GHISI, Teodoro
Nacque nel 1536 a Mantova, dove quello stesso anno il padre Ludovico, mercante originario di Parma, era stato "investito" dallo Spedale del possesso di una casa in contrada del Cigno, poi riconfermato al G. nel 1576 e nel 1590 (D'Arco, II, pp. 138 s., 267).
Negli anni decisivi della sua formazione, Mantova era una città che, all'ombra del mecenatismo gonzaghesco del cardinale Ercole e del duca Guglielmo, aveva ancora molti debiti culturali nei confronti di Giulio Romano, morto nel 1546: alcuni maestri, che in diversa misura avevano collaborato con lui, o che comunque erano cresciuti a diretto contatto con le sue opere, ne perpetuavano stilemi e modelli, alimentando con ciò il gusto della corte ducale. Nel tradurre e mediare topoi giulieschi rivestì una certa importanza la bottega di Ippolito Costa, all'interno della quale dovette compiersi l'apprendistato del G., accanto al coetaneo, e figlio di Ippolito, Lorenzo, e non presso quest'ultimo, come lasciano intendere le fonti (ibid., I, pp. 78 s.). Così, il G. imparò a utilizzare un lessico permeato di istanze manieriste osservate negli esiti raggiunti dal cantiere pittorico del duomo, aperto nel 1552, integrate in seguito con le novità romane portate a Mantova dallo stesso Lorenzo Costa, che tra il dicembre 1561 e l'ottobre 1564 collaborò con Federico Zuccari alla decorazione del casino di Pio IV; nonché approfondite attraverso le esperienze, maturate durante i soggiorni a Roma, a Fontainebleau e nelle Fiandre, del fratello Giorgio, maggiore di sedici anni e ancora attivo nell'arte incisoria. A un rapporto di reciproca influenza si deve quella collaborazione che portò il G. a fornire invenzioni tradotte graficamente dal fratello. È quanto accadde per l'incisione raffigurante Angelica e Medoro, forse da un dipinto del G., disperso, ma un tempo conservato in una collezione privata di Amsterdam (Thieme - Becker, p. 565); o, per quella con Venere e Adone, che Giorgio derivò da un originale del G., perduto ma documentato nelle collezioni gonzaghesche fino al 1627 (Luzio, 1913, pp. 95 s.) e noto attraverso una copia di anonimo conservata nel Musée des beaux-arts di Nantes. Di questa composizione si conserva a Chatsworth un disegno attribuito al G., relativo al particolare del putto con coniglio.
A confermare gli stretti rapporti con l'ambiente mantovano, e con Costa in particolare, sta non solo la Sacra Famiglia con s. Giovannino della chiesa di S. Maria di Castello di Viadana, omaggio ai prototipi giulieschi, riferibile alla fine del settimo decennio o al più tardi all'inizio dell'ottavo, ma soprattutto la pala con il Battesimo di Cristo, per la quale sono documentati due pagamenti entro il 1572, per l'altare di S. Giovanni Battista nella chiesa palatina di S. Barbara (Gozzi, 1974, p. 91).
Eretta per volontà del duca Guglielmo nell'arco di un decennio, a partire dalla fine del 1562, la chiesa fu un importante cantiere dove gli artisti lavorarono sotto la direzione di G.B. Bertani, architetto della fabbrica e responsabile della decorazione degli altari, forse fin nella fornitura di modelli ai pittori. Il dipinto del G., tra le sue prime opere pubbliche, si collocava dunque all'interno di un ciclo omogeneo da un punto di vista compositivo e finanche stilistico, le cui declinazioni "romane" furono in parte dovute alla presenza in loco degli arazzi con gli Atti degli apostoli derivati dai cartoni raffaelleschi e donati da Guglielmo alla basilica palatina nel 1569.
Se con il Battesimo di Cristo il G. aderiva alla pittura manierista di ascendenza romana, nel rappresentarvi con estrema minuzia un pappagallo si mostrava attento alla resa del dettaglio naturalistico. Proprio in quegli stessi anni ritrasse, tra l'altro, in due disegni a colori, i pappagalli presenti nella residenza della duchessa Eleonora d'Asburgo, su richiesta di Ulisse Aldrovandi, che descrisse il museo eclettico posseduto dal G. e allestito in una saletta nel palazzo Te. Qui egli era stipendiato come "guardiano" (Belluzzi, p. 69) e, fin dal 1574, aveva una stanza per dipingere (The engravings…, p. 20).
