TEOLOGIA
. Teologia cattolica (XXXIII, p. 527). - Il periodo che va dal 1960 al 1975 è stato profondamente segnato - per la t. cattolica - dai lavori del Concilio Vaticano II (1962-65). La preparazione e la discussione dei documenti conciliari ha assorbito, per alcuni anni, energie, ricerche e riflessioni di molti teologi. Una volta promulgati, costituzioni, decreti e dichiarazioni conciliari furono oggetto di commenti, spesso in volumi collettivi di notevole ampiezza; anche qui si è manifestato un grande sforzo teologico.
Poco a poco, la t. si è liberata della tematica conciliare e ha ripreso le sue indagini, i suoi studi in molteplici direzioni. Certi teologi si sono anche notevolmente allontanati dalle posizioni tenute dal Concilio, con un'audace rimessa in questione della dottrina tradizionale. Il vento della contestazione che ha soffiato nella società e che ha provocato, in molti giovani, un atteggiamento non solo critico ma anche rivoluzionario, si è fatto sentire pure nel mondo della teologia. Sono rare le affermazioni di fede sfuggite a questa contestazione. Ma è importante notare che questa rimessa in questione non potrebbe essere ridotta a un atteggiamento negativo: essa derivava molto spesso dall'intenzione di rendere più accessibile la verità rivelata alla mentalità contemporanea, di tradurla in formule più adatte al linguaggio odierno. Lo spirito della costituzione Gaudium et Spes, che ha posto l'accento sulla profonda simpatia della Chiesa per il mondo, ha animato uno sforzo di pensiero e di presentazione della fede allo scopo di superare la distanza che si era creata in precedenza tra il pensiero cristiano e la cultura moderna. La preoccupazione ermeneutica di esprimere in linguaggio moderno quanto hanno voluto dire i testi antichi ha dominato lo sforzo del teologo.
Ecclesiologia. - Oggetto dei lavori del Concilio è stata soprattutto l'ecclesiologia, la quale ha continuato a essere studiata dai teologi con grande interesse.
Ma su questo tema si è creata una nuova situazione a seguito della reazione anti-istituzionale manifestatasi in modo particolarmente vivo tra il 1965 e il 1970, coinvolgendo sia la società civile che la Chiesa. La lotta contro il "sistema" e la rivendicazione di un rifacimento completo delle strutture si sono tradotte, in t., con le critiche alla struttura gerarchica, in particolare all'autorità infallibile, e con tentativi di concepire una Chiesa molto meno istituzionalizzata. Questo movimento di pensiero ha trovato sostegno e campo di esperienze nella formazione di comunità di base, caratterizzate dalla spontaneità carismatica. In tali comunità, alcuni hanno ritenuto di discernere una più autentica immagine della Chiesa.
In questa prospettiva è stato maggiormente valorizzato il laicato, come del resto avevano già proposto alcuni documenti conciliari. La diminuzione del numero dei sacerdoti ha contribuito ad attirare l'attenzione sulla necessità di riconoscere ai laici un ruolo più importante nella vita della comunità cristiana. Questa tendenza non è stata per nulla ostacolata dallo sviluppo dell'istituzione diaconale: infatti, questo sviluppo è stato soltanto sporadico e poco consistente. I laici possono esercitare le funzioni attribuite ai diaconi, e così, mentre la t. del diaconato difficilmente può sormontare le sue incertezze, la t. del laicato continua a progredire.
D'altra parte, nella stessa prospettiva, la t. del sacerdozio è stata notevolmente scossa. Già durante il Concilio ci si era potuti rendere conto del malessere che circolava tra i preti, al punto che, alla fine della seconda sessione, i Padri conciliari avevano proposto d'indirizzare loro un messaggio. E questo malessere si accentuava sempre più, visto che il Concilio metteva soprattutto in evidenza l'episcopato e il laicato, lasciando piuttosto nell'ombra il presbiterato. La promozione dei laici, che concordava con un movimento più generale di secolarizzazione, doveva necessariamente porre ai sacerdoti il problema del valore del loro ministero. Così si produsse una crisi d'identità, che si riflesse in numerose pubblicazioni teologiche sul sacerdozio ministeriale.
Alcune di queste pubblicazioni proposero un nuovo tipo di prete, più simile al laico. Esse tentarono di ridurre il sacerdozio ministeriale a una funzione, eliminando l'aspetto di consacrazione della persona, legato all'affermazione del "carattere" sacerdotale. Questa riduzione si esprimeva anche nel vocabolario: il termine "sacerdozio" si sostituiva con "ministero", e il termine "prete" con "ministro". Essa permetteva la designazione di ministri a tempo parziale, il cui impegno non sarebbe più a vita. Inoltre rivendicava uno stato sociale simile a quello del laicato, l'esercizio di una professione secolare, la libertà dell'impegno politico e la possibilità di contrarre matrimonio. Quest'ultimo punto fece nascere aspre controversie: il celibato sacerdotale trovò molti avversari ma anche dei validi difensori.
La fermentazione di queste idee crebbe con l'avvicinarsi del Sinodo episcopale del 1971, che aveva in programma l'adozione di un documento sul sacerdozio ministeriale. Molti pensarono che la nuova corrente avrebbe vinto e che si sarebbe imposta inevitabilmente ai membri del Sinodo. Ma non fu così. Il Sinodo confermò la dottrina del sacerdozio ministeriale com'era stata espressa dalla tradizione della Chiesa, che ne traeva l'origine dal Vangelo. Insistette sulla missione evangelizzatrice del prete, chiedendo però che non si minimizzasse il suo ruolo nell'amministrazione dei sacramenti. Ricordò il principio della rinuncia del prete alla professione secolare, come pure all'impegno nella politica attiva; a grande maggioranza approvò la dichiarazione secondo la quale "la legge del celibato sacerdotale in vigore nella Chiesa latina, deve essere integralmente mantenuta". In merito all'ordinazione di uomini sposati, scelse la proposta più restrittiva, che proibiva questa ordinazione, anche in casi particolari, e riservava soltanto al papa il diritto di fare un'eccezione.
