TELAMONE (dal latino telamo, gen. al plurale telamones)
Si chiamano telamoni le figure virili impiegate nelle architetture a sostegno di trabeazioni o cornici e nella scultura decorativa a sostegno di vasi o altro. I Greci diedero loro il nome di atlanti, "Ατλαντες, dal Titano che, secondo il mito, sosteneva il cielo, e che in tale atteggiamento, in piedi o inginocchiato, era raffigurato abitualmente. Ambedue i nomi derivano del resto probabilmente dal greco *τλάω "sopporto".
Secondo Vitruvio (I, 1) la loro origine, come quella delle cariatidi, le figure femminili impiegate allo stesso scopo, risale a una guerra. Gli Spartani, dopo aver vinto i Persiani nella battaglia di Platea, costruirono a ricordo della vittoria un portico detto appunto portico persiano (porticus persica), la cui copertura era sostenuta da statue rappresentanti i prigionieri nelle loro vesti barbariche. In realtà il sostegno a forma umana compare fin dai tempi più antichi in molte architetture.
In Egitto si hanno di frequente, specialmente sotto i Ramessidi, delle colossali figure dei re sotto l'aspetto di Osiride, addossate a pilastri dei quali prendono tutta l'altezza. Ma esse non sorreggono l'architrave e appaiono più decorazioni o appoggi che sostegni. Ha invece una vera funzione architettonica la figura del dio Bēs scolpita nel pilastro e sorreggente quindi l'architrave, che appare sotto la XXV dinastia, a Gebel Barkal.
Nell'arte greca, dopo le figure femminili del tesoro delfico forse di Sifno, legate stilisticamente all'ordine ionico, appaiono i colossali telamoni del tempio dorico di Giove Olimpico ad Agrigento.
Molto si è discusso sulla loro collocazione: tralasciando le ipotesi ormai totalmente superate, come quella che supponeva un pilastro centrale di tre giganti e quella che li adossava agli stipiti delle porte, rimangono tre collocazioni possibili. R. Koldewey e O. Puchstein (Die griechischen Tempel in Unteritalien und Sicilien, Berlino 1899, pagina 160 segg.) li pongono negl'intercolunnî esterni, su una cornice situata a meta dell'altezza delle colonne; ma tale ricostruzione urta contro gravi difficoltà di carattere tecnico e artistico. P. Marconi (in Riv. R. Ist. arch. e st. dell'arte, I, 1930), modificando l'idea dei precedenti, immagina i telamoni sempre sull'esterno del tempio, ma non su un davanzale continuo, bensì su mensole, di una delle quali gli sembra avere ritrovati i pezzi: mancando però ogni traccia delle altre mensole, lo stesso autore afferma il carattere ipotetico della soluzione. Secondo B. Pace infine (Il tempio di Giove Olimpico in Agrigento, in Mon. Lincei, XXVIII, 1922, col. 218) i telamoni erano addossati ai pilastri nell'interno della cella.
Dopo questo esempio si volgarizzò in Sicilia l'impiego architettonico di figure maschili e femminili, come gli atlanti di arenaria trovati a Solunto e conservati a Palermo nel Museo Nazionale, e le figure di satiri (o, meglio, di attori camuffati da satiri) che appartenevano probabilmente alla scena ellenistica del teatro greco di Siracusa. Il motivo architettonico degli atlanti che sorreggono la trabeazione dorica sembra sia stato in voga nell'arte siracusana dell'età di Gerone II, e molti esemplari passati nell'arte ellenistica e romana sono di accertata origine siciliana.
Tutti i telamoni ai quali si è finora accennato hanno le braccia alzate al disopra del capo o le mani appoggiate ai fianchi, e si nota in essi lo sforzo di sopportare un peso, in contrasto con l'aspetto sempre calmo delle cariatidi. Ma si hanno anche altri atteggiamenti, come nel sileno che, con un ginocchio a terra, sostiene la cornice del proscenio nel teatro di Dioniso ad Atene, e nelle figure inginocchiate nel piccolo teatro di Pompei (v. atlante).
I Romani, tanto nell'architettura quanto nelle arti decorative, ripeterono tutti questi tipi con la libertà di concezione e di adattamento con la quale interpretarono le forme greche. Inoltre, specialmente negli archi trionfali, introdussero figure di barbari prigionieri, che veramente devono in genere considerarsi come dei pseudotelamoni, poiché non reggono nessuna cornice o trabeazione, ma sono semplicemente addossati ai sostegni di esse. Tali sono, ad es., le statue di barbari prigionieri trovate a Corinto, che erano addossate a pilastri corinzî.
