FOLENGO, Teofilo
Poeta. Nacque a Mantova l'8 novembre 1496, morì a Campese di Bassano il 9 dicembre 1544. Fece i primi studî a Mantova, li continuò a Bologna, dove sentì le lezioni del Pomponazzi; e mentre il filosofo commentava Aristotele, egli cominciava a immaginare i suoi carmi maccheronici. Dopo il 1513, verosimilmente, si fece frate benedettino; ma nel 1524, dopo una contesa col padre abate Ignazio Squarcialupi, lasciò il convento bresciano di Sant'Eufemia. Di quella contesa rimane documento il poema italiano l'Orlandino, del 1526. L'uscita dal convento non era che un segno di quella sua ribellione contro la corruzione del clero contemporaneo, di cui si vedono segni potenti nel suo capolavoro. Ma c'era in lui un fondo di religiosità indistruttibile, che lo spinse ben presto a desiderare il ritorno nel convento e nel 1530 lo indusse a ritirarsi a vita solitaria al Capo di Minerva (Punta della Campanella presso Sorrento). Nel 1534 fu riammesso nell'ordine, nel quale rimase fino alla morte, girando per parecchi conventi. Questo è ciò che di più certo e di più probabile si può dire della sua vita, tuttora oscura in più punti nonostante le indagini di A. Luzio.
Baldus. - È il capolavoro del F., pubblicato con lo pseudonimo di Merlin Cocai. Ne abbiamo quattro redazioni.
La prima fu stampata il 1517 a Venezia da Alessandro Paganini e riprodotta una volta sola, a Venezia, nel 1520, da Cesare Arrivabene; consta di 17 libri; è un abbozzo che risale alla vita goliardica bolognese del Folengo. La seconda è la Toscolana, del 1521; ha otto libri di più, strane prefazioni recanti lo pseudonimo di Aquario Lodola, e molte glosse marginali; fu ristampata nei secoli XVI, XVII e XVIII e infine dal Portioli a Mantova (1882). La terza è la Cipadense, di data incerta, ma probabilmente stampata fra il 1539 e il 1540; fu riprodotta a Venezia nel 1555 da Pietro Boselli; è artisticamente superiore alla Toscolana. Per lo più, sulle orme del De Sanctis, ora si ritiene migliore di tutte la quarta edizione, la Vigaso Cocaio, stampata postuma a Venezia nel 1552 apud heredes Petri Ravani et socios, e riprodona da A. Luzio. Di questa redazione abbiamo una bella traduzione francese di un anonimo (Histoire maccaronique de Merlin Coccaie, prototype de Rabelais, Parigi 1606).
L'eroe del poema, Baldo, nasce a Cipada, nel Mantovano, da Baldovina, figlia del re di Francia, che muore dandolo alla luce, e da Guido, discendente di Rinaldo, che s'è ridotto a vivere in solitudine e in penitenza. Il bambino viene allevato da un villano, Berto, e dimostra subito amore per i romanzi cavallereschi e tendenze bellicose. Ma questi istinti aviti si vengono ben presto contaminando con le tendenze che egli assorbe dall'ambiente contadinesco in cui è educato; e il poema assume subito la sua duplice fisionomia di parodia del mondo cavalleresco e di rappresentazione di quello villanesco, parallelamente al duplice aspetto del suo linguaggio e del suo stile, che fonde, con intenti di contrasto, di reazione antiumanistica e di realismo, elementi classici ed elementi volgari. Baldo fa le sue prime armi nelle sassaiole fra compagni. Ottenuto il governo di Cipada dopo la morte di Berto, diventa capo della canaglia del contado. Si uniscono a lui Fracasso della stirpe di Morgante, Cingar della stirpe di Margutte, e Falchetto mezzo uomo e mezzo cane. Accusato presso il podestà di Mantova per le sue malefatte, ultima delle quali l'avere sprecato in bagordi i danari che viene guadagnando Zambello, figlio di Berto ed erede insieme con Baldo, viene chiuso in una prigione. I compagni del protagonista si uniscono per liberarlo. A questo punto il poema si allarga in una vasta rappresentazione della vita paesana, fermandosi soprattutto in quadri del contado e nella rappresentazione dei frati della Motella; e per molte pagine diventa protagonista Cingar, impavido tessitore di burle e di truffe. Dopo la liberazione di Baldo, il poema cambia aspetto. Ai motivi plebei sottentrano quelli avventurosi: l'interesse muta, l'originalità s'indebolisce. Baldo con molti compagni va in giro per il mondo, contro pirati e mostri. Famosa in questa parte, anche per l'imitazione che ne fece il Rabelais, la vendetta di Cingar sui pastori del Ticino. Le gesta della compagnia finiscono nell'inferno. Dopo varî incontri, gli eroi giungono in un'immensa zucca, dove sono relegati tutti coloro che hanno sprecato il tempo in pazzie, e particolarmente i filosofi e i poeti. Con questa reminiscenza della luna ariostesca termina il poema.
Il Baldus ha due facce: una parodica e una realistica; le pagine migliori sono quelle in cui il realismo domina da solo e la parodia si riduce a chiedere in prestito all'arte classica le raffinatezze che servono ad arricchire e complicare la comicità dei quadri rappresentati. Quando la parodia è più diretta e mira alla lirica e all'idillio contemporanei o - peggio, talora - al poema cavalleresco, non è raro che il lettore abbia un'impressione d'incertezza e la forza del realismo diminuisca. Il motivo ispiratore del F. è la grossolanità in tutti i suoi aspetti: la grossolanità fisica e intellettuale, la malcreanza, la sudiceria (non lascivia), l'istinto con tutto quello che esso ha di bestiale e di umano. Perciò lo spirito del Baldus è antiletterario, anticortigiano, anticurialesco; il Baldus è una rappresentazione della vita di natura, una negazione continua del galateo e delle ipocrisie. Accanto a questo c'è un mondo grottesco, immaginario, quello degli ultimi libri, che non lega bene coi primi, e dove il maccheronico è più grandioso che comico e, come in alcuni epigrammi descrittivi, assume un aspetto serio, inatteso in un linguaggio che sembrerebbe comico per definizione.
