TEOPOMPO
. Storico e retore greco del secolo IV a. C., nato a Chio circa il 378 a. C., esiliato in circostanze discusse, insieme con suo padre, dalla città natale per laconismo, fu allievo o almeno seguace di Isocrate, con cui più tardi si trovò invece a polemizzare. Fornito in giovinezza di censo, poté largamente viaggiare, e di ciò si vantò come di peculiarità della sua cultura. Circa il 352 era già in grado di comporre una celebrata orazione funebre per Mausolo di Caria. Intorno al 343 a. C. era sicuramente alla corte di Filippo di Macedonia tra gl'intellettuali greci che lo circondavano: le buone relazioni proseguirono con Alessandro, se egli poté scrivergli lettere esortative di carattere politico. A Chio rientrò appunto per il richiamo di Alessandro del 333-332 a. C.: una di tali lettere è del 324. Dopo la morte di Alessandro fu in Egitto da Tolomeo, ma rischiò di essere ucciso per punizione d'intrighi. È questo l'ultimo ricordo della sua vita, come si vede, scarsissimamente documentata. È del pari troppo poco documentata la sua attività letteraria, che però bastano le testimonianze e i frammenti rimastici per indicare tra le più varie, fervide e significative della storia spirituale greca del sec. IV.
Già gli antichi hanno considerato T. un personaggio singolare: come di un carattere indomito e maledicentissimo. Oggi è facile comprendere entro quale ordine di problemi egli si movesse. T. è anzitutto retore, ma fin da Gorgia e soprattutto dopo Isocrate retorica significava sistema di imporre attraverso una data forma un determinato contenuto di convinzioni morali e politiche, e perciò anche la retorica di T. va solo considerata adesione a una teoria sui rapporti fra parola e cosa. Infatti, in corrispondenza all'adesione allo stile isocrateo, sta la partecipazione alla polemica degl'isocratei contro la scuola di Platone in uno scritto Contro l'insegnamemo platonico, dai cui minuscoli frammenti si può almeno indurre che i problemi del linguaggio vi avevano importanza ed erano usati, come da attendersi, per oppugnare la teorica delle idee: un frammento (369 Jacoby) assevera al solito che esiste il corpo dolce, ma non la dolcezza. Di fronte a Isocrate la peculiarità della polemica antiplatonica di T. sta però nel fatto che egli risente l'influsso di un altro moto di pensiero, il cinismo, sebbene Isocrate avesse coerentemente polemizzato tanto contro Antistene quanto contro Platone, e infatti la teorica dell'assoluta corrispondenza fra parola e cosa sostenuta da Antistene contraddiceva nel fondo alla psicagogia isocratea. Ma in questa simpatia logicamente poco giustificata di T. per Antistene si rende chiaro l'aspetto di T. che lo distacca di più da Isocrate, la sua preoccupazione, cioè, non di un'educazione spirituale di tipo ateniese (la paideia), ma di una lotta contro le passioni, contro la voluttà, che lo riavvicinava al cinismo. Gli antichi nelle opere storiche di T. hanno appunto sentito questo violento moralismo, per cui decadenza politica e corruzione morale nel senso più letterale si identificano.
