tempi semplici
I tempi semplici sono forme della ➔ coniugazione verbale in cui la morfologia grammaticale viene suffissata (➔ flessione) alla base lessicale del verbo (➔ tempi composti).
Questa struttura morfologica che sintetizza in una stessa forma verbale informazioni grammaticali e lessicali differenzia i tempi semplici dai tempi composti, in cui invece la flessione verbale di tempo, ➔ aspetto, modo (➔ modi del verbo) e ➔ persona e la semantica lessicale sono analiticamente ripartite tra un ausiliare e una forma verbale di modo non finito (participio passato).
Mentre al passivo non esistono tempi semplici (➔ passiva, costruzione), tutti i modi della coniugazione verbale attiva dispongono di almeno un tempo semplice.
Si distinguono quattro tempi semplici all’indicativo (➔ presente, ➔ imperfetto, ➔ passato remoto, ➔ futuro), due rispettivamente al ➔ congiuntivo (presente, imperfetto) e al ➔ participio (presente e passato), mentre si trova un solo tempo semplice per ciascuno degli altri modi (➔ condizionale, ➔ imperativo, ➔ infinito e ➔ gerundio).
La morfologia grammaticale dei tempi semplici, come quella espressa dagli ausiliari (➔ ausiliari, verbi) dei tempi composti, sintetizza in un unico pacchetto di suffissi informazioni grammaticali che riguardano sia categorie propriamente semantiche (ad es., tempo, aspetto) sia la codifica di relazioni morfosintattiche, in cui cioè la morfologia del verbo interagisce con la sintassi della frase (➔ accordo di persona tra il soggetto e il verbo). In alcune forme verbali una distinzione tra funzioni semantiche e marche morfosintattiche è resa trasparente dalla stessa sequenza lineare dei suffissi (Berretta 1993; Pirrelli 2000). Ad es., una forma di imperfetto indicativo come anda-v-a allinea un suffisso (-v-) che esprime l’aspetto (imperfettivo) e un suffisso finale (-a), cui spetta la codifica morfosintattica dell’accordo di persona (terza singolare). Nella corrispondente forma del passato remoto (andò), funzioni semantiche e morfosintattiche sono invece fuse insieme in un unico suffisso (-ò), che segnala l’accordo di persona (terza singolare) ed esprime anche il contenuto semantico temporale (passato) e aspettuale (perfettivo).
Quando sono realizzate da un suffisso ad esse dedicato, le informazioni morfologiche di accordo tendono comunque a seguire linearmente quelle semantiche, come dimostra anche l’analisi delle forme andavano e cantassero, in cui è possibile distinguere ulteriormente tra due fenomeni morfosintattici diversi, l’accordo di persona e quello di numero. Il confronto tra anda-v-a e anda-v-a-no, come quello tra anda-ss-e e anda-ss-e-ro, permette infatti di analizzare -no e -ro come suffissi dedicati alla sola espressione del plurale, che segue linearmente la codifica della terza persona espressa dai suffissi -e- (in canta-ss-e-ro) e -a- (in anda-v-a-no).
Nei tempi composti la distinzione tra marche semantiche e marche morfosintattiche è resa ancora più trasparente dalla distinzione tra ausiliare e participio. Mentre l’ausiliare ha le stesse caratteristiche morfologiche delle forme semplici, il participio può contenere solo marche di accordo morfosintattico di numero e genere (per es., in le piante sono fiorite, le piante venivano potate).
Da un punto di vista semantico i tempi semplici coprono funzioni molto varie che riguardano la collocazione temporale rispetto al momento in cui si parla (passato, presente e futuro; ➔ temporalità, espressione della), il punto di vista aspettuale (perfettivo, imperfettivo; ➔ aspetto), la ➔ modalità intesa come categoria semantica (per es., nel condizionale come modo della possibilità) e il modo come categoria morfosintattica (per es., nel congiuntivo in quanto forma richiesta dalla dipendenza sintattica).
Nell’ambito della categoria dell’aspetto, le forme semplici mostrano restrizioni semantiche nei confronti di quel particolare valore aspettuale perfettivo che indica il compimento di una situazione rispetto a un momento di riferimento successivo alla situazione stessa. L’unica forma semplice ammessa in questa funzione è il participio passato, che in una frase subordinata (per es., uscito Gianni, ci accorgemmo che …; ➔ assolute, strutture) esprime il compimento perfettivo dell’evento rispetto a un momento di riferimento rappresentato da un altro evento (ci accorgemmo che …). In altri tempi e modi questa funzione può essere espressa solo da forme composte. Ad es., nell’ambito delle forme con valore di futuro, solo la forma composta del futuro anteriore (per es., domani alle 4 Gianni avrà già mangiato) permette di esprimere il risultato di un evento valutandolo rispetto a un momento di riferimento (domani alle 4), mentre con una forma semplice (domani alle 4 Gianni mangerà già) la stessa indicazione avverbiale di tempo (domani alle 4) non localizza il momento di riferimento ma l’evento stesso.
L’attuale lista dei tempi semplici dell’italiano comprende alcune forme (indicativo e congiuntivo presente, indicativo imperfetto, infinito presente, gerundio presente e imperativo) che sono una diretta evoluzione formale di tempi del sistema verbale latino. Futuro e condizionale sono invece innovazioni neolatine sviluppatesi originariamente come forme composte in cui l’ausiliare habere, posposto al verbo lessicale, si è poi pienamente grammaticalizzato come suffisso verbale: cantar(e) ha(be)o > canterò, cantare habui > cantar(e) he(bu)i > canterei.
Nel passaggio dal latino all’italiano (➔ latino e italiano) si sono invece interamente perdute le forme semplici appartenenti a due comparti funzionali distinti, quello delle forme passive e quello dei tempi che nel sistema del latino combinano il valore aspettuale di compiutezza con quello di anteriorità temporale: il piuccheperfetto (cantaveram), il futuro perfetto (cantavero), il congiuntivo perfetto (cantaverim) e l’infinito perfetto (cantavisse). Tutti questi tempi semplici latini sono stati sostituiti da tempi composti italiani (rispettivamente avevo cantato, avrò cantato, abbia cantato, avere cantato). Un tempo composto italiano (avessi cantato) ha sostituito anche il congiuntivo piuccheperfetto latino (cantavissem), la cui forma è stata però reimpiegata nel sistema italiano come congiuntivo imperfetto (cantassi) in sostituzione del congiuntivo imperfetto latino (cantarem).
A differenza delle altre forme perfettive latine, che si sono perdute o sono state reimpiegate con diverse funzioni nel sistema italiano, il perfetto (cantavi) è continuato dal passato remoto, che però mostra gradi di vitalità diversi a seconda delle varietà di italiano, in alcune delle quali esiste solo come tempo narrativo in testi scritti (➔ lingue romanze e italiano). Parallelamente alla scomparsa delle forme perfettive latine, anche il passato remoto italiano ha comunque perso la possibilità di esprimere le conseguenze presenti di un evento passato, che era una delle interpretazioni del perfetto latino (perii «sono rovinato»).
Berretta, Monica (1993), Morfologia, in Introduzione all’italiano contemporaneo, a cura di A.A. Sobrero, Roma - Bari, Laterza, 2 voll., vol. 1º (Le strutture), pp. 193-245.
Pirrelli, Vito (2000), Paradigmi in morfologia. Un approccio interdisciplinare alla flessione verbale dell’italiano, Pisa - Roma, Istituti Editoriali e Poligrafici Internazionali.