TENSORE
. Temmine matematico. Secondo la nomenclatura originariamente adottata da W.R. Hamilton, creatore della teoria dei quaternioni (v.), tensore di un vettore significa il rispettivo modulo o valore assoluto (v. vettore). Ma, nell'ulteriore sviluppo di vedute concettuali e di procedimenti algoritmici, cui, nelle applicazioni alla geometria, alla meccanica, alla fisica, ha dato origine, per ragioni di analogia e di generalizzazione, la teoria dei vettori, si è attribuito al vocabolo "tensore" un significato nettamente diverso, assumendolo a designare un nuovo concetto astratto che costituisce una naturale estensione di quello di vettore e sta a fondamento del calcolo differenziale assoluto (v. differenziale assoluto, calcolo), detto perciò anche calcolo tensoriale.
i. I vettori sono stati introdotti come immagini espressine di svariati enti geometrici o meccanici: traslazioni rigide dello spazio, velocità, accelerazioni, quantità di moto, forze e impulsi (a prescindere dal rispettivo punto di applicazioni), ecc. Il carattere comune di questi diversi tipi di enti, e quindi anche dei vettori, è dato dal fatto che ciascuno di essi, rispetto a un prefissato sistema di riferimento, che qui supporremo costituito da una qualsiasi terna di assi cartesiani obliqui Ox1 x2 x3, (v. coordinate) è determinato dai valori numerici di certi tre parametri, cioè dalle tre rispettive componenti X1, X2, X3, secondo le direzioni orientate degli assi.
Ora nella schematizzazione dei fatti geometrici e dei fenomeni fisici, si presentano spontaneamente molti altri enti, che risultano individuati dai valori numerici di un certo numero di parametri. Così, ad es., gli ellissoidi di dato centro sono determinati ciascuno dai sei coefficienti della forma quadratica ternaria positiva, che, eguagliata ad1, ne fornisce l'equazione rispetto alla terna cartesiana adottata; la deformazione elementare di un corpo elastico nell'intorno di un suo determinato punto - strain degl'Inglesi - dipende pur essa da sei parametri (gli allungamenti e gli scorrimenti secondo tre direzioni orientate, a due a due ortogonali, oppure i tre parametri angolari determinativi della terna delle direzioni principali e i tre relativi allungamenti [v. elasticità]); e, sempre in un corpo elastico, dipende ancora da sei parametri la distribuzione degli sforzi - o stress degl'Inglesi - intorno a un determinato punto (giacché, in forza di note relazioni di simmetria, si riducono a sei indipendenti i numeri che caratterizzano i tre sforzi normali a tre giaciture a due a due ortogonali e le sei componenti non nulle] dei rispettivi sforzi tangenziali o di taglio [v. elasticità]); e così via. In ognuno di questi diversi casi i valori dei parametri, da cui dipende l'ente considerato, sono definiti rispetto al particolare riferimento prescelto, il quale non ha che un ufficio convenzionale ed estrinseco, talché, ai fini delle deduzioni generali, è necessaria la conoscenza della legge secondo cui variano siffatti parametri determinativi, quando si cambia il riferimento; ed è appunto un tipo speciale e ben determinato di legge di trasformazione dei parametri che caratterizza i cosiddetti tensori.
