico è senz'altro l'equazione di Laplace:
Basti osservare che v può rappresentare:
a) Il carico piezometrico in un mezzo filtrante nello spazio. Allora sulla superficie limite può essere assegnata la stessa ψ oppure la portata per unità di superficie
essendo f il coefficiente di filtrazione).
b) Il potenziale di velocità nel moto irrotazionale permanente di un fluido perfetto, incomprimibile. Sulla superficie limite è generalmente assegnata
c) La temperatura in un mezzo omogeneo se questa non varia col tempo. Sulla superficie limite è allora assegnata la ψ oppure una relazione del tipo
con ϕ0 temperatura dell'ambiente esterno e h costante opportuna.
d) Il potenziale elettrico in un campo privo di cariche, collegato a conduttori in condizioni stazionarie. Sulla superficie limite di ogni conduttore è ψ = cost.
e) Il potenziale elettrico in un elettrolita attraversato da correnti. Al limite del mezzo è assegnato in alcuni tratti ψ, in altri
Si possono considerare anche fenomeni legati all'equazione di Laplace in due dimensioni. Se è
la ψ può rappresentare:
f) Lo spostamento verticale di una membrana elastica scarica da forze, essendo ψ assegnato sul contorno.
g) Il carico piezometrico nel moto laminare permanente tra due piani verticali a piccola distanza tra loro (come si è visto al n. precedente).
Invece all'equazione
come si è già visto, si può ricondurre il problema della torsione, e quello del moto laminare del liquido viscoso in un tubo. Ad essa si riconduce pure il problema della membrana caricata da forze uniformi (analogia di Prandtl).
5. - Accanto alle analogie si devono considerare le quasi-analogie, corrispondenti al caso che risultino identiche le equazioni semplificate di fenomeni differenti. Su di esse si porterà qui questo solo esempio: le equazioni della propagazione del calore sono identiche alle equazioni linearizzate relative alla filtrazione nelle falde freatiche. Si ha infatti, indicando con V la temperatura:
essendo
Nella filtrazione si ha invece (indicando con H il carico piezometrico e considerando falde freatiche orizzontali molto estese e di piccola altezza):
Se si pone H = h0 + h, con h0 costante e h piccolo in confronto ad h0 si ha
equazione formalmente identica a quella relativa a V. Ma qui si tratta di una quasi-analogia perché l'identità si ha soltanto quando sia possibile semplificare il problema della filtrazione.
6. - Conviene a questo punto discutere brevemente il valore dei m. analogici. Si è già osservato che essi sono m. di equazioni più che m. di fenomeni fisici, e in questa caratteristica sta il loro difetto principale perché la riduzione ad equazione di un qualunque problema corrisponde quasi sempre a una schematizzazione di esso, sicché le grandezze determinate col m. analogico risultano affette da errore rispetto alle grandezze oggettive: errore tanto più temibile in quanto difficilmente valutabile.
Supponiamo, per es., di studiare il moto dell'acqua tra le pale di una turbina con un m. simile costruito sulla base della teoria dei liquidi perfetti. Si sa che nei liquidi reali la viscosità provoca delle perdite di carico, ma noi riteniamo di poter utilizzare la teoria dei liquidi perfetti perché, di fronte alle trasformazioni di energia da potenziale a cinetica, le perdite possono essere trascurate.
Ciò non significa che in tutti i particolari del fenomeno sia trascurabile la differenza tra il comportamento del liquido reale e quello del liquido perfetto; basterà rilevare che questo si muove tangenzialmente ad una parete mentre un liquido reale "attacca" ad essa. Peraltro, facendo l'esperienza, con lo stesso liquido, su un m. in scala ridotta, l'errore dello schema "liquido perfetto" si corregge in parte automaticamente: se anche eseguiamo la trasformazione modello-prototipo sulla base della teoria dei liquidi perfetti, il trasporto dei risultati dal m. sul prototipo porterà sempre, presso le pareti, a velocità sensibilmente più piccole di quelle che sarebbero risultate dall'applicazione al prototipo della sola teoria.
Questo vantaggio del m. simile scompare nel caso dei m. analogici: i quali rappresentano in definitiva soltanto un mezzo, meccanico o fisico, per l'integrazione delle equazioni considerate. E poiché queste equazioni rappresentano una schematizzazione per tutti e due i tipi di fenomeni (quello sperimentato sul modello e quello considerato nel prototipo), così tutte le volte che si sperimenta su un m. analogico si ottiene un risultato che è affetto da un doppio errore: quello delle equazioni rispetto al m., e quello delle stesse equazioni rispetto al prototipo.
7. - I m. simili e quelli analogici considerati finora riproducono in piccolo una struttura più grande. Ma si può usare la parola m. in luogo di "schema", ed in questo senso ci si può domandare, per es., se sia possibile costruire un m. meccanico di un fenomeno elettrico. È noto che in questo caso esistono più schemi; il più usato nella spiegazione dei fenomeni elettrici è lo schema idraulico per cui alla legge di Ohm: ΔU = RI (ΔU differenza di potenziale ai capi del filo, R resistenza ohmica, I intensità di corrente) si fa corrispondere la legge della resistenza al moto laminare: ΔU = RiQ (ΔU differenza di carico piezometrico agli estremi di un tubo, Ri resistenza al moto laminare, Q portata in volume). È facile vedere che con questa posizione si ha una corrispondenza perfetta tra le grandezze idrauliche e le grandezze elettriche oltre che tra i relativi operatori, corrispondenza che è riassunta nella tabella che segue:
Quando si rispetti questo schema, ad un fenomeno elettrico corrisponde un fenomeno idraulico; e le equazioni relative al primo valgono anche per il secondo. Nulla vieta dunque di costruire un m. in piccolo del primo che serva anche per il secondo (e viceversa). Operando in questo modo si ottiene un m. analogico classico. E poiché si possono stabilire analogie tra elettrodinamica - idraulica - acustica, elasticità - meccanica - propagazione del calore per conduzione, così è evidente la vasta portata di questi m. e la Ioro utilità che si estende anche al campo dei teoremi fondamentali.
