GALLACCINI (Gallacini), Teofilo
Figlio di Claudio e di Eufrasia d'Ansano Molandi, nacque a Siena il 22 sett. 1564. Fu avviato allo studio della grammatica e della retorica dai padri gesuiti. In seguito frequentò la scuola di filosofia di Livio Rettori, quella di medicina teorica di Niccolò Finetti e quella di medicina pratica di Crescenzio Landi. Il 19 giugno 1583 si laureò in filosofia e medicina presso l'Università di Siena e fece successivamente pratica presso l'ospedale di S. Maria della Scala. Nel 1590 si recò a Roma per perfezionare gli studi di medicina e fu ben presto in grado di scrivere un Trattato di anatomia. Durante il soggiorno romano (1590-1602) rivolse i suoi interessi anche ad altre discipline scrivendo opere di astronomia, De radio Latino e De natura angulorum; di matematica, Perigonia o degli angoli e Della natura del cerchio (rispett.: Siena, Bibl. comunale degli Intronati, ms. L.IV.5, cc. 1r-86r e 89r-177v); di geometria, I principi della geometria; e di meccanica, De mechanica e lo Zibaldone di architettura e meccanica. Nel manoscritto Sopra i porti di mare (Ibid., ms. L.IV.3, cc. 1r-46v) redatto presumibilmente tra il 1597 e il 1602 il G. raggiunse un'equilibrata sintesi delle diverse discipline fino ad allora studiate.
Il manoscritto si divide in tre parti. Nella prima illustra i difetti del porto di Napoli e la necessità di una diversa localizzazione (cc. 1r-4v, 6v-7v). Nella seconda, più propriamente tecnica, si occupa dei sistemi costruttivi dei moli e delle macchine necessarie (cc. 12rv, 13r, 16r, 19v, 20r-22r). Nella terza, infine, esclusivamente progettuale, analizza i modelli in curva e a spirale, la cui matrice può ritrovarsi in Leonardo da Vinci. Segue una rassegna dei vari modelli di porto, tra cui alcuni antichi come quello di Claudio a Ostia, ricavato da una moneta (c. 27r), quello di Traiano ripreso da S. Serlio (c. 27v) e quello di Alicarnasso (c. 28r), ricostruito in base al testo di Vitruvio. I porti sono generalmente fortificati: all'imbocco compaiono torri, fortini e ripari scoperti. I moli sono difesi da mura bastionate che spesso si ricongiungono con quelle della città e assumono qualche volta il profilo a dente di sega che richiama opere di Francesco di Giorgio Martini. Il contributo del G. non sta tanto nelle soluzioni progettuali - che risentono dell'influenza di Buonaiuto Lorini, più volte citato nel testo, o di Giovan Battista Della Valle - quanto nella sistematicità dell'impostazione. Così concepita l'opera si inserisce in quel filone di attività, a metà tra la ricognizione e il progetto, che sul finire del Cinquecento venne sempre più richiesta agli ingegneri militari da sovrani e viceré, in quanto necessaria per l'ammodernamento del sistema difensivo-costiero dei propri regni.
Un anno dopo il suo ritorno a Siena (1602) il G. sposò Camilla di Fortunato Jacomini dalla quale ebbe numerosi figli: fra questi Fausto seguì le orme del padre e Bernardino diventò giureconsulto e conservò i testi manoscritti del padre.
Nella città natale il G. frequentò molti eruditi tra cui Celso Cittadini, storico e antiquario, Francesco Piccolomini, filosofo, e Giulio Mancini, cameriere segreto e archiatra di Urbano VIII, autore delle Considerazioni sulla pittura. Proprio col Mancini, di cui era coetaneo, il G. condivise quell'atteggiamento da virtuoso, amatore, dilettante tipico dell'epoca rinascimentale.
