tempo e clima
tèmpo e clima. – Nel primo decennio del 21° sec. i due termini tempo e clima sono divenuti di uso molto più comune di quanto non lo fossero stati in precedenza, per ragioni di natura sia fisica sia mediatica. L’interesse verso i fenomeni atmosferici si è accresciuto per effetto del cambiamento del clima, che si è mostrato in maniera molto più evidente rispetto al passato. È però opportuno riflettere sull’etimologia delle due parole, in quanto spesso molto erroneamente sono usate come sinonimi attribuendo all’una le proprietà dell’altra. Il concetto di tempo deriva dall’esperienza diretta e immediata e quindi ha in ogni lingua un termine di origine locale. In italiano tempo, come nelle altre lingue romanze, presenta polisemia, significando sia il tempo cronologico sia quello atmosferico meteorologico. Il suo etimo, di origine indoeuropea, risiede nel significato primario del moto, del movimento. Il tempo atmosferico, nelle regioni del Mediterraneo, è caratterizzato dal moto delle nuvole nell’azzurro del cielo. Nelle lingue nordiche questa polisemia non è presente. Per es., in inglese si ha time per il tempo cronologico e weather per quello meteorologico. Gli etimologi oxoniani fanno risalire i due termini rispettivamente a «tide marea» il primo, per la sua regolarità, e a wind «vento» il clima, per la frequente e significativa ventosità in quelle regioni. Analogamente in tedesco si hanno Zeit e Wetter, anche questi legati alle maree e al vento. Clima invece è uguale, seppure con fonetica propria, in tutte le lingue e deriva dal greco klima, che indica l’inclinazione dei raggi solari e quindi le stagioni. Questo perché il tempo è esperienza immediata e diretta dell’atmosfera («il tempo è il cielo come appare») mentre il concetto di clima è frutto di riflessioni complesse sul tempo atmosferico nella sua relazione con quello cronologico («il clima è il tempo che ci si aspetta»). Il tempo è lo stato fisico dell’atmosfera in un istante in un luogo. Il clima è la funzione di distribuzione della probabilità che in un dato luogo a un certo istante si verifichi un certo tempo. La globalizzazione mediatica negli ultimi anni ha contribuito a sensibilizzare il pubblico sugli eventi meteorologici in un modo in precedenza sconosciuto. La diffusione, attraverso la televisione e Internet, di immagini in tempo reale provenienti da ogni parte del mondo ha ulteriormente accresciuto l’interesse per i fenomeni atmosferici. Ogni giorno dell’anno in qualche parte del mondo avviene un evento atmosferico di intensità tale da attrarre l’interesse dei media e quindi la sua proposizione al pubblico. Si assiste così a una continua rassegna di catastrofi e, anche se questi eventi rientrano nelle distribuzioni statistiche, vengono ugualmente interpretati dal pubblico come catastrofici cambiamenti climatici. La World meteorological organization (WMO, agenzia specialistica dell’ONU) pubblica annualmente la distribuzione dei fenomeni atmosferici particolarmente intensi e questa è molto irregolare (‘a macchia di leopardo’) sull’intera superficie terrestre e cambia sostanzialmente di anno in anno. Tale variabilità non si deve interpretare in senso globalmente catastrofico ma come la fluttuazione meteorologica su una base climatica evolutiva. L’evoluzione del clima e i cambiamenti ambientali portati dall’uomo fanno sì che la distribuzione dei fenomeni estremi cambi con una celerità maggiore di quella naturale e si frammentino nello spazio e nel tempo con caratteristiche molto simili ai frattali. In tale quadro il decennio 2001-10 è stato testimone di eventi meteorologici estremi. L’evoluzione del clima ha infatti subito un’accelerazione: il decennio è stato il più caldo mai registrato in tutto il mondo dal 1850 (anno d’inizio di registrazioni sistematiche globali) e la continua diminuzione del ghiaccio marino nell’Artico è stata una delle conseguenze più importanti. Nello specifico, il 2011 è stato l’anno più caldo, con una temperatura media globale stimata di 0,46 °C al di sopra della media annua 1961-90, media di lungo periodo. Questo aumento è avvenuto nonostante la Niña, fenomeno per il quale la temperatura della superficie dell’Oceano Pacifico tropicale è inferiore al normale e ha un effetto di raffreddamento. Inondazioni significative si sono verificate in molti luoghi in tutto il mondo, mentre gravi siccità hanno interessato diverse parti dell’Africa orientale e dell’America Settentrionale. L’interrogativo sulle cause del cambiamento climatico, se sia dovuto alla variabilità naturale o determinato dalle attività umane, non ha ancora ricevuto risposta definitiva. Si ritiene che la scienza non sia ancora in grado di distinguere tra le due componenti in termini quantitativi. La WMO conferma che il cambiamento climatico è già in atto e non è più soltanto una minaccia per il futuro. Per lo statunitense