8. - Oltre ai m. analogici classici valgono anche m. analogici generalizzati. Essi hano luogo quando non ci si preoccupa più di ottenere una corrispondenza tra grandezze, ma si chiede soltanto di costruire un'equazione differenziale identica a quella assegnata dalla teoria per la grandezza presa in esame. In questo ordine di idee valgono soprattutto gli schemi elettrici, convenientemente alimentati, che soddisfino ad una delle condizioni seguenti:
a) data la tensione e1 all'entrata si abbia all'uscita la tensione ceI (moltiplicazione per una costante);
b) date le tensioni e1 ed e2 all'entrata si abbia all'uscita la tensione e1 + e2;
c) data la tensione e1 all'entrata (variabile col tempo) si abbia all'uscita la tensione ∉e1 dt (circuito integratore);
d) data la tensione e1 all'entrata si abbia all'uscita la tensione de1/dt (circuito derivatore).
Si sono con ciò costruiti gli operatori lineari essenziali (v. in questa App., calcolatrici, macchine: Calcolatrici elettroniche analogiche). Combinando insieme tali operatori si può ottenere lo schema di una qualunque operazione lineare (cioè di qualunque operazione che risulti composta con le operazioni elementari, l'integrazione e la derivazione; in particolare di qualunque equazione differenziale lineare). Ma si possono costruire anche circuiti che diano la moltiplicazione (o la divisione) tra due variabili (cioè tali da dare all'uscita una tensione e3 prodotto di due tensioni variabili di entrata e1 ed e2). In questo modo ci si svincola dal campo delle equazioni lineari e si riesce a costruire un modello elettrico di equazioni non lineari.
Risultati eguali si possono ottenere con dispositivi meccanici ricavati dalle ruote di frizione.
a) Infatti, dati due dischi I, II che ruotino senza strisciare l'uno sull'altro con velocità angolari ωII, ωII, indicate con vI, vII le velocità periferiche (fig. 2 a), si ha vI = vII e quindi, tenuto conto del senso opposto di rotazione dei due dischi, ωIRI = − ωIIRII, cioè passando agli angoli
Con una scelta appropriata dell'origine si può avere c = 0. La formula precedente dà l'angolo in uscita uguale all'angolo in entrata moltiplicato per la costante
Qui è K 〈 0, ma se i due dischi sono uno interno all'altro (fig. 2 b) è K > 0.
b) L'accoppiamento differenziale (fig. 3) può essere impiegato per ottenere la somma di due quantità in entrata. Esso consiste in due ruote coniche i e 2 che girano con gli angoli di entrata ϕ1 e ϕ2 e nella ruota conica 3 (il satellite) impegnata con le ruote 1 e 2, e folle sull'albero 5. Questo è portato a squadro sull'albero 4 coassiale con le ruote i e 2. La quantità in uscita ϕ4 è allora ottenuta come angolo di rivoluzione dell'albero 4 ed è uguale alla semisomma delle quantità in entrata:
Il fattore 1/2 può essere eliminato con un riduttore.
c) Un meccanismo con ruote di frizione ad assi ortogonali concorrenti può essere usato per formare un elemento integratore. Tale meccanismo (detto accoppiamento a disco e rotella) consiste in un disco A che ruota intorno ad un asse I (fig. 4). Una rotella B poggia sul disco (a distanza rI da I) e viene trascinata in rotazione da A. La distanza di B dal centro del disco può essere variata imprimendo un movimento al carrello che sostiene B (ad es. mediante la vite c di comando della traslazione). Il meccanismo viene realizzato in modo da non avere strisciamento. L'uguaglianza delle velocità nel punto di contatto porta a scrivere ωIrI = ωIIrII e poiché rII è costante ed rI variabile si ottiene
In modo inverso si ottiene la derivazione.
d) La moltiplicazione tra due variabili può essere ottenuta con un sistema triangolare di - aste (fig. 5) nel quale le variabili di entrata sono u e v. In base alla similitudine dei triangoli la variabile z in uscita soddisfa alla relazione
Per completare l'elenco degli elementi primarî meccanici rimane da considerare la generazione da x di una funzione f(x). Per ottenere ciò può essere adottato un meccanismo a camma (fig. 6). tnfaiti si consideri un profilo la cui equazione in coordinate polari abbia la forma ρ = f(ϕ) e si faccia ruotare intorno all'origine. Un'asta che poggi sul profilo si sposta allora di ρ, dimodoché ad ogni ϕ cercato corrisponde lo spostamento f(ϕ) cercato. Nel caso che si voglia considerare una funzione di due variabili si potrebbe usare una camma conica.
L'accoppiamento di questi "elementi primarî" permette di costruire le calcolatrici analogiche meccaniche. Senza entrare nei loro particolari vogliamo aggiungere che i primi esempî di esse sono rappresentati dai planimetri polari (di cui il più semplice è quello di J. Amsler, 1854), dall'integrafo di Abdank-Abakanowicz (1878) e dagli integrafi per le equazioni differenziali di E. Pascal (1909-1912).
Modelli acustici.
In molti problemi di acustica si ricorre a esperienze su m. poiché metodi grafici o analitici presentano complessità e difficoltà non sempre superabili. Nell'acustica ambientale, che maggiormente ricorre a questi procedimenti, il problema fondamentale è quello della forma dell'ambiente ed eventualmente della ripartizione alle pareti di materiali assorbenti.
Lo studio su m. deve consentire: a) di localizzare le riflessioni nello spazio e nel tempo e determinare le intensità relative di queste riflessioni; b) di predeterminare, almeno approssimativamente, l'andamento della pressione durante la riverberazione; c) di prevedere la ripartizione dell'intensità sonora nei diversi punti di ascolto della sala.
Lo studio su m. si fa generalmente in sede di progetto; il m. deve essere facilmente ritoccabile o trasformabile per consentire di studiare le soluzioni migliori ed evitare così eventuali modifiche a lavori ultimati.
Sono stati proposti diversi tipi di m. a due o a tre dimensioni. Fra quelli a due dimensioni, che hanno avuto nel passato largo impiego, è il m. a vasca con acqua o mercurio: una vasca ha il contorno della sezione della sala che si vuole studiare (in genere si ricorre alla pianta e a una sezione mediana verticale), il liquido viene sollecitato da una punta vibrante e si formano onde superficiali che possono essere osservate per via ottica (per trasparenza nel caso dell'acqua, per riflessione nel caso del mercurio).
Questo metodo ha un interesse alquanto limitato per quanto riguarda il controllo del progetto di una sala, ma consente di operare molto rapidamente e di dare un'immagine visiva molto chiara dei fenomeni in esame.
