TEOFILO da Corte, santo
TEOFILO da Corte (al secolo Biagio de’ Signori), santo. – Nacque a Corte, nella Corsica ancora italiana, il 30 ottobre 1676, figlio unico di Giovanni Antonio e di Maria Maddalena Arrighi.
Della famiglia paterna, originaria di Capriata (oggi in provincia di Alessandria), sono noti unicamente gli avi, Giacomo e Girolama e un certo Giulio, figlio di Francesca Maria, madrina di Teofilo. Della parte materna, invece, sono conosciuti lo zio, Giovanni Battista, parroco di S. Marcello, che lo battezzò (1° novembre), e Andrea, figlio di un cugino, parroco di S. Lucia della Pieve di Talcini e dottore in utroque iure, che si adoperò nella preparazione dei documenti per il processo di canonizzazione, oltre a un altro zio, dottore in teologia, canonico di Campoloro e vicario generale della diocesi, e a un nipote, anch’egli sacerdote, laureato in teologia.
Appresi i primi rudimenti di scrittura, lettura e calcolo, studiò grammatica, letteratura e lingua latina, dimostrando notevole abilità mnemonica, come riferiscono i testimoni al processo di canonizzazione, in particolare il suo compagno di studi, Filippo Antonio Cafforri: «recitava venti, e trenta e quaranta lezioni di grammatica senza mai veder quella» (Roma, Archivio della Postulazione generale OFM, R9/9, I, 2). Anche nella pratica religiosa si distinse per diligenza e austerità, quasi preannunciando la sua scelta religiosa: «né ridere, né voltarsi, né stare in modo scomposto» (ibid., PrOrd, c. 178v).
A 17 anni abbandonò la casa paterna allo scopo di entrare nel convento dei cappuccini della sua città natale, incontrando l’opposizione dei genitori: «non ostante essere figlio unico, contro la volontà del padre fuggì per farsi religioso Cappuccino, e suo padre andò a ripigliarlo» (Domenichelli, 1896, p. 19 nota 1). La sua scelta religiosa fu vincolata all’opzione favorevole ai francescani osservanti del convento di S. Francesco, dove la famiglia Signori aveva le proprie sepolture. Il 17 settembre 1693 egli compì il passo decisivo, il 21 indossò l’abito religioso, offertogli dalle mani del ministro provinciale, Michelangelo da Petreto, di passaggio a Corte, sottoponendosi alla direzione di Bernardino da Corte, suo maestro di noviziato, e di Stefano d’Alesani, suo direttore spirituale, fino all’emissione dei voti religiosi, il 22 settembre 1694. La cronologia del suo curriculum studiorum si dimostra incerta, come si deduce dalla contraddittorietà delle testimonianze del processo di canonizzazione. La segnalazione della sua presenza presso il convento di Aracoeli a Roma dal 29 aprile 1697 permette di congetturare la sua permanenza in Corsica, in uno dei conventi adibiti allo studio della filosofia (Corbara, Ornano, Bastia), durante un biennio che si colloca nell’arco di tempo che va dal 1694 al 1696, approdando successivamente a Napoli, nel convento di S. Maria La Nova, per lo studio della teologia, quale premio accordato agli studenti più brillanti. Ordinato, quindi, diacono dal vescovo di Nola, il carmelitano Daniele Scoppa, nell’anno 1699, il 30 novembre 1700, a Pozzuoli, ricevette l’ordinazione presbiterale dal confratello Giuseppe Falces. Il 10 dicembre 1701, dal commissario generale dell’Ordine, Cherubino da Nardò, gli venne rilasciata la patente di predicatore e lettore delle arti, corrispondente al giudizio di ottimo.
Nel 1702, trasferito nuovamente a Roma, allo scopo di preparare il concorso per l’assegnazione della cattedra, incontrò Tommaso da Cori, superiore del convento-ritiro di Civitella-Bellegra, che lo indusse a mutare progetto. Tornando da Bellegra a Roma col proposito di sostenere la disputa pubblica, giunto a Tivoli, scivolò in un fossato, fratturandosi il femore. Lo stesso Teofilo, successivamente, era solito raccontare ai suoi studenti come quella caduta fosse divenuta occasione per modificare il suo percorso vocazionale, con la rinuncia al concorso e, quindi, all’insegnamento, per dedicarsi all’opera dei ritiri.
