TEMA
Musica. - Nell'arte della composizione si dice tema l'idea musicale cui s'ispira il discorso in un pezzo a svolgimento continuo, p. es. in una sonata (v.).
Come tale, il tema può essere visto in azione - con legittimità - nella maggior parte delle composizioni di tal tipo - salvo alcune d'ordine strettamente rapsodico e altre a forte tendenza improvvisatoria e fantasiosa - dalla composizione nomica delle civiltà classiche, attraverso la corrente salmodica del canto cristiano e l'arte mottettistica dall'Ars antiqua all'intero Cinquecento, fino alle musiche strumentali moderne dalla Canzone, dal Ricercare e dalla Fuga alla Sonata e alle sue varie figure (concerto, sinfonia, ecc.), oltre che in numerose musiche di forma libera (p. es. nel poema sinfonico) e in molte opere teatrali da Wagner in poi.
È chiaro d'altra parte, che la figura e l'azione del tema possono variare grandemente nel passare dall'una all'altra delle arti componistiche or ora citate.
Nella composizione nomica classica, stretta al testo poetico sia nello spirito sia nella costituzione ritmico-melica, il tema non sorpassa facilmente i limiti d'un semplice motivo, e si presenta piuttosto come una formula cui i varî periodi, o anche i varî elementi dello stesso periodo, amano ritornare per ulteriore slancio o per cadenza. Esempî di tal sorta si possono vedere nel 1° coro dell'Oreste di Euripide, pur di genere non propriamente nomico, e - più chiaramente - negl'inni Delfici.
Nella composizione salmodica cristiana, libera nel ritmo dalla quantità sillabica e nel melos dall'accento tonico, assistiamo, specialmente nel genere fiorito, alla comparsa di nuclei tematici già più organici, e ad una loro azione più visibilmente feconda nel riprendersi del discorso melico dall'una all'altra delle sue frasi.
In ambedue queste arti monodiche, la classica e la cristiana liturgica, il discorso è dunque ispirato dal tema più nel seno dei proprî singoli elementi (periodi, frasi, ecc.) che nella propria entità complessiva.
Diversa e maggiore responsabilità assume il tema nel passaggio dalla monodia alla polifonia: l'arte della polifonia, che lentamente va emergendo dal seno stesso della monodia - dalla fase di semplice giustapposizione, al canto dato, di una voce aggiunta (a intervalli di 4a, di 5a e di 8a prima, poi più variati) in omofonia confinante con il mero raddoppio, attraverso fasi di crescente caratterizzazione di questa seconda (e poi d'una terza) voce mediante le pratiche della diminuzione, coloritura, ecc., fino al consolidamento del discanto - conserverà fino al supremo rigoglio della composizione mottettistica (sec. XVI) l'impronta di quella sua storica provenienza, mantenendo i suoi concerti vocali sempre in giuoco con un "canto dato".
Il quale canto dato - il più delle volte tratto dal patrimonio liturgico - dai primordî fino a tutta l'Ars antiqua adempie alle sue funzioni di tema non tanto come iniziale proposta, o suggerimento, o spunto, onde traggano origine e ragione diversi movimenti in libero concorso, quanto come pianta generale dell'edificio: la melodia-base si estende, ripetuta o non, per tutta la composizione, affidata al tenor o al bassus, mentre ad essa le altre voci giustappongono imitazioni o melodie derivate, a valori diminuiti o in altra sorta di variazione. E la composizione si compie interamente sulla rigida ossatura del canto dato.
Già nell'Antiqua il canto dato si seziona in frammenti divisi da pause o comunque interpunti da finali prolungate, ecc., venendo così a favorire la caratterizzazione della forma mottettistica, che su ognuno di tali frammenti edifica una distinguibile costruzione polifonica. Questa forma merita già l'attributo di tematica, poiché le sue costruzioni polifoniche, risultanti da un definitivo melodizzarsi di tutte le voci in un organismo omogeneo, considerate nel loro finale risultato estetico equivalgono a un vero e proprio "sviluppo" del dato frammento. L'ammissione, poi, dell'imitazione libera in luogo dell'esclusivo canone, e quella del contrappunto tra diversi frammenti del canto dato, accentuano tale aspetto di tematismo.