Sempre in due dimensioni un altro metodo è quello che consiste nel fotografare le ombre degli impulsi sonori: questo metodo, che trova larga applicazione in aerodinamica, si basa sulla possibilità di fotografare un impulso di pressione molto elevata. La sorgente è una scintilla, e adoperando per l'illuminazione una seconda scintilla, ritardata di un tempo determinato rispetto alla prima, si può fotografare il fronte d'onda dopo alcune riflessioni. Altri m. bidimensionali sfruttano un'analogia ottica. Si costruisce un bordo speculare riproducente il profilo allo studio, che viene illuminato da una sorgente luminosa puntiforme posta nel punto corrispondente alla posizione della sorgente sonora: si esamina attraverso l'illuminazione di fumi o attraverso analisi con cellula fotoelettrica la distribuzione dell'illuminazione e si ricercano possibili concentrazioni o focalizzazioni.
I m. tridimensionali sono di solito in gesso, a scala ridotta, in genere nello stesso rapporto: nel caso, per es., di un m. in scala 1/20, per studiare il comportamento del campo sonoro a 1.000 Hz si deve creare un campo sonoro a 20.000 Hz. Nei m. tridimensionali si deve pertanto ricorrere generalmente a suoni di frequenza udibile assai elevata o addirittura a ultrasuoni. Le dimensioni del m. devono essere non troppo grandi per evidenti ragioni economiche, ma neppure troppo piccole, e ciò principalmente per evitare il ricorso a ultrasuoni di frequenza troppo elevata; per i quali a causa dell'assorbimento dell'aria (che cresce rapidamente al crescere della frequenza) si renderebbe più difficile o addirittura impossibile la misura. Un esempio di m. tridimensionale è dato nella fig. 7.
Il generatore può essere un altoparlante elettrostatico, o un microfono dinamico (T. Sommerville), o un generatore a cilindro vibrante (F. Canac), o una scintilla (A. Raes). Il ricevitore è un piccolo microfono a condensatore o piezoelettrico.
Si ricerca la distribuzione dell'intensità sonora nell'ambiente spostando il microfono in varî punti. Nella disposizione usata da Canac il microfono è animato da un movimento automatico; la corrente microfonica convenientemente amplificata alimenta una lampada che si muove col microfono. Si può avere così un'immagine fotografica della distribuzione dell'intensità sonora.
Per la ricerca degli echi (fig. 8) è necessario emettere impulsi di durata e forma variabili. In genere la durata è dell'ordine del millisecondo; la forma rettangolare permette una determinazione più esatta dell'ampiezza. Con appositi circuiti elettronici si può far sì che impulsi tutti identici si susseguano regolarmente nel tempo, col vantaggio di una maggior stabilità dell'immagine fotografica od oscillografica. Questi impulsi si ripetono con il ritmo di uno ogni 20 millisecondi circa; se il tempo di eco è minore di 20 millisecondi, ossia se il percorso dell'onda in andata e ritorno nel modello è minore di 6 m, si ha l'immagine dell'onda di eco tra quella di due impulsi successivi. Per scoprire la zona da cui si origina l'eco, si procede per tentativi coprendo successivamente diversi elementi di superficie con materiale assorbente, fino a constatare la scomparsa dell'eco medesima.
Con questi metodi si esaminano le forme degli ambienti e se ne scoprono i principali difetti, dovuti alla forma stessa: essenzialmente, echi e concentrazioni sonore.
Per procedere a un esame più approfondito, sarebbe necessario ricoprire i varî elementi con materiali assorbenti dotati, alla frequenza usata nel m., dello stesso coefficiente di assorbimento che i materiali impiegati nella realtà hanno alla reale frequenza di utilizzazione. Particolarmente importante sarebbe di poter disporre di un materiale atto a simulare nel m. la presenza del pubblico. Diversi studî sono stati condotti in questo senso, in particolar modo nell'università di Gottinga.
Lo studio su m. tridimensionali è indubbiamente il più completo ed esauriente; unico appunto che si può fare ai m. tridimensionali è di essere relativamente costosi e di comportare apparecchiature delicate. Ma le possibilità che essi offrono di evitare errori difficilmente eliminabili in sede esecutiva giustificano la spesa, che può giungere in certi casi sino al due per cento del costo della costruzione.
Con il metodo tridimensionale si sono studiati anche numerosi problemi particolari, quali, per es., la ricerca delle frequenze proprie in ambienti di forma non parallelepipeda (ad esempio a pianta trapezoidale), svolta da Bolt; l'andamento della diffusione del suono in ambiente a pareti policilindriche (T. Sommerville e E. Meyer), l'influenza della posizione di materiali assorbenti in un ambiente prismatico (C. M. Harris e F. Canac), ecc.
Fra i problemi d'importanza fondamentale vi è quello dell'isolamento acustico. In questo caso i m. hanno avuto minori applicazioni; ma recentemente si è visto che anche in questo campo essi possono trovare impiego.
Così per la determinazione del potere isolante di determinate strutture si può ricorrere (Kosten) a piccoli campioni; la distribuzione di un rumore nei varî ambienti di un edificio anche molto complesso può essere esaminata su m.; su m. è stato studiato (Schoch e Feher) il meccanismo della trasmissione del suono attraverso diversi tipi di tramezzi, con frequenze da 2.000 a 100.000 Hz. Nel problema che si presenta in campo aeronautico di silenziare cellule per la prova di reattori, allo scopo di salvaguardare l'udito degli operatori e di non disturbare in modo sensibile le abitazioni circostanti, un notevole successo è stato ottenuto da Hardy ricorrendo allo studio preventivo con m. a scala ridotta da 8 a 1, moltiplicando naturalmente le frequenze per 8. Particolarmente interessanti sono i lavori di Callaway e Lemmermann per il confronto fra i dati ottenuti su m. in scala 1 : 6 e quelli rilevati nella costruzione effettiva: le misurazioni eseguite a 9.600 Hz corrispondevano a una frequenza di 1.600 Hz della struttura effettiva; gli autori insistono sul fatto che lo studio preventivo su m. ha consentito di raggiungere ottimi risultati tecnici e notevoli economie.
Sul problema della silenziosità di determinati tipi di macchinario in impianti fissi - un problema del quale è superfluo sottolineare l'importanza - particolarmente interessanti sono le esperienze relative ai trasformatori di potenza, i quali possono essere impiegati anche all'aperto, o in locali molto vicini ad ambienti di abitazione: ricerche su m. in scala 7 : 1 sono state condotte da W. B. Conover e R. J. Ringlee (per mantenere le proprietà dinamiche del prototipo il m. è stato alimentato alla frequenza di 420 Hz, ossia a una frequenza pari a 7 volte la frequenza di rete di 60 Hz). Si è riconosciuto così che le costanti elastiche dei lamierini del m. devono essere le stesse dell'originale, come pure eguali devono essere le proprietà del fluido nel quale è immerso il trasformatore.
