TEODORO I Paleologo, marchese di Monferrato
TEODORO I Paleologo, marchese di Monferrato. – Secondogenito dell’imperatore bizantino Andronico II e di Iolanda-Irene di Monferrato, nacque a Costantinopoli negli ultimi mesi del 1291 e visse presso la corte imperiale fino al 1306, quando fu designato a raccogliere l’eredità del Marchesato toccato alla madre per successione al fratello Giovanni I, ultimo degli Aleramici di Monferrato.
Teodoro, allora quattordicenne, sbarcò a Genova nell’estate del 1306 e, secondo gli accordi intercorsi, prese in moglie Argentina, figlia di Opizzino Spinola, in quel momento uno dei rettori del Comune genovese. L’assistenza e i mezzi che il suocero mise a sua disposizione gli consentirono di affrontare con successo la ribellione dei vassalli marchionali aderenti a Manfredo IV di Saluzzo, che gli contendeva la successione nel Marchesato.
Il 15 settembre 1306 diede inizio da Casale alle operazioni con l’assistenza di Filippone di Langosco, signore di Pavia, e di Rinaldo Spinola, vicario del Comune di Genova; esse ebbero relativo successo poiché entro la fine dell’anno la maggior parte del Marchesato aveva reso omaggio al nuovo legittimo marchese. Nella primavera del 1307 egli si trovò però contro anche il Comune di Asti, il principe di Acaia e re Carlo II di Angiò e il 7 agosto, presso Vignale, il suo esercito fu gravemente sconfitto. Solo le trattative prontamente avviate con l’angioino da Opizzino Spinola ristabilirono la situazione ottenendo la cessione di Moncalvo e Vignale.
Il 30 ottobre 1310 Teodoro si recò a rendere omaggio a Torino al re dei Romani Enrico VII sceso in Italia; questi dapprima lo rifiutò a causa della controversia tuttora aperta con Manfredo di Saluzzo, ma il 25 novembre accettò di essere servito con cento cavalieri ben equipaggiati e il 29 successivo in Asti lo investì ufficialmente del Marchesato. Sino al 12 gennaio 1311 fu al seguito del re a Milano e a Novara partecipando, da maggio a settembre, all’assedio di Brescia. Il 3 novembre a Genova si addivenne a un accomodamento anche con Manfredo di Saluzzo il quale solo allora accettò di riconoscere Teodoro come legittimo erede del Marchesato di Monferrato.
Nel gennaio del 1311, agli ordini del vicario imperiale in Lombardia Werner di Homberg, Teodoro fu impegnato nell’assedio di Pavia; il 2 febbraio, a causa di «brigas et turbationes» (Heinrici VII. constitutiones, a cura di I. Schwalm, 1906, doc. 714) in atto nelle sue terre, ottenne di ridurre le prestazioni militari a soli cinquanta cavalieri sostituendo gli altri con mille fanti da impiegare in Lombardia; in compenso gli fu consentito di coniare in proprio il fiorino d’oro fiorentino. In aprile, insieme con Homberg, si scontrò a Quattordio con le truppe angioine in una battaglia sul cui esito le fonti sono discordi. Il 27 giugno si trovava ancora «in exercitu circa Papia» (H. Finke, Acta..., I, 1908, doc. 210), poi all’assedio di Garlasco; intanto nel Marchesato dovevano continuare le beghe interne, poiché il 9 luglio Homberg invitava i ghibellini di qua e di là del Po ad aiutare Teodoro a recuperare le proprie terre. Si trovava a Vercelli in agosto quando la città fu presa con l’inganno da Filippone di Langosco, mentre nel successivo aprile la corte imperiale ventilava la possibilità di conferigli il vicariato per la città di Tortona; il 24 settembre, sempre insieme a Homberg, fu battuto dagli Angioini nella battaglia di Abbiategrasso.