Come si vede, il tematismo dell'arte severa dai primi organa al contrappunto cinquecentesco non perde il suo congenito carattere di interpretazione polifonica d'una melodia-base, sempre presente, d'altra parte, durante l'intero corso del pezzo. E tale carattere si nota anche nel discorso della polivocalità antica profana (Madrigale, ecc.), quando questa polivocalità si volga a intenti e a sensi più meditativi e austeri; mentre nell'ambito più leggiero tale discorso presenta aspetti tematici più vaghi, riducibili a ricorsi ad un motivo, ad uno spunto iniziale o ad una formula di cadenza, come è spiegabile in musiche le cui storiche provenienze comprendono anche la canzonetta e la danza, di tipo non nomico, ma anzi simmetrico. La musica strumentale, che viene intanto salendo da semplice ombra della vocale (trascrizione, ecc.) a propria autonomia, naturalmente si tiene per molto tempo nel quadro della vocale. Si veda, per es., il Ritornello lento in 3, a 5 voci, nel I° atto dell'Orfeo di Claudio Monteverdi: l'intero pezzo risulta da una quintupla sovrapposizione contrappuntistica di un solo andamento discendente, con esclusione di ogni sensibile modificazione. La tecnica polivocale più rigorosa (se si prescinda da arditi incontri armonici proprî dell'ultima madrigalistica) si riproduce dai tempi di Okeghem in questa strumentalità d'un buon secolo posteriore. Il frammento dato rimane invariato e ritorna dal principio alla fine, sempre presente, e lo sviluppo non è se non nell'atto contrappuntistico.
Con il processo d'emersione che si compie durante il sec. XVII da parte dei nuovi sensi armonistici, eversori della compatta polivocalità lineare, il discorso strumentale (che ha già potuto, per parte sua, permeare il madrigale monteverdiano influendo anche nella stessa partitura vocale) giunge al tempo di G. Frescobaldi alla possibilità d'un diverso tematismo: gli stilemi tardo-cinquecenteschi dell'alternanza di passi polifonici e passi omofoni tipica della canzone strumentale gabrièlina, e quelli del diffuso, fantasioso virtuosismo della tastiera di C. Merulo sembrano darsi convegno nella corrente centrale della strumentalità frescobaldiana. Quel che però è necessario notare, fra tutte queste interferenze, è l'insensibile evoluzione del nucleo fondamentale del pezzo dalla figura di canto dato, sottesa quale corda all'arco intero della composizione alla successiva messa in opera di diversi suoi frammenti, che le varie voci riprendono - dapprima con rigore d'imitazione canonica, poi con libertà di movimenti - costituendo un succedersi di distinti momenti lirici, l'un dall'altro pure ingenerati. E qui noi troviamo già la tipica figura del "soggetto" di fuga, nella quale il "canto dato", già di per sé ridotto a più breve e sommaria enunciazione, diviene proposta ad un vario discorso cui, nel tempo stesso, essa proposta soccorre dall'una all'altra voce sottentendo al discorso ora l'intera sua linea ora un suo frammento. Integrale la sua enunciazione nella parte cosiddetta di "esposizione", frammentaria (testa-corpo-coda) negli episodî o "divertimenti", integrale e sovrapposta a 2-3-4 e più piani, a entrate ravvicinate, nella celebrazione dell'atto contrappuntistico che è lo "stretto". Dalla Canzone frescobaldiana alla Fuga di J.S. Bach, tale è, nella sua essenza, la figura dell'azione tematica.
In questo nuovo ambito la stessa costituzione interna del tema subisce un'evoluzione: acquistando valore lirico il giuoco delle entrate, cioè delle proposte e delle risposte, dei contrassoggetti, ecc., si ha bisogno d'una loro maggiore evidenza in confronto con l'antico indistinto fluire delle parti: di qui il bisogno d'una maggiore diversità tra i movimenti destinati a trovarsi in sovrapposizione contrappuntistica: una voce attacca il soggetto, mentre un'altra voce già si trova a concluderlo. È opportuno, a districar bene le due voci, che le figurazioni della testa e della coda siano dunque abbastanza distinguibili. Ed ecco il soggetto costituirsi, di solito, di membri caratterizzati ognuno per un proprio tipo di figurazioni. Cosicché la Fuga strumentale bachiana, estrema reincarnazione del tematismo polifonico dal mottetto medievale in poi, viene a legittimare per conto proprio quella nuova figura di tema che le correnti sonatistiche italo-tedesche stanno avviando ad allora insospettato sviluppo: il tema a motivi contrastanti di E. Dall'Abaco e di J. Stamitz.