Tuttavia, le discussioni concernenti la natura del sacerdozio non sono state inutili. Esse hanno suscitato studi dottrinali più approfonditi sull'origine evangelica del ministero sacerdotale, sulle condizioni nelle quali è stato voluto da Cristo, e sul suo sviluppo nella storia.
D'altra parte, la nascita e la rapida espansione di un movimento carismatico nella Chiesa cattolica, in cui i laici assumono un ruolo importante, hanno attirato l'attenzione sul ruolo dello Spitiro Santo nella vita cristiana.
Cristologia. - È sorprendente constatare come, dopo un Concilio che aveva concentrato i suoi lavori sull'ecclesiologia, l'attenzione dei teologi si sia rivolta, di preferenza, verso la cristologia.
Nuovi saggi di cristologia si sono deliberatamente sviluppati in un orizzonte antropologico, con la preoccupazione dominante di attribuire all'umanità di Gesù tutto il suo valore, reagendo contro una t. che precedentemente aveva esaltato la divinità nel Cristo, al punto da farlo apparire meno uomo. Parecchi di questi saggi hanno esagerato in senso opposto, affermando in Gesù una persona umana e non riconoscendo più, in lui, il Figlio di Dio: questa fu la tendenza di una "nuova cristologia" olandese.
Al contrario, la cristologia di K. Rahner mantiene le affermazioni tradizionali della fede, pur cercando di esprimersi in una prospettiva antropologica. Essa insiste sulla presenza, in Gesù, di un centro umano di attività, e prende come punto di partenza la situazione esistenziale dell'uomo: ogni uomo è animato dal desiderio dell'Assoluto divino e, di conseguenza, dalla speranza di un Salvatore assoluto che, essendo Dio e uomo, gli apporta la liberazione mediante la propria morte. Su questa esperienza umana si edifica una cristologia deduttiva che corrisponde a quello che la storia scopre in Gesù di Nazareth.
Mentre Rahner pretende costruire la cristologia "dal basso", H. Urs von Balthasar propone una cristologia soprattutto "dall'alto i, cristologia influenzata da quella del protestante K. Barth. Con un metodo più letterario, più "estetico", ma solidamente appoggiato sulla Rivelazione, egli segue il cammino per il quale il Verbo si è fatto carne.
La considerazione del movimento discendente dell'Incarnazione conduce i teologi a porsi il problema di una certa mutabilità in Dio: il dogma dell'immutabilità divina subisce un riesame a proposito dell'atto divino d'incarnazione, come quello dell'impassibilità è ristudiato nelle riflessioni concernenti la kenosi e la Passione redentrice. È tutta la nozione di Dio che dev'essere riesaminata; la revisione appare conforme al principio secondo il quale il vero Dio ci è stato rivelato nel Cristo.
Tra gli altri problemi cristologici all'ordine del giorno e che suscitano numerosi studi, segnaliamo il rapporto tra il Cristo della fede e quello della storia, come pure lo sviluppo della coscienza umana di Gesù, e soprattutto l'evento della risurrezione. Questi problemi si collocano ai confini delle ricerche bibliche e della t. speculativa.
Il problema del rapporto tra il Cristo della fede e il Cristo della storia conserva la sua acutezza, specialmente a seguito della persistente influenza di R. Bultmann, le cui concezioni radicali di demitizzazione del dato evangelico sono state contestate da parte protestante, da E. Käsemann e dai post-bultmaniani, ma che contribuisce ancora alla diffusione di una mentalità scettica sul valore storico dei testi. Certi cattolici hanno scoperto tardi il problema e non hanno ancora reagito sufficientemente.
Il problema dello sviluppo della coscienza umana di Gesù sarebbe stato impensabile nell'orizzonte della t. scolastica che attribuiva al Cristo terreno la visione beatifica. Un progresso si è realizzato con l'accettazione di una vera psicologia umana in Gesù. Esegeti e teologi cercano di spiegare come Gesù ha preso coscienza della sua filiazione divina e ha avuto uno sviluppo delle sue conoscenze religiose.
L'importanza della risurrezione del Cristo per l'opera della salvezza è posta sempre più in luce, ma il fatto in sé pone dei problemi, perché appare contemporaneamente immerso nella storia e trascendente in rapporto ad essa. Così esso forma l'oggetto di numerosi studi esegetici e riflessioni teologiche.
Mariologia. - Dopo il Concilio, lo sviluppo della t. mariana ha subìto un rallentamento, che ha coinciso con una crisi della devozione a Maria. Il tema della verginità di Maria ha suscitato delle controversie; presso certi esegeti e teologi è stato notato un atteggiamento molto critico nei riguardi della nascita verginale di Gesù, mentre altri hanno sottolineato i motivi esegetici e teologici che affermano la verginità di Maria nel concepimento del Salvatore.
A partire dal 1965 i congressi mariologici internazionali hanno seguito lo sviluppo del culto e della dottrina mariana nella Scrittura e nella tradizione (San Domingo 1965; Lisbona-Fatima 1967; Zagabria-Marija Bistrica 1971; Roma 1975).
Teologia della grazia. - La t. della grazia si è sviluppata in un senso sempre più cristologico; piuttosto che considerare essenzialmente i rapporti tra Dio e l'uomo, essa si è applicata principalmente a determinare le proprietà della grazia secondo la realizzazione concreta di questi rapporti nel Cristo in persona, e il senso dell'opera compiuta dal Salvatore.
Alcuni autori si sono sforzati di rivedere la t. del peccato originale, riducendo questo peccato a una situazione comunitaria che favorisce l'espansione del male a causa dei cattivi esempi e l'oscuramento dei valori; altri hanno ricordato che la semplice moltiplicazione dei peccati personali non rende conto del peccato originale e che bisogna risalire alla rappresentazione comunitaria nel peccato del primo uomo, ma nello stesso tempo hanno cercato un modo migliore di comprendere la dottrina tradizionale.