Fu probabilmente dopo la scomparsa di Enrico VII (21 agosto 1313) che Teodoro riuscì a impadronirsi stabilmente delle località di Tricerro, Palazzolo e Fontanetto Po sottraendole al Comune di Vercelli; l’azione continuava alla fine di novembre, quando prese anche il vicino Livorno Ferraris e, dopo averne rafforzato le difese, provvide a punire severamente le comunità che, nel corso dell’impresa, non avevano adempiuto ai prescritti obblighi militari. In quello stesso anno dovette nascere la figlia Iolanda, documentata infatti come decenne nel 1323. Il 12 febbraio 1315 Teodoro agiva come capo dei fuorusciti di Vercelli, Casale, Asti e Alessandria, presto riammessi nelle rispettive città, e il 23 marzo 1316 Casale stessa accettò la sua signoria e fu seguita in ottobre da Trino.
Nella seconda metà dell’anno Teodoro, partito da Genova nel giugno del 1317, ritornò una prima volta in Oriente. Il suo intento – come scrisse egli stesso – era di portare soccorso all’Impero minacciato da nemici e ribelli; ma dopo due anni, vista l’impossibilità di influire sugli avvenimenti, ripartì per l’Italia sbarcando a Venezia il 10 giugno 1319. Il 3 settembre, a Chivasso, nel corso di una seduta del Parlamento presieduta dall’ambasciatore greco Stefano Siropulo, non esitò a dichiarare il Marchesato membro dell’Impero d’Oriente. Il 5 e 6 gennaio 1320 lo stesso parlamento approvò nuove disposizioni per i doveri militari di signori e comunità dipendenti. Il 5 febbraio 1321 gli nacque un figlio che ebbe nome Giovanni e nel luglio ottenne la signoria di Breme. Dopo i tentennamenti del 1322 decise di rimanere fedele alla parte imperiale e avviò contatti con Ludovico di Baviera partecipando nel gennaio del 1324 al convegno ghibellino di Palazzolo sull’Oglio.
Per quanto fortemente impegnato nel governo del Marchesato, Teodoro non perdeva di vista la possibilità di intromettersi nelle controversie che agitavano allora l’Impero d’Oriente: nell’ottobre del 1323 correva infatti voce che intendesse maritare la figlia Iolanda con un figlio di Giacomo d’Aragona lasciandole in eredità il Marchesato, nell’evenienza che Teodoro, con moglie e figlio, decidesse di trasferirsi stabilmente in Oriente dove il padre Andronico II gli avrebbe promesso il regno di Tessalonica. Tale progetto non ebbe seguito e il 1° marzo 1325 Teodoro propose invece un doppio contratto nuziale, tra i rispettivi figli, con il principe di Acaia.
Nello stesso mese, lasciato il governo del Marchesato nelle mani della moglie, ripartì per Costantinopoli con la speranza di poter svolgere un ruolo importante a corte e, se del caso, di concorrere per la successione all’Impero. Si trattava però di speranze destinate a rimanere ancora una volta deluse, poiché non gli fu offerta nessuna occasione di rendersi utile. Si accontentò perciò di concorrere in qualche modo alla difesa dello Stato componendo il trattato politico-militare noto come Gli Insegnamenti, e nell’agosto del 1328, dopo circa due anni di inutile permanenza in Oriente, si accinse a ritornare in Monferrato dove la sua assenza si faceva sentire.
Il 15 dicembre ottenne per tre anni la signoria di Vercelli e mentre il suo atteggiamento politico rimaneva oscillante fra papa e imperatore, reggeva l’amicizia con il principe di Acaia. Ciò nonostante il 26 dicembre 1329 annullò gli accordi nuziali a suo tempo stabiliti con lui e rinegoziò il matrimonio della figlia con Aimone di Savoia, cerimonia che fu celebrata a Chivasso il 1° maggio 1330. I rancori di Acaia portarono in seguito alla rottura e all’avvicinamento di Teodoro con Roberto di Angiò. Nel settembre del 1334 tentò di impadronirsi a tradimento di Torino, ma ciò nonostante una tregua poté essere raggiunta nell’agosto dell’anno dopo.