Colpisce, in un secolo in cui la poesia è per lo più astratta in un mondo decorativo e sentimentale, la rappresentazione della realtà cruda, vistosa, non bene olente, quantunque sia chiaro che il F. ha imparato anche dai classici la precisione che gli serve a dar risalto alle forme grottesche di cui ha popolato il suo poema. Coglie con sanguigna energia gli aspetti delle cose e degli uomini, le linee tumultuose delle azioni, con un'intenzione un po' vaga di creare un'epopea plebea, alla quale non si può dire che riesca interamente, sia per il trasmodare degli elementi parodici, sia per l'intrusione o l'aggiunta di motivi e di atteggiamenti estranei o contraddittorî, sia per la mancanza di un piano chiaramente elaborato e per la ripetizione soverchia di certi temi. Ma nelle molte pagine belle rivela una singolare potenza nel cogliere l'esterno e l'interno della società semplice e canagliesca. Il buon contadino Berto, gli sciocchi Tognazzo e Zambello, la figura lurida di quel deficiente e delinquente pre' Iacopino ritratta con tinte biliosamente terribili e con un senso cupo di profanazione che freme sotto le apparenze della caricatura, sono, insieme con alcuni di quelli già ricordati, personaggi disegnati da un poeta che non ha soltanto abilità esteriori di pittore. Nella puerizia del protagonista, aspra, violenta, piena d' iniziative ribalde e temerarie, c'è tutto un ribollimento inconscio che fa presagire la vita dell'adulto; nell'affetto paterno di Berto per lui c'è quel misto di disperazione e di orgoglio che prova ogni padre vedendosi innanzi un figlioletto furfante, ma robusto; nella rappresentazione della plebe c'è, insieme con la forza nel coglierne gli atteggiamenti animaleschi, un senso vigoroso della sua sanità nativa; nella difesa del miserabile onesto contro i soprusi dell'iniqua giustizia c'è un'indignazione nobile e non retorica.
La fortuna del Baldus, prima limitata alle edizioni, si fa più visibile dopo il tramonto dell'umanesimo: nel Seicento la voga della poesia maccheronica si rinnova in Italia e fuori; nel Settecento gli eruditi si interessano minutamente dell'opera e della vita di Merlin Cocai: il romanticismo guarda con simpatia a questo poema in parte anticlassico; infine il De Sanctis gli dedica nella sua Storia un capitolo fondamentale.
Opere minori. - La Moschaea, la Zanitonella e gli Epigrammi costituiscono, insieme con il Baldus, il corpus delle opere maccheroniche del F. La Moschaea, sulle orme della Batracomiomachia, racconta una guerra tra formiche e mosche. La Zanitonella racconta gli amori di Zanina e di Tonello: come il Baldus, ondeggia fra il realismo (amore di due campagnoli) e la parodia (del convenzionalismo petrarchesco e di quello bucolico).
L'Orlandino, poemetto in ottave, pubblicato con lo pseudonimo di Limerno Pitocco (1ª ed., Venezia, 1526), è una narrazione burlesca della fanciullezza di Orlando. Il Caos del Triperuno (1ª ed., ivi 1527) consta di tre selve; è parte narrativo, parte dialogico; parte in prosa, parte in versi; parte in italiano, parte in latino, parte in maccheronico: opera allusiva e autobiografica, rimasta finora oscurissima. È una rappresentazione allegorica della vita traviata del Folengo redenta dalla fede. L'Atto della Pinta (1539 circa) è una rappresentazione drammatica composta per la chiesa palermitana della Pinta, un'allegoria della creazione e dell'incarnazione. L'Umanità del Figliuol di Dio è un poemetto in ottave di carattere ascetico, scritto in espiazione del Baldus. In quest'opera soprattutto, di carattere controriformistico, fu notata l'avversione del F. allo spirito del Rinascimento. L'unica edizione antica fu pubblicata a Venezia, probabilmente nel 1533. Altre opere: La Palermitana, poema sacro in terzine, e l'Hagiomachia, raccolta di vite di santi in esametri latini.
Edizioni: Oltre quelle citate: Le Maccheronee, a cura di A. Luzio, 2ª ed., Bari 1928; Opere italiane a cura di U. Renda, Bari 1911-14, voll. 3.
Bibl.: Per la vita: U. Renda, Nuove indagini sul Folengo, in Giornale storico della letteratura italiana, XXIV, p. 33 segg.; id., Sul Caos del Triperuno, Palermo 1896; A. Luzio, Guerre di frati, nella Raccolta di studi critici dedicata ad A. D'Ancona, Firenze 1901; per le opere F. De Sanctis, Storia della letteratura italiana, cap. XIV; A. Luzio, Studi folenghiani, Firenze 1899; B. Zumbini, Vita paesana e cittadina nel poema del Folengo, in Raccolta D'Ancona, Firenze 1901; F. Biondolillo, La Macaronea di Merlin Coai, Palermo 1911; T. Parodi, Poesia e letteratura, Bari 1916; A. Momigliano, Le quattro redazioni della Zanitonella, in Giorn. st. d. lett. it., LXXIII, p. 1 segg.; id., La critica e la fama del Folengo sino al De Sanctis, ivi, LXXVII, p. 177 segg.; E. G. Parodi, Poeti antichi e moderni, Firenze 1923; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1928.