TEMISTIO (Θεμίστιος, Themistius)
Nato in Paflagonia circa il 317 d. C., occupa con la sua vita la massima parte del sec. IV (morto circa nel 388), segnalandosi per la sua posizione sociale e per la produzione filosofica e letteraria. Il suo versatile ingegno trovò per tempo alimento nella famiglia, di ricchi e colti signori di campagna: a suo padre Eugenio elevò un monumento in una delle sue orazioni. Compiuta l'istruzione media in una scuola di retorica "nel paese dei Colchi" (a Sinope?), si recò a Costantinopoli nel 337. Ancor giovine, prima del 355, conquistò un posto tra gli esegeti di Aristotele con le sue "parafrasi" (Analytica post., Physica, De anima, Parva naturalia giunte a noi in greco; De caelo e Metaphys. Λ in una traduzione ebraica). Più tardi la sua attività è rivolta di preferenza al campo pratico, se pure come letterato, come politico e come uomo di mondo, egli tenga a mettere in luce la sua non superficiale conoscenza della filosofia antica. Però egli affermava risolutamente che il filosofo ha il dovere di occuparsi di politica. Ben visti alla corte imperiale erano già stati suo padre e suo nonno; egli li superò entrambi per il favore che incontrò prima presso Costanzo e poi presso i successori fino a Teodosio compreso. Abile nel mantenersi in auge in mezzo ai gravi conflitti religiosi, nonostante la sua fede decisamente pagana, che si rivelò solo all'avvento di Giuliano; dopo la catastrofe, riprese con cautela le sue posizioni anteriori, si trovò sempre bene accolto tra i più ardenti fautori del cristianesimo, non immischiandosi in questioni religiose, al più limitandosi a dissuadere Teodosio da una politica intransigente verso gli eretici. Dal 345 circa insegnò a Costantinopoli. Costanzo lo nominò senatore nel 355 e proconsole nel 358. Da Teodosio nel 384 fu elevato alla carica di prefetto della città.
Il suo insegnamento gli procurò il titolo di sofista, contro cui protestò con un'apposita orazione. I suoi detrattori non avevano forse tutti i torti; ma che egli avesse anche buone ragioni per protestare risulta oggi a noi dal semplice confronto dell'opera sua con quella di Libanio. Le 33 orazioni rimaste lo mostrano seguace dell'indirizzo e del metodo di Dione di Prusa. La filosofia vi procede in compagnia della retorica, per consigliare in modo amabile una condotta conforme ai principî della sana ragione. Non mancano orazioni di carattere ufficiale o semiufficiale, per le quali T. può essere utilmente messo a confronto coi panegiristi latini. In complesso, egli vagheggia l'ideale del gentiluomo di rette intenzioni, che vuol essere utile al prossimo e fautore di onesto e tranquillo vivere in un mondo possibilmente governato con sani principî morali. La forma delle orazioni gli procurò grandissima fama, ed è anche ongi il loro pregio maggiore, se non unico.
Bibl.: M. Cesarotti, Corso di letteratura greca, III, Firenze 1806, p. 182 segg.; Christ-Schmid, Geschichte d. gr. Litt., II, ii, 5a ed., Monaco 1924, p. 1004 segg.; G. Negri, L'imperatore Giuliano l'Apostata, Milano 1901, p. 430 segg. - Le parafrasi aristoteliche pubblicate dallo Spengel, Lipsia 1866, e poi nei Commentaria in Arist. Graeca dell'Accademia di Berlino; le orazioni da G. Dindorf, Lipsia 1882. E. Richlsteig, in Jahresber. üb. d. Fortsch. der klass. Altertumswissenschaft del Bursian, CXVI (1928); CCXXXVIII (1933); W. Stegemann, in Pauly-Wissowa, Real-Encycl., V A, col. 1672 segg.; O. Seeck, Geschichte des Untergangs der antiken Welt, IV, Berlino 1911, passim; A. Rostagni, Giuliano l'Apostata, Torino 1920, p. 29 segg. e passim.