In novembre, previa raccomandazione di papa Benedetto XII, Teodoro si recò in Francia per trattare con Filippo VI di «certi segreti» (Bénoit XII..., a cura di J.M. Vidal, I, 1903, doc. 130); essi si connettevano probabilmente con la crociata che il re aveva allora in preparazione e nel corso della quale non si escludeva un’eventuale occupazione dell’Impero d’Oriente. A Tolosa il 25 gennaio 1335 Filippo gli concesse un ‘feudo di rendita’ di 1000 fiorini ed egli dovette, in un certo senso, ricambiare con il dono di una copia dei suoi Insegnamenti militari, che aveva da poco tradotto dal greco in latino e che, presto volti in volgare francese, sarebbero stati presentati al re.
Teodoro fu di ritorno nel suo Marchesato non prima dell’agosto del 1336 e in settembre si occupò delle monete battute nella zecca di Chivasso. Il 4 febbraio 1337 fu concordato il matrimonio del figlio Giovanni con Cecilia di Comminges, cui seguì di poco la morte della consorte Argentina, gratificata il 29 marzo dal papa dell’assoluzione in articulo mortis. Forse presentendo la fine prossima, Teodoro rinnovò a Torino il 24 febbraio 1338 il proprio testamento, con il quale stabiliva di essere sepolto nel monastero di S. Maria di Lucedio e lasciava all’unico figlio maschio quanto possedeva in Italia e in imperio Romanie. Dopo aver ricevuto a sua volta, il 15 marzo, l’assoluzione da Benedetto XII, stese in quel giorno l’ultimo atto a noi noto con il quale confermava i diritti spettanti a S. Maria di Crea.
L’obituario di S. Maria di Lucedio registrò il suo decesso sotto la data del 21 aprile 1338.
Trovatosi ad agire fra due mondi culturalmente molto diversi, Teodoro per il solo fatto di essere nato in Grecia fu considerato in Occidente infido e imbelle, mentre a Bisanzio non piacque che avesse adottato costumi occidentali. Al momento del suo arrivo in Monferrato le fonti italiane lo indicano con disprezzo e sufficienza come Grecus ille o marchio Grecus, né la sua alta nascita impedì che, anche in seguito, il pregiudizio continuasse a pesare su di lui, definito «grande e potente in Italia, ma misero e di nessuna audacia e valore come colui che per sua natura e nascita è Greco» (H. Finke, Acta..., cit., doc. 266), mentre da parte sua il cronista Pietro Azario non esitò a dirlo «debole e di nessun valore» (Liber..., a cura di F. Cognasso, 1926, XVI, 4, p. 174). Tali giudizi si sono inevitabilmente riverberati nelle valutazioni degli storici moderni: si è infatti scritto che Teodoro «non seppe vivere né alla greca né alla latina [...], non ebbe la capacità di sostenere la posizione delicata del Marchesato. Costantemente oppresso dal bisogno di denari, procedette a pegni, a vendite pericolose; nelle armi non seppe distinguersi» (Cognasso, 1927, p. 45).
Ma Werner di Homberg che lo vide combattere ventenne non esitò invece a definirlo «fulgido di valore militare» (‘Quando venit...’, 2008, p. 13). Inoltre, Teodoro riconquistò e mantenne, in condizioni particolarmente difficili, la compagine del Marchesato, curò saggiamente di stabilire una continuità di governo con i suoi predecessori Aleramici riunendo così le forze locali attorno alla nuova dinastia. Ciò nonostante non cessò mai di rivolgere i suoi pensieri all’Impero d’Oriente e la sua aspirazione al trono fu ben più di una semplice e illusoria pretesa propagandistica, tanto da farlo apparire «un personaggio esemplare del ‘crepuscolo di Bisanzio’ sospeso fra Oriente e Occidente alla ricerca della grandezza, ma sempre ricondotto al suo ruolo iniziale di cadetto» (Di Branco - Izzo, 2015, p. 7). Egli ha lasciato tuttavia ricordo di sé come autore di un originale trattato militare e di considerazioni filosofico-morali sulla distribuzione della ricchezza, caso del tutto eccezionale fra i signori italiani del suo tempo.
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