INTERLANDI, Telesio
Nacque a Chiaramonte Gulfi, presso Ragusa, il 20 ott. 1894, da Giovanni e da Giuseppina Freri. Fu redattore de La Nazione e de L'Impero, assumendo sempre, in seno al movimento fascista, posizioni estremistiche e intransigenti. Anche se non ricoprì mai alcuna carica né nel movimento né in seno al partito, tuttavia ebbe rapporti stretti con B. Mussolini sin dalla nascita dei Fasci di combattimento.
Nel dicembre 1924 fondò e diresse il quotidiano Il Tevere, che cessò le pubblicazioni solo con la caduta del fascismo. In seguito, nell'agosto 1933, dette vita al settimanale Quadrivio e, nell'agosto 1938, al quindicinale La Difesa della razza.
La stima che Mussolini nutriva per lui si manifestò pienamente una volta giunto al potere: da allora, infatti, venne progressivamente affidando all'I., attraverso i suoi giornali, il ruolo di anticipatore delle posizioni che via via andava assumendo.
A metà degli anni Venti, l'I. venne chiamato a ricoprire la carica di segretario dei giornalisti romani. Nel dicembre 1925, entrò a far parte del consiglio direttivo della Federazione nazionale della stampa italiana (FNSI). Come segretario dei giornalisti romani l'I., all'inizio del 1927, dette avvio a un vasto processo di epurazione tra i giornalisti che ridusse drasticamente il numero degli iscritti da 1700 a 400. Nel maggio 1929, Mussolini lo volle tra i membri della Commissione superiore per la stampa, un organo di controllo cui il capo del fascismo aveva assegnato un ruolo importante nella costruzione del consenso e nell'allineamento al regime della categoria dei giornalisti. La Commissione, attraverso la gestione dell'Albo dei giornalisti, era in grado di esercitare su costoro una efficacissima pressione; l'I. continuò a far parte della Commissione sino al 1939.
Strumento principale dell'attività dell'I. fu, comunque, Il Tevere. Il quotidiano aveva visto la luce grazie al finanziamento dell'imprenditore romano D. Vannisanti: contava quattro pagine (una volta alla settimana sei), una fra le quali dedicata tutta alla letteratura, e politicamente, all'inizio, si ispirava alle posizioni del fascismo integrale di R. Farinacci. Il giornale si impose rapidamente nel panorama della stampa politica, grazie soprattutto alla robusta vena di polemista dell'I., che da subito manifestò un totale appoggio alla svolta autoritaria reclamata dal fascismo intransigente, con argomentazioni spesso apertamente razzistiche. Nel 1926, Vannisanti si ritirò dall'impresa e venne sostituito nel finanziamento dal Partito nazionale fascista (PNF) e dall'Ufficio stampa della presidenza del Consiglio.
Da allora il giornale divenne un vero organo ufficioso di Mussolini, che lo usò spregiudicatamente, fornendogli notizie riservate e facendogli assumere molto spesso il ruolo di battistrada o di contenitore ufficioso delle proprie posizioni politiche. Come, per esempio, nell'aprile 1926, su un tema di politica culturale, quando l'I. condusse un violento attacco contro G. Gentile, accusandolo di aver chiamato a collaborare all'impresa della Enciclopedia Italiana il fior fiore della cultura antifascista, fra cui molti di quegli intellettuali che avevano firmato il manifesto di B. Croce. O come accadde per una questione di importanza strategica per la politica estera fascista, nel giugno 1927, quando si accese una feroce polemica tra F. Coppola ne La Tribuna da una parte, e Il Tevere e l'I. dall'altra: il primo sosteneva la necessità per l'Italia di accostarsi maggiormente alle potenze occidentali per prepararsi all'urto con il bolscevismo, mentre l'I. si scagliava contro le democrazie borghesi, e quindi contro l'Inghilterra, sostenendo con vigore la necessità di una politica estera "revisionistica", che Mussolini sotto sotto aveva già iniziato a considerare concretamente ma che riteneva prematuro sostenere apertamente. A specifica testimonianza del ruolo semiufficiale del suo giornale, nel secondo scorcio degli anni Venti, l'I. risultava il giornalista più ricevuto da Mussolini a palazzo Chigi.
Ma la notorietà dell'I. è innanzitutto legata al suo acceso antisemitismo, e al ruolo importante che svolse nel dar adito alla circolazione di idee antisemite. Sin dai primi anni del regime fascista, d'altro canto, l'I. e Il Tevere non avevano nascosto le loro simpatie per le teorie razziste e antiebraiche.