Lo studio su m. consente di determinare l'andamento del livello di rumore in funzione della distanza, di registrare i diagrammi polari del livello di rumore e di studiare l'effetto d'isolamento esterno. È possibile inoltre determinare, variando opportunamente la frequenza di alimentazione, le frequenze di risonanza del complesso, e avere così la possibilità di modificarle in modo opportuno al fine di diminuire alcune componenti di rumore particolarmente fastidiose.
Risultati notevolmente interessanti promette d'altra parte lo studio di ventilatori attraverso m. a scala ridotta che consentono di variare con relativa facilità alcuni parametri, quali la forma della girante, il numero delle pale e via dicendo. Un approfondito studio di questo problema è stato condotto da Riollet, le cui ricerche teoriche sulle leggi di similitudine, allo scopo di determinare il livello di rumore prodotto da un ventilatore, hanno avuto buona conferma sperimentale.
Altre ricerche su m. analogico sono quelle relative al trasduttore elettroacustico. Si tratta di ricerche volte prevalentemente a correggere determinati difetti del trasduttore stesso. Ad esempio, accurate analisi sui circuiti equivalenti di microfoni a bobina mobile hanno consentito di rendere lineare la curva di risposta entro un vasto campo di frequenze. Tali studî sono stati poi estesi agli altoparlanti e ai mobili in cui essi sono sistemati, ai rivelatori grammofonici, e via dicendo.
Su m. analogici possono essere anche studiati i fenomeni della fonazione e dell'udito.
Modelli aerodinamici.
1. - I m. aerodinamici ed i metodi fondamentali per il loro studio sono indicati nella voce aerodinamica (I, p. 569) e in particolare nel paragrafo "aerodinamica sperimentale" nel quale sono considerati metodi e dispositivi per la condotta delle esperienze. Per quanto, successivamente, i metodi sperimentali siano stati affinati nei particolari, non sarebbe il caso di esporne nuovamente i principî, se non fosse ora possibile, utilizzando il teorema π, di racchiudere in un unico insieme tutta la complessa materia.
2. - Le grandezze che intervengono in un problema aerodinamico sono tutte e sole le seguenti:
F forza (in particolare forza resistente al moto); V velocità; l lunghezza; t tempo; ρ densità; p pressione; η coefficiente di viscosità; g accelerazione di gravità; cp calore specifico a pressione costante; cv calore specifico a volume costante; K coefficiente di conducibilità termica; T temperatura (assoluta); v turbolenza isotropica (media quadratica della fluttuazione della velocità); L macroscala della turbolenza; Q quantità di calore; E equivalente meccanico del calore.
Questo elenco comprende grandezze che provengono da teorie differenti. Nelle equazioni dei fluidi viscosi comprimibili compaiono le grandezze, F, V, l, t, ρ, p, η, g; e per quanto le equazioni stesse siano dedotte usualmente nell'ipotesi che η sia costante, tuttavia non vi sarebbe difficoltà a scriverle nel caso di η funzione del posto.
Ma, in aerodinamica, l'esperienza deve tener conto della variazione locale di η in funzione della temperatura. Si usa spesso a tale scopo la formula di Sutherland
con C costante differente da un gas all'altro e To temperatura di riferimento (se è To = 273 °K, allora C nell'aria vale 113 °C). Pertanto si devono introdurre le grandezze che provengono dalla termodinamica e dalla teoria della propagazione del calore, cioè cp, cv, K, E, Q e T.
Le due grandezze ã ed L provengono dalla teoria della turbolenza che non è deducibile senza ulteriori ipotesi dalla teoria dei fluidi viscosi ma non è in contrasto con questa. Si avrebbero dunque 16 grandezze. Assunte come fondamentali le grandezze ρ, V, l, T e Q, si possono formare con essa 11 numeri puri (in accordo col teorema π). Tali numeri puri possono essere:
In luogo del terzo rapporto V2ρ/p s'introduce abitualmente il numero di Mach,
(che, ricordando come
rappresenti la velocità di propagazione del suono nel mezzo gassoso considerato, si può anche scrivere nella forma M = V/C).
Inoltre è
(numero di Prandtl) e
l'indice di turbolenK o V za. Esplicitando rispetto ad uno degli undici rapporti, per esempio rispetto a
(coefficiente di resistenza), sì ottiene
Invece del numero di Prandtl si potrebbe usare il numero di Péclet
3. - Se nei m. idraulici risulta impossibile, quando si operi con lo stesso liquido nel m. e nel prototipo, conservare F ed N, si possono facilmente comprendere le difficoltà che si presentano nei m. aerodinamici dove si dovrebbero conservare dieci numeri puri! È vero che non tutti e dieci rappresentano delle effettive limitazioni: per es. Vt/l resta invariato se vale la similitudine cinematica, e il rapporto γ = cp/cv non si modifica se si usa lo stesso fluido, ma i rapporti da conservare invariati nelle trasformazioni m.-prototipo sono sempre in numero eccessivo. Alcune difficoltà possono essere superate cambiando tipo di fluido nel passaggio dal prototipo al m. e in particolare operando su miscele di gas monoatomici e biatomici ad alto peso molecolare. L'artificio si fonda sull'osservazione che utilizzando miscele adatte si può conservare lo stesso rapporto γ nel m. e nel prototipo, mentre crescendo il peso molecolare diminuisce l'R della formula p/ρ = RT, e pertanto (indicando con l'apice le grandezze relative al modello) si possono utilizzare valori R′ e T′ tali che sia
essendo λ la scala di riduzione delle lunghezze.
4. - Ma la possibilità e l'utilità di effettuare esperienze dipende essenzialmente dalla validità (sia pure approssimata) di una similitudine incompleta. Si ritiene che, in generale, nei problemi con basso numero di Mach, l'influenza di questo sia trascurabile ed allora nello studio delle resistenze si trascura la variazione di M e si opera a numero di Reynolds costante. Invece per velocità molto grandi, quando la comprimibilità acquista un'importanza essenziale (numero di Mach vicino o superiore ad 1), si trascura il numero di Reynolds e si tiene conto di M oltre che del rapporto γ.