Nel 1872 l'oratorio mantovano di S. Antonio venne soppresso e distrutto. Tra i suoi arredi figuravano due quadri realizzati dal G., la Trinità tra i ss. Rocco e Sebastiano, oggi rintracciata in un dipinto conservato nel Museo di Castelvecchio a Verona, firmato e datato 1577, e l'Incontro di Gioacchino e Anna, ritrovato nelle collezioni del palazzo ducale di Mantova. È in particolare nella composizione di quest'ultimo che, oltre alle consuete formule giuliesche, si registrano decise ascendenze nordiche, dovute senza dubbio allo stretto contatto con il fratello e la sua produzione grafica. A questo periodo potrebbe risalire, se confermata la paternità, anche la Predicazione del Battista per la chiesa mantovana di Ognissanti.
Intorno al 1579 il G. fu attivo a Carpi: a questa data il suo nome compare nei registri della Confraternita della Misericordia. Dei dipinti realizzati a Carpi ricordati da Campori (pp. 243 s.), l'Assunzione della Vergine per la chiesa di S. Giovanni Battista è dispersa; la Madonna con Bambino con i ss. Nicola e Lorenzo, per l'oratorio di S. Nicola, è ora nella chiesa di S. Rocco. Nel duomo si trova la Visitazione, eseguita per Luca Paoletti, del quale compaiono in bella evidenza in basso al centro lo stemma e le iniziali: si tratta di un'opera databile, come le altre carpigiane, alla fine degli anni Settanta, anche perché è molto vicina, per tecnica esecutiva e per la stessa struttura compositiva, ai dipinti del 1577 e, in particolare, all'Incontro di Gioacchino e Anna.
Ai primi anni Ottanta è stata ricondotta la Crocefissione e santi, ora nella chiesa di S. Martino di Treviglio, ma di provenienza mantovana. Al saldo plasticismo delle figure si affianca qui, specialmente nel dettaglio del paesaggio sullo sfondo, una vena descrittiva che, resa con una particolare nota cromatica di tipo miniaturistico, sembra derivare dall'attività condotta dal G. nel campo dell'illustrazione del libro a carattere sia scientifico - sue sono le miniature del De omnium animalium naturis atque formis di Pier Candido Decembrio conservato nella Biblioteca apostolica Vaticana -, sia religioso, con le nove miniature superstiti dei libri liturgici della basilica palatina di S. Barbara.
Pittore stipendiato dalla corte (che a lui si rivolse anche per consulenze sulle collezioni ducali), il G. partecipò, insieme con altri artisti, all'impresa voluta dai signori di Mantova, eseguendo nei primi anni Ottanta copie di ritratti di personaggi della famiglia per la collezione allestita dall'arciduca Ferdinando d'Austria-Tirolo, fratello della duchessa Eleonora, già conservata nel castello di Ambras e oggi al Kunsthistorisches Museum di Vienna. L'attività di copista, incentivata dalle numerose commissioni gonzaghesche soprattutto negli anni Novanta, lo portò a realizzare per la famiglia Capilupi copie, oggi disperse, dalla serie degli imperatori dipinti da Tiziano per Federico Gonzaga; fu in diverse occasioni impegnato a eseguire imperatrici romane, non meglio identificate (Tellini Perina, 1979, p. 243), e nel maggio del 1590 di nuovo una serie di imperatori (Bertolotti).
All'interno di un complessivo programma politico si deve collocare la risistemazione promossa dal duca Guglielmo dei luoghi del potere: oltre al palazzo ducale, il castello di Goito, distrutto nel corso del Settecento. I pittori "più famosi et eccellenti che hogi si ritruovino" (Una descrizione…, p. 272) parteciparono alla decorazione delle sale. Il G., che insieme con Ippolito Andreasi preparò i cartoni nel palazzo Te, è documentato nella sala della Vittoria dell'appartamento di Guglielmo, dove realizzò alcuni dipinti di soggetto storico dinastico che sono stati riconosciuti nelle grandi tele del castello di Opočno, non lontano da Praga: il Giuramento di Luigi Gonzaga, il Combattimento tra i fratelli Ludovico e Carlo Gonzaga, e, con attribuzione più dubbia (Berzaghi, 1985, p. 53), un Fatto d'arme di casa Gonzaga. Ponendo l'azione prevalentemente nel primo piano affollato di piccole figure, il G. ottemperava certo alle istanze di un programma di celebrazione dinastica, ma senza considerare il più vicino e illustre precedente, costituito dalle tele realizzate dal Tintoretto per le stanze nuove volute da Guglielmo nel palazzo ducale.