Per definire questo tipo di legge conviene prendere a modello il caso elementare dei vettori e osservare che, se P − O è il segmento orientato uscente dall'origine O delle coordinate, che rappresenta un dato vettore le componenti X1, X2, X3 di questo non sono che le coordinate del punto P. Perciò, se, tenendo fissa l'origine, si cambiano comunque gli assi, con che le coordinate x1, x2, x3 di un qualsiasi punto subiscono una ben determinata sostituzione lineare omogenea
a modulo ∣aij∣ diverso da zero, le componenti Xi del vettore si comportano come le coordinate di un generico punto, cioè risultano assoggettate alla trasformazione
e null'altro vi sarebbe da aggiungere in questo caso. Ma di questa stessa legge di trasformazione si può dare una diversa interpretazione, che per analogia suggerisce un criterio applicabile a molti altri casi. Accanto alle coordinate cartesiane x1, x2, x3 dei punti dello spazio, s'introducano le corrispondenti coordinate duali di piano u1, u1 u3 (v. coordinate, n. 19), sulle quali il generico cambiamento delle direzioni degli assi induce la sostituzione lineare duale della (i)
dove a denota il reciproco dell'elemento aij del modulo ∣aij∣ (v. reciproco). Risulta con ciò manifesto che la legge di trasformazione (2) delle componenti Xi di un vettore si può definire come quella che, associata alla trasformazione (1′) sulle ui trasforma in sé stessa o lascia invariante la forma lineare nelle ui
Orbene, si è riconosciuto che circostanze analoghe si presentano non certamente per tutti gli enti geometrici o fisici, che s'incontrano nelle applicazioni, ma per molti di quelli che più interessano. Di fronte al più generale cambiamento di coordinate cartesiane, che lasci ferma l'origine, i parametri determinativi di tali enti si trasformano come i coefficienti di una conveniente forma algebrica Φ, la quale dipenda da una o più terne di coordinate puntuali ed, eventualmente, da una o più terne di coordinate duali, e si trasformi in sé stessa, quando sulle prime si eseguisca la più generale sostituzione lineare omogenea non degenere (i) e sulle seconde la corrispondente sostituzione lineare duale (1′). Ogni ente siffatto - con ovvia allusione al caso degli sforzi locali in un corpo elastico - si chiama un tensore; e i rispettivi parametri determinativi, cioè i coefficienti della corrispondente forma invariante Φ, si dicono le sue componenti (rispetto al riferimento adottato).
2. Nel caso più generale si può pensare che la forma invariante Φ: i. dipenda da un certo numero p di terne di coordinate puntuali x′|i, x″|i,..., x(p)|i (i = 1, 2, 3), e da un certo numero q di coordinate duali ui′, ui′′,..., ui(q) (i = 1, 2, 3); 2. sia lineare rispetto alle coordinate di ognuna delle p + q terne, in guisa che ciascun suo termine contenga una coordinata (e una sola) di ogni singola terna. E in questo schema si possono far rientrare anche le forme invarianti non plurilineari, bensì di grado superiore al primo rispetto alle coordinate di qualche terna, immaginando che coincidano due o più terne di coordinate della stessa specie.
In ogni caso i coefficienti di Φ, cioè le componenti del tensore, si sogliono denotare con una stessa lettera, cui si attribuiscono come indici quelli delle coordinate di ciascuna delle p + q terne, che compaiono nel corrispondente termine; e si è universalmente adottato l'uso, introdotto da G. Ricci-Curbastro, di segnare in basso gl'indici delle coordinate puntuali (o indici di covarianza), in alto quelli delle coordinate duali (o indici di contravarianza). La somma p + q, cioè il grado complessivo della forma Φ si dice rango del tensore (o anche ordine o, semplicemente, grado, oppure, come è stato recentemente proposto da J. A. Schouten e D.J. Struik, valenza), sicché i vettori si possono caratterizzare come i tensori di rango 1 (con un solo indice di contravarianza).
Quando è q = 0, cioè quando Φ dipende soltanto da variabili puntuali, il tensore si dice covariante; quando invece è p = o, e quindi la Φ include soltanto variabili duali, il tensore si dice contravariante; mentre in tutti gli altri casi si dice misto. Ad es., i coefficienti della forma (trilineare)
costituiscono le componenti di un tensore misto di rango 3 (avente due indici di covarianza e uno di contravarianza).
Così, per un qualsiasi tensore di rango p + q, con p indici di covarianza e q di contravarianza, le componenti saranno del tipo
dove ciascuno degli rα e degli sα è variabile da 1 a 3 nello spazio ordinario (da 1 a n, se tante sono le dimensioni dello spazio, cui ci si riferisce).
Se accade che, rispetto a un determinato riferimento, ognuna delle componenti (4) di un tensore sia uguale a quella, che da essa si ottiene scambiando fra loro i valori di due indici della stessa specie, come rα e rβ o sα e sβ, questa stessa proprietà si mantiene valida anche per le componenti di quel medesimo tensore rispetto a ogni altro possibile riferimento. Ciò risulta senz'altro manifesto se, considerando per fissare le idee l'esempio (3), si osserva che lo scambio degl'indici i e j nelle componenti
equivale a scambiare nella corrispondente forma Φ le due terne di variabili xi e x′j; e ciò si traduce nella identità
la quale ha evidentemente carattere invariantivo rispetto ad ogni sostituzione lineare omogenea eseguita simultaneamente sulle x e sulle x′.