Teologia dei sacramenti. - Nella t. dei sacramenti, il battesimo dei bambini è stato rimesso in causa, in nome dell'esigenza di un consenso personale; alcuni hanno auspicato un ritardo fino all'età della ragione, cioè fino all'età adulta, mentre altri hanno approfondito il fondamento della pratica tradizionale, riferendosi alla fede e alla volontà della comunità ecclesiale, dalla quale non si possono escludere i piccoli.
Per quanto riguarda l'eucaristia, si sono continuamente sviluppate discussioni sul senso esatto della presenza reale e sui concetti di transustanziazione, di transignificazione e di transfinalizzazione.
Teologia morale. - L'evoluzione della t. morale è stata dominata dalla reazione contro il legalismo. Questa reazione è antica, ma ha assunto una forma più radicale in un periodo caratterizzato dalla valorizzazione della coscienza personale e dal rifiuto di ammettere delle leggi senza giustificazione.
Il ruolo di apprezzamento che appartiene alla coscienza di ogni uomo è stato più accuratamente studiato, specialmente in occasione delle controversie suscitate dalla "morale di situazione" che tendeva a far dipendere essenzialmente il giudizio morale dalle circostanze particolari dei casi individuali, e relegava nell'ombra le norme generali. Queste controversie hanno orientato i moralisti verso una posizione più equilibrata che non cancella la norma ma dà maggiormente fiducia alla coscienza personale per tradurla in una situazione determinata.
D'altra parte, la rimessa in questione delle leggi morali ha comportato un'indagine più approfondita delle sorgenti dell'obbligazione morale, della sua natura, e dei motivi che giustificano ogni enunciato di regola. Una più attenta lettura dei testi del Nuovo Testamento che chiariscono questo problema, ha provocato il ricorso al principio della carità, alla legge dello Spirito, alle Beatitudini. Sommariamente, si può dire che è stato sottolineato di più l'aspetto d'ispirazione che quello di comandamento.
Un settore in cui è apparsa più chiaramente la necessità di una revisione e di una giustificazione delle regole è quello della morale sessuale. In questo campo si comprende la volontà di liberarsi dei tabù, cioè di divieti irrazionali. In ciò la t. morale trova la possibilità di diventare una t. più autentica, considerando il corpo e la sessualità secondo le esigenze delle relazioni di Dio con l'uomo e secondo la nuova dignità conferita dal Cristo al matrimonio, all'amore umano e alla carne umana.
Teologia dei valori terrestri. - La t. dei valori terrestri, che si era sviluppata prima del Concilio, ha ricevuto un'approvazione ufficiale nei principi enunciati dalla Costituzione Gaudium et Spes. Dopo il Concilio questa t. si è impegnata soprattutto sul piano della giustizia sociale, raccomandando, come esigenza del Vangelo, l'instaurazione di un nuovo ordine in cui cesserebbe l'oppressione e lo sfruttamento dei più poveri.
Il cammino si è svolto soprattutto in America latina dove, a partire dal 1968, sono apparse le t. della liberazione. La più nota di queste t. è quella elaborata dal teologo peruviano G. Gutiérrez. Questo autore concepisce la t. come una riflessione critica sulla "prassi", e si pone deliberatamente in un orizzonte politico e sociale: costruire la città temporale - egli pensa - significa situarsi pienamente nell'opera della salvezza, che abbraccia tutto l'uomo e tutta la storia umana. Egli considera il Cristo come un liberatore politico, che si è opposto ai ricchi e ai potenti e ha difeso i poveri. Così la missione della Chiesa consiste nel denunciare le ingiustizie e nell'annunciare un regno in cui dominerà la giustizia. Da allora è inevitabile l'impegno nella lotta di classe: questa lotta è un fatto e la neutralità in questo campo sarebbe impossibile.
L'influsso del marxismo è molto sensibile in questa t. che concentra tutta la sua attenzione sulla pratica sociale: Gutiérrez si sforza di spiegare come il principio della lotta di classe è compatibile con l'universalità dell'amore e l'unità della Chiesa. Tuttavia, altri teologi hanno osservato che è molto difficile conciliare questa lotta di classe vista come una necessità con il precetto della carità del Vangelo, e che non si può qualificare liberatore politico colui che ha costantemente rifiutato di prendere partito nelle lotte politiche ebraiche, tanto più che non si può identificare il suo regno, che non è di questo mondo, con un determinato ordine sociale.
I rimproveri rivolti ai teologi della liberazione di alterare il Vangelo cercando altrove la loro vera ispirazione, non possono far dimenticare la fondatezza del loro progetto iniziale, l'applicazione dei principi del Vangelo all'ordine sociale; ma bisogna aggiungere che questa applicazione esce dal campo propriamente detto della t., al momento in cui si vogliono proporre delle soluzioni concrete o tecniche a particolari problemi sociali.
Teologia della donna. - Il movimento di emancipazione della donna ha provocato un nuovo sforzo nella t., non solo per mettere in evidenza la dignità della donna e la sua uguaglianza con l'uomo, ma per meglio precisare il suo ruolo nell'opera della salvezza e nelle attività della Chiesa.
I teologi hanno ricordato con compiacenza le parole di Paolo che afferma con vigore l'unità dell'uomo e della donna in Cristo, con l'abolizione di ogni ineguaglianza: "In Gesù Cristo... non vi è né uomo, né donna" (Gal. 3,28). Nessuno mette in dubbio il principio, ma la sua applicazione pratica è più lenta.
Per contro, l'opinione dei teologi è divisa sul problema di un eventuale accesso della donna al ministero sacerdotale. Alcuni ritengono che non possa sussistere alcuna obiezione teologica a questa eventualità. Essi pensano che se il Cristo ha scelto solo uomini come pastori della sua Chiesa, il motivo dev'essere ricercato nella mentalità giudaica dell'epoca, che non avrebbe tollerato un sacerdozio femminile. Dato che le condizioni sociologiche e la mentalità sono cambiate, attualmente si potrebbe ritenere superato l'ostacolo e quindi ammettere un sacerdozio femminile.