Alla fine del 1587 il G. venne chiamato a Graz, presso l'arciduca Carlo II di Stiria, fratello della duchessa Eleonora, in qualità di artista stipendiato dalla corte. La prima importante commissione vide il G. impegnato a eseguire il Symbolum apostolorum, firmato e datato 1588, e conservato nel Landesmuseum Joanneum di Graz.
Nel concepirlo come una pagina illustrata (quadretti laterali, alcuni allegorici, altri con Storie di Cristo, cimasa con la Gloria e riquadro centrale con la Creazione di Eva), il G. dimostra tutte le sue caratteristiche: pittore attento al dato naturalistico nella resa degli animali; sempre fedele alla sua origine classicista raffaellesca, dalla quale derivano la maggior parte degli schemi utilizzati nei riquadri minori; di facile vena miniaturistica; attento a raccogliere influenze fiamminghe; abile narratore. L'adozione dello schema dei "misteri" del Rosario, agevolava il dichiarato intento didascalico del dipinto, convenendo così con le istanze dell'arciduca, impegnato in un'opera di restaurazione cattolica all'interno del suo Stato.
Il dipinto dovette rispondere alle aspettative della committenza, tanto che nello stesso anno 1588 il G. lavorò, come ricorda anche un'iscrizione dipinta sulla volta, nel fastoso mausoleo fatto costruire dall'arciduca Carlo per sé e per la moglie Maria di Baviera, annesso alla basilica di Seckau. Al G., che pur disponeva di aiuti, si deve la decorazione nel suo complesso, dove tutte le pur presenti suggestioni di matrice raffaellesca e perfino correggesca sono ridotte a formule grammaticali, a topoi retorici codificati.
Si devono al G. i dipinti delle due volte a crociera costituenti il soffitto con l'Assunzione della Vergine e il Trionfo della Chiesa, realizzati a olio su gesso; la pala d'altare con la Trasfigurazione fiancheggiata da pilastri nei quali sono raffigurati i Quattro evangelisti; il grande riquadro sulla parete laterale al di sopra del cenotafio con l'episodio del Sinite parvulos. Vero e proprio ritratto di famiglia, per il quale venne utilizzato un arcaico ma efficace schema paratattico, rappresenta un soggetto ripreso anche in una tela conservata nel Joanneum di Graz ed eseguita dal G. nello stesso momento, sebbene con maggiore libertà compositiva. Tuttavia, rimane costante una delle caratteristiche compositive del G., ovvero l'annullamento dei livelli intermedi che crea un vuoto tra orizzonte e piani immediatamente vicini all'osservatore.
Ancora per la corte, il G. dipinse nel 1587 i ritratti degli arciduchi, andati perduti, e gli affreschi della cappella di corte a Graz che Morpurgo (p. 54 e tav. LXXXIX) ricordava non più in loco. Nonostante Carlo II gli avesse concesso nel 1589 un vitalizio di 100 fiorini l'anno, il G. nel 1590 era di nuovo a Mantova. I contatti con Graz non vennero comunque meno, se nel 1599 il duca di Mantova Vincenzo intercedeva presso il G. affinché copiasse per l'arciduchessa Maria un dipinto di Luca Longhi da lei visto nell'abbazia di S. Benedetto di Polirone (Luzio, 1913, p. 95).
Risentono molto delle esperienze maturate dal G. in Stiria, e soprattutto di un certo arcaismo della raffigurazione, alcuni dipinti non documentati, ma a lui riferibili, e a un momento immediatamente successivo al suo rientro a Mantova. La Maddalena della chiesa di S. Martino conferma le sue singolari doti coloristiche, come pure il Salvator Mundi della chiesa di S. Barnaba, dove lo sfondo di rovine può essere messo in relazione con i quadri realizzati in Stiria, ma anche con alcune stampe del fratello. Una tale sensibilità verso il rovinismo compare anche nella Madonna con Bambino del capitolo della cattedrale mantovana, ancora riferibile al G. e alla fine del nono decennio. A una fase più avanzata dovrebbero invece risalire due dipinti in collezioni private mantovane, l'Estasi della beata Osanna e il Gesù e le Marie (Tellini Perina, 1979, pp. 265-268).
All'inizio degli anni Novanta il G. lavorò nel duomo di Mantova insieme con Ippolito Andreasi. Condotta su iniziativa di Francesco Gonzaga, vescovo di Mantova, dal 1593 profondamente impegnato nella riforma della diocesi, l'impresa si estese alla decorazione ad affresco della cappella dell'Incoronata, del transetto e della cupola, nonché alla fornitura di cartoni per gli arazzi donati alla chiesa dal vescovo nel 1599.