Abbandonata Roma e la carriera accademica, si trasferì a Civitella-Bellegra già nel 1703, anche se il suo nome venne registrato nella lista conventuale soltanto nel 1704. Assolti negli anni diversi incarichi (predicatore e lettore, 1705; maestro di mistica e commentatore della regola, nonché espositore dei casi di coscienza, 1706), solo la nomina a superiore (guardiano), il 7 febbraio 1713, ne rivelò la dote migliore, quella dell’equilibrato uomo di governo e dell’audace fondatore di ritiri, innovativo anche rispetto alla tradizione inaugurata da Tommaso da Cori, come rilevato dal suo stesso biografo: «Nel beato Teofilo si sente un’aura di modernità; e come nella morale, in cui i sistemi più rigidi tenevano allora il campo, si cominciano da lui a sentire quelle più miti teoriche che sant’Alfonso fece quasi definitivamente poi prevalere; così anche nelle abitazioni sembra quasi presentisse quelle prescrizioni, che sotto il titolo di igiene, non senza qualche esagerazione, oggi vengono celebrate» (Domenichelli, 1896, p. 277). Numerose si dimostrano le testimonianze atte a far apprezzare l’intraprendenza del leader di comunità: faceva riposare i giovani, dispensandoli dall’alzata notturna; voleva che quanti «avevano lavorato nell’orto prendessero colazione e ristoro» (Roma, Archivio della Postulazione generale OFM, PrSub, c. 230r); si dimostrava sensibile verso i malati, affrettandosi a chiamare il medico migliore; «ricordava che la Regola serafica era istituita e fondata nella povertà [...] e benché sia stretta, è però discreta» (Domenichelli, 1896, p. 155 nota 2; Roma, Archivio della Postulazione generale OFM, PrSub, c. 232rv); praticava uno stile di governo partecipativo che, come affermò lui stesso, esigeva dal superiore le attitudini seguenti: chiedere «perdono per non aver corrisposto agli aiuti ricevuti»; «riconoscersi internamente più colpevole» del confratello reo di qualche trasgressione; esercitarsi «spesso nei ministeri bassi, che sono i mezzi i più propri per acquistare l’umiltà necessaria al superiore»; considerare come «molti sudditi camminino meglio di lui nella perfezione»; ritenere «di non aver più cattivo consigliere di sé medesimo»; distinguere tra le «cose essenziali» e quelle secondarie, evitando l’assillo puntiglioso della fraternità, «col stargli molto attorno» (ibid., PrSub, cc. 376r-378v).
Sul piano pastorale, si distinse per una predicazione definita ‘all’apostolica’, cioè senza aver scritto prima il sermone, spontanea, priva di ricercatezza retorica. Si dimostrò capofila di una scuola di predicatori avversi allo stile del panegirico: «Tanto gli piaceva questo dire familiare intellegibile che essendo stato io suo discepolo in Civitella e passando, come ho riferito di sopra, il medesimo per Caprarola, in cui accidentalmente mi sentì predicare, si rallegrò molto e mi animò per aver predicato semplicemente con zelo e senza ostentazione di eloquenza» (ibid., c. 229v). Combatteva il costume diffuso nelle parrocchie di imporre una tassa a tutti indistintamente per la predicazione, esigendo che i veri poveri non pagassero; anzi si adoperò per distribuire loro il frutto della questua raccolta con la predicazione. La misura dell’impegno a favore dell’apostolato nella predicazione, nella guida degli esercizi e nella confessione si coglie chiaramente dai registri delle messe, che ne testimoniano l’assenza dal convento durante mesi interi: nel 1707, per esempio, il suo nome si trova registrato una sola volta; nel 1708, solo nei mesi di aprile, giugno, agosto e settembre; nel 1709, solo nel mese di settembre (Domenichelli, 1896, p. 185 nota 1).
