TEOGNIDE (Θέογνις, Theognis)
Poeta dell'elegia greca. Cittadino della Megara Nisea, egli poetava nell'ultimo decennio del sec. VI e nel primo del V. Viveva ancora quando alle città greche si avvicinava il pericolo dell'invasione persiana (480).
T. è un nobile spodestato che vive e protesta sotto il regime democratico, costituito a Megara già alla metà del sec. VI, dopo la caduta del tiranno Teagene. Ma i torbidi non erano cessati con l'instaurazione della democrazia, perché alla lotta per i diritti civili subentrò la lotta di classe per l'eguaglianza economica. Privato dei suoi beni e fuggiasco, T. conobbe il pane amaro dell'esilio. Andò ramingo in Eubea, a Sparta, in Sicilia, dove ebbe la cittadinanza di Megara Iblea (così pare da interpretare la notizia in Platone, Leggi, I, 630 A, che egli fosse cittadino della Megara di Sicilia). Tardi poté tornare in patria, ma non riebbe più i beni perduti.
T. aveva scritto, secondo Suida, un'elegia per i Siracusani scampati a un assedio, una serie di sentenze indirizzate a Cirno, ed altre esortazioni morali rivolte ad amici: complessivamente 2800 versi. Ci sono conservati sotto il suo nome 1389 versi, in due libri di disuguale estensione (i primi 1230, del primo libro, di contenuto morale e politico vario, i rimanenti, del secondo libro, ispirati alla Musa puerilis). Il nucleo della raccolta è costituito dagli ammonimenti a Cirno, opera genuina del poeta, una specie di breviario spirituale per le antiche aristocrazie doriche, concepito nel momento in cui esse andavano dovunque tramontando dinnanzi alla democrazia, nei decennî che precedono le guerre persiane. L'opera è perciò anche polemica e rispecchia la lotta di un passato che non voleva morire e s'irrigidiva nella sua tradizione, ma solo per essere travolto dal moto inesorabile della storia. È la stessa tragedia che si riflette, con più profondo senso di universalità, nella grande anima di Pindaro. Questi ammonimenti a Cirno vennero a costituire, alla fine del sec. V, il fondo di una silloge gnomica, composta sopra tutto a scopo simposiaco e utilizzata poi a fine educativo. In essa sono incorporati frammenti di altre ‛Υποϑῆκαι ad amici e sono stati aggiunti anche versi di altri poeti (Solone, Mimnermo, Tirteo, Eveno, Focilide), sicché non sempre riesce facile, tra le varie aggiunte, sceverare il genuino patrimonio teognideo.
Cirno, a cui la maggior parte dei consigli sono rivolti e il cui nome così spesso ricorre nella raccolta, è il figlio di Polipaos, un giovinetto caro al poeta. A lui lo sdegnoso oligarca, mentre porge precetti di vita, cerca d'infondere il culto per la tradizione antica e l'odio per la plebe insolente. E la passione politica sa trovare in Teognide accenti di una asprezza e di una fierezza di rado altre volte raggiunte, forse mai superate.
Poiché Teognide è gnomico, ma non della sentenziosità vacua ed astratta del retore e del pedagogo. La sua gnomica nasce dalla vita. È essa stessa, dolorosa e amara esperienza di vita.
La sua concezione della vita si traduce in un pessimismo desolato e amaro, ma pur tuttavia sereno. La vita non vale di essere vissuta. Meglio non nascere affatto per la creatura mortale. E per chi una volta sia nato, la cosa migliore è varcare al più presto le porte dell'Ade. Anche il problema del male lo tormenta. Egli non sa conciliare l'esistenza del male con l'onnipotenza divina. A Giove, signore degli uomini e degli dei, questo Giobbe greco rivolge una domanda, profondamente umana: "Perché non sono puniti i malvagi? Perché soffrono i buoni? E perché i figli innocenti pagano per le colpe dei padri? Come questo può essere giusto?" (versi 373-380). Altrove è il pensiero della vita e della giovinezza che fugge. Affrettarsi a godere perché saremo terra nera domani (versi 877-878). I mali e le tristezze dell'esilio, le gioie fugaci della vita, il vino, l'amore e la musica, l'odio per gli avversarî, dei quali, assetato di vendetta, egli vorrebbe bere il sangue nero, lampeggiano nei suoi distici concitati e freschi, talvolta taglienti come una lama, talaltra canori come acqua che sgorghi di vena. Spesso le determinazioni personali si perdono e scompaiono, il sentimento si generalizza ed assume la forma di sentenza, ma freme sotto ogni sentenza la concretezza della vita reale.
La questione teognidea. - Abbiamo esposto le opinioni prevalenti e correnti sulla cronologia e la personalità del poeta, ma la questione teognidea è in realtà dal Camerarius al Welcker, al Reitzenstein, allo Jacoby, una vexata quaestio su cui il consenso degli studiosi è lungi dall'essere raggiunto. Per quanto riguarda la patria, sostenne il Beloch, seguito da altri studiosi, essere Teognide nativo della Megara di Sicilia, ma le sue argomentazioni furono ribattute dal Lavagnini. Per la cronologia si inclina a ritenere la data di Suida e dei cronografi (Ol. 59=544 a. C.) come orientata sulla caduta di Sardi (546), e fissata riferendo alla conquista persiana della Ionia i versi 757 segg. e 773 segg. della silloge, che invece contengono allusioni alle guerre persiane.