Come anche l'altro storico del sec. IV non estraneo alle idee ciniche, Senofonte, T. orienta dapprima la sua simpatia politica verso il campione della vecchia virtù greca aristocratica, Sparta. Ciò appare nei frammenti delle sue Storie elleniche, scritte in continuazione di Tucidide e comprendente in 12 libri il periodo dal 411 al 394 a. C. (con fine alla battaglia di Cnido). L'opera era già scritta sicuramente nel 343/2, in cui i recenti studî pongono la lettera XXX del Corpus socratico, che presuppone pubblicate le Elleniche: d'altra parte la data di pubblicazione non può essere di molto anteriore, perché T. dichiarava nel proemio della sua opera successiva, le Storie filippiche, di avere tralasciato le Elleniche per il nuovo tema, e le Storie filippiche, per la posizione centrale che dànno al sovrano macedonico, non possono essere state concepite prima del 346. T., nel proposito di continuare Tucidide, veniva subito dopo Senofonte, e anzi si può dimostrare che egli ha utilizzato Senofonte, come pure la parte che lo riguardava delle storie di Eforo, contaminando talvolta arbitrariamente le due opere. Sparta circa il 346 non appariva più tra le potenze dominatrici della politica greca. T., nel raccontare la storia degli anni in cui Sparta era stata dominatrice incontrastata, fino al momento in cui la battaglia navale di Cnido aveva troncato la sua ascesa, e nel dimostrare la più viva simpatia per Lisandro e Agesilao, dichiarava dunque la sua ammirazione per la politica di coercizione e di espansione panellenica fatta allora da Sparta e ne trovava la radice nel costume spartano. Era quindi coerente il suo trapasso a un'adesione all'analoga politica di coercizione e di espansione panellenica di Filippo, appena la vittoria nella guerra sacra lo fece riconoscere egemone in Grecia: T. lo salutava l'uomo più grande che l'Europa avesse mai posseduto.
Ma l'apparizione di Filippo come figura dominatrice veniva anche a sommuovere una quantità di problemi storiografici e politici. La storiografia greca non aveva mai conosciuto opere storiche accentrate intorno a individualità: Senofonte dimostra come l'encomio individuale si teneva distinto dalla storia. Ora l'individualismo espandentesi da ogni lato nel sec. IV assume con T. la sua espressione storiografica: una storia si accentra in un individuo, e ne prende il nome, Storie filippiche, storia del regno di Filippo in 58 libri. Ma nello stesso tempo questa storia che converge in un individuo si allarga enormemente, per la stessa politica di Filippo, tra l'Asia e l'Europa, tra l'Oriente e l'Occidente, e per quel fermento di interessi cosmopolitici, in cui in tutta la cultura greca si va preparando l'ellenismo. Le Storie filippiche si allargano perciò a vasto quadro del mondo contemporaneo, con molti excursus su aspetti interessanti del passato. Già in questo senso T. abbandona la rigida linea di Tucidide per ritornare alla narrazione multipla e slegata di Erodoto; ma che il ritorno a Erodoto - il terzo maestro accanto a Isocrate e ad Antistene - sia consapevole, basta a confermare il fatto che T. scrisse un riassunto di Erodoto in due libri. Larghi excursus, dicevamo, rompono il racconto, sugl'indovini e profeti nel libro VIII, sui demagoghi ateniesi nel libro X, sulla storia della Persia dalla guerra con Evagora fino alla sottomissione dell'Egitto nei libri XI (?)-XIX, su Atene nel libro XXV, sulla storia dell'Asia Minore nei libri XXXV (?)-XXXVIII, sulla storia dell'Occidente nei libri XXXIX-XLIII. Filippo V di Macedonia, quando vorrà fare estrarre dall'opera di T. ciò che concerneva veramente il suo grande predecessore, ridurrà l'opera da 58 a 16 libri. Il favoloso, nuovamente, non è più ripudiato: lo storico si vanta di saper raccontare favole meglio di Erodoto, Ctesia, Ellanico e "gli scrittori di cose indiane". Cominciate poco dopo il 346, ma certo finite dopo la morte di Filippo (336 a. C.), le Storie filippiche non poterono non risentire forte la varietà delle situazioni entro cui l'autore stava scrivendo. Tutto ciò oggi non è più bene riconoscibile; ma forse si può supporre che se i frammenti accentuano altrettanto fortemente la genialità intellettuale quanto il disordine morale del re (e si ricordi l'importanza che ha per T. il giudizio moralistico), il secondo tratto, non prudente né opportuno finché il re era vivo, era come imposto dalla fine stessa di Filippo e valeva per T., in conformità dei suoi principî, a spiegare i lati deboli del re di Macedonia. In una tale opera, i tratti di polemica contemporanea dovevano essere continui. Basti qui notare che se Isocrate aveva creduto di poter tenere fermo, almeno per un momento, ad Atene e a Filippo insieme, T. sente chiara l'antitesi e non risparmia attacchi alla demagogica Atene, e al "demagogo" massimo, Demostene.
