CALCAGNINI, Teofilo
Figlio di Tommaso, nacque a Ferrara, in data che non conosciamo, data che si deve collocare comunque nella prima metà del secolo XVI.
Uomo d'azione, il C. dedicò il meglio della sua vita a missioni al servizio degli Estensi. Soldato più che diplomatico, ebbe tuttavia la sensibilità per afferrare sottili situazioni nel loro svolgersi nella scena politica europea, come prova il carteggio assiduo tenuto con gli Estensi; da soldato cominciò la sua carriera ponendosi al servizio dei Veneziani, indifferente a una tradizione che aveva messo contro avi e prozii a militi e incursori della Serenissima nelle terre del Ravennate, nel corso di almeno un secolo e mezzo.
Coi Veneziani diede buona prova, uscendone con la qualifica di "strenuus miles", negli anni intorno al 1540. Finita l'esperienza veneta, nel 1544 fu inviato dagli Estensi in Francia, ove si trattenne diversi mesi in veste di diplomatico, col compito di giustificare presso Francesco I i soccorsi in uomini e denaro forniti dal duca di Ferrara all'imperatore. Soprattutto però pare che toccasse al C. tener vivi i legami tra gli Estensi e la famiglia dei Guisa, imparentata con quelli per il matrimonio di Francesco di Guisa con Anna, figlia di Ercole I e di Renata di Francia, e anche per questo esponente principale della politica italiana della corte di Parigi.
Nel 1545, dopo Crépy, il C. era alla corte del duca di Savoia, che quel trattato aveva duramente colpito. Scopo principale della missione era probabilmente una profferta di soccorsi finanziari, ma la ragione ufficiale era di sostenere presso Emanuele Filiberto la proposta, di ispirazione pontificia, di una lega di principi contro i Turchi, pericolosamente minaccianti le coste del Tirreno. Sempre nel 1545 il C. fu inviato a Roma, dove fu accolto benevolmente da Paolo III Farnese, in onore del quale il C. corse anche una famosa giostra.
Il papa era troppo attento, nelle sue mire pontificie e di casato, alle valli romagnole per lesinare complimenti all'esponente di una famiglia come i Calcagnini, legati sempre al destino degli Estensi e già beneficati nel 1519 con l'investitura papale del feudo leonino, cioè delle Alfonsine accresciute di altre terre, e in certo modo sudditi dello Stato della Chiesa.
Più immediati interessi appaiono nella missione dello stesso anno del C. a Napoli: egli si incaricava di procurar cavalli per le scuderie ducali, ma nei suoi dispacci corrono cifre tanto più grosse della corrispettiva partita, e il pensiero va ai consueti prestiti di denaro, di cui anche la corte di Aragona necessitava fortemente in quegli anni, almeno quanto la Camera apostolica, beneficiaria, nel 1547, di una sovvenzione estense di 50.000 scudi d'oro.
Appena rientrato, il C. si doveva rimettere in viaggio per raggiungere i Savoia a Torino, per i consueti contatti che la casa d'Este voleva mantenere con le altre case anche fuori della stretta ufficialità. Nel 1549, dopo un'altra pausa a Ferrara, il C. tornò in Francia per prendere parte ad un torneo. In realtà egli dovette operare una ricognizione della situazione politica con i Guisa, che frattanto avevano intensificato la loro ingerenza nelle cose dell'Italia, cercando di mettere in moto un'alleanza tra le potenze della penisola contro l'Impero.
In Francia però non c'era molto da fare per il C. e per uomini come lui che cercavano positive, immediate occasioni; così ripiegò in Italia dove era venuto anche il cardinale Ippolito d'Este, inviato dal re di Francia per controllare il nuovo conclave, ma intenzionato per suo conto a prendere in mano le fila del fuoruscitismo fiorentino e napoletano, nella situazione creatasi a Siena dopo il 1547 con la cacciata del presidio spagnolo dalla città.
Il C. si unì al prelato, che intanto Enrico II incaricava ufficialmente di rappresentare il "partito di Francia" in Toscana, ma che rivendicava anche il comando delle forze militari che s'erano concentrate in Siena per organizzare la resistenza contro gli Spagnoli. E in quel momento riappare la figura del C. e la si può seguire in Siena per un biennio, dal settembre 1552 al settembre 1554, nel riflesso della querelle tra il cardinale Ippolito e Piero Strozzi. Lo Strozzi tendeva con ogni sua forza a sostituire il porporato in tutte le responsabilità della situazione, e tra le discordie dei due personaggi il C. venne spesso a trovarsi quasi tra due fuochi, perché, pur essendo capitano al seguito del cardinale, ambiva di essere utilizzato dallo Strozzi.
