TELEFO (Τήλεϕος)
Eroe ellenico la cui localizzazione in paesi così distanti come l'Arcadia e la Misia è stata intesa come il riflesso di antichissime imprese coloniali in Asia Minore. Nella tradizione mitica tali mutamenti di ambiente vengono introdotti e giustificati secondo schemi favolistici ben sperimentati. T. è un figlio non riconosciuto, la cui nascita porta disonore e disgrazia a sua madre. Secondo alcune fonti madre e figlio vengono per pietà posti in un' arca e abbandonati alle onde e alle correnti marine che li condurranno in Asia Minore. Altre volte T. non condivide il destino della madre ma, allevato miracolosamente da una cerva, vive in Arcadia sino alla maggiore età per ricongiungersi con lei più tardi in Misia tra romanzesche peripezie.
T. è in realtà una figura di non grande rilievo nell'epica postomerica. Per contro gli elementi romantici della sua storia, il suo eterno vagare in cerca di patria, di parenti perduti, di guarigione, le sue condizioni di supplice, di patetico mendicante, ne hanno fatto una delle figure più popolari del dramma antico. T. ha fornito l'argomento a trilogie di Eschilo, di Sofocle e di Euripide: sono inoltre ricordate una tragedia Mysoi di Agatone, dei Mysoi e un'Auge di Filillio e drammi dello stesso soggetto dovuti a Moschione, Jofone, Cleofone, Nicomachos. L'eroe appariva anche in commedie, in un phlyax di Rintone, in commedie e drammi di scrittori romani.
Apparentemente i genitori di T. non erano ricordati nelle Kypria, il poema in cui presumibilmente l'eroe doveva apparire per la prima volta. Dai tragici peraltro è ricordato figlio di Eracle e di Auge, e spesso considerato il più nobile degli Eraclidi (v. anche telephos, pittore di).
La più antica apparizione di T. nell'arte figurata può esser considerata quella su una coppa del Pittore di Euergides, British Museum E 20, in cui il nome è apposto a un giovane guerriero ignudo e armato di lancia al centro di una figurazione che, per la presenza di guerrieri in agguato e di giovinetti a cavallo, può dirsi un centone di motivi della storia di Troilo. La figurazione è certo malsicura: tuttavia ancora più incerte appaiono le ipotesi di riconoscere T. in altre rappresentazioni di battaglie.
Già nei poemi epici un considerevole rilievo veniva dato al motivo della ferita di T. che solo la lancia di Achille che l'aveva inflitta avrebbe potuto guarire. Di conseguenza il motivo dell'eroe errante e supplice veniva ad essere quello predominante nella materia tragica: mentre per un caso singolarmente fortunato le figurazioni sui vasi dipinti sembra abbiano conservato un'eco precisa delle differenti versioni proposte dai tre grandi tragici. Così in una coppa del Pittore di Telephos (v.) a Boston (n. 98.931) databile circa il 470 a. C., l'eroe ci appare rifugiato sull'altare domestico della reggia degli Atridi, iniplorante a gran gesti l'aiuto dei principi che furono suoi nemici. In una pelìke del Pittore di Villa Giulia nel British Museum (E 382) di poco posteriore alla coppa di cui sopra, T. sempre ferito alla gamba sinistra, siede quietamente sull'altare tenendo in braccio per maggiormente impietosire gli Atridi, il bambino Oreste secondo la presunta versione di Sofocle. Mentre il più drammatico motivo della minaccia sull'innocente, la spada sospesa sul capo del bambino rapito, come una sorta di disperato ricatto, risalente ad Euripide, trova grandissima fortuna in tardi vasi dipinti attici e dell'Italia meridionale. Uno degli esempi più suggestivi è il frammento con il nome iscritto del Metropolitan Museum, che ci offre un T. disperato e furente, dalla gran chioma drammaticamente sconvolta, ben lontano dalla grave, maestosa istanza del supplicante della pelìke del Pittore di Villa Giulia.
Nel corso del IV sec. a. C. altri aspetti della storia di T. vengono ad essere oggetto di opere d'arte figurata. Plinio ricorda più volte (Nat. hist., xxxv, 71; xxv, 42; xxxiv, 152) un dipinto di Parrasio con T., Achille, Agamennone e Odisseo, che non può rappresentare altro che la prodigiosa guarigione dell'eroe. Un'eco di questo capolavoro potrebbe vedersi in uno specchio etrusco insolitamente nobile e corretto come diseguo che ci presenta T. ferito alla gamba destra- più spesso è la sinistra ad esser avviluppata di fasce- mentre Achille eretto raschia con una piccola falce la punta della sua lancia sulla ferita. Accanto alla quieta impostazione assiale di questa scena un notevolissimo rilievo da Ercolano ci dà un Achille e un T. inclinati ad arco, protesi l'uno contro l'altro come riuniti in un impulso disperato ad eliminare la radice del male. Le figure dei due eroi di un classicismo intagliato e un poco incolore si affiancano a certa produzione neoattica e persino ai più sontuosi tra i rilievi Campana.