Nella comune simpatia per la politica di Filippo già si delinea il distacco fra T. e Isocrate. È certo poi che un nuovo motivo si aggiunse. Mentre Isocrate nel 346 incitava col Filippo il re di Macedonia a marciare in Asia alla testa dei Greci, T., in un encomio di Filippo, che deve essere proprio la risposta allo scritto di Isocrate, sosteneva invece l'opportunità che Filippo facesse una politica di espansione europea, lui che era l'uomo più grande d'Europa. Più tardi il distacco si dovette ancora approfondire. Il Panatenaico di Isocrate nel 339 era un segno di sfiducia per Filippo: sappiamo che T. scrisse un fascicolo dal titolo omonimo, e date le tendenze antiateniesi dell'uomo, nulla di più facile che congetturare che anche questa volta ribattesse le argomentazioni di Isocrate. La sostanziale conclusione del pensiero di T., che ormai le città greche erano incapaci di governarsi da sé, era parodiata da Anassimene, che mise in circolazione sotto il nome di T. un violento attacco a Sparta, Atene e Tebe, dal titolo Τρικάρανος.
Di altri discorsi di T., Laconico, Corinziaco, Olimpico, non conosciamo che il titolo. Ma se è vero quanto ci afferma Suida (s. v. "Εϕορος), che T., dopo avere scritto degli encomî di Alessandro, scrisse pure un biasimo del medesimo, dovremmo dedurre che T. non poté seguire fino all'estremo le conseguenze che Alessandro traeva dall'opera del padre e, come Callistene, sebbene in maniera diversa, si ribellò. Egli era semprc un puro greco. La sua vita agitata negli ultimi anni lascia supporre del resto un uomo non bene inserito nel nuovo mondo ellenistico.
La struttura delle Filippiche di T. ebbe fortuna, poiché la riprendeva col medesimo titolo il modello greco di Pompeo Trogo, nel primo secolo a. C. Così il suo stile narrativo, che si accentuò e si corruppe in storiografia fantastica - mentre a lui non mancava, pur nella preoccupazione polemica e retorica, il senso di vigilanza critica -: tipici Onesicrito e Duride.
Per le sue conseguenze, più ancora che in sé stesso, T. fu quindi sentito dagli storici prammatici come corruttore. Né, d'altronde, la mole della sua opera permetteva una larga diffusione. Cinque libri erano già perduti al tempo di Diodoro. Ma lo sforzo di T. di raccogliere intorno a una personalità dominatrice la storia contemporanea, fondendo il convincimento politico con un orientamento etico rigoroso, resta uno degli sforzi più grandiosi della storiografia greca.
A T., e più precisamente alle Elleniche, fu attribuito al tempo della sua scoperta il grosso frammento delle cosiddette "Elleniche di Ossirinco" (v. cratippo), cioè di una storia greca del sec. IV a. C. L' attribuzione, ancora di recente difesa da R. Laqueur, è però di solito ritenuta senza fondamento, data la diversità enorme di stile.
Bibl.: I frammenti magistralmente in F. Jacoby, Fragm. d. griechischen Historiker, II, n.115. Si cfr. anche Hellenica Oxyrhynchia cum Theopompi et Cratippi fragmentis, Oxford 1909; A. v. Mess, Die Anfänge der Biographie und der psychologischen Geschichtsschreibung in der griechischen Litteratur. I. Theopomp, in Rhein. Museum, LX (1915), p. 337 segg.; A. Momigliano, in Riv. di filol. class., n. s., IX (1931), pp. 230 segg., 325 segg.; id., La storia di Eforo e le Elleniche di T., ibid., n. s., XIII (1935), p. 180 segg.; id., Filippo il Macedone, Firenze 1934, pp. 197-98; R. Laqueur, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A, col. 2177 segg. In questi saggi le indicazioni precedenti.