A questo proposito è necessario avvertire, però, la storica opposizione che contrappone le due arti: quella della fuga bachiana e quella della nascente sonata moderna. La prima è, come si comprende dallo svolgimento storico suaccennato, un atto contrappuntistico, sia pure libero, compiuto nel potenziamento "verticale" (cioè appunto contrappuntistico, polifonico) d'un canto dato. La seconda è un atto eminentemente dialogico, in cui due idee diverse si succedono a contrasto e non si fondono l'una nell'altra verticalmente ma soltanto idealmente in grazia del tono risolutivo, catartico per così dire, cui un più o meno lungo processo "orizzontale" avrà potuto alla fine condurle. Tutto ciò si dice, beninteso, per astrazione e polarizzando ambedue le posizioni stilistiche.
Il fugace incontro, dianzi accennato, tra il soggetto bachiano e il tema a due motivi dei sonatisti si determina nel momento in cui la sonata non è ancora del tutto staccata dal monotematismo. Di qui, data l'indole dialogica, drammatica della sonata, la costituzione a due motivi dello stesso iniziale tema. Laddove, però, nel soggetto di fuga tale differenziamento interno risponde, liricamente, all'organizzarsi d'un solo impulso ideale, nel tema di sonata esso differenziamento risponde a due contrapposti principi: idealmente, il monotematismo è già superato. In evidenza, lo sarà ben presto: le correnti che dall'esausto barocco passano in Italia e in Germania al preromanticismo drammatico d'un Galuppi e d'un Platti, allo Sturm und Drang dei due figli maggiori di J. S. Bach, in Francia al rococò e alla sensiblerie dello stile "galante", hanno come denominatore comune, in pratica, lo scioglimento del discorso sinfonico da ogni ritorno offensivo del "soggetto": l'idea iniziale, più che ripresentarsi caparbia a ogni passo, cede a nuove immagini, sia pur da quella create per antitesi o per simiglianza: l'associazione delle idee musicali va fiorendo in nuova, larga legittimità. Quivi lo spiegabile potenziamento estetico d'un'altra, poi di due altre idee a importanza e, quindi, a "posizione" di tema. Specialmente nella corrente "galante", cui aderiscono del resto anche il tedesco-italiano J. Chr. Bach e il giovane Mozart, l'antitesi si disloca - dal seno d'un solo tema iniziale - al rapporto tra un primo tema e un secondo che apparirà dopo una transizione. Più chiaro ne viene il senso dei singoli temi e più evidente la natura del loro rapporto. Conseguenza formale è la Sonata del periodo Haydn-Mozart-Clementi e in gran parte, quella del Beethoven, in cui grosso modo si può assistere ad un simile processo: un primo tema d'indole ritmica, la cui immediata ripetizione - mediante una modifica - passa ad una transizione modulante, su elementi del 1° tema (soli o misti con elementi nuovi) che ci conduce ad un secondo tema d'indole melodica, cui una cadenza, su elementi tematici o proprî, segue a conclusione della prima parte del pezzo, detta parte di esposizione. Come si vede, il lavoro tematico è già visibile nell'esposizione. Ma soprattutto si può dire che nell'esposizione vengono "espost" i temi e la loro ideale reciproca antitesi. Lo sviluppo tematico vero e proprio non si dispiega analiticamente che durante la seconda parte del pezzo, detta appunto di "sviluppo" o di "elaborazione", nella quale i due temi svolgono tra loro un giuoco più o meno serrato, d'indole agogica, drammatica, dove i singoli loro concetti si urtano, si modificano, emergono l'uno sovra l'altro in alterna vicenda. La terza parte, detta di "riesposizione", mostra questo mondo, già sconvolto, riprendere la sua calma e solida stabilità, con una ripetizione della prima parte, modificata nell'itinerario tonale sì da accusare l'avvenuta crisi: il 2° tema (e con esso la cadenza) ora si muove nella stessa tonalità fondamentale, contro la quale nella prima parte s'era levato.