Quando un tensore gode della proprietà qui precisata, si dice simmetrico rispetto ai due indici rα ed rβ o sα ed sβ; e si dice genericamente simmetrico un tensore puro (cioè interamente covariante o interamente contravariante) se tale esso risulta rispetto a tutte le possibili sue coppie di indici.
3. Dalle precedenti generalità emerge che la teoria dei tensori a componenti numeriche, o, come si suol dire, costanti, si riduce sostanzialmente alla teoria delle forme algebriche e delle loro proprietà invariantive (v. algebra, nn. 60-70; invariante), che, iniziata e sviluppata nel sec. XIX da matematici inglesi e tedeschi, ebbe anche in Italia cultori eminenti (F. Faà di Bruno, F. Brioschi, A. Capelli, E. D'Ovidio e altri); e sotto questo aspetto è superfluo indugiarsi sulle operazioni elementari del calcolo tensoriale (addizione, moltiplicazione, composizione), le quali rientrano nelle ordinarie operazioni algebriche sulle rispettive forme invarianti.
4. I tensori costanti, quali risultano caratterizzati dalla loro genesi precedentemente accennata, sono atti a rappresentare enti geometrici o fisici, inerenti a un determinato punto, schematizzato dall'origine O delle terne cartesiane considerate, onde appunto si è stati condotti a tener conto della legge di trasformazione, cui vanno soggette le loro componenti, quando si eseguisca il più generale cambiamento di assi uscenti da O, cioè la più generale sostituzione lineare omogenea sulle coordinate puntuali. Ma la nozione di tensore acquista la sua completa aderenza alle applicazioni geometriche e fisiche, quando si tratta di tensori non più costanti, bensì dipendenti da un punto liberamente variabile nello spazio o in una sua regione, ovvie generalizzazioni dei campi vettoriali (v. Vettore) e perciò detti anche campi tensoriali; e per questi tensori variabili s'impone il problema del comportamento di fronte a trasformazioni di coordinate non più lineari omogenee, ma del tutto generali.
A questo scopo si osservi che una tale trasformazione
dove le ùi denotano coordinate curvilinee quali si vogliano (v. coordinate, n. 25), dà luogo per i differenziali alla sostituzione lineare omogenea
i cui coefficienti ∂ùi/∂xj sono funzioni del posto indipendenti dai differenziali e quindi, in ogni singolo punto, costanti; e, nello stesso modo, le derivate di una generica funzione invariante f del posto subiscono la sostituzione lineare duale
Ora, estendendo le considerazioni svolte nel caso dei tensori costanti, si chiama tensore variabile ogni ente geometrico o fisico, i cui parametri determinativi, o componenti, siano funzioni del posto e, di fronte alla più generale trasformazione di coordinate (5), si comportino come i coefficienti di una forma algebrica, la quale implichi un qualsiasi numero di terne di variabili trasformantisi secondo la legge di contravarianza (6) e un qualsiasi numero di variabili trasformantisi secondo la legge di covarianza (6′). Così, per le componenti γijk di un tensore variabile di rango 3, con due indizî di covarianza e 1 di contravarianza, si dovrà avere
Siccome il caso tipico di variabili trasformantisi secondo la legge di contravarianza, cioè secondo lo schema (6), è precisamente offerto dai differenziali delle coordinate xi, la forma Φ, che deve rimanere invariante, si chiama talora differenziale, alludendo con questa qualifica all'interpretazione che si dà alle variabili, che si erano chiamate "puntuali" nel caso elementare dei tensori costanti.