Durante le riunioni delle Accademie degli Intronati e dei Filomati alle quali risulta iscritto dal 1603, il G. leggeva periodicamente componimenti in versi latini e greci, Varii e diversi discorsi accademici, ed altre diverse composizioni… fra gl'Accademici Filomati (Siena, Bibl. comunale degli Intronati, ms. L.IV.1, cc. 1r-73r); o in prosa volgare, Raccolta di prose e lettere toscane dei secoli XIII e XIV, di cui esiste una copia, fatta da G.A. Pecci, conservata a Firenze, Bibl. Moreniana, FondoPecci 14 (15); o trattati sotto forma di dialoghi, la Monade georgofila e la Monade celeste, ovvero Trattato di cosmografia (Siena, Bibl. comunale degli Intronati, ms. L.VI.31); o piccoli discorsi. In uno di questi, Della nobiltà dell'architettura (Siena 1869), il G., riprendendo le idee di Daniele Barbaro, definisce l'architettura sovrana di tutte le altre discipline.
Nel 1610 il G. compì un tour attraverso la Toscana, l'Umbria e le Marche.
Del viaggio si conserva un taccuino (Siena, Bibl. comunale degli Intronati, ms. K.VIII.4) sotto il titolo Itinerario… per diverse città d'Italia. Il testo si svolge secondo la formula degli appunti di viaggio dove, oltre alle spese quotidiane per il vitto e l'alloggio, viene annotato un itinerario che da Lucignanello porta fino a Grillo. L'attenzione con cui vengono riportate le iscrizioni, ancora visibili in molte delle opere rilevate come, ad esempio, l'urna romana del Museo archeologico di Chiusi (c. 4v) oppure l'iscrizione latina in via Porsenna, n. 44, a Chiusi (c. 5r), denuncia la ricercatezza tipica dell'ambiente antiquario romano di fine Cinquecento. Ricercatezza che il G. aveva già espresso nella redazione di una raccolta di iscrizioni greche e latine, L'antichità risorta delle iscrittioni sepolcrali (Bibl. apost. Vaticana, Manoscritti Chigiani, I.V.164-166), scritta durante il periodo romano, particolarmente apprezzata da Della Valle che se ne servì per alcuni suoi studi, ma ridimensionata da Giovan Battista De Rossi, il quale affermò che quasi tutte le epigrafi ivi contenute erano state ricavate dai testi di Celso Cittadini (Mazzi, 1892, p. 348). Il G. arricchì il taccuino con piante e alzati delle chiese di Paciano (c. 8r), Mongiovino (c. 8v), S. Maria degli Angeli presso Assisi (c. 10r) e Loreto (cc. 12rv, 13v). I disegni, sebbene non troppo accurati, rivelano la capacità dell'autore di cogliere i caratteri essenziali delle architetture.
Morto nel 1621 Guglielmo Cangioli, titolare dell'insegnamento di scienze presso l'Università di Siena, il G. fu nominato suo successore, e nel 1623 gli fu affidata la cattedra di logica e di filosofia.
Nel 1625 il G. concluse il trattato Degli errori degli architetti… insieme con alcuni insegnamenti di architettura per giovamento degli studiosi di tal professione, e di tutti quelli che hanno bisogno di fabricare (Londra, British Library, King's Mss., 281); il codice fu poi stampato a Venezia nel 1767 a cura di Antonio Visentini (ristampato più volte in anastatica; l'edizione più recente, presso Forni, Sala Bolognese 1989).
L'opera riscosse un grande successo presso i contemporanei tanto da essere citata da Alessandro VII nel suo diario (Krautheimer - Saint Jones, 1975). Probabilmente il papa doveva possedere la copia già appartenuta al Mancini, cui il trattato era dedicato (Bibl. apost. Vaticana, Manoscritti Chigiani, G.I.12). Il manoscritto è un documento prezioso per comprendere il passaggio dal manierismo al barocco. L'accesa polemica contro il capriccio architettonico, infatti, si pone quale anello di congiunzione tra le posizioni controriformiste di matrice vitruviana di Cassiano Dal Pozzo e quelle classiciste di G.P. Bellori, per arrivare ai più estremi giudizi dei critici neoclassici quali L. Pascoli e F. Milizia. Non è un caso che il testo vide la pubblicazione nel 1767 sotto il patrocinio del libraio veneziano G.B. Pasquali e la cura del Visentini che, rileggendo in chiave antibarocca il manoscritto del G. ne attualizzò il significato, inserendolo nel dibattito architettonico del Settecento e modificando il corredo illustrativo del trattato (Brusatin, 1980, p. 233).