Altri teologi ritengono invece che Gesù abbia sufficientemente manifestato la sua volontà di riservare agli uomini il ministero pastorale, e che questa volontà appaia come definitiva. Essi fanno notare che il Cristo non si è mai lasciato influenzare dai pregiudizi dei suoi contemporanei contro la donna; al contrario, egli ha sempre reagito contro la loro mentalità e ha ristabilito l'uguaglianza della donna con l'uomo dove non veniva rispettata. Se avesse desiderato attribuire il ministero sacerdotale a delle donne, non avrebbe esitato a farlo, come non ha esitato a fare di una donna - Maria Maddalena - la prima testimone della sua risurrezione, quando il giudaismo non riteneva valida la testimonianza delle donne. I testi evangelici indicano che Gesù ha voluto l'emancipazione e la promozione della donna, ma su una linea di sviluppo diversa da quella del sacerdozio ministeriale.
A ogni modo, su un punto tutti sono d'accordo: Gesù ha manifestato la sua intenzione di attribuire alla donna un ruolo importante nello sviluppo della Chiesa, e si deve ammettere che questo ruolo non è stato sufficientemente riconosciuto nel passato, con le conseguenze di responsabilità che ne derivano. Il Vangelo richiede una migliore stima per la donna e una promozione del suo statuto e delle sue attività nella comunità ecclesiale.
Escatologia. - La t. dell'al di là è stata presa da una controversia in merito al periodo intermedio tra la morte e la risurrezione. Un vasto movimento di pensiero si è affermato nel senso della negazione dell'immortalità spirituale e di una riduzione della vita dell'al di là a quella della risurrezione. Esso si è fondato su una particolare interpretazione della morte e della risurrezione del Cristo. L'esistenza dell'escatologia intermedia, e più precisamente di un'immortalità spirituale che precede la risurrezione corporale, è stata giustificata da altri teologi a partire dai dati della Scrittura e dall'atteggiamento della Chiesa, specialmente della preghiera per i defunti e dell'invocazione dei santi.
Ecumenismo. - L'atteggiamento ecumenico, risolutamente preso dal Concilio e formulato nel decreto Unitatis redintegratio, non ha cessato d'influire sul movimento teologico. Uno sforzo dottrinale si è manifestato più particolarmente sull'intercomunione, per determinare a quali condizioni poteva effettuarsi la partecipazione di cristiani separati a una stessa celebrazione eucaristica.
Il problema pratico implica dei presupposti dottrinali: una vera comunione non può essere che una comunione di fede. Occorreva dunque cercare di suscitare questa comunione di fede formulando quello che i fratelli separati si accordano di affermare in merito all'eucaristia e al ministero sacerdotale al quale è stata particolarmente affidata la celebrazione sacramentale.
Così sono iniziate delle conversazioni tra teologi cattolici e quelli di Chiese separate, per ottenere questi accordi. Esse furono occasione di avvicinamento delle rispettive posizioni, grazie a una migliore mutua comprensione; i loro frutti furono raccolti nei testi redatti di comune accordo e approvati da ambe le parti.
Molti di questi testi meritano di essere citati, perché segnano una nuova tappa della t. ecumenica. Il documento di Malta è stato elaborato da una commissione nominata dal Segretariato per l'unità dei cristiani (per i membri cattolici), e dal Comitato esecutivo della Federazione luterana mondiale (per i membri luterani). Dopo cinque sessioni successive, dal 1967 al 1971, l'ultima delle quali si è svolta a Malta, è stato adottato un rapporto finale su un tema molto vasto: "Il Vangelo e la Chiesa". Esso contiene sia le divergenze dottrinali che i punti d'intesa. In Francia, il gruppo dei Dombes, composto di preti cattolici e di pastori protestanti, soprattutto riformati, pervenne a due accordi: uno sull'eucaristia (1971), in cui è affermata la presenza reale del Cristo anche dopo la celebrazione eucaristica, e l'altro sul ministero (1972), che però non è stato firmato dai partecipanti. Negli Stati Uniti, una relazione sull'eucaristia e i ministeri è risultata da un dialogo tra luterani e cattolici (1973), e in Inghilterra (a Canterbury) è stata pubblicata una dichiarazione comune sulla dottrina del ministero (1973), opera di una commissione internazionale composta di anglicani e di cattolici.
Questi accordi costituiscono solo una tappa; non si ottengono senza riserve né difficoltà. Essi comportano il rischio di presentare delle formule che ottengono il consenso soltanto per il loro senso largo o anche ambiguo, senza eliminare necessariamente profonde opposizioni dottrinali. La loro adozione non impegna, necessariamente, le Chiese rappresentate dai membri; infatti, per il documento di Malta, il luterano H. Conzelmann, per limitare la portata della sua firma, ha notato espressamente che non vi era dottrina luterana uniforme del ministero. Tuttavia, malgrado questi ostacoli, gli accordi manifestano indiscutibilmente un notevole avvicinamento dottrinale, e facilitano il cammino verso l'intercomunione.
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Teologia protestante (App. III, 11, p. 934). - Se dagli anni Trenta-Cinquanta ha predominato il pensiero di K. Barth e nell'esegesi i grandi maestri sono stati R. Bultmann e O. Cullmann, nel periodo 1960-75 è sorta una nuova generazione di teologi, collegata certo con la precedente, che sposta il punto di gravitazione del pensiero da Dio all'uomo con prevalenti interessi sociali e politici, come già rivela una certa terminologia: t. della liberazione, t. della rivoluzione, t. nera, t. africana, città secolare.
Questo orientamento viene favorito fra l'altro da un nuovo interesse per il marxismo e dalla Conferenza del Consiglio ecumenico delle Chiese di Ginevra del 1966 su Church and society e dalle numerose ricerche, da essa promosse, su problemi sociali e politici in relazione alla fede cristiana. Del resto la nuova t. trova molte sue motivazioni nella t. del periodo precedente, in P. Tillich (morto nel 1965), D. Bonhoeffer (morto nel 1945) e nel socialismo dello stesso K. Barth (morto nel 1968), come vedremo; ma sa anche creare nuove espressioni del pensiero cristiano, come la Teologia della speranza di J. Moltmann, per rispondere alle questioni che le vengono poste dalla cultura e dai problemi sociali più gravi.
