SIGNORINI, Telemaco
– Nacque a Firenze il 18 agosto 1835, secondogenito di Giovanni, rinomato vedutista della Firenze granducale, e di Giustina Santoni (Somaré, 1926, p. 277).
Dal 1848 frequentò le scuole degli Scolopi, dove conobbe Giosue Carducci, Giuseppe Sacchetti, Stanislao Pointeau, Adriano Cecioni. Sebbene fin dai dieci anni prendesse lezioni di pittura, la sua intenzione era di proseguire negli studi letterari, ma nel 1851 la morte del fratello maggiore Egisto, già promettente pittore, lo indusse ad accettare la volontà del padre che lo voleva artista, e che divenne il suo principale maestro instradandolo alla pittura di paese. Il babbo lo educò a copiare dall’antico nelle gallerie fiorentine e a disegnare dal vero all’aria aperta, esercizi che, dal 1854, egli incrementò frequentando la Scuola del nudo all’Accademia di belle arti. Nell’atelier paterno, luogo di riferimento per visitatori italiani e stranieri di passaggio a Firenze, soprattutto anglosassoni, Telemaco ebbe i suoi primi allievi con i quali, pur lamentandosi di quell’impegno didattico che lo distoglieva dalla pittura, strinse talvolta rapporti duraturi e fruttuosi; i viaggiatori inglesi furono, infatti, tra i suoi primi clienti (Nicholls, 1997, pp. 259 s.).
Presa l’abitudine di disegnare dal vero in campagna: vi si recava insieme a Odoardo Borrani, e dal 1853 anche con Vincenzo Cabianca giunto allora a Firenze, prediligendo visioni semplici e nient’affatto pittoresche. Al 1854 risalgono invece alcuni disegni dell’interno del palazzo del Bargello, in qualche modo finalizzati all’esecuzione di dipinti di soggetto storico-letterario come I puritani al castello di Tillietudlem, con cui quell’anno esordì all’esposizione dell’Accademia, o Fermati Abacucco: odo uno strepito, tutti e due tratti da I Puritani di Walter Scott, o, ancora, Vitellozzo e Oliverotto fatti assassinare dal duca Valentino, presentati alla Promotrice fiorentina nel 1855. Il 1855 fu anche l’anno in cui Signorini cominciò a frequentare il Caffè Michelangiolo, partecipando alle idee di rinnovamento dei linguaggi pittorici espresse dagli artisti assidui del locale, e in cui lasciò lo studio del padre per aprirne uno proprio in via della Pergola, dove ebbe come vicini Vincenzo Cabianca, Antonino Artaud – che conosceva dal liceo – e Angiolino Biondi. Fu là che conobbe Vito D’Ancona, divenuto presto un importante modello di riferimento, come Telemaco avrebbe in seguito riconosciuto (Vito D’Ancona, 1884). Fu D’Ancona ad avvicinarlo alla letteratura francese e al pensiero socialista di Proudhon, che fece scemare i suoi precedenti entusiasmi per le idee mazziniane, e fu lui a condurlo a Venezia nel 1856 per un lungo soggiorno di studio che gli permise d’incontrare artisti italiani e stranieri, fra i quali Enrico Gamba e Frederic Leighton, di studiare le antiche pitture veneziane e di dipingere dal vero elaborando un uso della ‘macchia’ – fino allora adottata come elemento chiaroscurale utile a rinnovare i quadri di storia – quale strumento d’indagine del reale e di sintesi compositiva. Nell’agosto presentò all’esposizione dell’Accademia veneziana una Veduta della Salute. Il viaggio di ritorno gli diede l’occasione per visitare Milano, Torino, Genova.