In tal modo le esperienze su m. riproducono la similitudine soltanto in parte: di qui il nome di similitudine incompleta. Qualche autore chiama questa similitudine anche col nome di similitudine parziale, ma veramente tale nome è applicato di solito a un procedimento differente (anche concettualmente) e relativo ad esperienze di architettura navale. In queste esperienze si determina (in vasca, su m.) la resistenza totale all'avanzamento di una nave (resistenza d'onda + resistenza d'attrito), poi si toglie (con l'uso di formule empiriche o semiempiriche) la resistenza di attrito del m. e alla resistenza residua si applica la legge di similitudine passando così al prototipo. A questo si aggiunge la resistenza di attrito valutata sulle formule. Un procedimento di questo tipo non consta sia ancora applicato in aerodinamica; se lo fosse è a questo che spetterebbe il nome di similitudine parziale.
5. - Altre forme di similitudine sono applicate in aerodinamica; in particolare sono considerati i problemi aeroelastici, cioè deformazioni e sollecitazioni sull'aereo per effetti delle forze aerodinamiche. Su questi non ci fermeremo. Vogliamo invece accennare alla "superaerodinamica". Si vuole indicare con questo nome (v. anche fluidodinamica, in questa App.) lo studio delle azioni che si esercitano contro un corpo quando il moto di esso avviene in un gas molto rarefatto. La distanza media delle molecole è in questo caso dello stesso ordine di grandezza delle dimensioni del corpo e pertanto il mezzo non può essere considerato come un mezzo continuo. Cadono così le equazioni dei fluidi viscosi ed intervengono i metodi statistici. L'indice che definisce il campo di applicazione della superaerodinamica è il numero di Knudsen
essendo l una dimensione del corpo e lm il percorso libero molecolare. Il numero di Knudsen, al disopra di un certo valore, non influisce più direttamente sul valore dei coefficienti aerodinamici. I quali peraltro dipendono anche dai fenomeni di natura termica e fisico-chimica che si svolgono nel gas, sicché la precisazione della similitudine superaerodinamica risulta assai complessa.
6. - In ogni caso dunque i m. aerodinamici in piccola scala soddisfano a una certa similitudine incompleta. La similitudine completa si otterrebbe soltanto operando senza alterare la scala. Perciò sono molto importanti le osservazioni e le misure fatte su aerei esistenti: l'apparecchio costruito oggi rappresenta allora il m. dell'apparecchio che costruiremo domani.
Modelli elettrici.
I m. elettrici sono, per la grande maggioranza, come si è già accennato, m. analogici; fanno eccezione alcuni casi, fra cui, molto importante, quello dei trasformatori. Infatti, in un trasformatore a scala ridotta, se si mantengono costanti le caratteristiche dei materiali (costante dielettrica, conduttività elettrica e permeabilità magnetica), si hanno due relazioni incompatibili fra loro e in conseguenza di ciò non si può avere un m. di trasformatore atto a mettere in evidenza tutti i fenomeni che si vogliono rilevare; se si prescinde dai fenomeni dielettrici, nel campo delle basse frequenze le frequenze di prova devono essere proporzionali al quadrato del rapporto di riduzione, mentre nel campo delle alte frequenze il rapporto di riduzione del tempo deve essere eguale a quello di riduzione lineare.
Una cospicua applicazione di m. elettrici è costituita dai dispositivi cosiddetti analizzatori di reti, introdotti, all'incirca 40 anni fa, per studiare il comportamento delle reti di trasporto e di distribuzione dell'energia elettrica. Il calcolo delle reti di tal genere non presenta difficoltà di principio, ma una grande complessità, dovuta alla complessità della rete, e quindi al gran numero delle equazioni rappresentative. Con questi dispositivi si può esaminare il funzionamento delle reti in regime permanente e, in caso di corto circuito, la stabilità statica e dinamica di reti alternative con lunghe linee, di reti polifase squilibrate, di reti polifase in regime non sinusoidale, la propagazione di onde d'impulso, nonché problemi di regolazione automatica. Gli analizzatori di reti, che in definitiva sono vere e proprie macchine calcolatrici analogiche (v. in questa App., I, p. 286), assumono a volte dimensioni imponenti, in quanto devono consentire una grande elasticità d'impiego e la simulazione di reti complesse, collegate da sistemi di trasformatori, la simulazione di macchine rotanti e via dicendo. L'approssimazione con la quale essi forniscono i risultati voluti dipende dalla precisione degli elementi (resistori, condensatori, induttori, trasformatori) mediante i quali si realizzano i circuiti: approssimazioni dell'ordine dell'uno per cento sono in genere sufficienti e si ottengono senza particolari difficoltà.
Per quanto riguarda le antenne, ricorderemo come sia possibile studiarne le proprietà ricorrendo a m. a dimensione ridotta; se il prototipo viene ridotto secondo il rapporto n : 1, occorre usare, per il m., frequenze di alimentazione n volte maggiori di quelle del prototipo.
Modelli fotometrici.
Un altro campo nel quale si è tratta qualche utilità dall'uso dei m. è la fotometria; in particolare per quanto attiene all'illuminazione naturale di singoli edifici e, nelle grandi sistemazioni urbanistiche, all'esigenza di coordinare forma, orientamento, dimensioni e reciproca distanza dei varî edifici per conseguire le migliori condizioni d'illuminamento naturale o artificiale. Si sono a tal fine sviluppati varî metodi, fra cui, per es., quelli che utilizzano i cosiddetti soli artificiali, cioè sorgenti di luce disposte in modo da riprodurre le condizioni d'illuminazione solare nella località in esame, in qualsiasi momento del giorno e per qualsiasi giorno dell'anno.
Lo studio su m. dell'illuminazione di determinati ambienti con luci artificiali non si presenta semplice per la difficoltà di riprodurre in scala ridotta le caratteristiche dei corpi illuminanti; esso può tuttavia fornire alcune indicazioni utili al progettista, soprattutto ove si tratti di ambienti molto vasti.
Modelli idraulici.
1. - Data la difficoltà d'integrazione delle equazioni che reggono il moto dei liquidi (le quali tutte hanno carattere non lineare), la rappresentazione di un fenomeno idraulico a mezzo di m. acquista particolare interesse. Un m. idraulico può essere eseguito con riferimento alle equazioni dei liquidi viscosi (L. M. H. Navier) oppure a quelle dei liquidi perfetti o infine alle equazioni semplificate dell'idraulica (e relative al moto di una "corrente").