Tillich e Bonhoeffer sono stati scoperti con un certo ritardo, almeno in Europa. Il tedesco-americano P. Tillich, destituito dall'insegnamento universitario dal regime nazista nel 1933, e rifugiatosi negli SUA, è stato meglio conosciuto in Germania soltanto dopo la traduzione delle sue opere in tedesco. L'interesse particolare di Tillich per la storia, come problema centrale della sua t. e filosofia, e il suo metodo di correlazione, basato sulla relazione fra Dio e l'uomo, lo portano a interessarsi a tutti i problemi della società contemporanea. "Dio risponde agl'interrogativi degli uomini e sotto l'aspettativa delle risposte di Dio l'uomo pone i suoi interrogativi. La t. formula i problemi contenuti nell'esistenza umana e formula pure le risposte incluse nella rivelazione divina, prendendo come punto di partenza gl'interrogativi posti dall'esistenza umana...". Tillich vuole cancellare la distanza fra Dio e il mondo, religione e cultura. La realtà totale è l'argomento della sua teologia. Dio è l'essere stesso, "potenza dell'essere", "fondamento del senso dell'essere". La realtà di Dio s'incontra nella realtà del mondo. Tillich trova la rivelazione ovunque, ma forse appunto per questo deve poi concludere, dicendo: "Noi viviamo in un periodo in cui per noi Dio è il Dio assente.
D. Bonhoeffer, nato nel 1926 a Breslavia, fu discepolo di R. Seeberg e studiò intensamente la t. di K. Barth. Fu pastore luterano e docente di t. all'università di Berlino. Sotto il regime di Hitler partecipò alla lotta della Chiesa confessante, mantenne rapporti ecumenici, in particolare con la Chiesa anglicana, anche durante la guerra, svolse attività politica contro il dittatore; incarcerato nel 1943, venne impiccato il 9 aprile 1945.
I suoi scritti furono in gran parte pubblicati negli anni Sessanta. Si ebbe poi una fioritura di studi bonhoefferiani sia in Europa che in America con interpretazioni molto diverse. La riflessione teologica di Bonhoeffer si concentra inizialmente sull'ecclesiologia. Nel 1930 pubblica Sanctorum communio. Eine dogmatische Untersuchung zur Soziologie der Kirche. La Chiesa è "il Cristo presente come comunità", "visibilmente inserito nelle strutture sociologiche di questo mondo". La conoscenza teologica è una "conoscenza ecclesiale", vincolata all'esistenza concreta dalla Chiesa (Akt und Sein, 1931). L'esistenza cristiana non è una "grazia a buon mercato", ma un seguire Cristo vivendo il messaggio del Sermone sulla Montagna (Nackfolge, 1937). La vita comune (Gemeinsames Leben, 1939) è la comunione fraterna creata dallo Spirito Santo, fondata sull'appello che il Signore rivolge a tutti i suoi. Negli anni della guerra e del carcere Bonhoeffer scrive l'Ethik (1949) e Widerstand und Ergebung (1951), e infine lettere e annotazioni, inviate dal carcere all'amico E. Bethge. Nell'Etica egli vuole eliminare la possibilità di "pensare in due scomparti" e quindi contrapporre sacro e profano, naturale e soprannaturale. Il comandamento di Dio ha un carattere totalitario e abbraccia tutta la realtà. Dio non si confonde con la realtà di questo mondo, ma ci viene incontro in essa, nell'ambito della storia. Di qui la rivalutazione delle "cose penultime", sebbene tutto si fondi sulla realtà ultima e da essa tragga il suo significato. Quelle e questa non vanno dissociate, come non si possono separare l'incarnazione di Cristo che manifesta l'amore di Dio per la sua creatura, la crocifissione che è il giudizio di Dio su ogni carne, la risurrezione che esprime la volontà di Dio di suscitare un mondo nuovo. La concretezza del comandamento di Dio, che abbraccia tutta la realtà e c'impegna a prendere sul serio le "cose penultime", significa anche responsabilità politica fino alla resistenza al potere dello stato, solidarietà col mondo sofferente, che vuole vivere "senza Dio" e nel quale Dio è divenuto impotente fino a essere espulso e soffrire sulla croce del Figlio.
I testi di Bonhoeffer più studiati sono certamente Widerstand und Ergebung e le lettere e annotazioni dal carcere, per quanto si tratti di scritti incompiuti e frammentari. In essi egli esprime la sua concezione di un mondo adulto, di un cristianesimo non religioso e di un'interpretazione secolare del linguaggio biblico. A riflettere su questi problemi lo porta, fra l'altro, la lettura di Zur Welt der Physik di R. Fr. von Weizsäcker. La maturità del mondo è oggi riconosciuta da molti teologi protestanti e fra questi Bonhoeffer è uno dei più radicali. Egli accetta da K. Barth la distinzione fra religione e rivelazione, ma osserva che Barth con la sua critica rimane nel campo teologico, egli invece ne vuole trarre tutte le conseguenze pratiche in relazione alla situazione storica concreta. Con il trionfo della ragione e la secolarizzazione del mondo, Dio viene espulso. Infatti man mano che la scienza umana progredisce, Dio viene a trovarsi in un moto costante di recessione verso la sfera di ciò che non è ancora conosciuto. Ma noi dobbiamo trovare Dio in ciò che conosciamo e non in ciò che ci rimane ignoto. Il mondo contemporaneo prende coscienza della sua maturità non soltanto di fronte alla natura, al progresso scientifico e tecnologico, ma anche di fronte ai grandi problemi umani: sofferenza, morte. Tuttavia l'uomo non è riuscito a risolvere il problema di sé stesso.
