GUIDI, Tegrimo (Teudegrimo)
Secondo di questo nome e figlio del conte Guido (I), nacque intorno alla metà del X secolo.
Suo padre discendeva da Tegrimo (I) e da Engelrada, figura di rilievo nella vita pubblica ravennate. Le attività di Guido, che compare in un documento regio del 960 qualificato con il titolo comitale, si concentrarono principalmente nel versante toscano dell'Appennino tosco-emiliano dove la famiglia deteneva molte proprietà.
Non è noto il nome della madre di G.: la documentazione ci presenta infatti due mogli di Guido (I), e cioè Sibilda, ricordata in un documento ravennate del 943 (Curradi, p. 56) e Gervisa, "nobile femina", menzionata invece in documentazione di area pistoiese nel 958 (Regesta chartarum Pistoriensium, n. 77). Poiché nelle prime attestazioni del G., risalenti come vedremo agli anni 963-964, questi era ancora un fanciullo, potremmo supporre, sia pure con prudenza, che la madre fosse Gervisa, che sappiamo appunto attiva nel 958, piuttosto che Sibilda.
Il G. compare una prima volta in un atto rogato a Ravenna il 20 luglio 963, anche se in posizione subordinata rispetto allo zio paterno Ranieri, diacono della locale cattedrale. Nel documento, con il quale i due cedevano al presule ravennate beni di loro proprietà, sono ricordati con particolare intensità i nonni paterni - "Tetgrimus inlustrissimus vir" e Engelrada "avia nostra" (Curradi, p. 59) - mentre allo stesso G. viene attribuito il titolo comitale. Ciononostante egli doveva essere molto giovane e ancora sotto la formale tutela dello zio paterno se in un documento del 964 è presentato come "honorabili puero" (ibid., p. 63).
Dalla documentazione pervenutaci salta immediatamente all'attenzione lo stretto rapporto intrattenuto dal G. con i consanguinei, tanto in linea verticale, con una chiara attestazione di coscienza dinastica, quanto sul piano orizzontale, con una gestione del patrimonio familiare che sembrerebbe coinvolgere, almeno in momenti e occasioni specifici, vari rami dinastici in una dimensione politica comune.
Un altro elemento che le fonti forniscono sul G., cioè la sua sfera di azione, almeno nei primi anni di vita attiva, è strettamente legato al fondamentale apporto che la nonna paterna Engelrada aveva dato alla determinazione della dinastia dei Guidi. Pare infatti che egli abbia operato distante dalla Tuscia, area di azione, per quanto le fonti lasciano trasparire, del padre, concentrando invece le sue attività in Romagna, terra di origine di Engelrada, dove probabilmente egli si trovava, in seguito alla morte dei genitori, sotto la tutela dello zio Ranieri.
Il già ricordato documento del 963 lascia supporre che i due, con Ranieri in posizione preminente, perseguissero la politica tradizionale della famiglia, favorevole alla Chiesa locale ma che mirava anche a estendere un controllo sempre più stretto sull'istituzione episcopale: la pergamena è infatti relativa a una donazione di una salina "pro remedio anime" dei due più volte citati Tegrimo e Engelrada, donazione che sembra però fosse compiuta per rifondere l'arcivescovo Pietro "pro diversis et preteriis pensionibus" a lui dovute (Curradi, p. 60). Dietro i formulari consueti e le ragioni anche di devozione, pare dunque lecito intravedere un puntuale segnale delle tensioni tra famiglia e l'archiepiscopato di cui abbiamo, tra l'altro, ulteriore indicazione da altre fonti.
Al di là di altre possibili ragioni, sopra esposte, circa la presenza del G. accanto allo zio, resta di notevole interesse la persistenza di legami tra i vari rami della famiglia, con attività sui due versanti dell'Appennino, quello toscano, dove aveva dimorato abitualmente il padre, e quello romagnolo, dove era rimasto lo zio Ranieri. Di questi stessi rapporti interni alla famiglia, in grado di scavalcare il confine tra la Tuscia e la Romania, e del difficile rapporto con la Chiesa ravennate abbiamo un ulteriore segno in una vicenda di poco più tarda, del 965.