Un poema dell'Anthologia Palauna (2, 548) era anche dedicato a un'immagine di T. ferito, che peraltro non è possibile accertare se sia da indentificare con il dipinto di Parrasio. Ugualmente T. doveva dominare uno dei frontoni del tempio di Atena Alea di Tegea dedicato alla battaglia tra gli eroi Achei e i Misî: ma di queste insigni sculture di Skopas non sopravvivono che frammenti troppo incerti.
Uno dei pinàkia del tempio di Apollo a Cizico doveva figurare un commovente incontro tra T. e la madre Auge (Anth. Pal., 3, 2): tutta la decorazione del tempio non era infatti che una glorificazione dell'amor filiale e del culto della madre. Una scena apparentemente simile si avrebbe su un vaso campano del museo di Napoli in cui una donna stante, che l'iscrizione indica come Auge, sta a fronte a un T. seduto. Peraltro a giudicare dal tono di contenuta drammaticità è da supporre che qui si tratti proprio del ritrovamento fatale, dell'incontro tra l'eroe vittorioso e la principessa che gli è assegnata in premio, in una situazione che la minaccia dell'incesto fa avvicinare a quella di Edipo.
D'altra parte ad eccezione del piccolo fregio di Pergamo che per ragioni dinastiche celebra la complessa storia di T. e di Auge ritenuti progenitori della famiglia regnante, si può dire che tutte le figurazioni riguardanti T. in età ellenistica e romana si limitano alla sua infanzia, al miracolo dell'allevamento per opera della cerva e al ritrovamento del figlio da parte di Eracle. Pausania racconta di una cerva allattante T., in bronzo, esistente sul Monte Elicona (ix, 31, 2). Il ritrovamento è introdotto in maniera sostanzialmente affine nel fregio di Pergamo, nella famosa pittura della Basilica di Ercolano, in rilievi Campana e anche nelle monete di Tegea, Capua, Perganio. È indubbiamente il tipo di un Eracle pensieroso, appoggiato alla dava, che contempla il prodigio dovrà risalire a una statua, derivazione dell'Eracle Farnese lisippeo. Per contro le statue che possediamo di un Eracle con un bambino in braccio, come quelle del Museo Chiaramonti n. 436, del Louvre e di Avignone, per la loro stessa diversità di atteggiamenti ci appaiono piuttosto come degli adattamenti tardi che come riflessi sicuri di un grande originale plastico.
Oltre allo specchio sopra ricordato, T. con il bambino Oreste sull'altare e in altre connessioni ritorna con estrema frequenza su specchi e urnette etrusche. Non occorre infatti ricordare che l'Eraclide T. era anche considerato padre degli eroi della stirpe di Tirreno e di Tarconte.
In età romana il parallelismo con la miracolosa adozione dei Gemelli da parte della lupa porta di nuovo in favore la figurazione di T. infante allattato dalla cerva. Le due scene s'incontrano come pendants in un altare del Vaticano e nelle pteryges di una statua imperiale loricata al museo di Leida.
Luoghi di culto dedicati a T. sono ricordati in Arcadia, Misia e Licia.
Bibl.: J. Schmidt, in Roscher, V, 1916-24, c. 274, s. v. Telephos; C. Robert, Griechische Heldensagen, Berlino 1920, p. 1138 ss.; O. Stein, in Pauly-Wissowa, V A, 1934, col. 362 ss., s. v. Telephos; L. Séchan, Études sur la tragédie grecque, Parigi 1926; J. D. Beazley, Etr. Vase-paint., p. 66; R. Hamann, in Abh. Berl. Ak., 1952, p. 9 ss.; H. Metzger, in Mélanges Picard, Parigi 1948, p. 746 ss.; J. W. Salomonson, in Oudh. Med. Leyden, N. S., XXXVII, 1957, p. 115 ss.; Fr. Brommer, Vasenlisten, Marburgo 1960, p. 334; D. v. Bothmer, New York private Collections, New York 1963, p. 254; J. D. Beazley, Red-fig., 2a ed., 1963, p. 1731.