Il mondo adulto, che non sente il bisogno di cercare un sostegno o un rifugio all'infuori di sé stesso, si presenta come un mondo non religioso. La religione situa Dio al di là o al di qua della realtà concreta in cui viviamo. Il suo Dio è quello della metafisica e dell'interiorità. Il tentativo di un'interpretazione non-religiosa dei concetti biblici è il problema della predicazione cristiana al mondo moderno. Per questa interpretazione è fondamentale Joann 1,14: "E la parola è stata fatta carne". È la bassezza, la mondanità di Dio nella sua rivelazione. Interpretazione non-religiosa è interpretazione cristologica della Bibbia. Dio stesso ha sofferto nel mondo l'abbandono dell'uomo da parte di Dio. Da Bonhoeffer e dai teologi protestanti contemporanei viene spesso commentato in questo senso il grido di Gesù sulla croce: "Dio mio, Dio mio perché mi hai abbandonato" (Marc. 15,34). "Solo il Dio sofferente può essere di aiuto". Dio non sta nell'aldilà, egli è venuto nell'al di qua. La trascendenza si sperimenta nell'immanenza. "Dio sta proprio nel mezzo della nostra vita essendo aldilà". La vita cristiana è simile a una sinfonia, in cui l'amore di Dio e la sua eternità sono il "cantus firmus sul quale tutte le altre voci della vita risuonano come in contrappunto". L'amore di Dio che si esprime nel cantus firmus è Gesù Cristo.
Abbiamo accennato a diverse interpretazioni date al pensiero di Bonhoeffer. Gli uni riconoscono una continuità nel suo pensiero, intendono i suoi ultimi scritti in connessione con i precedenti, con la sua costante passione per la predicazione e la sua pratica di preghiera fino al momento dell'impiccagione; gli altri, come H. Müller, convinto marxista della Rep. Dem. Tedesca, affermano che il Bonhoeffer autentico è quello degli ultimi scritti, in cui non pensa più tanto alla Chiesa, ma alla responsabilità dei cristiani per la società nella prospettiva del crollo dell'ordinamento borghese.
Il carattere escatologico del cristianesimo primitivo, già affermato in campo protestante, da J. Weiss, A. Schweitzer, dalla t. dialettica negli anni Venti e ancora negli anni Sessanta da Tillich nella sua Systematic Theology, diviene nel modo più conseguente e radicale il programma teologico di J. Moltmann, professore a Tubinga. Nella sua Theologie der Hoffnung (1964) egli riprende il principio della speranza e numerosi altri concetti di E. Bloch e li reinterpreta in senso cristiano. Si può riassumere il suo programma con la formula anselmiana modificata: spes quaerens intellectum - spero ut intelligam. "La speranza è il fondamento e il motore del pensiero teologico". Questo è anche il principio ermeneutico che presiede a tutta l'interpretazione dei testi biblici. Il futuro di Gesù Cristo, rivelato nella risurrezione, è il compimento della promessa divina che riempie l'Antico e il Nuovo Testamento. La cristologia è interpretata e sviluppata movendo dalla risurrezione. La speranza escatologica è riferita a un futuro reale sulla terra. "Secondo la dialettica della croce, il futuro di Dio non inizia in alto, presso la classe dominante... ma in basso. La speranza di Dio è collegata nel Crocifisso con quegli uomini che una società... discrimina e sfrutta. La conoscenza di questo fatto distingue la nuova t. della liberazione dalla vecchia t. liberale, il cui fine era la borghesia".
Nella prospettiva della speranza escatologica (novum ultimum) possono venire ricompresi i movimenti che tentano di trasformare la storia dell'umanità. Poiché con il metodo della scienza storica non è possibile provare la storicità della risurrezione di Gesù Cristo, bisogna rivedere il concetto di storia. "La risurrezione di Cristo è senza paralleli nella storia a noi nota. Ma appunto perciò può essere considerata un avvenimento che fa storia, che illumina la rimanente storia, la pone in questione e la trasforma... Dal ricordo pieno di speranza di questo avvenimento non vengono dedotte leggi universali del divenire del mondo, ma con il ricordo di quest'ultimo e irripetibile avvenimento viene richiamato alla memoria il futuro di tutto il divenire del mondo. Allora la risurrezione di Cristo non presenta un'analogia con ciò che sempre si può sperimentare, ma un'analogia con tutto ciò che deve avvenire". Ormai "la vera categoria della storia non è più il passato e il transitorio, ma il futuro". La storia è una parentesi fra la risurrezione e il ritorno di Cristo, e quello che avviene in essa ha l'orientamento irreversibile verso il futuro.
Alla speranza viene associato il concetto di missione, perché i cristiani nell'attesa del regno di Dio sono chiamati a mutare il mondo. Devono abbandonare la loro esistenza conservatrice per un'esistenza rivoluzionaria. Devono sapere quali nuove possibilità la risurrezione di Cristo ha manifestato all'umanità. Ciò implica la trasformazione della società attuale per la "realizzazione del diritto", l'"umanizzazione dell'uomo", la "socializzazione dell'umanità, la pace di tutta la creazione"; ma il termine della speranza è oltre, è il regno di Dio. Finché i morti non risuscitano la speranza non è interamente adempiuta. Immanenza e trascendenza per la speranza costituiscono un'unità. "Emancipazione e redenzione vanno integralmente insieme e non devono essere separate". Il mondo non è compiuto, è una creazione aperta in vista della speranza. "Il mondo è quello che deve venire, e quello che deve venire è il regno di Dio". Qui è superato il momento politico della liberazione e la speranza diviene trascendente.
Erano trascorsi appena due anni dalla pubblicazione della Teologia della speranza, quando negli Stati Uniti cominciò a diffondersi la t. della morte di Dio. Due esponenti di questa corrente erano Th. J. J. Altizer e W. Hamilton, che insieme pubblicarono l'opera Radical theology and the death of God. Essi si richiamano a Hegel (passaggio dall'assoluto trascendente all'immanenza dello spirito nella storia), a Nietzsche e ad altri precursori della morte di Dio; erroneamente anche a Bonhoeffer. In realtà questa è una reazione alla concezione teistica astratta, nata da una simbiosi del Dio della Bibbia e del Dio della filosofia greca, un Dio nell'aldilà, impassibile, fuori del tempo. Altizer e Hamilton derivano la loro t. dall'incarnazione di Dio, per cui "Dio è Gesù". L'incarnazione è progressiva nel corso della storia: da Dio a Gesù e poi dal Gesù storico al corpo universale dell'umanità. Cosí l'epifania del logos divino si ha in ogni volto umano. L'Iddio trascendente è morto in Cristo. È un avvenimento storico e cosmico definitivo: "Noi riconosciamo il carattere definitivo dell'incarnazione, quando sappiamo che Dio è morto". "La morte di Dio ha attuato nella nostra storia un'umanità nuova e liberata".