Gli affreschi della cappella, con la Pentecoste e la Morte della Vergine sulle pareti e l'Assunzione nella volta, sono caratterizzati da un impianto di ampio respiro, e da una monumentalità senza fasto che si ritrova nei riquadri delle pareti del transetto, dove sono dipinti, in un intento ancora dichiaratamente dinastico, gli episodi più illustri della Chiesa mantovana. Esiti "neo-feudali" (ibid., p. 258) sono più evidenti qui che non nel resto della decorazione del transetto, negli ovali e ottagoni della volta con i fatti degli Ordini domenicano e francescano, o nella cupola, dove è rappresentato il Paradiso con i cori angelici.
Sottoposta a un programma dettagliato, questa parte della decorazione del duomo mostra una omogeneità stilistica tale da rendere poco agevole l'individuazione delle pertinenze specifiche del G., qui attivo fino alla morte. L'opera sarebbe stata proseguita dal solo Andreasi.
Già malato di gotta, il G. morì a Mantova nel 1601 e fu sepolto nella chiesa di S. Marco nella tomba da lui stesso fatta costruire. Lasciava Caterina, sua moglie, e il figlio Ludovico (D'Arco, II, p. 267).
Fonti e Bibl.: G. Campori, Gli artisti italiani e stranieri negli Stati estensi, Modena 1855, pp. 243 s., 500; C. D'Arco, Delle arti e degli artefici di Mantova, I-II, Mantova 1857, ad indicem; A. Bertolotti, Figuli, fonditori e scultori in relazione con la corte di Mantova nei secoli XV, XVI e XVII, Milano 1890, p. 76; A. Luzio, La galleria dei Gonzaga venduta all'Inghilterra nel 1627-28, Milano 1913, ad indicem; Id., Gli arazzi dei Gonzaga restituiti dall'Austria, Bergamo 1919, p. 7; E. Morpurgo, Gli artisti italiani in Austria, I, Roma 1937, pp. 51-54; C. Perina, Appunti sulla pittura mantovana della seconda metà del Cinquecento, in Commentari, XIII (1962), p. 106; Id., L'ambiente pittorico mantovano fra il 1570 e il 1600, in Mantova. Le arti, III, Mantova 1965, pp. 378 s. e ad indicem; T. Gozzi, La basilica palatina di S. Barbara in Mantova, in Atti e memorie dell'Accademia Virgiliana di scienze, lettere e arti, XLII (1974), pp. 3-91 passim; C. Tellini Perina, "Bertanus invenit": considerazioni su alcuni aspetti della cultura figurativa del Cinquecento a Mantova, in Antichità viva, XIII (1974), 4, pp. 17-28; Una descrizione cinquecentesca del palazzo ducale di Goito, a cura di W. Ponti, in Civiltà mantovana, IX (1975), pp. 272 s.; G. Amadei - E. Marani, I ritratti gonzagheschi della collezione di Ambras, Mantova 1978, p. 10; C. Tellini Perina, T. G.: l'immagine fra Maniera e Controriforma, in La scienza a corte. Collezionismo eclettico natura e immagine a Mantova fra Rinascimento e manierismo, Roma 1979, pp. 240-268; Id., Per il catalogo di T. G., in Arte lombarda, n.s., 1982, nn. 58-59, pp. 47-51; Id., in La pittura in Italia. Il Cinquecento, II, Milano 1982, p. 726; S. Marinelli, Il restauro di due dipinti mantovani, in Ricerche di storia dell'arte, 1982, n. 18, pp. 73-76; C. Tellini Perina, Contributo al catalogo di T. G., in Paragone, XXXV (1984), 413, pp. 62-67; C.M. Pyle, Eine Einführung, in Das Tierbuch des Petrus Candidus. Codex Urbinas Latinus 276, I, Città del Vaticano 1984, pp. 98-101; R. Berzaghi, Francesco Borgani pittore mantovano, in Il Seicento nell'arte e nella cultura con riferimenti a Mantova, Mantova 1985, pp. 53, 57; The engravings of Giorgio Ghisi (catal.), a cura di M. Lewis - R.E. Lewis, con introduzione di S. Boorsch, New York 1985, passim; R. Berzaghi, in Pittura a Mantova dal romanico al Settecento, a cura di M. Gregori, Milano 1989, p. 243 e passim; J. Kliemann, Gesta dipinte. La grande decorazione nelle dimore italiane dal Quattrocento al Seicento, Milano 1993, pp. 108 s.; A. Belluzzi, Palazzo Te a Mantova, Modena 1998, ad indicem; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XIII, pp. 564 s.