Le equazioni dei liquidi viscosi incomprimibili, quando agisca la sola gravità, si scrivono, con il consueto significato dei simboli, nella forma
Se l è una dimensione lineare caratteristica del prototipo, V una velocità di esso e al posto delle coordinate x, y, z, delle componenti di velocità u, v, w, del tempo t e della pressione p, poniamo le coordinate, le velocità, i tempi e la pressione ridotti:
le equazioni precedenti sono sostituite dalle
Poiché le nuove variabili sono adimensionali, affinché queste equazioni sussistano invariate nel passaggio prototipo-modello basta conservare il numero di Froude F = V2/gl, ed il numero di Reynolds N = ρVl/η, ciò che del resto risulta anche dal teorema π. Si deve rilevare subito che se si opera con lo stesso liquido le due condizioni sono incompatibili, poiché se F = cost, detta λ la scala delle lunghezze e τ quella dei tempi, deve essere λτ-2 = 1, e se N = cost deve essere λ2τ-1 = 1. Qualche volta questa difficoltà può essere superata ponendo p* = p + γz e quindi,
perché in tal modo si elimina F dalle equazioni adimensionali. Ma per poter far ciò occorre che nelle condizioni ai limiti non sia fissato il valore di p; in particolare che non intervengano "peli liberi".
2. - Un m. che utilizzi le equazioni dei liquidi perfetti (che si possono dedurre dalle precedenti ponendo η = 0) può essere costruito conservando lo stesso numero di Froude che nel prototipo (perché qui il numero di Reynolds non interviene: v. idrometria, XVIII, p. 762). Il m. ha significato fisico soltanto se nel fenomeno considerato si possono trascurare le dissipazioni di energia, cioè soltanto se le trasformazioni di energia da potenziale a cinetica hanno carattere nettamente prevalente (come si verifica per es. nel deflusso da luci, o nei fenomeni di colpo d'ariete).
3. - Infine un m. idraulico può essere costruito servendosi delle equazioni fondamentali relative a una "corrente" (e non si esclude che non si possa ricavare da esso una precisazione maggiore di quella delle equazioni di partenza, come risulta dalle considerazioni svolte al n. 6 del paragrafo dedicato ai m. simili).
Ricordiamo le equazioni relative al moto di una corrente (v. anche idraulica, XVIII, p. 716, formule 7 e 8):
Quest'ultima non coincide con la (8), ora richiamata, perché la (8) medesima è l'equazione linearizzata corrispondente a quella, generale, che qui riportiamo. Comunque, questa seconda equazione non serve perché la similitudine è rispettata in ogni caso. Invece se nella prima alteriamo le altezze (y) in una scala diversa da quella delle lunghezze (s), posto ym = λ1yp, sm = λ2sp, e ricordando che if indica la pendenza del fondo, U la velocità media nella sezione,
troviamo, nel modello,
e pertanto la similitudine meccanica (nel modello geometricamente affine) può essere ottenuta ponendo
essendo Rm = λ3Rp e C2m = λ4C2p, dove gli indici m e p si riferiscono rispettivamente a grandezze relative al modello e al prototipo.
Le condizioni precedenti lasciano, apparentemente, una sensibile libertà nella scelta del modello. Nel fatto la libertà è assai minore perché le equazioni dell'idraulica valgono soltanto se (nel m. e nel pl'ototipo) il moto è nettamente turbolento e quando si usi il modello in scala alterata intervengono nuove condizioni.
Si deve perciò controllare: a) che il moto nel m. sia nettamente turbolento; b) che a corrente lenta (o veloce) nel prototipo corrisponda corrente lenta (o rispettivamente veloce) nel m.; c) che ad alveo torrentizio corrisponda alveo torrentizio (e ad alveo tranquillo alveo tranquillo); d) che le resistenze idrauliche soddisfino alla legge di similitudine precedentemente scritta; e) che la velocità non sia ridotta oltre il limite di propagazione delle piccole onde superficiali (se nel prototipo essa era superiore): la velocità minima in questo caso risulta di 20 cm/sec circa; f) che (nelle condotte riempite d'acqua e chiuse) il passaggio modello-prototipo non dia luogo a fenomeni di cavitazione nell'uno che non sussistano poi nell'altro; g) che sussista (nei corsi d'acqua a fondo mobile) la similitudine del trasporto solido.
Abbiamo così elencato sette condizioni limite (enunciate da F. Eisner nel 1931); si noti che non tutte sussistono insieme [per es. la g) vale per i corsi a pelo libero e la f) per le correnti chiuse].
Particolarmente difficile è ottenere la similitudine dinamica sul trasporto solido, in quanto, secondo le più recenti teorie (A. Shields), la similitudine dinamica non è compatibile (se si usa lo stesso materiale) con la similitudine geometrica. La quale, d'altra parte, porterebbe molte volte ad usare granulometrie finissime, che nel modello darebbero luogo a sospensioni semicolloidali. Per evitare ciò si può usare, nelle prove, materiale più leggero (col vantaggio di una riduzione meno sentita nelle dimensioni di questo). Ma è sufficiente questo accenno per rilevare la difficoltà delle prove sui m. idraulici e la necessità d'introdurre particolari accorgimenti.
4. - Nonostante le difficoltà, la sperimentazione su m. in campo idraulico va continuamente estendendosi. Si può dire che non esiste oggi opera idraulica di rilievo, il cui comportamento non sia stato studiato prima in laboratorio. Così il canale costruito per scaricare nel lago di Garda parte delle portate di piena dell'Adige (scolmatore d'Adige) è stato studiato a Padova nel laboratorio di quella facoltà d'ingegneria e nello stesso laboratorio sono stati studiati numerosi altri modelli per opere idrauliche. Quasi tutti gli impianti della società meridionale di elettricità sono stati studiati, per la parte relativa alle opere di derivazione, nell'Istituto d'idraulica e costruzioni idrauliche dell'università di Napoli, mentre nell'Istituto d'idraulica e costruzioni idrauliche del Politecnico di Milano sono stati eseguiti numerosi studî per le società elettriche della Lombardia e uno studio d'insieme sull'Arno. Nel laboratorio d'idraulica di Bologna è stata studiata, su modello, l'opera di presa e quella di scarico per lo scolmatore di Reno, l'opera di presa per lo scolmatore d'Arno a Pontedera, la sistemazione del porto di Genova in corrispondenza della foce del Polcevera, la derivazione dall'Eleuterio (in Sicilia), ecc.
Per dare un'idea del procedimento che si segue nello studio di un progetto su m. si riporta qui la genesi dell'opera di derivazione per lo scolmatore di Reno.
