TEODORO
– La ricostruzione biografica precedente il processo cui questo personaggio fu sottoposto nel 1515 è basata sostanzialmente sui cenni che egli fornì in quell’occasione. Stando a essi, Teodoro nacque forse a Firenze intorno al 1470 da una donna fiorentina e da un «Giovanni Scutariotto greco», molto probabilmente da identificare con uno dei più importanti e prolifici copisti di manoscritti greci del Quattrocento italiano, attivo a Firenze tra il 1442 e il 1494, e dal 1473 al 1486 impiegato come bidello, a Pisa, presso lo Studio fiorentino (Lodone, 2018, pp. 93 s.).
All’età di dodici anni, Teodoro prese l’abito camaldolese nel monastero di S. Maria degli Angeli. Di lì a due anni si spostò a S. Miniato al Monte, dove entrò nella Congregazione olivetana, e dopo otto anni trascorsi tra Firenze e Perugia (dove si finse cieco per rientrare in Toscana), abbandonò la religione per cominciare una vita errante, dalle tinte picaresche. Fu aiutante di un sarto a Città di Castello e di un altro sarto, ebreo, ad Ancona; lavorò a Roma con un lustrapietre e come soldato a Pistoia. Ottenuta l’assoluzione per aver abbandonato la vita religiosa senza permesso, tornò a Roma, dove, stando alla confessione rilasciata durante il processo, continuò la sua «vita dishonesta con meretrice et femine captive» (Processo di don Theodoro monacho, in Prosperi, 1975, 2010, p. 39). Vestito nuovamente l’abito camaldolese, risiedette presso l’abbazia della Ferrara, nel Casertano; tornò quindi a Firenze e si trasferì successivamente a Badia Agnano (non lontano da Arezzo), ad Assisi, a «Vitulino» (l’attuale Vitolini, nei pressi di Vinci) e nella vicina Castra (dove viveva la madre), per tornare infine a Firenze.
Qui si stabilì nella chiesa di S. Felice in Piazza e orientò i poteri carismatici di cui già si era vantato, in modo abbastanza estemporaneo, a Vitolini verso una direzione nuova. Predicando, sulla base di «visioni et revelationi» divine, che «la chiesa si dovea rinovare», egli intercettò di fatto il vuoto lasciato in molti, uomini e donne, dalla condanna di Girolamo Savonarola (p. 40). Per accrescere il proprio ascendente presso i fedeli, cominciò anche a «fingere di credere», a sua volta, alle profezie del frate ferrarese.
Se tale presa di posizione fosse esclusivamente opportunistica, non possiamo dire con certezza. Teodoro si richiamò a Savonarola in modo generico, identificandosi nel «papa Angelico [...] promisso dal padre fra Hieronimo» (ibid.) che, peraltro, non fece mai di tale figura messianica un punto centrale della sua proposta politica e religiosa. Ma delle dottrine del monaco sappiamo pochissimo. Troppo vaghi e deformati da evidenti filtri inquisitoriali – come mostra l’associazione con i fraticelli – sono i cenni all’attesa di una Chiesa rinnovata e priva di beni temporali che si leggono negli atti del processo, tutti tesi a enfatizzare l’ipocrita e simulata santità di Teodoro, nonché la sua vita dissoluta. A quanto pare, egli godeva di un ampio seguito femminile, e prediceva il futuro grazie ai doni carismatici delle sue figlie spirituali (in particolare di una tale Maria, figlia di un calzolaio).
Il fondarsi delle sue profezie su visioni soprannaturali – non su un’ispirata esegesi della Scrittura, tratto comune tanto alla tradizione gioachimita quanto alla predicazione savonaroliana – e il fatto che esercitasse come guaritore, sembrano rimandare a un contesto di azione popolare, in parte analogo a quello di un altro sedicente papa angelico, che nel 1516 fu imprigionato a Roma: il francescano Bonaventura. Più della cultura, del resto, erano probabilmente il carisma personale, le capacità oratorie e forse anche l’aspetto avvenente a spiegare il suo seguito – Piero Parenti lo definisce «homo di non molte lettere, ma di buona lingua et d’ingegno versuto» (Istoria fiorentina, in J. Schnitzer, Quellen und Forschungen..., IV, 1910, p. 505), mentre alla sua «bella presentia» accenna Bartolomeo Cerretani (Dialogo della mutatione..., a cura di R. Mordenti, 1990, p. 96).