Questa forma che - rappresentando in astrazione un ordinato assestamento di quanti stilemi eran venuti convergendo in comuni possibilità durante l'evoluzione sonatistica del Settecento - a buon diritto è stata detta "classica", è l'esponente più proprio della composizione strumentale tematica con la quale il mondo moderno ha reagito alla composizione su "canto dato", e cioè, come s'è visto, a quella composizione di cui la Fuga bachiana era stata l'ultima manifestazione. Il dualismo sottentra al monotematismo: il mondo ideale della Fuga era tutto da "scoprire" nell'intima idea del "soggetto" e non per nulla questo "soggetto" circolava nell'intero discorso, sempre presente sostegno e paragone; il mondo ideale della Sonata è il risultato finale d'una crisi dove si dialettizzano due principî originariamente antitetici. Ma a questo punto va notato che il movimento che si sprigiona dal singolo tema, il metodo (cioè il cammino) intrapreso dall'idea musicale nel farsi "tematica", cioè nell'esplicare la sua efficienza dialettica, tutto ciò avviene in gran parte secondo stilemi già proprî del "soggetto" e del relativo tematismo fughistico: anche qui, la figura fenomenica dell'elaborazione tematica si manifesta nello sfruttamento di elementi del tema: l'intero tema, la testa, il corpo, la coda, i varî motivi, insomma, del tema, nella loro disposizione normale o in disposizioni nuove per ritmo, armonia, registrazione strumentale, ecc., divengono alla lor volta elementi generali del discorso, potenziandosi in progressioni, sviluppandosi in volute melodiche, coagulandosi in zone armoniche e via dicendo. Il che risulterà in evidenza da una minuta analisi di qualunque Sonata (o derivato) dei maestri classici suindicati. In tale clima di classicità non si rimane per molto tempo: nella Sonata di Haydn le tre parti: esposizione, sviluppo, riesposizione si mantengono equipollenti, e nel seno stesso di ognuna di esse si mantengono equipollenti i singoli periodi: p. es., quello del 1° tema, quelli della transizione (o ponte), del 2° tema e della cadenza. In quella del Beethoven si assiste, a mano a mano che si passa alle sonate della produzione più avanzata, ad un ingigantimento dello "sviluppo" non solo, ma anche della "coda" (cioè della perorazione finale, non obbligatoria ma in Beethoven quasi costante), e - fatto d'estrema significazione - all'emersione di atti di "sviluppo" in tutte le parti del pezzo: specie nella riesposizione. Si ha così uno spostamento verso i passi propriamente agogici, verso i quali il tema ansiosamente si precipita. L'armoniosa risposta tra il periodo del tema e il periodo, o i periodi, dei suoi sviluppi - tipica dell'ordinato giuoco deduttivo di Haydn e della mozartiana ghirlanda di cantanti immagini - non ha qui, né potrebbe storicamente più avere, una ragion d'essere: l'iniziale intuizione lirica dell'ottocentesco Beethoven non ha un valore definitivo, tale da consentire, per es., una "riesposizione", di poco mutata, del medesimo mondo già presentato nell'"esposizione". Lo slancio dialettico entra in giuoco fin dapprincipio, e la stessa enunciazione del tema già ribolle e si rompe per l'impeto dialettico dei suoi appena comparsi motivi. Dopo più d'un mezzo secolo, ritorna in forza decisiva il tema a due principî, di cui si parlava più sopra, con significato esplicitamente drammatico. Il tema riacquista così in virtù agogiche quella posizione che aveva perduto nelle contemplative. E il tematismo relativo, cioè la crisi dialettica, già nell'ultimo Beethoven rompe, come s'è visto, la cornice in cui s'era fino allora mantenuto (la 2a parte o "sviluppo") e dall'esposizione si svolge fino alla coda.