Al rientro a Firenze propose alla mostra della Promotrice alcuni quadri eseguiti a Venezia, che vennero rifiutati per l’«eccessiva violenza di chiaroscuro» (così Signorini stesso, in Somaré, 1926, p. 272), contrariamente a quanto avvenne per L’invenzione della stampa, un soggetto di storia oggi disperso. Un rifiuto ottenne anche nel 1857, quando presentò alcuni «quadri e studi di prospettiva» cui aveva lavorato al fianco di Agostino Lessi (ibid.).
Nel 1858, all’indomani di un viaggio con il padre nel Lombardo-Veneto e a Torino, di un soggiorno in Liguria – alla Spezia, forse con Vincenzo Cabianca – e di due nuove visite a Venezia, Signorini elaborò con compiutezza la ‘macchia’ per dipingere, oltre che paesaggi, scene di vita contemporanea, tema che aveva affrontato nel 1856 nel quadro Una preghiera. Risale al 1858 l’ideazione del Merciaio di La Spezia e del Quartiere degli israeliti a Venezia, le cui redazioni finali – una, esposta alla Promotrice fiorentina del 1859 e là venduta, l’altra del 1860 – testimoniano l’avvenuta soluzione del procedimento pittorico della ‘macchia’, da violento contrasto cromatico e chiaroscurale a esattezza geometrica delle scansioni luminose e di colore.
Nel maggio del 1859, il pittore partì volontario per la seconda guerra d’indipendenza, e l’anno seguente tornò nei luoghi delle battaglie per trarne appunti poi utilizzati per temi di storia contemporanea, fra i quali, L’artiglieria toscana salutata dai francesi feriti a Solferino, Alt dei granatieri toscani a Calcinatello, presentati nell’autunno alla Promotrice di Firenze, e La cacciata degli austriaci da Solferino, esposta nel 1861, insieme a Pescivendole a Lerici. Quest’ultimo dipinto fu realizzato sugli studi eseguiti nel luglio del 1860 tra La Spezia, Lerici, Riomaggiore, in compagnia di Banti e Cabianca, tutti e tre intenti a «trattare gli effetti di sole»; là, «a forza di studi, lavori e tentativi arditissimi», essi «fecero un vero progresso» (Cecioni, 1884, 1905, pp. 335 s.).
Nel maggio del 1861 Telemaco si recò a Torino con Banti e Cabianca per visitare la Promotrice, dove esponeva, fra l’altro, Il quartiere degli israeliti a Venezia. Il soggiorno fu l’occasione per stringere rapporti d’intesa con i pittori di paesaggio attivi in Piemonte, considerati da lui «progressisti» al pari dei toscani. Verso la fine del mese, insieme agli amici, proseguì per Parigi, dove ebbe l’opportunità di conoscere direttamente la pittura di Barbizon e le manifestazioni più attuali dell’arte francese. Al ritorno accompagnò a Castiglioncello Diego Martelli, insieme a Michele Tedesco e a Giuseppe Abbati. Le riflessioni su quanto visto a Parigi lo indussero a elaborare un tenore espressivo più solenne e quieto, dove nitore della forma e qualità eletta della luce s’intessono di rattenuto sentimento. Lo dimostra il dipinto Pascoli a Castiglioncello, presentato all’Esposizione nazionale allestita a Firenze nel settembre di quell’anno. I pensieri da lui formulati sul rinnovamento dei linguaggi figurativi, e in particolare su quello messo a punto dai ‘macchiaioli’, trovarono forma compiuta negli articoli pubblicati su La Nuova Europa fra il novembre 1862 e l’agosto 1863. Da allora, le sue critiche alle esposizioni – firmate spesso con gli pseudonimi ‘X’, ‘Lo Gnorri’, o ‘Labieno’ – avrebbero contribuito in maniera decisiva all’affermazione di un’arte autonoma da convenzioni sociali e implicazioni moralistiche.