Teodoro si trovò a profetizzare il rinnovamento della Chiesa nei modi, nel luogo e nel momento peggiore: in seguito a un percorso di vita irregolare, con un ampio seguito femminile e soprattutto a Firenze, pochi anni dopo la fine della parabola savonaroliana (Leftley, 1999, pp. 122 s.). Egli servì così alle restaurate autorità medicee da «capro espiatorio» per una rinnovata condanna di Savonarola e della sua eredità (Piersanti, 1989, p. 368).
La strategia diffamatoria fu la stessa applicata nel 1498 nei confronti di Savonarola (Dall’Aglio, 2006, p. 90). Il 12 gennaio 1515 Teodoro fu convocato dal vicario arcivescovile Pietro Andrea Gambaro, ma il regista dell’operazione dovette essere l’arcivescovo stesso di Firenze, Giulio de’ Medici. Incarcerato ed «examinato» a più riprese, anche se «sanza tormenti» (Prosperi, 1975, 2010, p. 38), a partire dai primi di febbraio l’imputato iniziò a cedere, e rilasciò infine la piena confessione che gli inquisitori esigevano. La condanna, relativamente morbida, fu di dieci anni da trascorrere nel carcere di San Miniato. Ma a Teodoro fu imposta anche una pubblica abiura, che doveva assumere un valore esemplare.
La confessione e la sentenza furono lette in S. Maria del Fiore l’11 febbraio 1515, di fronte a una grande folla che, senza l’intervento armato del bargello, minacciava di lapidare il condannato (L. Landucci, Diario fiorentino..., a cura di I. Del Badia, 1883). Il principale documento della cerimonia è costituito dagli atti del Processo di don Theodoro monacho che si faceva chiamare papa Angelicho. Il rarissimo opuscolo, privo di indicazioni editoriali, ma chiaramente stampato per l’occasione, fu segnalato da Ludwig von Pastor e riscoperto e pubblicato da Adriano Prosperi nel 1975, sulla base dell’esemplare conservato presso la Biblioteca comunale di Macerata, 2.C.19 (sono noti un altro esemplare, a Londra, British Library, 1245.b.33, e una più tarda copia manoscritta, a Palermo, Biblioteca comunale, Qq.H.162, n. 8). Il testo è composto da un preambolo delle autorità diocesane contro gli «pseudo Christi et pseudo propheti» del tempo, da una sintesi del processo e della confessione di Teodoro e da un verbale della cerimonia, cui seguono degli editti volti a colpire il «renovatorum dogma de hac futura Ecclesie renovatione» e le conventicole clandestine diffuse in città. Stando a Giovanni Cambi e a Cerretani, al termine della lettura il vicario vietò inoltre la predicazione profetica e non autorizzata, nonché la devozione per le reliquie di Savonarola. Due mesi dopo, il 17 aprile, un breve indirizzato da Leone X al cugino Giulio rendeva ancor più esplicito l’obiettivo dei precedenti editti, accomunando nella condanna delle profezie di rinnovamento e delle derive settarie Teodoro, Savonarola e Pietro Bernardino (D. Moreni, Continuazione delle memorie..., 1817).
Tale associazione non poteva risultare gradita al fronte piagnone. Vi fu qualcuno, come fra Santi Marmochino, che diede credito, almeno inizialmente, al presunto papa angelico. Ma le prese di distanza non mancarono fin dall’inizio – come mostra la presenza, tra i promotori e i testimoni del processo, di Paolo da Fucecchio e di Bartolomeo Redditi – e furono ribadite a più riprese (Dall’Aglio, 2006, pp. 116-129). Di lì a qualche anno, nel 1525, l’associazione tra Teodoro e Savonarola fu comunque riproposta dal servita Cosimo Favilla.