Dopo un brevissimo intermezzo ferrarese il C., tornato in Toscana, ottenne direttamente dallo Strozzi il comando di un gruppo di lance a cavallo e nel gennaio del '54 era in prima linea, presso Cascina, dove doveva sorvegliare eventuali sorprese nemiche dalla parte di Pisa. Durante una scaramuccia fu fatto prigioniero e portato a Pisa, una prigionia che durò poco perché nel maggio del 1555 era a Roma per seguire più da vicino, a nome del duca di Ferrara, i lavori del conclave. Nel luglio era già in Francia nell'ambiente di corte, nella scia dei Guisa, ma non troppo scostato nemmeno dal loro rivale, il connestabile di Francia, il Montmorency.
Il frutto di tale assiduità presso la corte, anche nei diversi spostamenti del quartier generale per le necessità di guerra, fu il conferimento al C. del grado di capitano delle guardie reali, cui si aggiunse, nel novembre del 1556, una patente che gli consentiva di mettersi al comando di un qualsiasi reparto di tiratori e di cavalleggeri, sempre al servizio della causa francese in Italia. Non era un ordine di trasferimento, ma un'attestazione di merito. Infatti il C. si trattenne ancora in Francia sino al 1559 corrispondendo col duca d'Este e lasciando una testimonianza, a momenti drammatica, dello sforzo bellico sopportato dai sostenitori della corona.
All'indomani della firma del trattato di Cateau Cambrésis il C. era a Milano, proveniente da Venezia e da Ferrara, diretto di nuovo in Francia. Nell'autunno del 1559 si trovava a Roma, in occasione del conclave seguito alla morte di Paolo IV, probabilmente per intrigare a favore del candidato degli Este e dei Guisa, il cardinale Ercole Gonzaga, avversato invece dai Carafa e dai Farnese. Forse furono conseguenza di questa sua attività le minacce di violenza e di morte di cui il C. scriveva a Ercole II d'Este. Le inimicizie che il C. si era acquistato in questa e in altre occasioni, con la sua sotterranea attività, dovevano comunque costargli care qualche anno più tardi. Secondo il Litta, infatti, nel 1566 il C., dopo una missione nel Regno di Napoli, ufficialmente per l'acquisto di puledri, avrebbe fatto ritorno a Roma e qui, reduce da una cena in casa del cardinal di Guisa, sarebbe stato ucciso da una pugnalata a tradimento.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Modena, Particolari, n. 253 (lettere del C. dal 1544 al 1559); Ambasciatori, Torino, b.1 (1545); Firenze, b. 17 (1552-1554); Napoli, bb. 10 (1545), 11 (1566); Francia, bb. 19 (1544), 52 (1549), 5358 (1555-1557); Roma, b. 65(1555-1559); M. A. Guarini, Compendio historico delle chiese di Ferrara, Ferrara 1621, pp. 105 s.; A. Borsetti, Suppl. al Compendio historico del sig. M. A. Guarini, Ferrara 1670, p. 254; L. Vicchi, Storia di Fusignano, Faenza 1876, pp. 61-65; L. Balduzzi, I Calcagnini…, Pisa 1884, pp. 16-17; L. Romier, Les origines politiques des guerres de religion, Paris 1913, I, pp. 90, 91, 452; II, pp. 314, 372;A. Lazzari, Le prime nozze di Maria Stuarda, in Archivio storico italiano, LXXIX (1921), p. 394;P. Pinon, Histoire diplomatique. 1515-1928, Paris 1929, pp. 23, 87, 88;A. D'Addario, Il problema senese nella storia italiana della prima metà del Cinquecento, Firenze 1958, pp. 261, 309 e passim;L. Bellini, Le saline dell'antico delta padano, in Atti e mem. della Deputaz. prov. ferrarese di storia patria, XXIV(1962), p. 431;P. Litta, Le famiglie celebri italiane, s. v.Calcagnini di Ferrara, tav. I.