I telamoni assunsero presso i Romani anche la forma di erme e la metà inferiore del loro corpo venne ridotta a pilastro. Con questi e altri aspetti furono impiegati spesso come elemento decorativo non solo nelle architetture ma anche in bronzi, mobili, ecc.
Durante il Medioevo, per quanto gli edifici, specialmente chiesastici, si andassero man mano ricoprendo di sculture figurate e fossero abbastanza comuni le teste e i busti in funzione di mensole, non fu molto frequente l'impiego di figure intere come sostegni architettonici; mentre, poste entro specie di nicchie o piccoli tabernacoli pensili, in lunghe file che ricoprivano stipiti, colonnine, ecc., queste divenissero in età gotica la decorazione abituale delle facciate delle chiese.
Evidente ricordo dell'arte antica è nella rozza figura che sostituisce una colonnina in una polifora della chiesa di S. Sisto, a Viterbo; piegate in avanti con le mani appoggiate sui fianchi, le figure che sostengono le cornici nella cattedrale di Reims ricordano l'atteggiamento, ma questo soltanto, degli atlanti classici. Ma più spesso i telamoni medievali sono inginocchiati, seduti, accoccolati in posizioni strane e non di rado grottesche, e non meno varî degli atteggiamenti sono i loro aspetti.
Col Rinascimento, i telamoni ritornano all'armonia antica, e sono figure ignude, o spesso anche erme, dal ritmo classico, oppure nei monumenti sacri, tombe, ecc., angeli eretti in tranquillo atteggiamento di preghiera.
Nell'età barocca si animarono anch'essi del movimento che gli artisti procuravano d'imprimere alle loro opere; anzi divennero uno degli elementi impiegati di frequente per dare carattere dinamico alle architetture. L'espressione dello sforzo muscolare che già caratterizza i telamoni nell'arte antica, sulle tracce delle possenti figure lasciate da Michelangelo si esalta talvolta in atteggiamenti contorti e nell'accentuato sviluppo delle masse muscolari; oppure i corpi si snelliscono e hanno movimenti agili e liberi, come nelle creature marine che fanno spesso parte dell'architettura delle fontane, e le cui code pisciformi si piegano e s'intrecciano in curve vivaci.
Nell'architettura neoclassica i telamoni ebbero una compostezza volutamente fredda. Da allora persero in genere importanza artistica, sia che ripetessero i modelli antecedenti, sia che seguissero nei loro ritmi i tentativi di nuove forme architettoniche e decorative. Nell'architettura attuale, come gli altri elementi tradizionali, sono ormai del tutto in disuso.
Fuori del bacino del Mediterraneo il sostegno a forma umana fu specialmente usato nell'architettura indiana. Nello stile dravidico, che fiorì nel Deccan orientale, a sud del fiume Kristna, e che ricoprì i monumenti della più fantasiosa plastica decorativa, non si ebbero solo telamoni isolati, di aspetto e di atteggiamento spesso grotteschi, ma anche interi gruppi di figure, come i cavalieri montati su cavalli impennati, che lottano con mostri, nella grande pagoda di Srirangam.
Bibl.: G. Jéquier, Manuel d'archéol. égyptienne , Parigi 1924, p. 158 segg.; J. Gaudet, in Daremberg e Saglio, Dict. des antiquités grecques et romaines, 1a parte, I, Parigi 1877, p. 525 segg., s. v. Atlantes; B. Pace, Il tempio di Giove Olimpico in Agrigento, in Mon. Lincei, XXVIII, 1922, col. 216 segg.; G. E. Rizzo, Il teatro greco di Siracusa, Milano-Roma 1923, p. 101 segg.; J. Durm, Die Baukunst der Griechen, Lipsia 1910, pp. 259, 360 segg.; A. Venturi, Storia dell'arte italiana, III; F. Benoit, L'architecture. L'occident médiéval romanogothique et gothique, Parigi 1934; C. Ricci, L'architettura del Cinquecento in Italia, Stoccarda 1928; id., L'architettura barocca in Italia, Torino 1922; J. Fergusson, History of Indian and eastern architecture, Londra 1876; C. La Roche, Indische Baukunst, I, Monaco 1921.