Nel quadro dei contrasti tra Papato e Impero di fine secolo X, l'arcivescovo Pietro (IV) aveva infatti decisamente preso le parti di Ottone I. In tale contesto, Ranieri - successivamente alla rivolta contro Giovanni XIII scoppiata a Roma nel dicembre 965 - attaccò direttamente Pietro: entrato con la forza nel palazzo vescovile, si impadronì del tesoro episcopale e imprigionò nella rocca di Modigliana il presule, che fu in seguito liberato solo con l'appoggio di Ottone I. A causa di tali azioni, Ranieri fu condannato nell'aprile 967 dallo stesso Ottone, come ci ricorda un placito del 17 aprile nel quale la generica determinazione locativa dei possedimenti che venivano confiscati - "infra totum Italicum regnum et hubiubi" (Rauty, p. 248) - potrebbe essere indizio della notorietà e della vastità di distribuzione dei patrimoni dei Guidi. Il ricordo di tali azioni passò nella cronachistica locale e ne è testimonianza il Chronicon Faventinum del Tolosano, fonte non del tutto attendibile ma di estrema utilità per cogliere alcuni aspetti delle vicende in questione: si pensi, per esempio, all'appellativo dato dal Chronicon Faventinum (p. 20 n. 2) di Bevisangue che sarebbe da riferire al Guidi.
Senz'altro tale condanna fu un evento negativo nelle vicende dell'intera famiglia: in tale quadro deve essere anche interpretata la revoca subita dallo stesso G. nel 982 della concessione del monastero di S. Salvatore in Alina a suo tempo data da re Ugo a Tegrimo (I). In tale frangente il G. ricoprì un ruolo attivo nel tentativo di recuperare una posizione eminente: un elemento fondante di tale azione fu l'avvicinamento al potere marchionale di Tuscia, riavvicinamento testimoniato dal matrimonio del G. con Ghisla, figlia del marchese Ubaldo, e dalla fondazione del monastero di S. Fedele a Strumi, nel Casentino, come si evince da una carta del 1017 nella quale il figlio del G., Guido (II), donava alcuni beni a Strumi, ricordando che "bone memorie pater meus Teudegrimus comes monasterium statuit" (Curradi, p. 50). Il G. dunque doveva aver conservato - o riottenuto - anche il titolo comitale.
Si può far ben rientrare tale donazione nell'amplissimo numero di quelle che contraddistinsero gli ultimi decenni del secolo X nella Marca di Tuscia dove, per precisa volontà politica, oltre che spirituale, del marchese Ugo, si conobbe una grande crescita di atti a favore di monasteri, particolarmente attraverso la fondazione di Eigenklöster delle famiglie nobili della Marca che divenivano, come ha esplicitamente affermato Wilhelm Kurze, "punti di cristallizzazione della compagine familiare". È presumibile insomma che l'azione del G., inserita nei mutati quadri sovralocali dei rapporti tra poteri centrali e realtà periferiche del Regnum, sortisse l'effetto di riavvicinamento della famiglia al potere imperiale e la riconquista di un ruolo di prestigio e di forza nell'ambito dei gruppi dominanti che vi gravitavano intorno.
La fondazione del monastero di S. Fedele è da porsi tra il 982, anno della revoca della concessione del monastero di S. Salvatore, e il 992. In quell'anno la contessa Ghisla compare in un atto qualificata come vedova del G.: la morte di questo va quindi collocata in quest'arco cronologico.
Fonti e Bibl.: Magister Tolosanus, Chronicon Faventinum, a cura di G. Rossini, in Rer. Ital. Script., 2a ed., XXVIII, 1, p. 19; G. Buzzi, Ricerche per la storia di Ravenna e di Roma dall'850 al 1118, in Arch. della R. Società romana di storia patria, XXXVIII (1915), pp. 164, 167; C. Curradi, I conti Guidi nel secolo X, in Studi romagnoli, XXVIII (1977), pp. 33, 42, 44, 46 s., 50, 56, 58-64; Regesta chartarum Pistoriensium, Alto Medioevo, a cura di E. Coturri, Pistoia 1973, pp. 69 s. n. 85; C. Violante, Le strutture familiari, parentali e consortili delle aristocrazie in Toscana durante i secoli X-XII, in I ceti dirigenti in Toscana nell'età precomunale. Atti del I Convegno, Firenze… 1978, Pisa 1981, pp. 41, 46; Y. Milo, Political opportunism in Guidi Tuscan policy, ibid., pp. 208, 219; W. Kurze, Monasteri e nobiltà nella Tuscia altomedievale, in Id., Monasteri e nobiltà nel Senese e nella Toscana medievale. Studi diplomatici, archeologici, genealogici, giuridici e sociali, Siena 1989, p. 314; R. Rinaldi, Le origini dei Guidi nelle terre di Romagna (secoli IX-X), in Formazione e strutture dei ceti dominanti nel Medioevo: marchesi, conti e visconti nel Regno italico, secc. IX-XII. Atti del II Convegno, Pisa… 1993, Roma 1996, p. 236; N. Rauty, I conti Guidi in Toscana, ibid., pp. 247-250, 254; J.-P. Delumeau, Arezzo. Espace et sociétés, 715-1230, Roma 1996, pp. 387 s., 390, 572.