La morte del padre, nell’agosto del 1862, aveva comportato il trasferimento della famiglia in periferia, a Piagentina, dove abitava Silvestro Lega; la maggiore dimestichezza fra i due artisti dette vita a una sorta di ‘scuola’ dedita al paesaggio e alle scene di vita domestica, cui parteciparono artisti toscani e non, dai francesi Gustave Langlade e Albert Madier al siciliano Filippo Liardo, a Michele Tedesco, Giuseppe Abbati, Odoardo Borrani. Fra i quadri di Signorini più esemplificativi della temperie di Piagentina, rammentata molti anni più tardi dal pittore con pacato rimpianto (Per Silvestro Lega, 1896), vi sono La luna di miele (1863) e Il ponte sull’Affrico a Piagentina (1865). Al 1864 risale una sua collaborazione come vignettista alla rivista fiorentina di carattere politico Il Lampione. Nel frattempo egli affrontava temi ‘sociali’ resi tramite la severa sostenutezza della forma, quali L’alzaia (1864), opera dalle dimensioni imponenti, a lungo esposta nelle sale della Società Promotrice e inviata all’Esposizione universale di Vienna nel 1873, e La sala delle agitate all’ospedale di Bonifazio (1865), quadro in seguito ammirato da Edgar Degas, che probabilmente vi fece riferimento nel dipingere L’absinthe.
Alla metà degli anni Sessanta divennero sue frequentazioni abituali la villa di Marcellin Desboutin a Bellosguardo, sulle colline di Firenze, e il villino dell’inglese Isabella Falconer a Collegigliato presso Pistoia, cui presto si aggiunsero le dimore dei conti de Gori, ove venne introdotto dall’amico Enrico Nencioni. Erano case in cui si respirava una cultura variegata e internazionale confacente all’artista, che là incontrò critici e letterati quali, fra i tanti, Georges Lafenestre, Jules Claretie, Savage Landor, Angelo De Gubernatis.
Il suo impegno di critico militante si concretizzò a pieno con la nascita del Gazzettino delle arti del disegno, la rivista fondata da Diego Martelli nel 1867, cui collaborò insieme a Maurizio Angeli; negli articoli lì pubblicati, egli ribadiva l’importanza della forma in confronto al contenuto, confutando in tal modo la tradizionale gerarchia dei generi della pittura, e anzi avvalorando il ‘paesaggio’ perché libero da implicazioni didascaliche. Infine, sosteneva il valore di una maniera aperta alla modernità in consonanza con il naturalismo europeo. Tali concetti si rispecchiavano nei suoi dipinti coevi, fossero scene di vita contemporanea o paesaggi, come indicano gli ‘interni’ di casa de Gori, Aspettando o Non potendo aspettare, fino a Il novembre, con cui ottenne la medaglia d’oro alla Promotrice fiorentina del 1870, tutti esemplificativi di una lucida e acuta osservazione del dato naturale. Non a caso fu in quel tempo che Signorini iniziò a utilizzare stampe fotografiche per la realizzazione dei dipinti. Nel 1870, insieme a Banti e a Cecioni, fece parte della giuria dell’Esposizione nazionale di Parma, ruolo che gli procurò varie critiche per le scelte, giudicate di parte. Dall’anno seguente cominciò a dedicarsi all’acquaforte, esordendo con le illustrazioni di Primi passi di Diego Martelli, cui, nel 1872, seguirono quelle per Ricerche intorno a Leonardo da Vinci di Gustavo Uzielli, motivo di soggiorni nella campagna empolese, che gli ispirarono più dipinti fra cui l’incantevole visione di una Villa Toscana affacciata sul giardino (1872-74 circa): dipinti con i quali quell’anno prese parte all’Esposizione nazionale di Milano.