Il trattato si divide in tre parti. La prima analizza gli errori che possono essere commessi prima di cominciare una fabbrica, dalla cattiva scelta dei luoghi e dei materiali, alla errata interpretazione dei disegni. L'analisi è basata sulle recenti esperienze di carattere scientifico. La seconda individua gli errori che si commettono durante la costruzione, dal cattivo proporzionamento delle parti che compongono le fabbriche agli eccessi negli ornamenti introdotti dagli "architetti moderni". La terza infine evidenzia quegli errori prodotti dalla cattiva realizzazione degli impianti tecnici, dalla inadeguata realizzazione delle coperture a quella degli impianti idrici e di smaltimento. Dalle pagine del trattato traspare la preparazione scientifica del Gallaccini. Il suo concetto di "decoro" inteso come bellezza che nasce da una "certa giustizia distributiva, secondo la quale si da tutto quello che si conviene, a ciascuna parte" rivela il suo notevole razionalismo. Ma, applicato all'architettura, il "decoro delle fabbriche altro non è, che una bellezza cagionata dalla convenienza delle parti, quando secondo una giusta proportionevol distribuzione sia conceduto a ciascuna quanto se le conveniva" (cap. VII, p. II). L'ornamentazione deve dunque fare parte di questo equilibrio e gli eccessi devono essere banditi. La sua avversione per le architetture di Michelangelo parte da questi presupposti, e si fa accesa quando parla di porta Pia.
Il G. rivela però un atteggiamento seicentesco legato in qualche modo al gusto barocco, quando si convince della necessità di correggere la "regola" oggettiva mediante effetti illusionistici, "allentando quindi le severe norme proporzionali del rinascimento per lasciar posto a duttili modificazioni di carattere soggettivo" (Battisti, 1959, p. 35). L'esempio è ancora un'opera di Michelangelo: S. Pietro. La navata della chiesa avrebbe dovuto avere la volta posta su dei rialzi al fine di non risultare appiattita dallo schermo della larga cornice dell'ordine (cap. II, p. II, fig. 1). Al contrario dei manieristi per il G. la licenza illusionistica è destinata a creare "non una tensione psicologica, bensì un più completo accordo dei sensi, a mascherare, mediante l'inganno, certe insufficienze della ragione" (Battisti, 1959, p. 35).
Nel 1629 si accinse a scrivere i Sinonimi della lingua toscana, in cui discusse opponendosi alle tesi dell'ormai defunto amico Cittadini. Appoggiandosi a documenti, antiche iscrizioni e personali osservazioni l'autore ribadì il primato della lingua toscana quale giusto, vero e puro "dialetto" italiano.
La frenetica attività poligrafica portò il G. tra il 1630 e il 1631 a scrivere un trattato sui capitelli (Siena, Bibl. comunale degli Intronati, ms. S.IV.3, Dei capitelli della colonne), convinto che nessuno, neanche V. Scamozzi nella sua Idea universale dell'architettura (Venezia 1615), si fosse ancora sufficientemente occupato del "primarium ornamentum" dell'architettura.