Frequenti erano le sortite antisemite del giornale romano, tanto da meritare, nel 1926, l'attenzione compiaciuta di A. Rosenberg, il teorico nazista dell'antisemitismo. Nel gennaio 1934 Il Tevere aveva preso ad attaccare il sionismo, ma dietro questo finto bersaglio aveva presto preso forma il vero obiettivo cui mirava la polemica, cioè l'antisemitismo. A scendere in campo contro Il Tevere, oltre alle comunità ebraiche, fu il giornale di I. Balbo, il Corriere padano, che per la penna di N. Quilici giunse a definire il giornale romano "l'organo ufficiale dei social-nazionalisti in Italia". La polemica si rinfocolò di lì a poco, quando venne arrestato a Torino dalla polizia politica il gruppo torinese del movimento antifascista clandestino Giustizia e libertà, in cui risultavano militare anche alcuni ebrei. La campagna orchestrata dall'I. mirava a far passare l'idea che antifascismo, comunismo ed ebraismo fossero la stessa cosa. La forsennata campagna di stampa del Tevere riuscì a trascinare sulle proprie posizioni diversi giornali, compreso l'organo mussoliniano, Il Popolo d'Italia.
L'anno dell'I. fu, in effetti, il 1938, data della promulgazione delle leggi razziali. Esso cominciò con un crescendo di articoli razzisti e antisemiti che avevano evidentemente lo scopo di preparare il terreno alla promulgazione delle leggi. Il Tevere e l'I. fecero come al solito da battistrada, questa volta sostenuti anche dal settimanale il Quadrivio.
Lo spunto per avviare la campagna di stampa venne offerto, nel gennaio 1938, dagli ebrei stranieri rifugiatisi in Italia, e in particolare dagli studenti ebrei profughi, i quali, secondo l'I., dopo essersi laureati, rimanevano in Italia e toglievano l'impiego agli Italiani.
A sostegno della campagna antiebraica, il 5 ag. 1938, l'I. prese a pubblicare il periodico La Difesa della razza, una rivista che intendeva sostenere il razzismo su basi rigorosamente scientifiche: infatti non mancavano fra i collaboratori esponenti di varie discipline scientifiche (biologi, antropologi, sociologi, ecc.). La rivista partì molto bene, con una tiratura iniziale di 140.000 copie, ma di lì a un paio d'anni la tiratura scese a 20-25.000. In coincidenza con la promulgazione delle leggi razziali, l'I. dette alle stampe un opuscoletto, Contra Judaeos (Roma-Milano 1938), in cui era contenuto il distillato del suo antisemitismo.
Il libello ricevette, dalle colonne del Corriere della sera, un'entusiastica recensione di G. Piovene, mentre una reazione alle sconce argomentazioni dell'I. venne - nel dicembre di quell'anno - con l'uscita di un numero della rivista Artecrazia, il cui direttore, M. Somenzi, si lanciava con forza contro l'antisemitismo e i suoi sostenitori, validamente appoggiato da F.T. Marinetti che in un altro articolo, apparso nello stesso numero della rivista, accentuava i toni della polemica, bollando la profonda corruzione e ipocrisia degli artefici della campagna contro gli ebrei.
Il 26 luglio 1943 l'I. venne arrestato e rinchiuso a Forte Boccea. Liberato dai Tedeschi nei giorni successivi all'8 settembre, il 12 fu condotto in Germania. Di lì a poco tornò in Italia per aderire alla Repubblica sociale italiana (RSI), e gli venne affidata la propaganda che, a mezzo stampa e attraverso le trasmissioni radiofoniche, era indirizzata all'Italia liberata. Anche in seno alle forze fasciste che dettero vita alla RSI, l'I. si schierò sempre con l'ala più intransigente. Quando Mussolini adombrò l'ipotesi della convocazione di una Costituente che fornisse la RSI di organi legislativi rappresentativi l'I., sebbene a Salò non ricoprisse alcun incarico significativo, fece tuttavia giungere a Mussolini il suo parere assolutamente contrario al progetto, in perfetta sintonia con le perplessità della componente radicale dei "repubblichini" e dello stesso A. Pavolini.
In una sola occasione l'I. si distinse dagli intransigenti, allorché si trattò di valutare l'opportunità di far celebrare il processo di Verona contro i "traditori" della notte del Gran Consiglio. In quella circostanza, infatti, con missiva inviata il 17 dic. 1943, egli mise in guardia il capo del fascismo dai rischi che, sul piano dell'immagine e della propaganda, poteva correre decidendo di andare avanti sulla strada del processo.
Arrestato di nuovo nell'ottobre 1945, l'I. riuscì tuttavia a eludere la detenzione e a nascondersi, fino a quando i reati di cui era stato accusato non furono cancellati con l'amnistia del giugno 1946.
L'I. morì a Roma il 20 genn. 1965.
Fonti e Bibl.: Roma, Arch. centr. dello Stato, Segreteria particolare del duce, Carteggio riservato, b. 53; Repubblica sociale italiana, b. 4; R. De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Torino 1961, ad ind.; Id., Mussolini il fascista, II, L'organizzazione dello Stato fascista, 1925-1929, Torino 1968, ad ind.; Id., Mussolini l'alleato, 1940-1945, II, La guerra civile, 1943-1945, ibid. 1997, ad ind.; G. Carocci, La politica estera dell'Italia fascista, 1925-1928, Bari 1969, ad ind.; G. Mughini, A via della Mercede c'era un razzista, Milano 1991; G. Fabre, L'elenco. Censura fascista, editoria e autori ebrei, Torino 1998, ad ind.; M. Sarfatti, in Diz. del fascismo A-K, Torino 2002, sub voce.