Scrittore ecclesiastico (n. Antiochia 350 circa - m. 428), vescovo di Mopsuestia. Condiscepolo di s. Giovanni Crisostomo, si dedicò in modo particolare all'esegesi biblica secondo i principî della Scuola antiochena, polemizzando contro l'allegorismo alessandrino. Nei riguardi della questione cristologica negò la legittimità dell'epiteto di theotòkos ("madre di Dio") da applicarsi alla Vergine e insisté così energicamente nel rilevare la compiutezza delle due nature, divina e umana, in Cristo (come Verbo ab aeterno, come uomo Gesù nato nel tempo) da sembrare di disgiungerle, come poi fece Nestorio. Ebbe anche, sulla questione della grazia, una teoria che lo ravvicina al pelagianesimo. L'imperatore Giustiniano lo dichiarò eretico, e la condanna fu confermata dal II Concilio di Costantinopoli (553). Dei suoi scritti andati in gran parte perduti a seguito della condanna, ci restano, per lo più in traduzione siriaca o latina, alcune opere esegetiche, le Omelie catechetiche e gran parte della Disputa con i macedoniani.