La fig. 9 riproduce il m. che in scala rappresentava l'opera progettata. La costruzione geometrica del m. non dà luogo a difficoltà: la riproduzione dell'onda di piena è stata ottenuta per similitudine (tipo Froude) di una piena effettiva di 950 m3/sec e le quote d'acqua sono state ridotte in modo geometricamente simile utilizzando verso valle uno speciale stramazzo e alimentando da monte con la portata ridotta in scala.
Preparato in questo modo il m., è stata eseguita una prima serie di esperienze con lo scopo di verificare: 1) se la soglia dello scolmatore con tutte le paratoie aperte era in grado di sfiorare la portata prevista (450 m3/sec); 2) se la successione degli scivoli (in numero complessivo di 6 dell'altezza di m 1,65 ciascuno) colleganti la platea immediatamente a valle della diga con il fondo dello scolmatore era in grado di dissipare rapidamente l'energia posseduta dall'acqua; 3) se l'andamento planimetrico dell'insieme dell'opera a valle della presa era tale da evitare zone di ristagno d'acqua, zone di velocità eccessiva, formazione di vortici. Le esperienze hanno mostrato che immettendo nel fiume una portata di 950 m3/sec si scolmavano 510 m3/sec., cioè iul 13,3% più del previsto. L'abbassamento del pelo libero era di m 1,99 (riportando le altezze d'acqua al prototipo) in luogo dei m 1,91 previsti.
Ma questi rilievi non danno un'idea esatta del comportamento del canale perché è risultato che il bacino posto a valle della presa e la conseguente successione degli scivoli non erano in grado di trasformare la corrente veloce che si manifesta subito a valle della presa in una corrente lenta, e che nel percorso lungo il canale si rilevavano risalti. idraulici molto estesi e ondulati (v. fig. 10).
Si è allora iniziata la ricerca delle modifiche da apportare al progetto in modo da localizzare i risalti idraulici in posizione opportuna e di eliminare regioni di acqua morta. Il cavo è stato ricondotto dapprima alla forma della fig. 11 senza ottenere ancora un risultato soddisfacente; poi, lasciata invariata la sezione, è stato introdotto uno stramazzo sopraelevato a monte di ogni scivolo. Quest'ultimo artificio ha dato un risultato buono (come indica la fig. 12). Ma poiché la portata scolmata risultava esuberante, si è provveduto (questa volta per sole ragioni di economia) a ridurre l'ampiezza dell'opera di presa nel modo indicato dalla fig. 13.
Modelli strutturali.
L'avvento di materiali, acciai e calcestruzzi, di sempre più elevate doti meccaniche, il progredire della tecnica delle saldature nelle opere metalliche, la prefabbricazione e la precompressione nelle strutture in cemento armato, hanno recentemente portato ad un'ampliamento ed evoluzione della tecnica e della teoria delle grandi strutture. Parallelo a tali progressi è stato lo sviluppo della sperimentazione, atta a conseguire una razionale economia nelle strutture e tale da rappresentare la "visione sintetica dell'intuito che guarda il fenomeno nell'insieme della sua obiettività fisica".
La sperimentazione può applicarsi, com'è noto, sia in sito, su costruzioni già eseguite, sia in laboratorio sopra elementi costruttivi e particolarmente su modelli "simili". La sperimentazione su m. consente l'analisi e la disciplina accurata delle variabili in gioco e una variazione od un affinamento delle soluzioni alla luce dei risultati che si ottengono in fasi successive. Naturalmente nei m. in grande scala è possibile riprodurre più fedelmente le condizioni di vincolo, le discontinuità interne o al contorno, le caratteristiche dei materiali costituenti il prototipo.
Giova rilevare che non è affatto indispensabile, e spesso neppure conveniente, adoperare per il m. lo stesso tipo di materiale impiegato nella costruzione. Infatti, se ci si limita a studiare il comportamento elastico della struttura per date forze agenti, il regime degli sforzi risulta praticamente indipendente dalle qualità elastiche del materiale, nel senso che esso non dipende dal valore del modulo del materiale, ma solo ed in limitata misura dal rapporto di Poisson (purché il sistema non venga modificato al contorno da cedimenti anelastici di vincoli). Questa osservazione legittima l'uso dei m. costituiti con materiali diversi dal prototipo, purché elastici, omogenei ed isotropi. Il problema è ricondotto alla misura degli sforzi ottenuta in via indiretta mediante la misura delle deformazioni locali e la conoscenza delle caratteristiche meccaniche dei materiali impiegati.
In conclusione, nell'ambito delle deformazioni elastiche il m., costruito in materiali idonei (es. celluloide) e sottoposto alle prove con strumenti di alta precisìone, può considerarsi una sapiente macchina calcolatrice delle deformazioni elastiche e degli spostamenti almeno in corrispondenza dei punti più interessanti della struttura.
Noi riteniamo peraltro che dal m. si possa anche rilevare l'effetto degli adattamenti plastici ed il comportamento statico della struttura sotto carichi ad oltranza, a patto che si usino materiali convenienti, ossia tali che il loro legame sforzi-deformazioni riproduca in scala quello del prototipo e che non vi sia inquinamento di autotensioni preesistenti per processi di fabbricazione o per ritiri.
Attualmente le esperienze si possono distinguere per tre metodi diversi di ricerche.
Col primo metodo si affrontano problemi strutturali piani con l'ausilio prevalente della fotoelasticità, usando per i m. materiali trasparenti ed elastici (ceraldit, trolon, ecc.). Si possono così studiare problemi che sarebbero teoricamente molto laboriosi, come, per es., quelli inerenti ad archi di dighe di forte spessore.
Con il secondo metodo si affrontano problemi strutturali tridimensionali con misure estensimettriche, tenendo ancora ferme tutte le ipotesi fondamentali della teoria dei sistemi elastici continui. Sono state così studiate numerose costruzioni (dighe, grandi volte, ecc.) adottando per i m. materiali (di norma celluloide o malte di gesso-celite) sollecitati entro limiti sicuramente elastici ed obbedienti entro tali limiti alla legge di Hooke, conservando la continuità della struttura e la deformabilità elastica dei vincoli.