Prendendo le mosse da Gherardo Spini, il G. comincia ad analizzare l'origine dei capitelli. Passa poi a una disamina molto acuta dei diversi tipi di capitelli, seguendo i cinque ordini, saldando proprio nel proporzionamento e nella schematizzazione il debito con Vignola e Scamozzi (cc. 17v-33r). Il G. però va oltre. Quale garante della norma classicista può permettersi l'intrusione di fantasiosi ornamenti che arricchiscono il capitello stesso. Arriva al punto di giustificarne l'ornamento a seconda dell'uso architettonico. L'ortodossia barocca nel capriccio decorativo non perde di vista la forma razionale del capitello. Quindi il tuscanico non subisce variazioni, il dorico si effigia di semplici ornamenti (c. 45r), lo ionico si mescola a foglie d'acanto e intrecci (c. 50r). Il corinzio e il composito, in quanto capitelli misti, si arricchiscono con eccesso (cc. 51r-64r).
Il G. continuò a insegnare nello Studio senese, ottenendo poco prima di morire anche la cattedra di architettura. Compose molte opere di carattere storico anche se la critica non fu spesso favorevole (Inghirami, 1844; Mazzi, 1892). In particolare si ricordano due opere, scritte a Siena: una scientifica, In re militari atque medica nefasti dies. Theorema a Theophilo Gallaccino expositum, ac probatum medicis militaribus philosophicis atque astronomicis rationibus del 1640; l'altra di architettura, Teoriche e pratiche di prospettiva scenografica… del 1641.
Il G. morì a Siena il 27 apr. 1641 e venne sepolto nella chiesa di S. Domenico, nella tomba della madre.
Fonti e Bibl.: Siena, Bibl. comunale degli Intronati, S. Bichi Borghese, Biografia degli scrittori senesi (ms., sec. XIX), I (A-I), cc. 433v-443r; I. Ugurgieri Azzolini, Le pompe sanesi…, I, Pistoia 1649, pp. 676 s.; G. Gigli, L'Accademia sanese…, Siena 1707, ad ind.; G.A. Pecci, Vita letteraria… del celebre T. G., in Novelle letterarie, XX (1759), pp. 97-102, 115-120, 133-136; A. Visentini, Osservazioni… che servono di continuazione al trattato del G., Venezia 1771; G. Della Valle, Lettere sanesi sopra le belle arti, II, Roma 1785, p. 27; III, ibid. 1786, pp. 459-476; L. De Angelis, Biografia degli scrittori senesi, I, Siena 1824, pp. 314-318; F. Inghirami, Storia della Toscana, XIII, Firenze 1844, pp. 118 s.; L. Moriani, Notizie dell'Univ. di Siena, Siena 1873, pp. 35, 42; C. Mazzi, Luca Holstein a Siena, in Archivio storico italiano, s. 5, X (1892), pp. 339-355; P. Piccolomini, La vita e le opere di Sigismondo Tizio (1458-1528), Siena 1903, ad indicem; E. Battisti, Osservazione su due manoscritti intorno all'architettura, I, "Sopra gli errori degli architetti…", in Boll. del Centro di studi per la storia dell'architettura, XIV (1959), pp. 28-38; F. Bologna, Dalle arti minori all'industrial design. Storia di un'ideologia, Bari 1972, pp. 106-115; R. Krautheimer - R.B. Saint Jones, The diary of Alexander VII, in Römisches Jahrbuch für Kunstgeschichte, XV (1975), p. 224; M. Brusatin, Venezia nel Settecento…, Torino 1980, pp. 233 s.; G.M. Della Fina, Un taccuino di viaggi di T. G. (1610), in Prospettiva, VII (1981), 24, pp. 41-51; H.W. Kruft, Storia delle teorie architettoniche, Da Vitruvio al Settecento, Bari-Roma 1988, pp. 122 s., 127, 405 s.; G. Morolli, Capitelli analogici, capitelli anagogici: un trattato inedito di T. G. del 1631, in Quaderni di storia dell'architettura e restauro (Quasar), 1990-91, nn. 4-5, pp. 49-71; Sopra i porti di mare. Il trattato di T. G. e la concezione architettonica dei porti dal Rinascimento alla Restaurazione, a cura di G. Simoncini, Firenze 1993; Diz. encicl. di architett. e urbanistica, II, p. 414.