Nel maggio del 1873, dopo aver ottenuto un premio per L’alzaia all’Esposizione universale di Vienna, dove aveva inviato anche Aspettando, si recò nuovamente a Parigi e vi risiedette più mesi, fra l’altro lavorando per i mercanti Reitlinger e Goupil. Riprese i rapporti con Giuseppe De Nittis (con cui nel giugno andò a Londra) e con Giovanni Boldini, di cui fu ospite a Combs-la-Ville, e, in generale, con gli artisti italiani residenti nella capitale francese. Ritrovò Degas, conosciuto a Firenze nel 1858, e tramite Desboutin conobbe Édouard Manet, Émile Zola, Louis Edmond Duranty. Cominciò da allora, spronato dall’esempio di De Nittis, a ricercare maniere innovative per risolvere la veduta urbana animata, ricerca che lo avrebbe impegnato intensamente nel corso degli anni. Dal febbraio aveva iniziato a collaborare al Giornale artistico di Cecioni, su cui, nel settembre, pubblicò un affettuoso necrologio di Ernesto Rayper.
Dalla metà dell’ottavo decennio, i viaggi del pittore – in Italia e all’estero – divennero sempre più frequenti, contemporaneamente alla crescita del suo successo artistico, permettendogli un continuo confronto con la coeva arte europea, sulla quale, per altro, era costantemente aggiornato grazie alla circolazione delle riviste, in particolare la Gazette des beaux arts e la Revue des deux Mondes; nel 1875 fu a Roma, l’anno seguente a Ravenna, ospite del collega Arturo Moradei, e vi ideò il dipinto con cui nel 1877 vinse la medaglia d’oro all’Esposizione di Napoli: Sobborghi di Porta Adriana a Ravenna. La mostra napoletana fu l’occasione per visitare di nuovo la città – vi era stato nel 1871 con Cecioni e De Nittis – e per conoscere Pompei e Sorrento. I viaggi a Parigi si susseguirono con cadenza quasi biennale (1876, 1878, 1880, 1881, 1883, 1884), inframezzati da importanti soggiorni a Londra e in Scozia (1881, 1883, 1884). Nel 1878 Signorini presentò all’Esposizione universale di Parigi Ponte vecchio, un’innovativa concezione della veduta urbana volta a suggerire il dinamismo della scena raffigurata, tramite le inquadrature ardite e la vivacità della pennellata, in modo tale da stabilire una correlazione fra trasposizione pittorica e tempo della visione.
Nel 1879 compì una gita a Pietramala, località dell’Appennino tosco-emiliano dove in seguito sarebbe tornato spesso ambientandovi più dipinti, fra cui il monumentale Pascolo a Pietramala. All’epoca frequentava già Settignano, il paesino alle porte di Firenze divenuto prediletto luogo dei suoi soggiorni di riposo e di studio negli ultimi decenni del secolo.
Nel 1880, dopo aver preso parte alla mostra di pittura moderna organizzata a Firenze dalla Società Donatello e all’Esposizione nazionale di Torino (v’inviò il Ponte Vecchio, acquistato in quella sede dal mercante inglese Vizard), si recò a Parigi e da là in Bretagna con Boldini. Nel 1881, dopo aver sostato a Parigi, fu in Inghilterra e in Scozia, dove trascorse un mese introdotto nell’ambiente locale dal pittore Felice Giordano (Nicholls, 1997, p. 262). Nacquero allora gli scorci urbani di Edimburgo e di Leith. La sua clientela anglosassone si faceva più assidua, sollecitata anche dalla partecipazione dell’artista a mostre in sedi prestigiose quali la Grosvenor Gallery (1881, 1883) e la Royal Academy (1882, 1883); nel 1883 il pittore e mercante Arthur Lucas allestì una mostra di Signorini nella propria casa londinese, vendendo ben venti tele ispirate al Mercato Vecchio di Firenze. È possibile sia stato proprio Lucas a suggerire al pittore di tradurre all’acquaforte quelle fortunate raffigurazioni, pubblicate nel 1886 (Nicholls, 1997, p. 263). Nel maggio del 1884 Signorini tornò per l’ultima volta in Gran Bretagna, e v’incontrò Leighton e Robert Browning, ma il suo quadro – Un giorno di pioggia a Pietramala – non venne accettato dalla Royal Academy, ed egli espose solo al Royal Manchester Institute (Piancastagnaio. Monte Amiata). Quell’anno scrisse un ‘ricordo’ di Vito D’Ancona per il Fieramosca e presentò a Torino Adolescenza e Il ghetto di Firenze, quest’ultimo acquistato dal ministero della Pubblica Istruzione.