5. Negli spazî astratti, quali sono stati considerati sin qui, i tensori covarianti o contravarianti o misti costituiscono altrettante specie di enti fra loro ben distinte. Ma quando il problema di cui si tratta porta a introdurre, come elemento ausiliario, una forma quadratica invariante (di cui l'esempio tipico è quello che nello spazio astratto definisce una metrica riemanniana; v. geometria, n. 40), si può fondare sull'uso di questa forma invariante un algoritmo, che consente di trasformare ogni indice di covarianza in uno di controvarianza, con che le varie specie di tensori (di ugual rango) si fondono in un unico tipo di tensori, suscettibili ciascuno di essere individuati indifferentemente per mezzo di componenti di specie diversa (covarianti o contravarianti o miste). A tal fine si supponga che nello spazio astratto delle x″ s'introduca la forma invariante ausiliare
e si denotino con ars i reciproci dei coefficienti ars. Allora, nel caso più semplice dei tensori di rango 1 (o vettori) si conviene di considerare come un ente astratto unico un generico vettore covariante di componenti γr e un vettore contravariante di componenti γr., quando fira queste componenti sussistono le relazioni
o le equivalenti
L'algoritmo, con cui, a norma di queste relazioni, si passa dalle γr alle γr., e viceversa, risulta ugualmente applicabile, nel caso di un tensore di rango qualsiasi, a ciascuno degl'indici delle sue componenti. Così, ad es., un tensore di rango 2 può essere individuato indifferentemente per mezzo delle sue componenti covarianti γrs o controvarianti γrs o miste
oppure
dove
6. Torniamo alle considerazioni negli spazî astratti. Delle componenti di un tensore variabile, in quanto sono funzioni del posto, si possono considerare le derivate rispetto alle singole coordinate di questo; ma tali derivate (rispetto ad una stessa coordinata) non costituiscono in generale le componenti di un nuovo tensore. Diventano tali mediante l'aggiunta di opportuni termini ausiliari (lineari nelle componenti del tensore considerato) e si ottiene così un nuovo tensore con un indice di covarianza di più. L'operazione, che dà questo nuovo tensore, è la cosiddetta derivazione covariante, che, realizzata da E.B. Christoffel (1869), con l'ausilio di una forma differenziale quadratica invariante, fu resa sistematica da G. Ricci-Curbastro (1884-1892) e ha poi trovato, attraverso la nozione di parallelismo (T. Levi-Civita, 1917), larghe generalizzazioni e notevoli sviluppi.
Per gli elementi dell'analisi tensoriale, cui si dà così origine, v. differenziale assoluto, calcolo. Qui, nei riguardi della nomenclatura, va soltanto aggiunto che il Ricci, in luogo di "tensore", diceva "sistema covariante" o "contravariante", mentre, d'altro canto, una scuola moderna che fa capo a J.A. Schouten, preferisce la denominazione generica di affinore, riservando quella di "tensore" al caso simmetrico.
7. Si è già implicitamente osservato come non tutti gli enti, che si presentano nelle applicazioni, rientrino nello schema dei tensori. Rimandando per più precise notizie alle trattazioni speciali, basterà accennare che nella fisica atomica si è stati condotti a prendere in considerazione tipi di enti, quali, ad es., le funzioni d'onda (in numero di 2 o 4 o 6, ecc.), che trovano la loro rappresentazione, anziché nello schema tensoriale, in uno schema più ampio, fornito dai cosiddetti spinori (dall'inglese spin).
Bibl.: Oltre alle opere citate in bibl. alla voce differenziale assoluto, calcolo: G. A. Maggi, Principî della teoria matematica del movimento dei corpi, Milano 1896, pp. 28-31; U. Cisotti, Lezioni di calcolo tensoriale, Milano 1928; J. J. Thomas, The elementary theory of tensors, New York-Londra 1931; O. Veblen e J. H. C. Whitehead, The foundations of Differential Geometry, Cambridge 1932; J. A. Schouten e D. J. Struik, Einführung in die neueren Methoden der Differentialgeometrie, I, Groninga-Batavia 1935. - Per gli "spinori", oltre al libro di B. L. van der Waerden, Die gruppentheoretische Methode in der Quantenmechanik, Berlino 1932, si possono utilmente consultare le recenti memorie: J. A. Schouten, in Zeitschrift für Physik, LXXXIV, 1933; H. Weyl, in Proc. of the National Academy, 1936.