National center for atmospheric research nessun evento è causato dal cambiamento climatico o dal riscaldamento globale, ma tutti gli eventi danno un contributo. Un piccolo spostamento della temperatura media può determinare variazioni percentuali anche molto grandi dei valori estremi. Così, tutti gli eventi meteorologici sono influenzati dai cambiamenti climatici, perché l’ambiente in cui si verificano è più caldo e più umido. I fenomeni atmosferici estremi relativi al riscaldamento stanno diventando sempre più evidenti, anche perché sebbene tali fenomeni siano in genere trattati singolarmente, in realtà molti di essi non sono indipendenti: infatti, la variazione del clima ha influenze dirette alterando le precipitazioni per intensità, frequenza e tipo, inoltre il riscaldamento della superficie terrestre aumenta la potenziale incidenza e gravità dei fenomeni di siccità. Simulazioni del clima ed evidenze empiriche confermano che climi più caldi, a causa della maggior quantità di vapore acqueo, portano precipitazioni più intense anche quando il loro numero totale annuo si riduce leggermente. Un clima più caldo aumenta quindi i rischi sia di siccità sia di alluvioni, ma in determinati tempi e luoghi. Il decennio 2001-10 è stato il più caldo mai registrato anche per la superficie degli oceani. La maggior parte di Canada, Alaska e Groenlandia, oltre che Asia e Africa settentrionale, hanno registrato temperature tra 1 e 3 °C al di sopra della media 1961-90. Il tasso di aumento della temperatura globale nel corso degli ultimi quattro decenni è stato straordinario: dal 1971 l’aumento ha avuto un tasso medio stimato di 0,166 °C per decennio, contro un tasso medio di 0,06 °C per decennio calcolato per l’intero periodo 1881-2010. La precipitazione globale sulla Terra nel periodo 2001-10 è stata la seconda più alta dal 1901, dopo la media del o 1951-60. All’interno di questa media globale, sono presenti grandi differenze regionali e annuali. Nel corso del decennio gran parte dell’emisfero settentrionale ha registrato maggiore umidità rispetto alle condizioni medie, in particolare la parte orientale degli Stati Uniti, il Canada settentrionale e orientale, molte parti dell’Europa e dell’Asia centrale, oltre che dell’America Meridionale (tra cui Colombia, parti del nord e del sud del Brasile, Uruguay e Argentina nord-orientale), e la maggior parte di Sudafrica, Indonesia e Australia settentrionale. Al contrario, altre regioni hanno sperimentato una precipitazione media inferiore al normale: Stati Uniti occidentali, sud-ovest del Canada, Alaska, gran parte dell’Europa meridionale e occidentale, gran parte dell’Asia meridionale, Africa centrale, porzioni centrale, orientale e sud-orientale dell’America Meridionale, Australia sono stati i più colpiti dall’anomalia della distribuzione delle precipitazioni. Numerosi eventi hanno colpito quasi ogni parte del globo con inondazioni, siccità, cicloni, ondate di calore e ondate di freddo. Due ondate di calore eccezionale hanno colpito l’Europa e la Russia durante l’estate del 2003 e del 2010, con conseguenze disastrose (migliaia di morti e prolungati incendi boschivi). Le inondazioni sono state gli eventi estremi più segnalati: inondazioni prolungate hanno colpito nel 2001, 2005 e 2008 l’Africa orientale, l’India nel 2005, l’Asia (in particolare il Pakistan) e l’Australia nel 2010. Diversi paesi hanno riferito di condizioni di estrema siccità, tra cui l’Australia, l’Africa orientale, la regione amazzonica e gli Stati Uniti occidentali. Durante la prima metà del decennio, le conseguenze per la popolazione sono state significative in Africa orientale, con diffusa carenza di cibo e perdita di vite umane e di bestiame. Tra il 2001 e il 2010 si è verificato anche il più alto livello di attività dei cicloni tropicali, con un massimo nel bacino dell’Atlantico settentrionale: nel 2005, l’uragano Katrina di categoria 5 è stato quello che ha causato più danni negli Stati Uniti, con il rilevante tributo umano di oltre 1800 morti; nel 2008, il ciclone Nargis è stato il peggiore disastro naturale del Myanmar e ha causato il maggior numero di vittime del decennio (più di 70.000 persone). La riduzione del ghiaccio marino artico, in atto dalla fine del 1960, è proseguita per tutto il periodo 2001-10. Un minimo storico dell’estensione del ghiaccio nel Mar Glaciale Artico è stato registrato nel mese di settembre del 2007, con 4.280.000 km2, il 39% in meno rispetto al periodo di riferimento 1979-2000, secondo lo statunitense National snow and ice data center. Il volume del ghiaccio marino sommerso è stato stimato a un nuovo minimo di 4200 km3 nel 2011. Lo spessore e l’estensione del ghiaccio marino nell’Artico hanno mostrato un netto calo negli ultimi 35 anni e i dati indicano che tale riduzione è stata ancora più drammatica dal 2005 al 2010, con il 2007 anno del record negativo.