Nel 1885 si recò ad Arcola, nell’entroterra della Spezia, e nel 1887 a Riomaggiore, dove era tornato, dopo tanti anni, nel 1881. Alla fine di quel decennio, e poi ancora fino al 1899, il paesino delle Cinque Terre e i suoi abitanti rappresentarono una rigogliosa fonte d’ispirazione per l’artista, proprio come lo era Settignano.
E se i quadri che hanno per soggetto Settignano sono intessuti di lirismo, frutto del mirabile equilibrio tra valori stilistici e sentimento (Monti, 1984, p. 132), quelli ambientati a Riomaggiore sono indicativi di quanto profondamente l’artista avesse assimilato i concetti di Proudhon espressi in Du principe de l’art (Spalletti, 1994, p. 31): dipinti che raffigurano con incisiva verosimiglianza individui fortemente caratterizzati, caricaturali quasi, colti nella loro umile realtà quotidiana, come attesta il volume illustrato dedicato a Riomaggiore, pubblicato postumo dal fratello Paolo nel 1911.
L’irrequietudine e il desiderio di sperimentare altre possibilità visive lo portarono anche all’Elba, dove fu per la prima volta nel 1888 in compagnia della Nene, la ragazzina che dal 1880 aveva preso a proteggere seguendone l’istruzione, e che egli ritrasse in dipinti e in disegni sia poetici sia di conturbante crudezza. E fu con un dipinto ideato all’Elba che Signorini partecipò all’Esposizione universale di Parigi nel 1889: Isola d’Elba, vento di mezzogiorno.
Nel frattempo la sua attività critica, rivolta principalmente all’evoluzione dell’ambiente artistico fiorentino, proseguiva in maniera brillante, sostenendo le scelte di giovani quali Ulvi Liegi, Plinio Nomellini, Angelo Torchi, ma anche ripercorrendo con acume il percorso di suoi coetanei, di Fattori e, soprattutto, di Lega, del quale scrisse un commosso ma puntuale ricordo nel 1896.
Nominato professore onorario all’Accademia di belle arti di Firenze nel 1892, inviò al presidente dell’istituto una Lettera informativa che scandiva per sommi capi la sua biografia. L’intenzione di ricostruire il proprio itinerario artistico è per altro confermato dagli appunti stilati in vista di un’autobiografia: Cronologia autobiografica e Sommario autobiografico, resi noti da Enrico Somaré nel 1926. Il desiderio di documentare, oltre al proprio percorso, anche aspetti salienti del mondo artistico fiorentino, lo indusse a pubblicare nel 1893 Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangiolo, illustrandolo con le caricature – in gran parte di Angiolo Tricca – allora esposte alla Società degli artisti; per non dire dello Zibaldone, il corposo volume composto da ritagli di articoli suoi e su di lui, da sue poesie manoscritte e da illustrazioni, molte delle quali tratte da Caricaturisti e caricaturati. Nonostante il tono nostalgico che trapela da simili operazioni, l’artista continuava a lavorare e a esporre con infaticabile vitalità, e le sue sperimentazioni raggiunsero esiti di sorprendente spregiudicatezza sia formale sia tematica, confermando la sua apertura verso la cultura figurativa europea: ne sono una lampante testimonianza il Bagno penale a Portoferraio, eseguito nel 1895 sulla scorta di un bozzetto del 1888; La toilette del mattino, terminata nel 1898; Il ponte di Vigo a Chioggia, realizzato su appunti presi nel 1897 quando egli fece parte della giuria di accettazione della II Biennale di Venezia. Fra il 1896 e il 1897 collaborò come illustratore alla rivista Fiammetta.