Interessante, a questo proposito, l'arricchimento cui il Beethoven delle ultime opere conduce il congegno dell'elaborazione tematica: agli stilemi più comuni che l'elaborazione usava nella Sonata, si aggiungono ora stilemi che la Sonata aveva lasciato nell'ombra: la scrittura si rifà densa di contrappunto, e ritorna spesso al fugato; gli artifizî tipici della Fuga: rivolti, aumentazione e diminuzione, corale, ecc., ritornano in azione, trattati naturalmente con la diversa funzione che la Sonata drammatica e dualistica loro conferisce. Beethoven, s'è detto talvolta, dà fondo a tutte le risorse possibili, da ogni forma provenienti, per risolvere la crisi dialettica dei suoi mondi sonatistici. La Sonata op. 106, come la IX Sinfonia e gli ultimi quartetti, si possono citare ad esempio, non solo nell'intero loro quadro, ma anche nei singoli tempi.
Questo senso agogico, questo strenuo reiterarsi di slanci, che esigono e creano una soluzione, un coronamento di tanto più ampî e maestosi, in Beethoven conducono intanto ad un ingigantirsi dell'ultimo tempo (e non per nulla è qui che si dànno convegno i più numerosi stilemi extrasonatistici dianzi elencati, oltre a quelli già acclimati nella Sonata, ma ognuno esclusivo dell'altro). Nei romantici, da Schumann a Franck, ecc., condurranno l'azione dei temi al dilà dei varî tempi: lo sviluppo tematico che in Beethoven ha varcato le ripartizioni del singolo tempo, ora varca quelle dell'intera Sonata. Lo svolgimento del tema si continua dal primo all'ultimo tempo, in una varia vicenda, che è detta dai teorici "ciclica". Ed è chiaro che, in questi casi, la figura del tema deve accettare una serie di modificazioni se non più numerose certo più radicali, consone all'indole dei varî tempi, i quali continuano, anche nella composizione ciclica, ad avere una lor propria distinta funzione, corrispondente a un loro dato momento spirituale: nell'Adagio, p. es., il tema potrà assumere spesso una figura più largamente melodica, nello Scherzo una più ritmica, ecc., anche arricchendosi di elementi (motivi) nuovi, o ad alcuni rinunziando, e così via. Così nella composizione ciclica, specialmente presso i seguaci di C. Franck e della sua scuola, quel che dal tema viene realmente ripreso da tempo a tempo non è tanto la sua figura quanto il suo schema interno, che si può ridurre, per astrazione, a semplici formulette di poche unità. Ed è forse opportuno a tal proposito avvertire che in realtà ci si trova di fronte, assai spesso, più che a diverse forme d'un tema, proprio a veri temi diversi, se pur nati da una stessa cellula generatrice, attesoché non è lecito esteticamente cogliere il valore d'un tema se non nella sua piena concretezza, mai in un suo schema del resto arbitrario.
Vicende analoghe attraversa il tema anche in altre forme e in altri generi componistici: p. es. nel poema sinfonico, e nell'opera di scuola wagneriana: quivi infatti assistiamo, come nella sonata ciclica, a un'azione tematica che varca i limiti d'una data parte (anche nel poema sinfonico si trovano ripartizioni, per quanto del tutto libere da prestabilite forme componistiche) o d'un dato atto, durante la quale il tema ricompare in aspetti ben diversi. La dichiarata funzione allusiva che l'autore di siffatti lavori suole attribuire al suo discorso e ai relativi temi (p. es., "tema dell'odio", o "della scienza", o anche "tema di Hunding" "della spada", ecc.) si applica infatti - ogniqualvolta si tratti di lavori artisticamente concreti - ad elementi d'un discorso essenzialmente musicale i cui procedimenti, tematici come melodici o altro, si ritrovano naturalmente in ogni genere componistico, sia esso "puro" (come si dice del genere cui appartengono le forme della Fuga strumentale, della Sonata, ecc.) sia esso descrittivo o comunque programmatico, come quello cui pertiene il poema sinfonico, sia esso il teatrale.
V. anche le voci: contrappunto; fuga; motivo; mottetto; musica: Lineamenti storici dell'arte musicale; sinfonia; sinfonico, poema; sonata.