tema (femm.)
Indica lo stato d'animo, opposto alla speranza, di chi pensa che possa verificarsi un evento dannoso, doloroso o spiacevole, al quale vorrebbe sottrarsi; per il fatto di essere presente in tutte le opere e per la sua maggior frequenza rispetto ai suoi sinonimi ‛ temenza ' e ‛ timore ', dev'essere considerato il termine di uso corrente nel linguaggio dantesco fra quelli di uguale significato. Come osserva il Mazzoni (Saggio di un nuovo commento allo " D.C. ", Firenze 1967, 239), è la " sola forma usata da Dante in poesia ".
L'evento che si vorrebbe evitare, se è espresso da un sostantivo, è indicato da un complemento di specificazione oggettiva: Rime LXXV 12 tema di carte / non hai, non hai " motivo di temere " i contratti di debito; Cv IV XIX 8 tocca nobilitale... essere là dove è vergogna, cioè tema di disnoranza; If XXVII 66 sanza tema d'infamia ti rispondo; Rime XCI 104 per tema di vergogna.
Negli altri casi la locuzione ‛ per t. ' è seguita da una proposizione o infinitiva introdotta da ‛ di ' (Vn IX 13 per tema ch'avea di discovrire lo mio secreto) o posta al congiuntivo: Rime LXXVII 10 per tema non sia preso; CIII 29 per tema non traluca / lo mio penser di fuor; Rime dubbie XXVIII 3.
In If II 49 Da questa tema a ciò che tu ti solve, / dirotti perch'io [Virgilio] venni, il sostantivo si collega al verbo usato da D. (temo che la venuta non sia folle, v. 35) allorquando aveva confessato il proprio sgomento all'idea di affrontare l'impresa del viaggio. Un'analoga ricerca degli effetti retorici si ha nelle volute antitesi che caratterizzano gli esempi, in III 126 la divina giustizia li sprona, / sì che la tema si volve in disio, e in IV 21 L'angoscia de le genti / … nel viso mi dipigne / quella pietà che tu per tema senti.
Altri esempi in If XXXII 6, Pg IX 46, XV 54, XXIII 27, XXXIII 31.