LECHI, Teodoro
Nacque a Brescia il 16 genn. 1778, nono figlio del conte Faustino e della contessa Doralice Bielli. Poco più che diciottenne, fu con i fratelli Giuseppe, Giacomo, Angelo e Bernardino fra i cospiratori che il 18 marzo 1797 diedero vita alla rivoluzione antiveneta che portò alla nascita della Repubblica bresciana.
Seguendo l'esempio dei fratelli Giuseppe e Angelo, il L. abbracciò la carriera militare e l'11 maggio 1797 fu nominato capitano della 1ª compagnia granatieri e della mezza brigata costituita in Brescia dal Governo provvisorio. Nel mese di agosto, al comando del fratello Giuseppe, partì, con la sua mezza brigata, per la spedizione nelle Marche. Giunto a Rimini, il L. fu inviato con i suoi granatieri a Pesaro dove fu raggiunto da tutta la brigata. Stipulata la pace con il papa, la brigata fu sciolta e il L. si portò a Ferrara agli ordini del generale A. Delmas; successivamente fu a Cremona dove ricevette la nomina a maggiore (giugno 1798). Capo battaglione nella successiva spedizione in Valtellina, una volta disciolta la divisione, il L. fu aggregato allo stato maggiore del fratello Giuseppe, al comando del quale eseguì, sotto l'incalzare delle truppe austro-russe, la ritirata verso il Piemonte e di lì in Francia, a Grenoble. Chiamato a Genova dal generale A. Masséna, dopo aver resistito all'assedio austro-russo riparò in Francia e con i fratelli Giuseppe e Angelo costituì a Digione, su invito del generale Napoleone Bonaparte, la legione italica.
Nella seconda campagna d'Italia il L., sempre agli ordini del fratello, ebbe il comando del I battaglione della mezza brigata, distinguendosi nei fatti d'arme di Varallo, Arona e Lecco. Entrato trionfalmente con la legione a Brescia, fu successivamente inviato in Valtellina e di lì, attraverso la Valcamonica e la Valsabbia, in Trentino. La conquista di Trento, di cui fu valoroso protagonista, gli procurò la promozione a colonnello (gennaio 1801).
Nell'estate del 1803, ancora agli ordini del fratello Giuseppe, partì per la spedizione contro il Regno di Napoli, ma giunto a Rimini il suo corpo fu richiamato a Modena con l'ordine di formare due battaglioni di granatieri per la costituenda guardia presidenziale italiana. Impiegato dal dicembre 1803 a Parigi con due battaglioni granatieri nella guardia del primo console, nel dicembre 1804 il L. assistette all'incoronazione di Napoleone a imperatore dei Francesi e fu poi nominato membro della deputazione italiana incaricata di votare la costituzione del Regno d'Italia. Un mese dopo, alle Tuileries, gli fu conferita la croce di cavaliere della Legion d'onore (prima nomina). Napoleone diede poi un ulteriore segno della considerazione in cui lo teneva accettando di soggiornare nella villa della famiglia Lechi a Montirone, subito dopo l'incoronazione a re d'Italia (26 maggio 1805). Di pochi mesi successivi fu l'affidamento al L. del comando della guardia reale italiana, alla testa della quale il 1° ottobre attraversò il Reno dirigendosi verso Vienna, dove entrò nel novembre 1805 dopo la vittoria riportata sugli Austriaci a Ulma.