Nel 1519 Teodoro tornò all’attenzione delle autorità ecclesiastiche: fuggito dal carcere, egli si era rifugiato nell’isola Polvese del lago Trasimeno, attorniandosi di nuovo di seguaci che in lui riconoscevano il papa angelico. Nell’aprile di quell’anno Gambaro fece stilare una lista di errores del monaco e chiese una presa di posizione da parte di figure autorevoli come Paolo Orlandini e Paolo Giustiniani (pp. 96 s.).
Da allora si perdono definitivamente le tracce di Teodoro, di cui non sono noti luogo e data di morte. Sappiamo solamente che egli fu nuovamente imprigionato e condannato, stavolta alla galera: una pena ben più dura, cui il 18 maggio 1521, in una lettera inviata a Francesco Guicciardini dal capitolo dei frati minori di Carpi, Niccolò Machiavelli faceva scherzosamente riferimento spiegando l’esitazione di un predicatore a venire a Firenze con la «paura di non andare in galea come papa angelico» (N. Machiavelli, Lettere..., a cura di G. Inglese, 1989, p. 296).
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. lat. 3636: C. Favilla, Flagellum pseudoprophetarum, cc. 64r-70r; G. Cambi, Istorie, a cura di I. di San Luigi, III, Firenze 1786, pp. 59-62; D. Moreni, Continuazione delle memorie istoriche dell’ambrosiana imperial basilica di S. Lorenzo di Firenze, II, Firenze 1817, pp. 511-515; L. Landucci, Diario fiorentino dal 1450 al 1516 continuato da un anonimo fino al 1542, a cura di I. Del Badia, Firenze 1883, p. 173; P. Parenti, Istoria fiorentina, in J. Schnitzer, Quellen und Forschungen zur Geschichte Savonarolas, IV, Leipzig 1910, pp. 505-507; J. Schnitzer, Peter Delfin, General des Camaldulenserordens (1444-1525), München 1926, pp. 364 s.; N. Machiavelli, Lettere a Francesco Vettori e a Francesco Guicciardini (1513-1527), a cura di G. Inglese, Milano 1989, p. 296; B. Cerretani, Dialogo della mutatione di Firenze, a cura di R. Mordenti, Roma 1990, pp. 94-98; Id., Ricordi, a cura di G. Berti, 1993, pp. 324-326.
L. von Pastor, Storia dei papi, III, Roma 1932, p. 193; C. Vasoli, Studi sulla cultura del Rinascimento, Manduria 1968, pp. 235-237; A. Prosperi, Il monaco T.: note su un processo fiorentino del 1515, in Critica storica, XII (1975), pp. 71-101 (poi in Id., Eresie e devozioni, I, Roma 2010, pp. 19-47); I. Piersanti, Il monaco T. e Firenze. Un episodio paradigmatico di politica ecclesiastica, in Rinascimento, XXIX (1989), pp. 359-376; L. Polizzotto, The elect nation. The Savonarolan movement in Florence, 1494-1545, Oxford 1996, pp. 276-290; S. Leftley, The millennium in Renaissance Italy: a persecuted belief?, in Renaissance studies, XIII (1999), pp. 117-129; A. Matucci, L’abiura di Don T.: divertimento novellistico o calcolo politico?, in Storiografia repubblicana fiorentina (1494-1570), a cura di J.-J. Marchand - J.-C. Zancarini, Firenze 2003, pp. 197-208; S. Dall’Aglio, L’eremita e il sinodo. Paolo Giustiniani e l’offensiva medicea contro Girolamo Savonarola (1516-1517), Firenze 2006, pp. 87-98; M. Lodone, Migraciones y expectativas mesiánicas. Giorgio Benigno Salviati, el monje T. y Paolo Angelo en la Italia del Renacimiento, in Visiones imperiales y profecía. Roma, España, Nuevo Mundo, a cura di S. Pastore - M. García-Arenal, Madrid 2018, pp. 81-101.