Negli ultimi anni della vita ebbe come attenti estimatori Vittorio Pica, che gli dedicò un articolo nel 1898, e Ugo Ojetti.
Morì a Firenze l’11 febbraio 1901, non ancora sessantaseienne, come riporta la lapide apposta sull’ultima dimora del pittore, in via Fiesolana 1.
Nel 1926 l’Accademia di belle arti di Firenze gli dedicò una retrospettiva, e nel 1930 alla galleria Pesaro di Milano vennero messe in asta le opere conservate nello studio dell’artista e quelle da lui collezionate.
Scritti. X, Alcune parole sulla esposizione artistica delle sale della Società Promotrice, in La Nuova Europa, 19 ottobre 1862; X, Ciarle fiorentine, in La Gazzetta del popolo, 3 novembre 1862; X, Polemica artistica, in La Nuova Europa, 19 novembre 1862; X, Del fatto e del da farsi nella pittura, ibid., 2 agosto 1863; A proposito del quadro del signor Ademollo, in Gazzettino delle arti del disegno, I (1867), 1, pp. 6-8; L’Esposizione di Belle arti della società d’incoraggiamento in Firenze, ibid., pp. 17-21, 25-29, 33-36, 43-46; Come l’assenza di critica guasti gl’ingegni. Dei quadri del signor Raffaello Sorbi, ibid., pp. 57-61; Il ritratto di Sua Maestà il Re del Prof. Cav. Stefano Ussi, ibid., pp. 73-75; L’ultima tentazione di Satana. Quadro del sig. Bonaiuti, ibid., pp. 81-83; Processione fiorentina del 1497. Quadro della Sig. Benham Hay, ibid., pp. 105-109; Il Caffè Michelangiolo, ibid., pp. 150 s., 174-176, 197-199, 206-208, 213-217; Il Suicida, statua dello scultore Adriano Cecioni, e i quadri dei sigg. Saltini e Andreotti, ibid., pp. 153-156; A proposito di un nuovo quadro del sig. Ademollo, ibid., pp. 181 s.; Del paesaggio e della sua influenza nell’arte moderna, ibid., pp. 257-259, 265-268; Ore cattive, ibid., pp. 275-278, 283-286; Polemica artistica col sig. Fiorestario della Nazione, ibid., pp. 291-294; X, Esposizione di Belle Arti della Società d’Incoraggiamento, in L’Italia artistica, IX (1868), 4; X, Esposizione solenne della Società d’incoraggiamento delle Belle Arti in Firenze, ibid., XI (1870), 22; Lo Gnorri, E sempre del Nerone del pensionato Emilio Gallori, in Il Giornale artistico, 28 febbraio 1873; Lo Gnorri, Di alcuni lavori d’arte inviati da Firenze all’Esposizione di Vienna, ibid., 1° maggio 1873; Lo Gnorri, Corrispondenze da Parigi. Esposizione del Salon, ibid., 1° luglio 1873; X, Ernesto Rayper, ibid., 19 settembre 1873; X, Gli ultimi momenti di G. Mazzini. Quadro storico del Sig. Silvestro Lega, ibid., 23 settembre 1873; Le 99 discussioni artistiche, Firenze 1877; Labieno, Cose d’Arte, in Gazzetta di Firenze, 13 gennaio 1879; Vito D’Ancona, in Fieramosca, 17 gennaio 1884; Labieno, La Promotrice fiorentina del 1887-1888, in La Domenica fiorentina, 12 febbraio 1888; I corrieri delle Arti. L’Arte che Firenze ha inviato a Parigi, in Lettere e Arti, 4 maggio 1889; Caricaturisti e caricaturati al Caffè Michelangiolo, Firenze 1893; Per Silvestro Lega, Firenze 1896; Riomaggiore, Firenze 1911.
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