Alla predicazione preferiva, però, la confessione, cui venne abilitato dal 1714, non solo per i religiosi, bensì anche per i laici. Nel 1719 ricevette l’autorizzazione a confessare anche nella diocesi di Palestrina, oltre che in quella di Subiaco. Associava spesso la confessione alla direzione della coscienza, fino a creare un gruppo di persone a lui legate spiritualmente. Non voleva confessioni affrettate. Passava le giornate intere in confessionale, trascurando non solo i pasti, ma anche l’ufficio liturgico, perché lo reputava «un altro ministero di carità». Incoraggiava il clero timoroso a esercitare il ministero della penitenza, consigliando di procedere «con dolcezza, e più con le buone, che con asprezza, dicendo che per ordinario, questo a poco giova, anzi il più delle volte pregiudica» (Roma, Archivio della Postulazione generale OFM, PrSub, c. 340v). Se nella mistica seguiva Alfonso Rodriguez, nella morale evitava le rigidità giansenistiche, inclinando al benignismo, portato in auge da Alfonso Maria de Liguori, tanto da attirarsi l’accusa di lassista. Nell’esporre la dottrina morale preferiva il volgare al latino, chiedendo consiglio perfino ai fratelli laici. Incoraggiava i discepoli allo studio della morale, oltre alla pratica delle devozioni: «dite la corona e studiate la morale, che col detto studio acquisterete di più, abilitandovi all’ufficio di confessore» (c. 393 rv).
Nel 1720, venne scelto, con Antonio da San Lorenzo, Giandomenico di Bastia, Giampietro di Campoloro e i laici Andrea da Civitella e Giuseppe d’Affile, per essere inviato in Corsica a fondarvi il ritiro di Zuani. Sull’iniziale fallimento del tentativo di Campoloro, incoraggiato dal ministro provinciale, incise il clima di rivolta contro i genovesi, di cui approfittarono gli stessi frati, contrari all’austerità del ritiro. Alle dicerie intorno alla sospensione del ministero della confessione e all’imposizione della «meschina e brutta semplicità», con il divieto di usare paramenti raffinati nelle feste e l’organo nelle altre funzioni liturgiche, la popolazione reagì, insultando i questuanti con il titolo di «ritiranti», fino a ricorrere alla minaccia delle armi (cc. 417v-420v). L’iniziale ostilità si cambiò in ammirazione per effetto della predicazione di Teofilo che, con la fondazione di Zuani, inaugurò un nuovo stile di presenza francescana sull’isola: vietò, per esempio, ai questuanti di barattare il pane con il formaggio e la carne, ordinando di distribuirlo gratis ai pastori, disposti fino ad allora a scambiarlo con i prodotti del gregge (c. 456rv). A chiedere ripetutamente la fondazione di un ritiro, allora, furono gli stessi abitanti di Campoloro, pentiti della propria precedente reazione. Non solo. Al culmine della repressione della rivolta corsa, Teofilo fu pregato di mediare con il principe Friedrich Ludwig von Württemberg-Winnental la cessazione della rappresaglia, affinché fossero risparmiati i beni e le persone, non solo a Zuani, ma anche nelle pievi vicine. Gli accordi per la pace generale, conclusi e purtroppo non mantenuti, furono, dunque, preceduti dall’indulto parziale ottenuto da Teofilo. Nel mese di settembre del 1734, il commissario generale Giuseppe Maria d’Evora, suo discepolo a Palombara, siglò l’obbedienza per il ritorno di Teofilo nella provincia romana.
Nel gennaio del 1736, l’elezione a vicecommissario dell’Ordine di Giovanni Antonio di S. Croce, già visitatore della provincia romana, aprì nuove prospettive per l’opera dei ritiri. Questi, memore del tentativo, fatto da Tommaso da Cori già nel 1696, di fondare ritiri in Toscana, incoraggiò Teofilo a dare realizzazione al proposito del suo maestro. L’ipotesi iniziale di affidargli la riforma del ritiro della Doccia (vicino a Firenze), fu immediatamente abbandonata in favore del progetto di una nuova fondazione, che prevedeva la trasformazione in ritiro del convento di Fucecchio. Come già in Corsica, in Toscana l’iniziativa di Teofilo incontrò la reazione, non solo della popolazione, ma anche delle stesse autorità civili. La protesta del Comune di Fucecchio, firmata il 22 aprile 1736, quando Teofilo risiedeva ancora nel ritiro della Doccia, venne immediatamente respinta dal ministro provinciale, il quale, ottenuto il sostegno del granduca Gian Gastone e del nunzio, monsignor Giovanni Francesco Stoppani, procedette a nominare Teofilo guardiano di Fucecchio. Ai primi di giugno, vista l’opposizione di Gaetano Casini, vicario conventuale, che osò persino rivolgersi al vescovo, il medesimo provinciale decise di intimargli il trasferimento. Si alzò, infine, la protesta popolare, animata da una delle famiglie più in vista del borgo: «con buona comitiva di persone armate di bastoni, vomitò molte parole indegne contro il servo di Dio» (Roma, Archivio della Postulazione generale OFM, PrOrd, c. 188r), eccitamento scemato subito dopo la partenza di Casini. A Fucecchio, molto di più che a Zuani, Teofilo fece della cella il fulcro del ritiro, riducendo all’indispensabile la circolazione lungo i corridoi e i tempi della conversazione comunitaria: «procuri di starsene per quanto puole, ritirato in cella et applicato» (ibid., R9/9, II, 1, 22 gennaio 1730).