Moltmann riprende questo argomento dal punto di vista della t. trinitaria in Der gekreuzigte Gott (1972). Egli chiede: "Chi è Dio sulla croce del Cristo abbandonato da Dio)" (cfr. Marc. 14,34). Sulla croce soffre e muore il Figlio, perciò Dio è morto sulla croce e tuttavia non è morto; ma la croce di Gesù è un avvenimento che lo coinvolge. "La fede cristiana non è monoteismo radicale". "Il teismo dice che Dio non può patire, non può morire, e questo lo afferma per dare un valido riparo all'essere che patisce e muore. La fede cristiana invece sostiene che Dio ha sofferto nella passione di Gesù, Dio è morto sulla croce di Cristo e questo perché vivessimo e risorgessimo nel futuro". Dio e sofferenza non sono contraddittori come per il teismo e l'ateismo. "L'essere di Dio è nella sofferenza e la sofferenza è nell'essere stesso di Dio, perché Dio è amore". Di fronte al Dio morto del teismo questo è l'Iddio vivente della Bibbia che cammina con gli uomini attraverso la loro storia.
Nella Teologia della speranza Moltmann pone l'accento sulle anticipazioni del futuro di Dio, percepite nelle promesse e nelle speranze; nella teologia della croce invece egli cerca d'intendere "l'incarnazione di quel futuro mediante la storia della passione di Cristo nella storia della passione del mondo". La morte di Cristo ha un "significato salvifico di rappresentanza". Il Dio della croce implica "conseguenze anche nell'ambito della socialità e della personalità dell'uomo, della società e della politica, come pure nell'ambito della cosmologia". Ripensando la t. della croce non ci si deve limitare al problema della salvezza personale, ma considerare la liberazione dell'uomo dalle spire di morte che lo soffocano nella società.
Come abbiamo visto, i problemi sociali sono costantemente presenti nella t. contemporanea, la cristologia e anche la dottrina della Trinità vengono messe in relazione con la vita e la sofferenza del mondo moderno, la secolarizzazione, la liberazione degli oppressi e tutta la storia degli uomini. Alcune correnti si concentrano in modo del tutto particolare su tali problemi. Un rappresentante di questa corrente è H. Cox, dell'università di Harvard, con la sua opera The secular city (1966). "Nell'epoca della città secolare la politica sostituisce la metafisica come lingua della teologia. Parliamo di Dio in termini politici, se mai diamo al nostro prossimo la possibilità di essere persona adulta e responsabile". Per Cox tutto il mondo è officina dell'uomo, tuttavia non senza Dio, misterioso collaboratore dell'uomo. Simile orientamento hanno tutte le t. della liberazione e fra queste la Black theology (1970) di J. H. Cone, "il primo teologo negro di statura internazionale". Per Cone "la condizione nera è simbolo di oppressione e di liberazione in qualsiasi società". La nerezza ha un valore simbolico e significa oppressione, non solo fra i negri degli SUA, ma in ogni popolo e classe sociale. Dio è l'Iddio degli oppressi, perciò è nero. Anche Cristo è nero. "Dire che Dio è nero significa... che l'essenza della natura di Dio è da trovare nel concetto di liberazione". Anche i bianchi, se vogliono essere salvati, devono divenire neri, cioè schierarsi con Cristo tra gli oppressi.
Con simili preoccupazioni sociali Fr. W. Marquardt di Berlino ha svolto le sue indagini sulle origini della t. di K. Barth, esposte in Theologie und Sozialismus. Das Beispiel Karl Barths (1972). Barth s'iscrisse al Partito socialista svizzero nel 1915 e svolse un'intensa attività sindacale durante il pastorato in Safenwil (Argovia), cioè negli anni in cui il suo pensiero si evolveva dalla t. liberale verso la nuova comprensione della Bibbia, esposta in seguito nel suo commento all'Epistola ai Romani. Egli affermava che la sua appartenenza al socialismo non era ideologica, ma politico-pratica. Sperò in una Chiesa socialista in un mondo socialista. La comunità cristiana avrebbe dovuto divenire un soggetto rivoluzionario. Nella 2ª ed. del suo commento ai Romani, Barth esigeva che la Chiesa partecipasse agli scontri per le strade. Tuttavia non riconobbe la rivoluzione bolscevica come vera rivoluzione. Agl'inizi della sua t. cercò "un rapporto organico fra la Bibbia e il giornale, fra il mondo nuovo e la società borghese in isfacelo". Solidarizzò e s'identificò con il proletariato, cercando non d'interpretare, ma di mutare la situazione. Nella sua elaborazione teologica cercò di mettere in stretto rapporto tutto il messaggio biblico con la società nel suo complesso. "In Safenwil il proletariato è il materiale della spiegazione della S. Scrittura". Le circostanze sociali e politiche creavano nuove situazioni esegetiche. Rendevano Barth e il suo amico e collaboratore E. Thurneysen attenti alla Bibbia in modo del tutto nuovo. La struttura di un'esegesi volta verso il futuro non doveva essere credere e comprendere, ma amore, speranza e salvezza del genere umano. Un esempio di esegesi sul materiale della cultura dei valori sociali obiettivi è la spiegazione di Rom. 13 (1ª e 2ª ed. del suo commento), il cui materiale è la rivoluzione sovietica. Barth non si è basato su fenomeni antropologici generici, ma su situazioni sociali concrete. L'affermazione di Paolo in Rom. 8 che la creazione geme attendendo la manifestazione dei figli di Dio, esprime l'angosciosa situazione del proletariato che guarda anzitutto a