Ma, ultimamente, lo Jacoby ha contestato la possibilità di tale errore nella cronografia antica. La data di Suida indicherebbe perciò la ἀκμή del poeta, o meglio del "poeta di Cirno". Poiché lo stesso Jacoby riconosce nel Corpus Theognideum l'opera di poeti diversi e distinti. Il fondo più antico della silloge sarebbero le ‛Υπροϑῆκαι di Teognide di Megara a Cirno, della metà del secolo VI, alle quali si affiancano un libro di contenuto pederastico, che potrebbe essere di cento anni posteriore, e una silloge gnomica di un poeta megarese del tempo delle guerre persiane. A questo triplice nucleo si sarebbero sovrapposte aggiunte di ogni sorta. Ma basti avere accennato così alla complessità di problemi suscitati dalla silloge teognidea, la quale deve il suo particolare valore letterario e storico al fatto di essere il più cospicuo documento a noi conservato dell'antica elegia greca. Fra le opinioni dei moderni sul carattere del Corpus fu particolarmente feconda e illuminante l'intuizione del Reitzenstein, che riconobbe la destinazione simposiaca della silloge, la quale ne spiega, almeno in parte, l'aspetto attuale e le vicende nella tradizione. Quello che era stato un libro di versi, ora liberi e lirici, ora sentenziosi, da ripetere nei simposî, fu usato come libro di massime morali per la gioventù fino a divenire una specie di testo scolastico, oggetto di attenzione da parte dei filosofi e degli educatori. Platone lo cita. Senofonte ne fece argomento di un'operetta. Il nome di Teognide finì col passare in proverbio (si diceva: "Questo lo sapevo anche prima che fosse nato Teognide". Plutarco, Mor., 777 C; il proverbio era noto già a Lucilio, frg. 952 M). Stobeo gli fa larga parte nel suo Florilegio. A questo interesse pedagogico e morale la raccolta, che era nella sua forma originaria un manuale di etica aristocratica, deve la sua conservazione.
Codici ed edizioni. - Il manoscritto principale è il Mutinensis (o piuttosto Veronensis) del sec. X, ora Paris. suppl. Gr., 388 (C. O. Zuretti in Rivista di filologia classica, XIX, 1891, 161 segg.), che solo porta i versi del secondo libro; degli altri mss. il più importante è il Vatic. 915, secolo XIII. - Editio princeps (con Teocrito e altri) l'aldina di Venezia, 1495. Fondamentale l'edizione di I. Bekker, Lipsia 1815, che scoprì il secondo libro; seguirono le edizioni di F. G. Welcker (1826), Ziegler (2a ed. 1880), Sitzler (1880) di Th. Bergk., nei Poetae lyrici graeci II, 4a ed., 1880, p. 117 segg.; edizione con commento di T. Hudson-Williams, Londra 1910; di E. Diehl in Anthologia lyrica I (Lipsia 1923), pp. 117 segg.; una scelta in Lavagnini, Nuova Antologia dei framm. della lirica greca, Torino 1933, pp. 86-110. Traduzioni italiane di G. Fraccaroli, I lirici greci, I (Elegia e Giambo), Torino 1912, e di E. Romagnoli, I Poeti Lirici, V, Bologna, pp. 6-238, con interessanti osservazioni.
Bibl.: W. Schmid, Geschichte der griechischen Literatur, I, i, Monaco 1929, p. 375 segg.; W. Aly, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A, col. 1972 segg.; R. Reitzenstein, Epigramm und Skolion, Giessen 1893; U. v. Wilamowitz, Die Textgeschichte der griechischen Lyriker, Berlino 1900; nuova e originale impostazione delle questioni teognidee da parte di F. Jacoby: Theognis, in Sitzungsberichte der Preussischen Akademie, 1931, pp. 20-180, e la recens. di M. Pohlenz, in Götting. gelehrte Anzeigen, 1932, p. 410 segg.; W. Jaeger, Paideia, Berlino-Lipsia 1934, p. 251 segg.; T. W. Allen, Theognis, in Proceedings of the British Academy, XX (1936); sulla questione della patria, in favore della "sicilianità", J. K. Beloch, in Rheinisches Museum, L. (1895), p. 250, e Griech. Geschichte, 2a ed., I, ii, Berlino 1926, p. 365, seguito da U. Mancuso, in Rivista di filologia classica, XXXIX (1911), p. 21 seg. e La lirica classica greca in Sicilia e nella Magna Grecia, in Annali della R. Scuola normale superiore di Pisa, 1912, p. 126 seg.; L. Pareti, Theognidea, in Studi sicelioti e italioti, Firenze 1920, pp. 101-112; in contrario, B. Lavagnini, La patria di Teognide, in Archivio storico per la Sicilia orientale, XXVIII (1932), e in Nuova Antologia dei fr. della lirica greca, pp. 110-119.