Negli ultimi anni della sua vita (1738-40) si attribuiscono a lui numerosi miracoli fisici, dei quali diversi riguardano partorienti e sterili. Nel 1740 venne nominato guardiano del ritiro di Fucecchio per l’ultima volta, ma non giunse a compiere il mandato.
Morì a Fucecchio il 19 maggio 1740 e immediatamente cominciarono i pellegrinaggi di devoti alla sua tomba. L’8 settembre 1817 venne pubblicato il decreto per il riconoscimento delle virtù e il 24 settembre 1895 fu dichiarato beato. La canonizzazione, celebrata da papa Pio XI, ebbe luogo il 29 giugno 1930.
Opere. Breve esposizione della Regola, in Roma, Archivio della Postulazione generale OFM, R9/9 II, 2 (edita in Acta Ordinis Fratrum Minorum, 1897, pp. 79-220, 1898, pp. 27-81); Breve pratica e ricordi del fu padre T. da C. per ben governare un convento, massime di Ritiro, in PrSub, cc. 376r-378v (edito in Domenichelli, 1896, pp. 169-172). Lettere autografe (65): 20 in R9/9, II, 1 (edite in Domenichelli, 1896, pp. 301-306, 316-320); 45 in Firenze, Archivio storico della Provincia di San Francesco stimmatizzato dei Frati minori in Toscana, Provincia di S. Bonaventura, Carteggio, 318 (edite in La voce di S. Antonio, Quaracchi 1902).
Fonti e Bibl.: Firenze, Archivio storico della Provincia di San Francesco stimmatizzato dei Frati minori in Toscana, Provincia di S. Bonaventura, Carteggio, 318; Positiones, 319; Roma, Archivio della Postulazione generale OFM, S. Maria Mediatrice, L4/1-L4/10 (in partic. L4/1: Sancti Miniati Beatificationis et Canonizationis Servi Dei P. Theophili a Curte Ordinis Minorum Observ. Copia processi Informativi auctoritate Ordinaria Compilati (= PrOrd); L4/5: Sacra Ritum congregationum Sancti Miniati V. Servi Dei Teophili a Curte Sacerdotis professi Ordinis Minorum. Copia processus Apostolicus Super Virtutibus et Miraculis in Specie ne pereant probationes in terra sublacense compilati, Phili de Amicis Not et Cancell, = PrSub); R9/9.
Casimiro da Roma, Memorie istoriche delle chiese e dei Conventi dei Frati Minori della provincia Romana, Roma 1764, pp. 259 s.; L. Paletti, Cenni sulla Vita esemplarissima del ven. Servo di Dio Padre T. da C., Lucca 1852; C. Abeau, Vie du Bienhereux Théophile de Corte, Paris 1896; T. Domenichelli, Vita del Beato T. da C., Quaracchi 1896; C. Mariotti, Il Ritiro di S. Francesco presso Civitella (Bellegra), Roma 1899; U. Buoncompagni, L’Apostolo del Sublacense, Roma 1923; A. Paiotti, S. T. da C., Roma 1930, pp. 99-115; B. Innocenti, Le relazioni di S. Leonardo da Porto-Maurizio e S. T. da C., in Studi francescani, XXVIII (1931), pp. 145-180; V. Checchi, Storia del ritiro francescano della Vergine presso Fucecchio, Firenze 1937, pp. 48-129, 268-307.