noi, figli di Dio, che insieme con i proletari siamo colpiti dalla miseria del capitalismo. Vi è dunque fra noi e loro identità di situazione, cioè solidarietà. Questo concetto di solidarietà, preso dal linguaggio di lotta dei socialisti, unisce il proletariato e la nuova t. di Barth. La dottrina delle due nature di Cristo diviene l'espressione teologica obiettiva della solidarietà socialista-cristiana: "Un vero cristiano dev'essere socialista, un vero socialista dev'essere cristiano". Nel tentativo di formulare un concetto di Dio, Barth prese come fondamento l'esperienza della trascendenza fatta nel proletariato e nella solidarietà con esso. "Il concetto del 'totalmente altro' di Dio, affermato nel quadro dell'esperienza barthiana della trascendenza, non è una totalmente altra ontologia di Dio, che stia aldilà o accanto, ma pone Dio in rapporto con il 'totalmente altro' del nuovo mondo, dell'uomo nuovo, del nuovo cielo, della nuova terra, del tempo nuovo, dunque dei contenuti della rivoluzione". In presenza della totalità sociale alienata del nostro tempo, il divino viene definito come "un tutto in sé concluso, qualcosa di nuovo, diverso di fronte al mondo". Barth vede la totalità di Dio nell'immagine riflessa dalla totalità sociale e la "logica di Dio" nell'immagine riflessa dal "logos della società". Anche la logica di Dio è logica sociale, ma di una società diversa, non ancora creata neppure dal comunismo russo. Il contenuto del concetto di Dio significa per Barth "togliere la tutela o piuttosto lo sfruttamento e l'oppressione degli uni da parte degli altri, togliere le differenze di classe e le frontiere fra le nazioni, porre fine alle guerre...". È lo scopo dell'azione etico-sociale, un programma socialista per riassumere l'etica cristiano-chiliasta. Anche nella Dogmatica ecclesiale è la "realtà che si riferisce alla totalità dell'umana esistenza, che non soltanto illumina di nuovo, ma realmente trasforma tutti ed è tutto in ogni cosa".
La tesi sostenuta da Marquardt è che "la dogmatica ecclesiale sottopone la tradizione dogmatica del cristianesimo al canone di questo concetto di Dio riflesso dalla società". L'interpretano bene soltanto "quelli che l'intendono politicamente...". Come la Bibbia riscoperta nel 1914-18, anche la Dogmatica del 1932 va intesa in un contesto sociale-politico. Sia la Bibbia che la Dogmatica vanno lette politicamente.
Thurneysen, pur accettando sostanzialmente questa interpretazione di Barth, osserva che Marquardt non tiene sufficientemente conto della riserva escatologica del teologo studiato, non soltanto di fronte al socialismo, ma di fronte a tutti gli "ismi". Barth non ha scambiato nessun mutamento rivoluzionario con l'avvento del regno di Dio.
In una certa corrispondenza con la t. sistematica, questi ultimi lustri, nel campo dell'esegesi biblica, appartengono ormai all'epoca postbultmanniana, iniziata da E. Käsemann di Tubinga che ha rimesso in discussione il problema del Gesù storico. Bultmann si era limitato ad affermare che Gesù è venuto, ma non poteva dire nulla sulla sua vita e la sua persona. I suoi discepoli, con l'ausilio della critica storica, vogliono sapere di più: chi era Gesù, che cosa egli ha fatto e detto. Non ripetono il tentativo della t. liberale di ricostruire una "vita di Gesù". Ma dal kerygma neotestamentario vogliono risalire a Gesù stesso e mostrare così la continuità fra il Gesù storico e il Cristo della predicazione, nonostante la discontinuità rappresentata dalla croce e dalla risurrezione. Nei Vangeli si possono riconoscere i tratti caratteristici della persona e della predicazione di Gesù. All'inizio della fede cristiana non vi è un mito, ma una persona: Gesù di Nazareth.
Bibl.: Oltre alle opere citate nel testo: H. Zahrnt, Die Sache mit Gott, Monaco 1966 (trad. it. Alle prese con Dio, Brescia 1969); Tendenzen der Theologie im 20. Jahrhundert, a cura di J. Schultz, Stoccarda-Olten 1966; P. Tillich, Gesammelte Werke, 13 voll., Stoccarda 1958-72; id., On the boundary. An autobiographical sketch, New York 1966 (trad. it. Sulla linea del confine, Brescia 1969). Su P. Tillich: B. Mondin, P. Tillich e la trasmitizzazione del cristianesimo, Torino 1967; D. Bonhoeffer, Gesammelte Schriften, 6 voll., Monaco 1958-74. Su D. Bonhoeffer: Autori vari, Die mündige Welt, 5 voll., ivi 1958-66; E. Bethge, D. Bonhoeffer, ivi 1967 (trad. it., Brescia 1975); R. Marlé, D. Bonhoeffer, Tournai 1967 (trad. it., Brescia 1968); I. Mancini, Bonhoeffer, Firenze 1969; S. Sorrentino, La teologia della secolarizzazione in D. Bonhoeffer, Alba 1974. J. Moltmann, Religion, revolution and the future, New York 1969 (trad. it. Religione, rivoluzione e futuro, Brescia 1971). Teologia della morte di Dio: P. M. van Buren, Reden von Gott in der Sprache der Welt, Zurigo-Stoccarda 1965; Th. J. J. Altizer, The Gospel of Christian atheism, Filadelfia 1966 (trad. it. Il Vangelo dell'ateismo cristiano, Roma 1969). Sul socialismo di K. Barth; E. Thurneysen, K. Barth, Theologie und Sozialismus in den Briefen seiner Frühzeit, Zurigo 1973. Sul problema del Gesù storico: G. Bornkamm, Jesus von Nazareth, Stoccarda 1956; E. Käsemann, Exegetische Versuche und Besinnungen, vol. I, Gottinga 1960; G. Ebeling, Jesus und Glaube, in Wort und Glaube, Tubinga 1960; E. Fuchs, Die Frage nach dem historischen Jesus, in Gesammelte Aufsätze, vol. II, ivi 1960.