Col terzo metodo, infine, constatato che alcune strutture, ed in particolare quelle in calcestruzzo, non obbediscono ai postulati ammessi dalla teoria (e che dalla disobbedienza si possono trarre talvolta utili indicazioni), si è preferito ricercare nei m. una più esatta riproduzione delle caratteristiche peculiari del prototipo, piuttosto che la conservazione delle proprietà elastiche dei materiali. Le prove che si eseguono sul m. si possono allora suddividere in due gruppi distinti e successivi. In una prima serie di prove a "carico normale" vengono misurate le deformazioni, per valori prossimi alle condizioni di similitudine nelle condizioni di carico corrispondenti a quelle del prototípo. È importante notare che già alla messa in carico si verificano assestamenti anelastici di vario tipo (cedimenti di fondazioni, adattamenti e parzializzazione dei giunti, plasticità locali) che conviene provocare mediante cicli di carico ripetuti per giungere ad un funzionamento che risulti elastico, regolare, costante ed adatto alle misure di deformazione ed agli eventuali controlli. Si risale quindi agli sforzi (nota la caratteristica sforzi-deformazioni del materiale) prevedibili nella struttura in sede di normale esercizio. È ovvio che tale regime di sforzi può non coincidere con quello di calcolo, perché quest'ultimo non tiene conto di quegli assestamenti. In una successiva seconda serie di prove "ad oltranza" si elevano proporzionalmente i carichi applicati sino a giungere al collasso del m., e si giunge così a valutare un coefficiente globale di sicurezza della struttura in esame.
I primi due metodi studiano un m. teorico del prototipo e sono impostati, come la teoria, su ipotesi determinate, le quali, una volta ammesse, consentono di arrivare a risultati altrettanto determinati (nei limiti delle approssimazioni strumentali o di calcolo) naturalmente corrispondenti a una struttura ideale che a tali ipotesi ubbidisse fedelmente. Il terzo metodo invece preferisce avvicinare la realtà del caso singolo ricopiandone le caratteristiche peculiari; e così non esita ad introdurre, nel m., materiali, vincoli, giunzioni e modalità esecutive identiche a quelle del prototipo. Ciò indubbiamente allontana sempre di più la possibilità di una conveniente traduzione matematica e provoca una certa dispersione dei risultati nelle prove ripetute specialmente intorno alle discontinuità; si ritiene tuttavia che in compenso si possa avere per tal modo una visione sintetica del problema assai più realistica e quindi più aderente alle vere finalità tecniche e pratiche della prova sperimentale. Naturalmente questa fase conclusiva delle esperienze, più delicata delle precedenti, richiede elevato spirito critico ed abilità sperimentale, paziente rícerca e preparazione che siano idonei alla confezione dei modelli.
Bibl.: Sono da tenere presenti in primo luogo le pubblicazioni citate in XXXI, p. 802; XXXIV, p. 718; App. I, p. 516; App. III, i, p. 491. Si aggiungano: G. Supino, La similitudine aria-acqua e lo studio dei modelli idraulici, in L'Energia elettrica, nov. 1951; Accademia Nazionale dei Lincei, I modelli nella tecnica, Atti del Convegno di Venezia, 1-4 ott. 1955, 2 voll., Roma 1956 (si vedano specialmente il discorso inaugurale di A. Signorini e gli articoli di A. Danusso, C. Ferrari, G. De Marchi e F. Marzolo, G. Oberti, E. Pistolesi, G. Supino, oltre alla vasta bibliografia ivi citata); L. I. Sedov, Similarity and dimensional methods in mechanics, Londra 1959; A. Martinot-Lagarde, Similitude physique, exemples d'applications à la mécanique des fluides, Parigi 1960.
Modelli acustici: R. Vermeulen e R. de Boer, Optische Modellversuche zur Untersuchung der Hörsamkeit von Schauspieläusern, in Philips. Techn. Rundschau, I (1936); V. O. Knudsen e C. M. Harris, Acoustical designing in architecture, New York 1950, p. 199; T. Sommerville e F.L. Ward, Investigation of sound diffusion in rooms by means of a model, in Acustica, 1-2 (1951-52), p. 41; E. Meyer e J. Rupprecht, Ueber Ultraschallversuche zur Richtungsdiffusiavität in Modellräumen, in Vortrag Ultraschalkongress, Marsiglia 1955; W. B. Conover e R. J. Ringlee, Recent contributions to transformer audible noise control, in A.I.E.E. Transactions, LXXIV (1955), pp. 77-90.
Modelli elettrici: V.A. Venikoff, L'emploi de la méthode physique des modèles réduits dans l'étude des réseaux électriques, in C.I.G.R.E., 1952, rapp. 339; P. A. Abetti, Transformer models for the determination of transient voltage, in A.I.E.E. Transactions, LXXII (1953), p. 468; S. Kaneff, A high frequency simulator for the analysis of power systems, in Proc. I.E.E., Part. II, C (1953); F. Cahen, Les auxiliaires du calcul des réseaux électriques: modèles, analogues, calculateurs, in Bull. de la Soc. française des électriciens, 1954.
Modelli fotometrici: G. P. Brewington, The use of models in predicting illumination, in Ill. Eng., XLII (1947), p. 636; B. H. Reed e M. A. Nowak, Accuracy of daylight prediction by means of models under an artificial sky, in Ill. Eng., L (1955), p. 336; R. G. Hopkinson, Model investigation in daylight research, in Byggmadsvärlden, Stoccolma XLVI (1955), p. 93.
Modelli strutturali: G. Colonnetti, Scienza delle costruzioni, III, Torino 1957; I.S.M.E.S., La tecnica italiana (1951); G. Oberti, La ricerca sperimentale come contributo al progetto delle grandi costruzioni, in Tecnica italiana, anno 6°, n. 2 (marzo-aprile 1951); G. Oberti, Valutazione del coefficiente globale di sicurezza di una struttura mediante esperienze su modelli, in L'Ingegnere, n. 11, 1952; G. Grandori, Sulla determinazione per via fotoelastica degli sforzi dovuti al peso proprio nelle strutture piane, in Atti del Consiglio degli Ingegneri di Milano, nn. 7-8 (luglio-agosto 1953); A. Berio, Alcuni risultati sperimentali ricavati da un modello di diga ad arco, in L'Energia elettrica, XXX (1953); A. Grandori, Risultati di esperienze eseguite su modello di diga a volta, in L'Energia elettrica, XXXI (1954); P. Locatelli, G. Grandori e G. Moravia, Sulla ricerca per via fotoelastica degli sforzi dovuti al peso proprio nelle strutture piane, in La Ricerca scientifica, anno 25°, n. 1 (1955); G. Supino, Modelli nella scienza delle costruzioni, in L'Energia elettrica, ott. 1956; id., Alcune osservazioni sui modelli strutturali in campo elastico e plastico, in Symposium su la plasticità nella scienza delle costruzioni, Bologna 1957.