Il 2 dicembre il L. partecipò con la guardia alla battaglia di Austerlitz. Al rientro a Milano, il 23 maggio 1806 ricevette in S. Ambrogio le insegne di commendatore dell'Ordine della Corona di ferro (prima nomina) e, il successivo 23 maggio, la promozione a generale di brigata. Vennero poi la campagna di Illiria (1806-08) e quella di Ungheria (maggio 1809), agli ordini del viceré E. de Beauharnais, con cui il 5 giugno fu schierato nella battaglia di Wagram. Il 15 ag. 1809, per i suoi meriti militari, il L. fu nominato da Napoleone barone dell'Impero con diritto di trasmettere il titolo. Approfittò quindi della sospensione delle ostilità tra il 1810 e il 1811 per rientrare a Milano e dedicarsi alla vita di corte e alla sua imponente collezione di dipinti (alcuni dei quali furono da lui venduti all'Accademia di Brera). Il 15 febbr. 1812 lasciò Milano alla testa della guardia reale per partecipare alla campagna di Russia. Alle nuove prove di valore da lui offerte nei combattimenti di Ostrowno, Smolensk, Borodino, della Moscova, dove salvò la divisione Pino, e a Malojaroslavec, seguirono la ritirata e il decisivo soccorso prestato a E. de Beauharnais, sulla Beresina. Riorganizzata la guardia reale al ritorno in Italia, fra il 14 e il 18 ott. 1813 prese parte alla battaglia di Lipsia. Dopo essersi inutilmente adoperato per salvare il Regno d'Italia, il 27 aprile il L. fece ammainare e bruciare le bandiere della guardia: le aquile delle insegne, nascoste nella villa di Montirone, furono da lui donate nel 1848 a Carlo Alberto di Savoia.
Caduto il Regno d'Italia, il L. partecipò alla congiura dei generali. Arrestato il 14 dic. 1814, fu incarcerato a Mantova e condannato a morte, pena poi commutata in quattro anni di carcere, che scontò alla Rocchetta del Castello sforzesco. Nel dicembre 1818 tornò libero, ma fu costretto a vendere la casa di Milano e parte della sua bella quadreria. Si stabilì a Brescia, e nel 1829 vi sposò la contessa Clara Martinengo Cesaresco dalla quale ebbe Luigi e Faustino, il primo dei quali morì in tenera età.
Nel 1848, allo scoppio delle Cinque giornate di Milano, il L., ormai settantenne, fu nominato dal governo provvisorio lombardo comandante della guardia civica; la reazione austriaca gli procurò qualche giorno di detenzione: liberato il 25 marzo, fu confermato dal governo provvisorio nel suo ruolo di comando. In tale veste dovette misurarsi con i problemi organizzativi e logistici di un esercito formato da truppe male armate e poco addestrate; però nulla lo colpì come l'inadeguatezza dei comandi piemontesi, che alla istintiva diffidenza verso i volontari sommavano l'incapacità strategica e la mancanza di risolutezza nelle operazioni belliche. Dimessosi per l'impossibilità di contribuire con efficacia all'andamento della guerra, il L. si rifugiò a Torino dove, il 19 sett. 1848, Carlo Alberto lo nominò generale d'armata a riposo e cavaliere di gran croce dell'Ordine dei Ss. Maurizio e Lazzaro, ma dove anche lo raggiunse la notizia della multa e del sequestro dei beni, decretati ai suoi danni dall'Austria all'indomani del moto milanese del 6 febbr. 1853, al quale era stato del tutto estraneo.
Tornò a Milano dopo la liberazione della Lombardia e vi si spense il 2 maggio 1866.
Negli anni dell'esilio torinese era stato insignito da Napoleone III di varie onorificenze, tra cui la Legion d'onore (1856) e la medaglia di S. Elena (1858).
Fonti e Bibl.: Brescia, Arch. privato Lechi (in via di riordinamento); G. Lombroso, Vite dei generali ed ufficiali italiani che si distinsero dal 1796 al 1815, Milano 1843, pp. 217-243; G. Gallia, Biografia del generale T. L., Brescia-Verona 1867; A. Lumbroso, Il generale d'armata conte T. L. da Brescia (1778-1866) e la sua famiglia, in Riv. storica del Risorgimento italiano, III (1898-1900), pp. 349-365; Il generale conte T. L. 1778-1866. Note autobiografiche, a cura di F. Lechi, Brescia 1933; Storia di Brescia, V, Indice dei nomi e degli argomenti, Brescia 1961, ad nomen; F. Della Peruta, Esercito e società nell'Italia napoleonica, Milano 1988, ad ind.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v. (E. Michel).